ARGOMENTO
Sono i quattro campion condotti a fronte,
indi segue tra lor dura battaglia;
Odonte cade al fulminar d’Armonte,
e vien ch’ad Altabruno Osmin prevaglia.
Fortuna rea, che le sue ingiurie ha pronte,
fa che Silvera il caro amante assaglia;
l’un da l’altro guerrier privo è di vita,
e dà tomba a gli estinti un eremita.
Battaglia tra i quattro cavalieri: Odonte muore, Altabruno è tramortito e Armonte è ferito; Osmino va a cercare soccorsi per il compagno nella selva (1-35)
1Spuntava l’alba e le minute stelle
concedevano al sol libero il cielo,
che, sparso il crin di lucide fiammelle,
cinto sorgea di prezioso velo;
verdeggianti ridean l’erbe novelle
de le fresche rugiade al puro gelo,
e suggean de la luce i bei splendori
con l’odorose bocche aperti i fiori,
2quando lasciàr de gli oziosi letti
l’odiato riposo i cavalieri,
e vestìr l’armi fine e gli elmi eletti,
preser le lancie e ascesero i destrieri.
De la pugna vicina a i vari effetti
testimoni restaro i duo scudieri;
essi poscia divisi a duo per lato
quinci e quindi fermàrsi in cima al prato.
3Era conto Altabrun d’un’armatura
negra, se non in quanto in bel lavoro
ne lo scudo dipinse industre cura
nave esposta al soffiar d’Austro e di Coro.
Egli, d’animo eccelso e di statura,
minaccioso torreggia infra coloro,
e preme un destrier baio, a le cui piante
calpestato rimbomba il suol tremante.
4Appresso a lui splende l’audace Odonte,
d’armi vermiglie a serpi d’or conteste;
sua nota insegna, ha ne lo scudo un monte,
onde avventa Tifeo fiamme funeste.
Sono del suo destrier l’aure men pronte,
par che voli su l’erba e non la peste;
è leardo il destrier, sparso a rotelle
di moto altiero e di fattezze snelle.
5Da l’altra parte incontro a lor primiero
Armonte d’Aghilar la giostra attende;
sono tinte d’azzurro armi e cimieri,
argentea rocca in aureo scudo splende.
Ei punge al corso un rapido destriero,
che de le bionde spiche al color prende,
nato su il Tago, ove il guerriero armento
feconda co i sospir cupido il vento.
6Da l’amor stimolato, a lui vicino
freme in se stesse e la battaglia aspetta
l’impaziente innamorato Osmino,
de la sua donna intento a la vendetta.
Armatura qual neve in giogo alpino
senza fregi ei vestia, candida e schietta,
e d’arabo destrier premeva il dorso
che par cenere al pelo e fiamma al corso.
7Avea chiesto più volte al forte Armonte
Osmin, d’amore acceso e di dispetto,
che gli permetta ch’Altabruno affronte,
ond’egli alfin compiacque al giovinetto.
Chiese da l’altra parte il fero Odonte,
da l’odio spinto e dal destin costretto,
di pugnar con Armonte, e gli fu dato;
tal de’ quattro guerrieri era lo stato.
8Come allor che da l’orrida prigione
fuggono scatenati i quattro venti,
là cozzano sdegnosi Austro, Aquilone,
qua pugnano Euro e Zefiro frementi,
cede a l’impeto lor ciò che s’oppone,
gemono la natura e gli elementi,
tremano i poli istessi e salir pare
il mar nel cielo o il ciel cader nel mare,
9così portaro i rapidi destrieri
quattro campioni al paragon di guerra.
Al rimbombo de l’armi, a i colpi fieri
geme il bosco vicin, trema la terra.
Or tu pari al valor de i cavalieri,
Musa, innalza lo stil che debil erra,
sì che con degni e bellicosi carmi
il mio canto sostenga il suon de l’armi.
10Altabrun dal rival primo è percosso
nel duro scudo, il qual diè loco al ferro,
che forò l’armi e il fianco, e ’l lasciò rosso,
e qui si ruppe il noderoso cerro.
