commenti
riassunti
font
AA+
Chiudi

Il conquisto di Granata

di Girolamo Graziani

Canto XV

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.02.15 14:30

ARGOMENTO
Entra Alchindo in Granata, ove tra’ suoi
trova starsi a consiglio il re pagano.
Verso la Gelosia s’invia dippoi
che con lo Sdegno infetta il campo ispano.
Quinci Armonte e Altabrun fra gli alti eroi
arman discordi la famosa mano;
Silvera con Odonte ha dura lite,
ma da Ferrando son l’ire sopite.

Alchindo arriva a Granata e, conosciuta la situazione sentimentale dei campioni cristiani, chiede l’intervento della Gelosia e dello Sdegno (1-33)

1Sovra il carro d’Averno Alchindo intanto
le campagne del ciel rapido corre,
e la rabbia e ’l furor sieguono a canto
che gli sparse nel sen l’empio Idragorre.
L’alba scotea dal rugiadoso manto
i primi fiori, e la più eccelsa torre
de la chiusa città feriano omai
de la luce nascente i primi rai,

2quando al campo fedel giungendo, il mago
l’ampie tende scoperse e l’alte mura,
e di strage comun sanguigno lago
vide i colli inondare e la pianura.
Sorrise il crudo, e dentro a sé fu pago
a l’atra cista, a l’orrida mistura
che d’intorno offerian con pompa atroce
spettacoli funesti al cor feroce.

3Come in solido muro o in fragil vetro
spinti i raggi del sole e ripercossi
con impeto maggior volano indietro
e riportano il foco onde fur mossi,
così d’orror, di strage e di feretro
a le spietate imagini destossi
de lo sdegno più rapida la fiamma
ch’a più crude vendette il mago infiamma.

4Vide che il gran Ferrando al ciel rivolto
con esequie lugubri e sacrifici
paga il debito a Dio poiché ha già sciolto
col sepolcro il tributo a i morti amici;
ma che il libico stuol parte insepolto
porge a gli avidi augei cibi infelici,
parte in masse raccolte in vario loco
è ludibrio del vulgo, esca del foco.

5Ode ancor minacciar timpani e trombe
nuove offese a Granata e nuova guerra.
Par che a i bellici gridi il ciel rimbombe,
par che a l’armi, a i destrier tremi la terra.
Passa il carro volante, indi è che piombe
da l’alto ciel su la rinchiusa terra,
et innanzi a l’Alambra alfin si cala
dove siede il tiranno in aurea sala.

6Qui con Orgonte e co’ guerrier più noti
proponea de la guerra i dubbi affari,
bilanciava la speme e i rischi ignoti,
discorrea l’altrui forze e i suoi ripari,
scopria gli affetti e penetrava i voti,
e le ragioni occulte e i sensi vari,
e di molti pareri al suo periglio
cautamente sciogliea pronto consiglio.

7Calcato appena il mago ebbe il terreno
che sparve il carro, et ei le scale ascese,
mentre, d’alto stupore ingombre il seno,
restàr le turbe al suo venir sospese.
S’innoltra Alchindo ove proposte avieno
i rischi incerti e le dubbiose imprese
il re co i primi, e tosto ognun affisa
nel mago, che favella in questa guisa:

8«Alchindo io son, forse che a te non giunge,
o magnanimo re, mio nome oscuro;
Alchindo, a cui benché da te sì lunge
parve il tuo lungo assedio acerbo e duro;
dal mio albergo, che quinci il mar disgiunge,
vengo a difender teco il patrio muro,
et in breve a tuo pro spero mostrarti
che cedon le vostre armi a le nostre arti».

9Tace, et a i detti suoi lieto il tiranno
sorge dal regio trono e ’l mago abbraccia,
e dice: «Or che sei qui cessa ogni affanno,
e per me la fortuna invan minaccia;
termine è il tuo venir d’ogni mio danno,
de le procelle mie tu sei bonaccia.
Chi non conosce Alchindo? Alchindo, noto
sino a i regni d’abisso, è dunque ignoto?».

