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Il conquisto di Granata

di Girolamo Graziani

Canto XVI

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.02.15 14:37

ARGOMENTO
Tra i duchi d’Alva e di Sidonia accende
l’implacabile Sdegno aspra tenzone,
mentre da questi il gran Ferrando attende
con libero parer saggio sermone.
Parton dippoi da le cristiane tende.
S’adiran Piero, e ’l rigido Alarcone
sfida Altabrun; seco s’unisce Odonte,
e va d’armi compagno Osmin d’Armonte.

Ferrando chiede un parere sul caso al duca di Sidonia e al duca d’Alva, i quali differiscono, si insultano e sono infine rimandati alle loro tende al re (1-36)

1Così parean de i popoli guerrieri
i tumulti sedati e l’ire spente,
e del regno generoso a i gravi imperi
mitigate cedean l’armi e la mente,
ma sen dolse, e i pacifici pensieri
dispettoso mirò lo Sdegno ardente,
e ’l tempo attese onde spargesse occulto
dentro al campo cristian nuovo tumulto.

2Ne la tenda real, dove ognor sono
de la guerra proposti i dubi affari,
assiso il gran Ferrando in aureo trono
a consiglio raccolse i suoi più cari.
Qui di pena ei richiese e di perdono
ne i passati tumulti i sensi vari,
e nel sembiante e nel parlar severo
il duca d’Alva incominciò primiero:

3«Sono i premi, signor, sono le pene
le basi in cui la maestà si fonda,
et è quinci il timor, quindi la spene
al senso popolar stimolo e sponda.
Se questa non lusinga e quel non tiene
manca l’effetto e la superbia inonda,
et a l’odio comun tolti i ritegni
fra disprezzo e furor cadono i regni.

4Quanto dunque a me par laudevol cosa
proporre a la virtù l’esca de i premi,
altretanto io dirò che sia dannosa
non frenar con le pene i falli estremi.
Sai tu quale a la plebe ingiuriosa
pronto esempio a fallir diano i supremi
se restano impuniti, ond’altri apprenda
ch’anco senza periglio il re s’offenda.

5Questi, che de le risse e de i tumulti
con offesa real furono autori,
paghino il fio de i popolari insulti,
e basti poco sangue a molti errori.
Ne i gastighi plebei restano occulti
de la giustizia i lucidi splendori,
ma sorgono su i capi eccelsi e primi
più chiari i suoi trionfi e più sublimi.

6Sian per legge, o signor, di regia Astrea
i superbi papaveri recisi,
così del vulgo, il quale il fren scotea,
vedrai le forze e gli animi conquisi.
La pietà, la clemenza è vile, è rea,
se il rispetto e l’onor sono derisi;
se offende la pietà non è virtute,
non è crudo coltel che dà salute.

7Tal fisico gentil prima che arrivi
a la parte più degna e più vitale,
onde siano i rimedi intempestivi,
recidendo alcun membro uccide il male;
tal saggio agricoltor, perché non privi
la pianta del vigor, ch’assai più vale,
quanto men si dilata e si divide
de le braccia frondose i rami incide.

8Dov’è presto il perdon, pronto è l’errore;
pochi affligge il gastigo e assai corregge.
Dirai: che serve il corpo al vil timore,
ma che il nobile amor l’anima regge?
Chi l’impero del cor vede, o signore?
Sovra il corpo sicura è sol la legge;
è ver che dal timor l’odio germoglia,
ma purché il popol tema, odi a sua voglia».

9Qui tace, e pensieroso il gran Ferrando
ascolta i detti, indi rivolge il ciglio
nel duca di Sidonia, e in lui fisando
lo sguardo gli richiede il suo consiglio.
Quegli sorge e s’inchina, e bilanciando
fallo e gastigo, e perdita e periglio,
nel parer differente e ne gli affetti,
dal proposto rigor parla in tai detti:

10«Armate schiere, insuperabil mura
sono lieve difesa al regio trono,
se l’affetto comun non l’assicura
su le grazie fondato e sul perdono.
Troppo inferma è, signor, nostra natura,
troppo gravi del senso i moti sono,
onde agevole è poi che ne i difetti
corrano traboccanti i nostri affetti.