Ma non più da quel colpo in sella è mosso
che sia l’incude al martellar del ferro,
o che de l’onde al furioso orgoglio
ceda nel mare un ben fondato scoglio.
11Da la lancia nemica Osmin fu colto,
ma non appien, sovra l’opposto scudo,
onde strisciando libero e disciolto
scorse tra il braccio e ’l fianco il ferro crudo.
Tal fu l’incontro e, ’l corridor rivolto,
stringe ciascun di loro il brando ignudo,
e l’uno e l’altro impetuoso move
l’armi e ’l destriero a più vicine prove.
12Armonte d’Aghilar percosse in fronte
il suo nemico e gli rapì il cimiero,
lui con l’asta segnò l’ardito Odonte
dove l’elmo e la vista apre il sentiero.
Si urtaro i duo campioni, onde in un monte
caddero co’ destrieri a l’urto fiero;
estinti i corridor giacquero in terra,
sorsero i cavalieri a nuova guerra.
13Trasser le spade e fu tra loro accesa,
tratti a piede in disparte, aspra tenzone.
Sumministra l’ingiuria esca a l’offesa,
l’offesa a la vendetta il cor dispone;
così crescono gli odi e la contesa,
e l’ira occupa il loco a la ragione:
Son di cauto valor l’arti sprezzate,
move il cieco furor l’armi spietate.
14Seguivano fratanto i duo rivali
con dubbio paragon dura battaglia,
poiché d’ardire e di possanza eguali
non apparia qual di lor duo prevaglia.
Gira Osmino il destrier come abbia l’ali,
tentando ove si arretri, ove si assaglia,
e con l’arte supplir cauto procura
ciò che manca d’orgoglio e di statura.
15Come al fero cignal rapido alano
cauto si avventa e intorno a lui si aggira,
e del dente schivato il morso insano
l’orecchie assanna e a la vittoria aspira,
così guardingo il giovane pagano
schiva del suo rivale i colpi e l’ira,
il tempo osserva e dove appar la strada
al vantaggio miglior spinge la spada.
16Quinci avea d’Altabrun fatte già rosse
l’armi in più lati, e ne fremea colui,
che deluse vedea le sue percosse
e se stesso ferito a i colpi altrui.
Sospinto dal furor dunque si mosse
a vendicar gli oltraggi e i danni sui;
segna il capo nemico e ’l ferro ardente
qual rapido balen porta un fendente.
17Risonò l’elmo al grave colpo e, rotto,
aperse al crudo ferro angusta via,
ma la cuffia d’acciar ch’era di sotto
tolse il vigore a la percossa ria;
non si però che il saracin ridotto
tramortito a cader quasi non sia,
e che da la sinistra orecchia esangue
non versi allora in larga vena il sangue.
18La vendetta seguì tosto l’offesa
quand’Osmin si riscosse; arde il garzone
nel sen cruccioso e ne la faccia accesa,
vibra una punta e quei lo scudo oppone.
Terminata fra loro è la contesa
se il colpo giunge ove colui propone;
striscia il ferro e Altabrun non coglie appieno,
pur gli fora lo scudo e fère il seno.
19Terribile Altabrun, quasi che accresca
da nuova ingiuria il suo furor natio,
come il foco maggior sorge a nuov’esca
a i danni del rivale incrudelio.
Scende la spada e, benché poi riesca
la vendetta minor del suo desio,
pure Altabrun gode veder che rossa
sia la spalla sinistra a la percossa.
20Raddoppia il colpo il rigido Altabruno
contra il rival, ma ne l’istesso punto
da la spada d’Osmin, cui schermo alcuno
ei non oppose, al destro fianco è punto.
Il ferro del pagan toglie opportuno
il furor a quel colpo, ond’ei fu giunto
su lo scudo, che in duo cadde partito,
e nel braccio rimase Osmin ferito.
21L’ira che sferza i cori avea sospinti
entrambi sì vicini a nuove offese
che, lasciate le spade e insieme avvinti,
con le braccia tentaro altre contese.
Da stretti nodi avviticchiati e cinti
procuraro i vantaggi a varie prese;
siegue Osmin l’arte et Altabrun lo sdegno,
questi adopra la forza e quei l’ingegno.