10Qui rinova gli amplessi e ’l suo periglio
spiega a l’incantator tratto in disparte,
e d’aiuto il richiede e di consiglio,
quando dar possa il suo gran senno e l’arte.
Tace per breve spazio, indi alza il ciglio
Alchindo lieto e lo ringrazia in parte,
et in parte gli si offre e gli promette
su le genti nemiche alte vendette.

11Vennero poscia i cavalier più degni
a salutare Alchindo, e già fornite
l’accoglienze fra lor con certi segni
ch’egualmente dal cor siano gradite.
Il mago si ritira a i suoi disegni,
e chiama a sé gl’interpreti di Dite,
e del campo cristiano e de i guerrieri
i successi e lo stato ode e i pensieri.

12Poiché seppe a bastanza e che comprese
de i nemici campioni i vari affetti,
pensò, deliberò; congedo prese
da l’amico tiranno in questi detti:
«Signore, io parto, e con egregie imprese
vo’ Ferrando assalir ne i propri tetti.
Saran vani i ripari, in ogni loco
porterò nel suo campo armi di foco.

13Parto, e tosto ritorno; avrai tu allora
del saver, de la fé prova più certa.
Opportuna al viaggio attendo l’ora
che ceda il sol cadente a l’ombra incerta».
Tace, e di nuovo il re cortese onora
con parole d’amor la nuova offerta.
Giunge la notte, e sopra un drago
esce da i muri a la campagna il mago.

14Dove l’alta Pirene al ciel confina
e le fiamme del sol tempra col gelo,
giace una valle a cui la bruma alpina
tesse d’aspro cristallo orrido velo.
Primavera non mai qui s’avvicina,
qui non mai pura l’aria e chiaro il cielo,
ma con dubbio splendor nubi interrotte
danno in lume di giorno ombra di notte.

15L’ispido verno a la deserta valle
lega i ruscelli et incatena i fonti,
e l’elci annose incurvano le spalle
a sostener d’antiche nevi i monti.
Offrono al peregrin lubrico calle
l’acque, fatte a lor stesse argini e ponti,
trema il piè di chi mira, e par che tardo
fra sì rigidi oggetti agghiacci il guardo.

16Non trascorrono mai le piaggie algenti
se non smarriti i timidi pastori,
né mai rompono augei, turbano armenti
il profondo silenzio a i cupi orrori.
Rapaci belve, orribili serpenti
son della cieca valle abitatori,
e si odono fra i boschi e fra le rupi
fischiare i draghi et ululare i lupi.

17Rotto in più balze un diroccato sasso
circondata di spine apre una grotta,
terribil sì ch’altri tentar col passo
non osa il varco, ove mai sempre annotta,
ma crede ognun ch’indi si cali al basso
regno d’Averno, e ch’ivi sia ridotta
la schiera de l’Eumenidi spietate
per condurre a Pluton l’alme dannate.

18Molti giuràr, siano bugiardi o sia
il timor che per vero il falso mostri,
che visto avean per quell’orribil via
uscire e ritornar le Furie e i mostri.
Disser che sospirar quinci si udia
il vulgo condennato a i neri chiostri,
e Cerbero latrar, fremer Caronte,
e gorgogliar de la gran Stige il fonte.

19Vive morta a i piaceri in questo speco
una donna, una Furia, anzi una morte,
c’ha pestifero fiato e guardo bieco,
crespa fronte, atra bocca e guance smorte.
Intrecciano i capei con ordin cieco
di varie serpi orribili ritorte,
e strisciando per gli omeri contrasta
la vipera, il chelidro e la cerasta.

20Di sembiante deforme e d’anni antica
nacque di cieco padre occhiuta figlia,
e, pur figlia d’Amor, d’amor nemica,
per eccesso d’amor l’odio simiglia.
Cerca il suo male, e ’l suo dolor nutrica,
non approva e non vuol quel che consiglia,
non vuol che si ami e va sol dove si ama,
d’ombre si pasce e Gelosia si chiama.

21Null’ardisce, assai pensa e tutto tenta,
tropp’ode, troppo mira e troppo crede;
una larva l’afflige e la spaventa,
non si appaga del vero e sempre il chiede.
Accusa insieme e scusa, e si tormenta
de l’altrui ben; dà fede e non ha fede.
Arde et agghiaccia, e sempre in sé discorda,
cent’occhi ha cieca, e cent’orecchie ha sorda.

