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Il conquisto di Granata

di Girolamo Graziani

Canto XVIII

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.02.15 14:47

ARGOMENTO
De l’arti acherontee l’afflitto ibero
prova gl’insulti, e s’abbandona e geme,
mentre anche il re pagano al mago fiero
narrando i sogni suoi sospira e teme;
ma pur del re nel torbido pensiero
tenta Alchindo avvivar la morta speme.
Sostien Ferrando intanto et Isabella
dal nemico valor doppia procella.

I demoni di Alchindo infettano con larve e peste il campo cristiano, inducendo molti alla fuga (1-18)

1Mentre qui si combatte, Alchindo altrove
contra il campo cristiano usa le frodi,
arti nuove ritenta e insidie nuove,
e le perdite altrui stima sue lodi.
Quinci le Furie e i demoni commove
di sue malie co i più potenti modi,
e ne i cerchi incantati al suon de i carmi
di Stige a suo favor corrono l’armi.

2Volto a gli orridi spirti il fiero mago
disse: «Fra tanti rischi ancor vi scerno
neghittosi; e non vede il cor presago
ne l’afflitta città l’onte d’Averno?
Ah più non ritardate, ognun sia vago
schivare i propri danni, il proprio scherno.
Qual tempo al nostro culto, ove rimanga
espugnata Granata, apre la Spagna?

3Da ciel benigno e da provincie amene
oltre il mare african spinti saremo,
ove tra dure balze e inculte arene
povero scettro e nudo regno avremo.
Su, pria che la virtù, pria che la spene
di nostra gente opprima il caso estremo;
seminate nel campo orrori, affanni,
ciò che l’armi si niega oprin gl’inganni.

4Del mago i detti il fier drappel seconda,
et urlando si parte, e in vari lati
si divide opportuno e ’l campo inonda,
apparecchia lusinghe e tesse aguati.
Altri guancia di rose e chioma bionda
in veste feminile offre a i soldati,
e con dolce parlar seco gl’invita
da le tende e da l’armi a far partita.

5Questi dicea: «Voi dunque ancor sudate
dopo tanti anni a provocar la morte,
e chiusi tra gli usberghi e le celate
vi condanna a penar misera sorte?
Disperde invid’oblio rapida etate,
l’onor, l’applauso, il titolo di forte,
breve fossa ricopre e poca terra
faticosi trofei di lunga guerra.

6Quei che d’aura mortal nudrono il core
abbiano vano onor, glorie fugaci,
e pascano di sdegno e di rancore
sanguinosi pensieri e pertinaci.
Noi, più saggi, proviam guerra d’amore,
e sian l’armi e le piaghe amplessi e baci;
doni vita la morte e nel morire
dolce morte vital goda il desire».

7Con tai lusinghe i cavalieri alletta
l’iniquo spirto, et a fuggir gli esorta;
persuade il parer, perché diletta,
e segue ognun l’insidiosa scorta.
Egli a tempo altri affrena et altri affretta,
questi cauto riprende e quei conforta;
gli allontana dal campo e gli divide,
poi si cela e svanisce, e gli deride.

8Altri de i crudi spirti in varie torme
si mostravano orrendi a i riguardanti,
fingendo nuove inusitate forme,
terribili negli atti e ne i sembianti.
E quai vede l’infermo, allor che dorme,
draghi e chimere e cerberi e giganti,
misti in un corpo avvien che tal si mostri
un solo mostro a i cristiani in cento mostri.

9Altri, mentre dispiega opaca notte
per l’aeree campagne il fosco velo,
d’urli e di grida intorno empion le grotte
e turban l’auree stelle e il puro cielo.
Larve funeste, imagini interrotte
versano a i cori afflitti orrido gelo;
seguon tuoni e tremoti, e in ogni loco
sparge il vulgo infernal tenebre e foco.

10Trema ognun, tutti opprime alto spavento,
lasciano le bandiere anche i feroci,
né vi è chi tollerare abbia ardimento
il suono altier, le visioni atroci.
Gli urli del mare, i fremiti del vento
fra gli cavi scogli e fra l’anguste foci
men terribili sono, e cade a piombo
il fulmine men fier di quel rimbombo.

11Così il campo fedel tragge smarrito
dure vigilie o torbidi riposi,
né già quando è dal Gange il sole uscito
con fortuna migliore avvien che posi,
poiché fingendo esercito infinito
i demoni superbi e minacciosi
insultano d’intorno e fanno i campi
folgoreggiar de l’armi a i nuovi lampi.

12Veggonsi tremolar varie bandiere,
s’odon trombe e timpani sonanti,
alto romor si aggira e l’aria fère,
stanno pronti a pugnar cavalli e fanti.
Ma quando poi contra l’ignote schiere
si muovono i cristiani, esse incostanti
svaniscono in un punto, e in altri lati
sorgono nuove insegne e nuovi armati.

13Quinci da tanti insulti e notte e giorno
agitati i cristiani et assaliti
non ardiscono uscir nei campi intorno,
e stansi ne le tende egri e smarriti.
E quinci gli assediati ogni contorno
senza tema d’alcun scorrono arditi,
tessono varie insidie e al campo afflitto
perturbano le vie, tolgono il vitto.