22Pugnano intanto gli altri e in larga vena
da la coscia sinistra Armonte il sangue
versa, e nel destro braccio è tocco appena;
ma il suo nemico è per tre piaghe esangue:
il collo dove gira invèr la schiena,
e col fianco sinistro il capo langue;
pur non cede il superbo e nel suo core
dove manca il vigor cresce il furore.
23Infuria, e ’l crudo brando in su la fronte
del nemico guerrier tosto disserra,
cui pare al moto un lampo, al peso un monte,
s’incurva il capo, il piè vacilla et erra.
Pur si apparecchia a vendicare Armonte
l’aspra percossa e a terminar la guerra,
ma l’arresta et indietro altro fracasso
fa ch’ei volga in quel punto il guardo e il passo.
24Poiché più volte avviticchiati e stretti
Altabruno et Osmin scossi si furo,
svelti alfin da la sella ambo ristretti
premono al tempo istesso il terren duro,
ma perché l’uom, quando vie più s’affretti
riesce ne l’oprar manco sicuro,
col destro piè dentro la staffa appeso
giace inutile in terra Osmin disteso.
25Questo è il rimbombo a cui mirar fu tratto
il valoroso Armonte, il qual veduto
sorto Altabruno e di ferire in atto
sovra il pagan, corse a recargli aiuto.
Giunse e ferì su l’elmo, e stupefatto
fe’ restare Altabruno, indi al caduto
sottrasse il piede oppresso e la man porse
sì che libero Osmino in piè risorse.
26Gli lascia Armonte, e riede ove sen viene
per ferirlo da tergo Odonte in fretta.
L’ira di nuove furie empie le vene,
e i sensi e i ferri a nuovi danni affretta,
ma stanco Odonte omai vacilla e sviene
mentre da tante piaghe il sangue getta,
e lento in pigre rote il brando gira,
debile il braccio e spinto sol dall’ira.
27Quando tal si conosce ei più si sdegna,
e di sue forze ogni reliquia appresta;
getta lo scudo, alza la spada e segna
fiera percossa a la nemica testa;
ma quei cauto previen ciò ch’ei disegna,
e di punta veloce il sen gl’infesta.
Entra senza trovar scudo né schermo
il ferro micidial nel petto infermo.
28Cade il meschin, ma fa nel punto istesso
la vendetta che può di sua ferita,
poiché il suo ferro, e scudo et elmo fesso,
ne la fronte nemica entra duo dita.
Cade Odonte primiero, e Armonte appresso
preme la terra, e quegli uscì di vita,
questi vive, ma tacito et esangue
sembra morto al pallore, a gli atti, al sangue.
29Accesa avea con Altabruno intanto
il giovane pagan nuova battaglia,
e sparsa era la terra in ogni canto
di rotte piastre e di squarciata maglia.
Eguale è il paragon se non in quanto
par che, d’agili membra, Osmin prevaglia,
mentre Altabrun, greve di corpo e lasso,
move pigra la mano e tardo il passo.
30Gira di qua, di là rapido Osmino,
ora accenna, or minaccia et or percote,
e schivando lontan, quando è vicino
rende i colpi nemici e l’ire vòte.
Freme Altabrun cruccioso e qual mastino
che spargendo la schiuma i denti scote,
e con l’avide vespe invan si arrabbia,
tal di lui contra Osmino era la rabbia.
31Esce da la visiera il fumo ardente,
scosso da la fatica anela il fianco,
e con nuove percosse Osmin frequente
più l’infesta, e si mostra ognor più franco.
Urla il guerrier feroce e finalmente
risolve in sé, prima che sia più stanco,
in un colpo ridur tutte le posse:
strinse la spada e contra Osmin si mosse.
32Fischia l’orribil ferro e in aria splende,
ma veloce il pagan fugge da un lato,
e ’l colpo preveduto invan discende,
percote l’aure e termina su il prato.
Chino Altabruno a racquistare attende
mezzo nel suol profondo il ferro entrato,
e mentre egli si piega intento a l’opra,
ritornando in quel punto Osmin gli è sopra.