22Quivi intorno il Pensier tacito vaga
e i suoi vani sospetti offre a la mente,
e le menzogne adorna e in lor si appaga,
condanna il vero e la ragion non sente.
Quivi geme il Timor, quivi s’impiaga
la Discordia la man col proprio dente.
Quivi la bieca Invidia il cor si rode,
quivi l’Error, lo Scandalo e la Frode.

23Pallido batte il Pentimento il seno,
macilente il Dolor piange e sospira,
e lo Sdegno di rabbia e d’odio pieno
vibra la spada e la facella aggira.
Colmo il bicchier d’acheronteo veneno
folle Disperazion lieta rimira,
essa il tosco prepara, essa lo piglia;
questa de l’empia vecchia è la famiglia.

24Miser colui che a gelosia soggiace,
da lui fugge il piacer, parte il diletto,
da gli occhi il sonno e dal pensier la pace,
e restano in lor vece odio e dispetto.
Questa è spina, è flagello, è verme, è face,
questa è tarlo del cor, lima del petto,
è serpe, è tosco, è febre, è frenesia,
è peste, è morte e, peggio, è Gelosia.

25A costei dunque ha su ’l dragon volante
il saggio Alchindo il suo camin rivolto,
et a l’atra magion poco distante
scende, e solo sen va pe l’aer folto.
Ma poiché giunse e che si vide avante
de l’empia Gelosia l’orrido volto,
ei, che non teme i demoni e gli abissi,
tremò, gelò, de l’ardir suo pentissi.

26Forse indietro volgea timido il passo
se no ’l tenea dura vergogna a freno;
fermasi Alchindo e in suon tremante e basso
parla, e sol rimirare osa il terreno:
«A te vengo, o del baratro più basso
Furia maggior, di cui possente è meno
la gran furia del ciel, l’invitto Amore,
di cui solo il tuo gel vince l’ardore.

27A te ricorro, al tuo poter confido
la nostra libertà; se porgi aiuto
de i Mori oppressi a l’assediato nido,
nume de la mia gente io ti saluto.
Non di vil pianto, over d’inutil grido
avrai tu questa volta umil tributo,
ma vedrai celebrarti i sacrifici
con sangue generoso anime ultrici.

28Di feroce guerrier ti aspetta il core,
opportuno ministro al gran disegno.
Vanne, e spargi il tuo gel dentro al suo ardore,
e turba di Ferrando il campo e ’l regno.
Venga teco e congiunga il suo furore
al tuo freddo venen fervido Sdegno,
e di guerra civil tra fiamme insane
ardano in tua virtù l’armi cristiane».

29Qui distingue i consigli, ode e consente
la Gelosia, che fissa il guardo orrendo
nel mago, et egli pallido e languente
non può il volto soffrir grave e tremendo.
Quinci al fiato mortifero e fetente
de’ pestiferi labbri il varco aprendo
la Gelosia risponde a le dimande,
e la schiuma e ’l venen vomita e spande:

30«Verrò, trionferò, sarà mia gloria
spegnere Amore e dissipar la speme
nel feroce guerrier, la cui memoria
feconderà sedizioso seme.
Lo Sdegno seguirà la mia vittoria,
e godrò che per lui pugnino insieme
l’armi cristiane, e ch’arda in ogni loco
de la guerra civil l’interno foco».

31Tace, e s’inchina a la terribil voce
il mago, e da colei congedo prende,
e da l’atra caverna il piè veloce
rivolge indietro, e sovra il drago ascende.
Lascia de i Pirenei l’angusta foce,
spicca rapido il volo e l’aria fende,
e di Granata nel real soggiorno
fa per le note vie presto ritorno.

32Quivi ei dice al tiranno, il qual l’accoglie,
con lieto volto: «Or tu, signore, attendi
che nel campo cristian l’ira germoglie,
e di guerra civil produca incendi.
Frena de i tuoi le bellicose voglie,
e de gli affanni altrui gioco ti prendi;
vedrai, se tu secondi il mio disegno,
senza rischio de i tuoi salvo il tuo regno».