11Ma se al nostro fallir scusa si deve,
qual sarà di perdono error più degno
che quel che acuti stimoli riceve
da l’amor, da l’onore e da lo sdegno?
S’è maligno il voler, la colpa è greve;
innocente talor pecca l’ingegno.
Dirai: lo scettro a la ragion conviensi,
non sempre a la ragion cedono i sensi.

12Io concedo, o signor, che sian le pene
mezzi opportuni a sostener gl’imperi,
ma sia necessità; meglio conviene
che manco si paventi e più si speri.
Non però sia de i falli esca la spene,
non si aspetti il perdon, né si disperi;
fanno vari gli error, vari i perdoni
le qualità diverse e le cagioni.

13A l’offese Altabrun sospinse Amore;
fu da l’onore a vendicarsi astretto
Armonte d’Aghilar; giusto dolore
a l’animoso Odonte accese il petto;
la vergine guerriera il proprio onore
spinse a mentir l’ingiurioso detto.
Il dolor figlial legge ricusa,
Amor gli assolve e dignità gli scusa.

14Dunque è lieve l’error, ma non è tale
il lor merto palese a lunghe prove;
né già de i prischi eroi l’alto natale
per lor mercede a supplicar mi move,
ma la propria virtù, che tanto vale
in lor, prepongo a le discordie nove.
A qual rischio non fur primi nel campo?
Qual vena non apriro a nostro scampo?

15Tanto sangue per noi sparso da loro
lieve colpa a lavar non fia bastante?
Potremo incrudelir contra coloro
de i cui falli è sol reo geloso amante?
Potea sperar l’assediato Moro
spettacolo più grato aver davante
che veder tra i domestici supplici
da i carnefici estinti i suoi nemici?

16Opri medica mano il ferro e ’l foco
quando bisogno il chiede, arte lo vuole,
ma più goda in trovar, se il rischio è poco,
piacevoli rimedi a chi si duole.
Sciocco è l’agricoltor che il tempo e ’l loco
ne le piante osservar prima non suole,
ma l’usanze e le regole deride
et in vece de i rami il tronco incide.

17Non col sangue, signor, non col rigore
la maestà ci adorna e ci difende,
ma sol con la clemenza e con l’amore
sicura e venerabile si rende.
Sin Dio, quando è sdegnato, il suo furore
dove il danno è minor placido stende;
Dio, che può fulminar popoli e regni,
fulminando le selve empie i suoi sdegni.

18Con queste arti si regna, e questi furo
de i tuoi grandi avi i gloriosi fregi,
e tu il regno con lor stima sicuro
ove clemenza e cortesia si pregi.
Sostengano l’impero acerbo e duro
con l’armi e col terror barbari regi,
a i tiranni africani o in Tracia porte
rigido consiglier sensi di morte».

19Così diss’egli, e col parlar pungente
trafisse il duca d’Alva il cor superbo,
che, audace per se stesso e impaziente,
minacciando parlò con volto acerbo:
«Io non lusingo il re né l’altra gente,
né de i consigli miei lode mi serbo:
espongo al mio signor candidi sensi,
il perdono e ’l gastigo egli dispensi.

20Son del mio re, men pregio, io consigliero,
e ’l fur gli avoli miei de’ suoi maggiori,
né temo alcun, purch’io difenda il vero,
né dimando per me premi et onori.
Ma tu, che simulando il cor sincero
copri con falsi detti indegni errori,
quando altrove sarem vedrai col fatto
se in Spagna o in Libia a consigliar son atto».