33Ei percosse Altabrun dove confina
la tempia e la mascella, e no ’l difese
l’elmo eletto o la cuffia adamantina,
che fur debile schermo a tali offese.
Del grave colpo a la fatal ruina
cadde Altabrun stordito e si distese;
gli corre addosso, e quando tal lo vede
Osmin vittorioso, estinto il crede.
34Nel magnanimo sen cessa lo sdegno,
e lasciato Altabrun tosto si avanza
al padre di Silvera, e a più d’un segno
scorge del viver suo certa speranza.
Quindi volge a curarlo ogni disegno,
e preso nuovo ardir, nuova baldanza,
chiama a sé gli scudieri e del campione
a la guardia, a la cura ambi prepone.
35Sovra il destrier del gran rivale ascende,
e perché del suo scudo è privo Osmino
quel de l’estinto Odonte a caso prende,
che su l’erba giacer mira vicino.
A piè d’un colle ampio castel si stende,
cui disgiunge di là breve camino:
a questo egli s’invia, ch’ivi disegna
trovare alcun che Armonte a curar vegna.
Osmino nel bosco incontra un cavaliero oscuro che lo sfida: Osmino muore, il cavaliere è Silvera (36-47)
36Appena avea del sanguinoso prato
al campo marzial dato le spalle,
che d’armi nere un cavaliere ornato
vien da sinistra e gli attraversa il calle,
fermossi, e poiché Osmino ebbe mirato,
costui lieto gridò: »Questa è la valle,
tu sei quel ch’io ricerco a la battaglia».
Tace, e col ferro ignudo a lui si scaglia.
37Riceve Osmin del cavaliero ignoto
con intrepido cor la nuova offesa
e, benché in parte ei di vigor sia vòto,
pur l’ardir gli dà forze a la difesa.
Il martellar de i brandi or pieno or vòto
sollecita gli sdegni a la contesa,
ferve il sangue, arde il cor, la man s’affretta,
e moltiplica l’onta e la vendetta.
38Non reggono il furor de i combattenti
i duri scudi o i ben temprati arnesi,
ma di tiepido umor stille cadenti
mostrano in quante parti ei siano offesi.
Ardono l’armature, ardon le menti
degli sdegni e de i colpi a i lampi accesi,
e gareggia tra lor con fero gioco
de le spade e de l’ire il doppio foco.
39Il sangue che spargean le aperte vene
scema di forze, empie di sdegno i cori,
e di cara vendetta unica spene
ostinati al desio nutre i furori.
Il tremante vigor l’odio sostiene
con l’appoggio de l’onte e de i rancori,
lo stimolo d’onor, lo spron de l’ira
forze a la mano e rabbia al seno ispira.
40Tale un tempo durò fra il guerrier bruno
e ’l giovane pagan l’orrida guerra,
sinché inciampa il destrier, già d’Altabruno,
stanco de la fatica e cade a terra.
Il negro cavalier corre opportuno
sovra Osmin che sorgea, l’urta e l’atterra,
ma posto ne l’urtare il piede in fallo
si rovescia sossopra il suo cavallo.
41Cade in un fascio il cavaliero estrano,
pure appena in cader preme il terreno
che sorge allor che sorto anche il pagano
venia l’ira a sfogar che gli arde in seno.
Spinti da cieco ardir, da sdegno insano,
da fier orgoglio e da mortal veneno
ragunan nuove forze al paragone
et a piè rinovàr l’aspra tenzone.
42Il guerrier brun da più ferite il sangue
sparge, ma più ne versa Osmin già stanco,
e che al furor di duo battaglie esangue
a fatica sostiene il debil fianco.
Pur se il piede vacilla e la man langue
ritiene il suo vigor l’animo franco,
e la morte non cura il nobil core
mentre perda la vita e non l’onore.
43Sdegno e virtù de la smarrita forza
suppliscono in quel punto ogni difetto,
e quel vigor che la stanchezza ammorza
gli raccende nel seno il doppio affetto.
Intrepido il pagan dunque rinforza
la possanza a la man, l’ardire al petto,
alza la spada e grave colpo avvalla
del guerrier bruno a la sinistra spalla.