33Narra il pensiero e ’l barbaro ne gode,
et allegro conchiude: «Io dono amico
al tuo raro saver la prima lode
d’avermi conservato il regno antico.
Più che il ferro guerriero o la man prode
affliggerà l’esercito nemico
l’arte sola d’Alchindo»; in questa guisa
col vecchio mago il re pagan divisa.

La Gelosia spinge Altabruno a credere al racconto mendace di un pastore sugli amori di Osmino e Silvera, e lo aizza a cercare vendetta (34-57)

34Da l’oscura magion la Gelosia
con lo Sdegno fra tanto era partita,
et al campo cristian presa la via
volava ad eseguir la tela ordita.
I fiori incenerian, l’erba languia
dovunque si volgea la coppia unita,
e per quanto stendea l’orribili ali
tormentati gemean gli egri mortali.

35A i densi fiati, a le superbe fronti
perde il corso il ruscel, l’augello il canto,
la campagna le spiche e l’acque i fonti,
tutto ingombrano orror, gemiti e pianto;
fugge il dì, teme il sol, tremano i monti,
in terra e in ciel la Gelosia può tanto.
Così volano i mostri e non lontane
veggono lampeggiar l’armi cristiane.

36Da l’altra parte in su l’eccelse mura
veggono i Mori a la difesa intenti,
e senton guerra sanguinosa e dura
intorno publicar feri istrumenti.
Godono in preparare alta sciagura
gli orridi mostri a le cristiane genti,
e passano in un bosco ove opportuno
aspettano ch’a lor giunga Altabruno.

37Da la rozza capanna ove ferito
fe’ col vecchio pastor lungo soggiorno,
il feroce Altabruno alfin guarito
verso il campo cristian facea ritorno,
e perché il sole a mezzo il ciel salito
più fervidi scoccava i raggi intorno,
pensò dal mal, dal caldo afflitto e stanco
posare a l’ombra fresca il debil fianco.

38Lascia la sella e sovra l’erba molle
sotto ad un pin, che non lontan sorgea,
il fianco adagia, e mentre l’aria bolle
a quell’aura, a quell’ombra ei si ricrea,
se non in quanto il pensier vario e folle
con amorosa lima il cor rodea.
Or qui steso giacendo ecco repente
di rustica sampogna il suono ei sente.

39Solleva il capo e gira il guardo e vede
un pastorel ch’a la sua greggia a canto
è l’autor di quel suono, a cui succede
con soave tenor distinto canto:
«Perfido Amore, o come è tosto erede
d’amoroso piacer amaro pianto!
Come per tua cagion, perfido Amore,
per la porta del riso entra il dolore.

40Fuggon le gioie, e volano i contenti
rapidi più che da le piaggie alpine
con liquefatte nevi ampi torrenti,
più che a i raggi del sol le fresche brine.
D’una candida fé tra fiamme ardenti
che val, perfido Amor, che un cor si affine,
se il premio o non mai giunge o giunto appena
svanisce, e il guiderdon serve di pena?

41Perfido Amore, a che ponesti in seno
d’adorata beltà guerriero amante,
se doveva il tuo mel fatto veneno
dar la vita e la morte in un istante?
O di perfido amor breve sereno,
o nel mar del piacer naufrago amante.
Tal si dolea, mentre già sotto a un pino
giacque, e dormì con la sua donna Osmino.

42Ma pur felice Osmin, ch’almen si giacque
solo con la sua donna a l’aer bruno;
infelice son io, cui non compiacque
la mia Filli crudel d’affetto alcuno».
Così cantò, poi sospirando tacque
il pastore, e al suo dir geme Altabruno,
mentre la Gelosia, ch’ivi l’aspetta,
del suo tosco maligno il cor gl’infetta.

43Nel timido pensier serpe il veneno,
e ne forma il Sospetto, il qual flagella
la mente d’Altabrun, che d’orror pieno
giunge al dubbio primier tema novella.
Alfin la Gelosia gli accosta al seno
un aspido che avea su la mammella,
figge il dente crudel nel core istesso
l’aspe, e d’Osmin vi lascia il nome impresso.