21Il duca di Sidonia al fero invito
stimolato soggiunge: «Ove ti aggrada,
che non sia lusinghier, non sia mentito
il mio parer ti proverà mia spada».
Fremendo replicò l’altro infierito:
«Dunque in loco opportuno or or si vada;
qui combattono l’arti e le parole».
L’emulo sorge, e replicar gli vuole,

22ma con grave sembiante il re severo
gl’interruppe dicendo: «E si trascorre
da voi dunque cotanto? E il nostro impero
tal rispetto da voi deve raccorre?
Ritardato gastigo esce più fero
da irritata bontà, che più l’aborre.
Farò, se d’uopo fia, che da i più cari
leggi d’ubbidienza ogni altro impari.

23Itene intanto voi, che confondete
i consigli e le risse, e da gli amici
e dal vostro signor mal distinguete
la licenza del vulgo e de i nemici,
itene a i padiglioni, ivi attendete
quai siano i nostri sensi e i vostri uffici;
vo’ con giudicio più maturo e certo
pesare il vostro fallo e ’l vostro merto».

24Tacque, e i duo l’ubbidiro, e fe’ ritorno
l’uno e l’altro di loro a la sua tenda.
Terminossi il concilio, e ’l vulgo intorno
vario il grido di ciò sparse a vicenda.
Fremono i duo guerrier d’ira e di scorno,
perché il re gli trattenga e gli riprenda,
et in ciò sembra lor che troppo austero
trascurando i lor pregi usi l’impero.

25Corrono molti a i padiglioni intanto,
e fingendo a lor pro liberi i detti,
mostran del chiaro sangue il nobil vanto
e ’l lor sommo valor dal re negletti,
e spargendo rancori in ogni canto
porgono l’esca a i furibondi affetti,
onde, benché tra lor vari e discordi,
sono a partir dal campo ambi concordi.

26Il duca d’Alva, uom di più fero ingegno,
primo a partir così tra sé ragiona:
– Conosca il re che ingiusto è quello sdegno
che non misura il grado e la persona.
Vegga che sono anch’io parte del regno
e che questa mia spada è sua corona.
Sappia il re che sforzar non può il mio core,
sappia che non è re sovra il mio onore.

27Colui che mi oltraggiò con detti audaci
provi com’io difenda il parer mio;
quel che può la mia man, quel che i seguaci,
tenterà con suo danno il mio desio.
Non mi spinsero qua brame rapaci,
né de l’aura real gonfio son io;
io non sono infedel, né cangio voglie,
qua mi spinse l’onor, quindi mi toglie -.

28Qui parte col suo stuolo, et è seguito
dal duca di Sidonia, il qual repente
quando l’emulo altero udì partito
il campo abbandonò con la sua gente.
Fatto dal loro esempio il vulgo ardito,
e d’assedio sì lungo impaziente,
tenta fuggire in quella parte e in questa,
e scemo di più schiere il campo resta.

29Giunge di lor partita al re l’avviso,
e ’l rigido Alarcon, che gli era a lato,
con fiero sguardo e con acerbo viso
così parla et infiamma il re sdegnato:
«Dunque soffri, o signor, che sia deriso
da l’orgoglio di pochi il regio stato?
I Mori soggiogar dunque t’affretti
mentre ancor non sei re fra i tuoi soggetti?

30Dove la maestà, dove il decoro
del tuo scettro real? Tanta licenza
onde imparàr? come usurpàr costoro?
Se ’l comporti, è crudel la tua clemenza.
Men vergogna sarìa che il popol moro
calpestasse, o signor, la tua potenza,
che veder per l’error di pochi ingrati
fuggitivi o ribelli i tuoi soldati.

31Oggi o la maestà perde il suo lume,
o che la dignità fonda il rispetto.
Disprezzata clemenza invan presume
col perdono emendar l’altrui difetto.
Quello è sol di regnar saggio costume
ove domina il re, serve il soggetto;
se dal popolo il re non è temuto,
ha titolo di re scettro perduto».

32Tale il vecchio ragiona e ’l re sospeso
non risponde a i suoi detti, e ’l sacro Piero
mitigando in quel punto il core acceso,
a l’irato signor parla sincero:
«Io ti lodo il punir chi ti abbia offeso,
ma non quando il punir nuoce a l’impero:
chi colui non condanna e non riprende
che per nuocere altrui se stesso offende?