44Cede al brando tagliente il duro arnese,
cui scemando le vene il sangue irriga;
freme il campione ignoto e de l’offese
a vendicarsi ira e dolor l’istiga.
Sovra l’elmo d’Osmino il ferro scese
e lo segnò di rubiconda riga;
non cessa il cavalier, ch’ebro ne l’ira
incalza Osmin, vibra una punta e tira.
45Spinge il ferro di punta Osmino ancora
contra il negro campion nel tempo istesso,
entra l’acuta spada e rompe e fora
lo scudo opposto e la corazza appresso.
Già di stille purpuree il sen colora
sovra l’oscuro arnese il sangue espresso;
ben più dentro si apriva Osmin la strada,
ma colto ei fu da la nemica spada.
46In quel punto medesmo Osmino è colto
d’una punta mortale in mezzo al seno,
onde col sangue ogni vigor gli è tolto,
e cadendo supin preme il terreno.
Qui tremante il parlar, pallido il volto
favella al vincitore: «Abbiano almeno
ne la vittoria tua loco i mie prieghi,
sì che il tuo ferro al mio desio non nieghi.
47Sol chieggo e sol desio che tu il mio petto
apra col ferro, e che ne tragga il core,
e che ’l porti a Silvera, a cui oggetto
sia forse di pietà se non d’amore»,
disse, e appena si udì l’ultimo detto,
mentre ne l’odio immerso e nel furore
l’ignoto cavalier sprezza d’Osmino
le preghiere, et insulta il suo destino:
Osmino muore, chiede un bacio e poi il battesimo, per cui è d’uopo un eremita, che giunge lì con un pastore; anche Silvera è languente (48-67)
48«Fu ricetto il tuo cor d’odio e di sdegno,
onde offrirlo a Silvera invan mi esorte.
Il tuo capo famoso è don più degno,
dunque a te si recida, a lei si porte».
Tace, e per eseguire il fier disegno
slaccia l’elmo et aspira a la sua morte,
e mentre sovra il capo il ferro abbassa
conosce Osmino e grida: «Ahi muoro, ahi lassa».
49Tanto sol disse, e de i lamenti sui
il pianto che sorgea chiuse l’uscita,
e lasciossi cader sovra colui
che deboli reliquie avea di vita.
Era costei, non dirò più costui,
Silvera, che dal campo era fuggita,
dove appresso Isabella il re la pose
per sedar le civili armi dannose.
50A lei giunse colà certa novella
che col forte Altabrun l’audace Odonte
il padre a l’armi a duo per duo rappella,
e vuol provar le prime accuse e l’onte;
quinci bramò l’intrepida donzella
contra i feri nemici uscire a fronte,
e divenir compagna al genitore,
nel periglio de l’armi e de l’onore.
51Dunque allor che già il mondo era coperto
da l’ombra oscura e dal silenzio muto,
trova de la sua fuga il varco aperto,
indi s’invia per dare al padre aiuto.
Verso la valle in cui prefisso e certo
il campo di battaglia avea saputo
parte, e per gir più occulta e più sicura
prende ignote le vesti e l’armatura.
52Il veloce destrier spinge al camino
e per tardo l’accusa e le par lento,
benché tolto dal libico domino
voli rapido al corso al par del vento.
Corre, e ’l loco fatal scorge vicino
prima che il maggior lume in ciel sia spento,
pur tarda giunge e, come vuole il fato,
trova Osmin che lo scudo avea cangiato.
53Ella stimò che il fero Odonte ei fosse,
a lo scudo che avea l’usato segno,
e contra lui precipitosa mosse
le minaccie e ’l destrier, l’armi e lo sdegno,
ma quando lui conobbe e di sue posse
vide effetto sì vario al suo disegno,
gli cadde sovra, e con dogliosi accenti
trasse dal core a i labbri i suoi tormenti.
54«Ahi lassa,» replicò «queste riporto
da la vittoria mia barbare spoglie?
Dunque la morte a la mia vita io porto,
la mia mano è ribella a le mie voglie?