44Del suo rivale Osmino il fiero nome
al geloso Altabrun l’Odio presenta.
Fugge il color, si arricciano le chiome,
trema la voce e l’animo paventa.
Pur, tra sé rivolgendo e quando e come,
nuovi dubbi a suo pro seco argomenta,
e cerca lusingar l’afflitto core,
ch’un altro Osmin sia questo, un altro amore.

45- Forse (dice) tra il popolo pagano
si trova un solo Osmin, forse egli stesso
arder non può d’un’altra donna, o vano
esser non può ciò c’ha il pastore espresso.
Può condennar di testimon villano
canto ozioso, incognito successo.
Quando fu? Come qui? Chi di tai prove
introdusse in amor forme sì nuove? -.

46Tal vaneggia, e reprime i suoi lamenti,
e quel che non vorrìa creder non vuole,
e mentre finge insoliti accidenti
trova incogniti sensi a le parole.
Ma stimola e raddoppia i suoi tormenti
la Gelosia, che del suo ben si duole,
e l’astringe a cercar quel che non brama,
onde sorgendo il pastorello ei chiama.

47«Deh, tu» disse Altabrun con torva faccia,
«che cantasti d’Osmin, narra distinto
di quale Osmin favelli, e non si taccia
se l’amor di cui parli è vero o finto».
Al suono altier, che nel pregar minaccia,
muto ristette e di pallor dipinto
il pastorel confuso, indi rispose,
e de i casi d’Osmin l’istoria espose:

48«Già spuntava nel ciel l’aureo mattino,
quand’io pronto sorgendo a par del giorno
dal tugurio natio, ch’è là vicino,
trassi la greggia a pascolare intorno;
ma in arrivar presso l’eccelso pino
sotto la cui grande ombra or fai soggiorno,
scorsi duo che giacean senz’elmo in testa,
sorgere a un alto suono, il qual gli desta.

49Si vede allor da la sinistra parte
comparir numerosa armata schiera;
un di quei duo la segue e seco parte,
era donna, e nomarla udii Silvera.
Pianse l’altro, che tratto era in disparte,
l’improviso partir de la guerriera;
verde ha quei l’armatura, e porta questa
di vermiglio color la sopravesta.

50De l’afflitto guerrier fra i mesti accenti
ch’Osmino egli è nomato allor intesi,
e perch’altri interruppe i suoi contenti
ch’ei si dolea fra i detti suoi compresi.
Quindi talor sfogando i miei tormenti
dal successo d’Osmin soggetto io presi».
Così disse il pastore, e mentr’ei disse
del geloso Altabruno il cor trafisse.

51Pallido, freddo e, quasi debil canna
a i soffi d’Euro, il cavalier tremante,
più volte da colui, che più l’affanna,
ricerca di color l’armi e ’l sembiante.
Qui rinova gl’indici e più condanna
l’innocente guerriera al cieco amante,
che persuaso a quegl’incauti detti
in prove di ragion cangia i sospetti.

52Lo Sdegno allor con la sua face ardente
gli si avvicina e gli riscalda il core,
e l’alma che cedea, freddo e languente,
con l’odio invigorisce e col furore.
Ferve Altabruno, e freme impaziente
di vergogna di rabbia e di dolore,
e de gl’impetuosi affetti intensi
la tempesta sfogò con questi sensi:

53«Vanne, e soffri (dicea), servi et adora
chi fede non conosce, amor non cura:
di tal mercé tua servitù si onora,
ti conduce il tuo strazio a tal ventura.
Puoi desiar, puoi tollerare ancora
strazio sì crudo e servitù sì dura?
S’ami più sarai detto amante indegno,
degno amor, s’è ragione, arde di sdegno.

54Qual più degna ragione Amor ti serba
onde avvampi il tuo sdegno a la vendetta?
Qui la vergine tua tanto superba
fu d’un vil saracin preda negletta.
Mira, sotto quel pin, sovra quell’erba
giacque col drudo suo la tua diletta.
A te solo i tormenti, a te i disprezzi
si riserbano, altrui le gioie e i vezzi.