33Pesa il merto, signor, mira il lignaggio
di color che punir questi conforta,
e tu quinci vedrai quanto è mal saggio
chi con tuo danno a vendicar ti esorta.
Soffri, aspetta dal tempo il tuo vantaggio
(insolite fortune il tempo apporta);
la vendetta dannosa ingiuria appare,
chi non può simular non sa regnare».

34«Simuli (colui disse) empio tiranno
che nutre in basso cor tema servile,
non legittimo re, cui maggior danno
d’una perdita ardita è un pensier vile.
Perda regno e tesor, sprezzi ogni affanno
purché salvi l’onore alma gentile.
Chiunque sofferir l’ingiuria esorte,
complice de l’ingiuria, è reo di morte».

35Soggiunse l’altro: «È libero il parere,
risposi al mio signor che mi richiese,
scopra il giudicio suo, di cui sincere
sian le parole e quai sian vere offese».
Volea colui con rigide maniere
replicando eccitar nuove contese,
ma il re, che prevedea dannosi effetti,
il contrasto fermò con questi detti:

36«E voi, che tra i più cari a i miei perigli
fidi compagni e consiglieri elessi,
in vece di recar saggi consigli
portate nuovi torbidi successi?
Chi da scorta simil non fia che pigli
confidenza et esempio a nuovi eccessi?
Voi di pace ministri e di quiete
a le fiamme civili esca porgete?».

Altabruno e Odonte partono dal campo e mandano a sfidare Armonte, il quale trova in Osmino una spalla per il duello (37-64)

37Tal parla il gran Ferrando, e pensa intanto
come provegga il mal; lo Sdegno mira
lieto i suoi frutti, e vede in ogni canto
sorger tumulti ove il suo foco ei gira;
né contento fra sé di questo vanto,
a nuovi danni ambizioso aspira,
quinci è che d’Altabrun voli a la tenda
e con tai detti a l’armi il cor gli acceda:

38«O del campo cristiano unica spene,
o de l’armi pagane alto terrore,
che fai qui neghittoso?, e chi trattiene
con oziose leggi il tuo valore?
Forse aspetti che a i ceppi, a le catene
ti condanni del re nuovo rigore?
Non parti? e credi tu che il biasmo ascritto
a l’ordin sia che ti è dal re prescritto?

39Lodo l’ubbidienza, amo il rispetto
a le leggi et al re devuto e giusto,
ma non allor ch’è l’ubbidir difetto,
non allor ch’è servile ossequio ingiusto.
Non è l’uom forte a legge altrui soggetto,
se di biasmo la legge il rende onusto;
qual impero, qual re sovra Altabruno?
Non restringe il tuo onor comando alcuno.

40Del decreto real porti la scusa
e ne ricopra il suo timore il vile;
ogni difesa, ogni ragion ricusa
s’è di viltà sospetta un cor gentile.
Forse non manifesta e non accusa
il tuo vano indugiar colpa servile?
Vuoi la grazia del re? Temi l’arresto?
Si conservi l’onor, perdasi il resto».

41A tai voci Altabruno arse di sdegno,
e rapido trovò l’audace Odonte,
e gli mostrò quanto per lor sia indegno
non vendicar le gravi offese e l’onte.
Persuaso, approvò l’altro il disegno,
e tosto che partì da l’orizzonte
del pianeta maggiore il chiaro lampo,
partìr soli et occulti ambi dal campo.

42Non lunge ad Almeria sorge su il lito
del mar che bagna a la città le piante
un folto bosco in solitario sito,
che, volto a l’Aquilon, piega a Levante.
Qui di verdi erbe e di bei fior vestito
si stende un prato infra l’ombrose piante,
nel cui mezzo dispensa a l’erbe, a i fiori
limpido fonte i nutritivi umori.