Onde cerco pietà, spero conforto,
se ministra son io de le mie doglie?
Cruda mano, il tuo fallo io ti perdono
se porgi al mio dolor la morte in dono.
55Dolce morte, per cui libera io resti
da una vita sì grave, e per cui possa
gli ossequi lagrimevoli e funesti
pagar de la mia fé fin ne la fossa.
Ma di qual fé, di quali ossequi appresti
infelice tributo a sì degne ossa?
Sventurata Silvera, or chi mai vide
che adori il cor quei che la mano uccide?
56Anzi, ingrata Silvera, hai tu renduto
sì acerbo guiderdone a chi ti diede
nel periglio maggior cortese aiuto,
quando restasti infra i pagani a piede?
Hai tu in te stessa incrudelir potuto?
Dov’è l’amore e l’obligo e la fede?
Chi t’insegnò con dispietata sorte
a chi vita ti diè render la morte?
57Ma deh, perdona, o mio fedele Osmino;
ferii ne le tue piaghe anco il mio core,
è comune a duo vite un sol destino,
teco vive Silvera e teco muore.
Ferma l’alma fugace, ecco vicino
il mio spirto ti segue e ’l mio dolore.
Quei che da fato rio visser disgiunti,
goderan di morire almen congiunti.
58Infauste gioie e miseri contenti!
Già non credei la sorte mia sì dura,
che mitigar devesse i miei tormenti
cangiata in guiderdon la sepoltura.
Ma voi restate, inutili lamenti,
non si appaga di voi la mia sciagura;
sì, vo’ morir, vo che il passato errore
emendando la man mi passi il core».
59Osmino a queste voci in lei si affisa,
alza la destra e si solleva alquanto,
e con dolci parole in questa guisa,
scemandogli il furor le accresce il pianto:
«Dunque d’aver duo volte oggi recisa
la mia vita, o Silvera, aspiri al vanto?
Non ti sazia una morte, e brami ancora
che ne la morte tua duo volte io mora?
60A che tanto furor? Tu non errasti
quando il ferro spingesti entro il mio petto,
Osmino era già tuo, questo ti basti
a disporre a tuo pro d’un tuo soggetto.
Se al possesso del cor col ferro entrasti,
del tuo libero impero è giusto effetto,
è ragion che la man col ferro tocchi
quel cor che ti acquistàr l’armi degli occhi.
61Errai sol io, che con la man rubella
nel tuo seno innocente il ferro stesi,
errai sol io, ma tu perdona, o bella,
se con la man, non col voler t’offesi.
Scusa il fiero tenor de la mia stella
onde in mio danno un doppio errore io prendo,
et onde con ragion tu mi querele
amante cieco e cavalier crudele.
62Tu mi perdona e vivi, e se negato
mi fu teco il parlar non che altro in vita,
vinca la tua bontà l’ira del fato
e con l’ultimo addio porgimi aita.
Vivi Silvera, e se vuoi pur beato
rendere Osmin ne la fatal partita
tale ei sarà se, tua mercé, gli tocca
la sua morte addolcir ne la tua bocca».
63Tacque, et ella chinando al volto esangue
del gelido amator gli ostri vivaci,
de la bocca gentil ferma in chi langue
con le voci il dolor, con l’alma i baci:
«Poiché cambiar sì generoso sangue
con l’aure de’ miei labbri or ti compiaci,
prendi questi che dar mi si concede
testimoni d’amor, pegni di fede.
64Ricevi i primi ultimi baci, e in loro
prendi l’anima mia, che gode almeno
nel suo lungo martir breve ristoro
volando co i miei baci entro il tuo seno.
Così trovo felice il mio tesoro?
Così misera il perdo in un baleno?
Qual speranza riman d’altri contenti
se anco i baci d’Osmin son miei tormenti?».
65Tal dicea sospirando e tal rendea
gli ultimi uffici al moribondo amante,
mentre a spirto miglior, che il cor movea,
la voce ei mosse fievole e tremante:
«Desiri eterni esca mortal non bea;
deh tu porgi ristoro a l’alma errante,
ch’arde di nuovo amor, di nuovo zelo:
fa’ che se moro al mondo io viva al Cielo.