55E non ardi, Altabrun? Non tronchi i nodi?
Non rompi le catene? Ah si preceda
onorata vergogna a inique frodi,
a vile amor degno furor succeda.
Sorgi dal tuo letargo e in nuovi modi
nemico, non amante, ella ti veda.
Muta in giuste minaccie i preghi indegni:
non conobbe il tuo amor, tema i tuoi sdegni.

56Andrò nel campo, ivi farò palese
l’ira mia, la tua infamia, e di me solo
non solo in te vendicherò l’offese
ma d’ogni amor contro il femineo stuolo.
Sesso perfido, ingrato, empio e scortese,
che fonda il suo piacer ne l’altrui duolo,
che mai non ama, od ama sol gli amanti
quanto da lor riceve i doni e i vanti».

57Così spinto Altabrun da i suoi tormenti
forsennato prorompe, e ascende in sella.
Gode la Gelosia de i suoi lamenti,
et a lo Sdegno in guisa tal favella:
«Segui costui fra le cristiane genti,
né solo in lui, ma con la tua facella
spargi incendio e furor nel campo intorno;
sono inutile io qui: tu resta, io torno»,

Altabruno accusa Silvera di fronte ad Armonte e innesca una cruenta zuffa, cui partecipano in modo intenso Odonte e il conte d’Egabra, sedata da Ferrando (58-76)

58disse, e battendo l’ali il ciel trascorre
e fa ritorno a la caverna antica,
mentre di nuovo il sol turbato aborre
del suo fiato mortal l’aura nemica,
né il turbine giamai per l’aria corre
sì orrendo a dissipar l’erba e la spica,
né il fulmine a le nubi aperto il velo
sì tremendo giamai vola pe ’l cielo.

59Intanto il cavalier nel suo camino
con sollecito core il passo affretta,
et or contra Silvera, or contra Osmino
sferza l’animo irato a la vendetta.
Quindi al campo cristian giunge vicino,
e non rende i saluti e non gli aspetta
dal vario stuol che intorno a lui si aduna,
partecipe d’affetto o di fortuna.

60Muto, pensoso, attonito e dolente
entra nel campo, e giunge a la sua tenda,
e gli amici e i soldati e l’altra gente
con applausi d’amor corre a vicenda.
Egli lassa il destriero e impaziente
com’uom che nulla vegga e nulla intenda,
portato da furor, da gelosia
al regio padiglion tosto s’invia.

61Seguono i suoi guerrieri il capitano,
bramosi di saver chi lo perturbe,
e scoprono tra via poco lontano
Armonte d’Aghilar fra varie turbe.
La cieca Gelosia, lo Sdegno insano
risorgono in quel punto, onde si turbe
il feroce Altabrun, cui rode il seno
e di rabbia e d’amor doppio veneno.

62Verdeggiano le guance, ardono gli occhi,
gonfiano i labbri e fumano le nari,
e misti con la schiuma avvien che scocchi
questi al vicino Armonte oltraggi amari.
«Godi pur tu, quasi che a te non tocchi
ozio giocondo infra gli amici cari:
gode vil saracin la gran guerriera,
l’amor tuo, l’onor tuo, la tua Silvera.

63Al re vo’ palesare il fatto indegno
e provarlo con l’armi; udrà ciascuno
il grave error che fece invan disegno
Silvera d’occultar ne l’aer bruno».
A sì dura proposta arse di sdegno
Armonte d’Aghilar contra Altabruno,
e «Menti» gli rispose, e ’l ferro crudo
strinse in un punto et imbracciò lo scudo.

64A l’acerba rampogna avvampa in faccia
l’indomito guerrier, né fa soggiorno
ma verso Armonte rapido si caccia
col ferro ignudo a vendicar lo scorno.
Corre il vulgo, e chi freme e chi minaccia,
mille spade e mille aste ardono intorno.
Ride lo Sdegno e in quei superbi cori
sparge col foco suo nuovi furori.

65Innanzi a gli altri pugnano primieri
il feroce Altabruno e ’l forte Armonte.
Seguon gli altri soldati i duo guerrieri,
e confusi tra lor cadono a monte.
Infiammano col suon gli odi più fieri
le trombe allor sediziose e pronte;
secondano i tamburi e in rauche voci
chiamano a l’armi i popoli feroci.