43Odonte, che trascorso il sito ignoto
con altri cacciatori avea sovente,
stimò che fosse il loco ermo e remoto
campo opportuno a sfogar l’ira ardente.
Fa quinci ad Altabruno il pensier noto,
e gli descrive il sito, e quei consente.
Colà dunque s’invia la coppia fida
ch’Armonte d’Aghilar prima disfida.

44A lui mandato in nome loro espone
un scudier la disfida, e Armonte invita
ch’eletto in suo compagno altro campione
sen vada a sostener l’alta mentita;
il disegnato loco indi propone
ove la pugna lor sia difinita.
E ciò che detto avea conferma appresso
da i duo guerrieri in breve carta espresso.

45Armonte d’Aghilar con lieto volto
la disfida riceve e ’l campo accetta,
e in breve foglio il suo desio raccolto
la risposta consegna a chi l’aspetta.
Quinci dal cavalier congedo tolto
lo scudiero al ritorno il piede affretta,
ma non lunge dal campo, a la foresta,
stuol di pagani il suo camino arresta.

46Da costor, ch’a turbare il vicin piano
erano usciti, ei prigioniero è fatto,
et innanzi ad Osmin, lor capitano,
ne la città con l’altra preda è tratto.
Dal foglio, che avea già lo stuol pagano
a colui tolto, intende Osmino il fatto,
ma più da lo scudier (che, prima avvinto,
sciolto è d’ordine suo) l’ode distinto.

47Seppe come accusò per suo dispetto
il geloso Altabrun la sua Silvera;
seppe il tumulto, onde con vario affetto
la discordia nel campo arse più fera,
e ch’aveano quei duo per tal rispetto
sfidato il genitor de la guerriera;
seppe de la battaglia il dì prescritto,
e ’l loco ch’a i guerrieri era descritto.

48Quando colui si tacque, Osmin sospeso
in disparte si tragge, in sé discorre
qual obligo gl’imponga Amore offeso,
e come da tal nodo ei si può sciorre.
Di fedel servitù conosce il peso,
sa quanto al suo desio si possa opporre
la nemica fortuna, e in varia guisa
con dubbioso pensier seco divisa:

49- Tu dunque de l’accuse e de i tumulti
origine primiera, unico autore,
puoi sofferir che il tuo rivale insulti
di Silvera innocente il puro onore?
Nel bisogno maggior così ti occulti?
Questa è la fede tua, questo è l’amore?
Quando giamai con più lodevoli opre
fia che tu per Silvera il ferro adopre?

50Stimi sì poco, over ti uscì di mente
quando tu dal destrier solo abbattuto
tolto al furor de la cristiana gente
fusti da lei con generoso aiuto?
Se resti qui tu piangerai sovente
il tempo che opportuno avrai perduto
di pagar con magnanimo consiglio
a prezzo del tuo sangue il suo periglio.

51Esci quinci nascosto e va’ soletto
in veste ignota a le cristiane squadre,
e fingendo altra cura et altro oggetto
te compagno ne l’armi offri a suo padre.
Sai che quando invaghirti al primo affetto
angeliche sembianze, opre leggiadre
di lei che adori, il padre era lontano,
onde ch’ei ti conosca or temi invano.

52Ma resta altro timor; dunque ti esorta
il timore a lasciar sì degna impresa?
E qual vita avrai tu s’ella sia morta,
o se da l’altrui man sarà difesa?
Temi di prigionia? Ma ciò che importa?
Quale avrai libertà mentr’ella è presa?
Anzi qual libertà per te serbasti
se la perdesti allor che lei mirasti?

53In virtù di Silvera ardisci, Osmino,
armati suo campion; guerra maggiore
prepara non ti può crudo destino
di quella che ti mosse il crudo Amore.
Così potrai di quell’infausto pino
emendar la sciagura o sia l’errore;
fa’ almen con ragione altri ti vante
ardito cavalier se pigro amante -.