66Tu mi dona il battesmo, onde le porte
s’apran del Cielo a l’anima fugace,
così vita darà chi mi diè morte
e da chi mi fe’ guerra avrò la pace».
Par che Silvera allor si riconforte,
se di conforto è il mesto sen capace,
applaude a i detti e sorger vuol, ma sente
che non regge le membra il piè languente.
67Se ne duol, se ne sdegna entro se stessa
e di nuovo si asside e gli occhi gira,
et un vecchio eremita, il qual si appressa,
con rozzo pastorello a destra mira.
Questi al romor de la battaglia espressa
al suon de l’armi, a i fremiti de l’ira
corse dal vicin bosco ove il romito
tragge vita solinga in aspro sito.
Silvera chiede di essere sepolta con Osmino e spira, l’eremita acconsente (68-76)
68All’antico eremita allor Silvera
disse: «Questi che muor battesmo chiede,
padre, donalo tu prima ch’ei pèra,
sia tra i figli di Dio del Cielo erede».
Lieto il vecchio al parlar de la guerriera
loda le sue richieste e la sua fede,
e tolta l’acqua ad un ruscel vicino
lavando il primo error battezza Osmino.
69Poiché il solito fin diè l’eremita
de l’alto ministerio a i sacri uffici,
si apparecchia godendo a la partita
Osmin, che vede aperti i Cieli amici.
«Io vado» ei disse «ove beata vita
mi serba eterni secoli felici;
non di terren ma di celeste affetto
amante, o mia Silvera, io là ti aspetto».
70Tacque, e stese la destra, e diede il pegno
di sua fede a Silvera, e gli occhi chiuse.
L’alma volò verso l’empireo regno
e nel corpo il suo gel morte diffuse.
Sciolse allor la guerriera ogni ritegno
al suo dolore e ogni conforto escluse,
e con languida voce, appena udita,
così disse rivolta a l’eremita:
71«Padre, errai; questi errò; ma il nostro errore
scusan l’etate, il sesso e la natura;
non lo scusò fortuna, il cui rigore
terminò, come vedi, aspra sciagura.
Or qui termini almeno il suo furore,
e non osi turbar la sepoltura:
questo che solo avanza, ultimo effetto
de l’umana miseria, a te commetto.
72Ecco il tempo fatal scorgo vicino
in cui mi ricongiunga al cor diviso.
Sia la tomba comun se fu il destino
io per lui morta, ei per mia mano ucciso.
Visse amante Silvera e visse Osmino
ma d’amor casto andranno in Paradiso,
ma d’amor santo. Ahi moro, Osmino, o mio … »
volle Osmin replicar ma qui morio.
73Morì, ma tal negli atti e nel sembiante
ch’è bella in tal beltà la morte ancora,
sembra a gelida brina un fior tremante,
sembra stella che langue in su l’aurora.
O generosa, o degna coppia amante,
non mai sinché gli Austriaci il mondo onora,
non mai sinché risuona il canto mio
coprirà le tue glorie invid’oblio.
74Mosso quinci a pietà di lor sciagura
col giovane pastor pianse il romito,
e a la coppia gentil la sepoltura
destina qual poteano in miglior sito.
Intanto un di quei duo ch’erano in cura
de i feriti guerrieri, il suono udito
de l’armi anch’egli corse et in quel punto
opportuno a tale opra era qui giunto.
75Cinta d’ombrose piante indi vicina
del vecchio pio l’umil capanna siede,
che col lito del mar quasi confina,
donde s’è il ciel sereno Africa vede.
Prima il vecchio condurre ivi destina
gli egri guerrier, come colui richiede,
e qual lice dipoi vuol che sia data
a la coppia gentil tomba onorata.
76Tanto eseguissi, e fur con moto lento
portati a la capanna i duo guerrieri,
al cui scampo trovaro ogni argomento
il provido eremita e gli scudieri.
Sepelliro essi poscia Odonte spento
e celebraro gli ultimi misteri
a gli amanti che fur con varia sorte
disgiunti in vita, accompagnati in morte.