66Corre di qua, di là turba novella
e rinova il tumulto e la battaglia.
Altri l’amico, altri il congiunto appella,
altri vuol che si fermi, altri si assaglia.
Si avventano gli strali e le quadrella,
si ruotano la spada e la zagaglia.
Il furor porge l’armi et ammaestra
a la strage civil l’armata destra.

67A favor d’Altabrun, suo fido amico,
corre il conte d’Egabra, il cui lignaggio
avea con Aghilar contrasto antico
di confini, d’ingiurie e di retaggio.
Corre dunque a cercar del suo nemico
d’ogni sdegno vendetta e d’ogni oltraggio,
e su l’elmo il percote, ond’è costretto
dal colpo rio piegar la fronte al petto.

68Tosto il primo vigor racquista Armonte,
che solo ad Altabrun stava rivolto,
et al conte si scaglia e ’l fère in fronte,
onde il sangue piovendo irriga il volto.
Raddoppia il colpo, e dava fine a l’onte
ma da turba seguace esso gli è tolto,
e fuori de la mischia è spinto altrove
a curarsi, a serbarsi a miglior prove.

69Cresce intanto il tumulto e ’l romor giunge
del gran Ferrando al padiglion lontano,
che i maggior duci e i primi eroi congiunge,
e si spinge a frenar l’impeto insano.
Appena rimiràr, benché da lunge,
il regno lume e lo splendor sovrano
le turbe sollevate ebre ne l’ira
ch’ognun l’armi sospende e ’l piè ritira.

70Qual tra l’api divise in dura guerra
mentre vibrano l’aste, alzan le voci
il saggio agricoltor con poca terra
ferma de l’aureo stuol l’ire feroci,
tale il gran re con pochi detti atterra
l’orgoglio di color che sì veloci
precipitate aveano infra i tumulti
le lingue al minacciar, l’armi a gl’insulti.

71«Dunque il ferro» ei gridò «che voi per Cristo
contra il barbaro stuol pronti cingeste,
in voi stessi rivolto or sarà visto
far di sangue civil stragi funeste?
Così tentate il glorioso acquisto?
Questi gli studi, e son le glorie queste?
Tal frutto renderà dunque a Ferrando
la vostra disciplina, il suo comando?».

72A le gravi parole ubbidienti
lasciano il ferro Armonte et Altabruno,
e non appar ne l’orgogliose genti
del passato furor vestigio alcuno.
Ma questi incendi appena erano spenti
ch’altro foco a destar giunge importuno
il fiero Odonte, il qual sen viene in fretta
del genitor ferito a la vendetta.

73Fremendo di dolore acceso in faccia,
fra le turbe adunate egli favella:
«Non si toglie l’error perché si taccia
ma si emenda col sangue e si cancella.
Se dissimula Armonte e vuol che giaccia
con l’amato pagan la sua donzella,
siasi, ma non si sdegni e si querele
se l’ingiuria ch’ei soffre altri rivele».

74Dal mordace parlar punta Silvera
che in soccorso del padre era presente,
si trasse avanti, e poi con voce altera,
ardendo di furor, disse «Tu mente».
Tacque, e di nuovo a l’una e l’altra schiera
lo Sdegno avvicinò la face ardente,
e s’udìr quinci e quindi in nuove guise
nuove stragi sonar l’armi divise.

75Ma vi accorse, e lo scettro il re frappose,
dicendo: «È sì da voi dunque negletto
il debito comun, che tante si ose
con publico tumulto al mio cospetto?
Cessate, ogni discordia in me ripose,
cedano i vostri sensi al mio rispetto.
Saprò ben io con libero parere
l’accuse bilanciar se false o vere».

76Con questi detti il saggio re trattiene
l’alto furor del popolo guerriero,
come la dura briglia avvien che frene
a mezzo il corso il rapido destriero.
Si lascian l’ire e l’armi, indi ritiene
i tre primi campion ordin severo
ne le lor tende, e ’l gran Ferrando istesso
ritien Silvera a la reina appresso.