54Così risolve, indi a colui rivolto
disse: «Io non vo’ che per me sia turbato
sì degno paragon; ciò che fu tolto
abbiti, e vanne ove sei tu mandato».
Qui tace, e lo scudier libero e sciolto
da i soldati d’Osmino è accompagnato
fuor d’ogni rischio a la più dritta via,
ond’ei sicuro a i duo guerrier s’invia.

55Giunge al loco prefisso et a coloro
narra il successo e la risposta rende,
e ne prendono entrambi egual ristoro
dal rabbioso furor che i cori accede,
e qual superbo innamorato toro
ch’a la battaglia il suo rivale attende,
sparge da gli occhi accesi orridi lampi,
batte co’ mugghi il ciel, col piede i campi,

56tale il fero Altabruno impaziente
de la tenzone il dì fatale aspetta,
e ne gli sguardi e ne la faccia ardente
spira a gli atti, al sembiante ira e vendetta.
Intanto allor che spunta il dì nascente
se n’esce Osmin da la città ristretta,
in veste ignota; indi per via furtiva
de la sua donna al genitore arriva.

57Armonte, che pur dianzi a lo scudiero
diè la risposta et accettò la sfida,
già partito colui volge il pensiero
a compagnia che sia possente e fida,
né si appaga fra sé d’alcun guerriero,
né il successo narrare altrui confida,
poiché teme che il re, cui ciò pervenga,
la battaglia disturbi e lui ritenga.

58Mentre vario in tai sensi ondeggia Armonte,
entra il giovine Osmin nel padiglione,
che, poi che l’inchinò, con lieta fronte
in questi detti il suo desio gli espone:
«Brevemente, o signor, vuol ch’io racconte
quale a te mi sospinga alta cagione
la tua modestia, onde con degni modi
vuoi meritar, non ascoltar le lodi.

59Virtù che tra i nemici anco si ammira
tuo compagno mi guida a la battaglia;
son io pagan, ma la ragione a l’ira
e l’onore a la fé vo’ che prevaglia.
Tu l’offerta e ’l desio gradisci e mira,
e fa ch’a merto il mio pensier mi vaglia,
sì ch’io possa a tuo pro teco adoprarmi
de la gloria partecipe e de l’armi.

60Non cercar tu come tra noi sian noti
i tuoi successi, e basti a te ch’alcuno
non sa meglio di me de i casi ignoti
come a torto accusarti osi Altabruno».
Tacque, e Armonte sospeso «A i nostri voti,»
disse alfine «o guerrier, giugni opportuno;
non cerco altra notizia, è segno vero
del tuo raro valore il tuo pensiero.

61Virtù non sta co i vili e non si annida
magnanimo desire in umil petto;
andianne omai, che compagnia più fida
ne la pugna futura io non aspetto.
Virtù ci unisca e la ragion sia guida,
sia diversa la fé, ma non l’affetto;
quel modo d’amistà che onor congiunga,
se la morte non è, nulla disgiunga».

62Disse, e pregò perché il suo nome a lui
l’altro manifestasse, et ei rispose:
«Il mio nome scoprir non oso altrui,
sinché noto non sia per maggior cose.
Soddisfarò, s’io vinco, a i preghi tui
partecipe a tuo pro d’opre famose».
Tale il pagan si scusa; e quei, che vede
ch’egli brama celarsi, altro non chiede.

63Quinci a partir si apparecchiaro, e diero
a le tende cristiane ambi le spalle,
e seguiti fra via da un sol scudiero
presero al lor viaggio occulto calle,
e se n’andàr sinché finì il sentiero
vicino al mar ne la proposta valle,
ove su il verde prato al chiaro fonte
trovàr con Altabrun l’audace Odonte.

64La cortesia, che il sen gentile alberga,
porge a vicenda i consueti uffici,
benché l’odio mortal di sdegno asperga
con desio di vendetta i cor nemici.
E perché già sembra che il dì s’immerga
nel mar che bagna i Mauritani aprici,
la battaglia tra lor è diferita
del nuovo sole a la futura uscita.