14Intrepido s’oppone il re cristiano
a l’insidie d’Averno, e in vari modi
procura sollevar con larga mano
del campo i danni e dissipar le frodi.
A chi mostrò che il suo timore è vano,
a chi propose i premi, a chi le lodi,
né alcuna trascurò di schiera in schiera
d’interesse o di gloria arte e maniera.

15Ma facondo parlar non persuade
ostinato digiuno e sorda tema;
troppo cresce il timore e de le biade
troppo affligge ciascun penuria estrema.
Altri fugge i disagi et altri cade
oppresso da la fame e il campo scema;
ne l’ultime miserie il mal si avanza
mentre cede il vigore e la speranza.

16Vinti da tai sciagure, egri i soldati
languiscono del corpo e più del core,
e trascuran le guardie e i riti usati
che lor prescrive il militar rigore.
Succedono le febri e gli steccati
scorre di vari morbi aspro tenore;
fassi ognor più maligno e ne le vene
il mortifero umor peste diviene.

17Se l’infermo apre i labbri o gli occhi gira,
la parola avvelena, il guardo infetta,
uccide il tatto e l’aria in cui si spira
con aliti funesti il cor saetta.
L’egro risorge e il medico sospira,
e ’l mal ch’altronde scaccia in sé ricetta.
La morte insulta e con dannosa prova
offende la pietà, l’arte non giova.

18Sembra al moto uno strale e sembra un lampo
il morbo acheronteo, che in un momento
con eccidio comun trascorre il campo,
formidabile, infausto e violento.
Tranne la fugga, è vano ogni altro scampo,
onde il timido vulgo a cento a cento
lascia l’insegne e a la fatal paura
del premio e de l’onor cede la cura.

Alchindo sprona Baudele a scendere in campo (19-22)

19Cessa la disciplina, abbandonate
languiscono le tende e le bandiere,
e le seriche vesti e l’armi aurate
deposte son da le fugaci schiere.
Intanto al re pagan ne la cittate
Alchindo si presenta, e in voci altere
il cor gl’infiamma e a generosa uscita
contra il vulgo cristian così l’invita:

20«Signor, che pensi? A che il reale aspetto
torbido mostri? Assai restasti a bada,
oggi il campo cristian languendo infetto
apre a nobil trionfo ampia la strada.
Non può tempo miglior più degno oggetto
riserbare al valor de la tua spada,
e se nulla scemar ti può la gloria
è che forse è minor facil vittoria.

21Vedi con quale onor, con qual paura
giace da vari morbi il campo infermo,
onde non ha ne la comun sciagura
chi serbi vigor sano, animo fermo.
Qual più facil vittoria e più sicura
ch’ove non è consiglio e non è schermo?
Già cadono i nemici e pria son vinti
dal proprio mal che dal tuo ferro estinti.

22Escasi dunque e con aperta guerra
contra i cristiani il tuo valor si vanti.
Confessi ognun c’hai di salvar la terra
e di vincere altrui forze bastanti.
Trionfi la virtù, vegga quant’erra
chi crede che vagliam solo a gl’incanti;
combattano per te le spade e i carmi,
con l’arti Alchindo, i cavalier con l’armi».

Baudele narra a Alchindo di come re Almodaviro abbia ottenuta l’imbattibilità della città con una magia suggeritagli dalla maga fondatrice, Granata, tramandata come segreto nella famiglia reale. Ha però detto il segreto a sua figlia, e Granata in sogno gli ha detto che lei lo rivelerà a Ferrando: se il mago non l’impedisce il regno è spacciato (23-41)

23Qui tacque il fiero mago e ’l re pensoso
rispose: «I detti tuoi sono argomenti
di quel libero affetto e generoso
che ti rende comuni i nostri eventi,
ma d’occulta cagion timore ascoso
spegne de l’ardir mio le fiamme ardenti,
e con secreta violenza estrema
fa che contra voler mi dolga e tema».

24«Ma qual» soggiunse Alchindo «in te, signore,
sorge e ti può turbar cura importuna,
or che serva si mostra al tuo valore
con prodigo favor lieta fortuna?
O pugnando o sedendo è tuo l’onore,
non rimane al cristian difesa alcuna;
dunque in tempo simil con qual consiglio
serbi afflitto il pensier, torbido il ciglio?».

25Nel vecchio incantator lo sguardo affisa
il re sospeso, indi favella: «Amico,
turba l’animo mio cura improvisa,
ma tragge la cagion da fonte antico.
Tu, cui nulla nascondo, odi in qual guisa
mi spaventa e mi affligge il Ciel nemico.
Forse è vano timor, tu mi consiglia».
Tace, e ’l mago s’inchina, et ei ripiglia.

26«Qui nacque e visse, e queste mura eresse
Granata, che le leggi e ’l nome diede
a la città che per sua stanza elesse,
e in cui del nuovo regno alzò la sede.
È fama che costei lo scettro avesse
sopra il vulgo infernal quanto concede
con magico potere arte d’incanto,
di cui tranne fra i saggi il primo vanto.

27Corse di sua virtù sì chiaro il grido
ne i finitimi regni e ne i remoti
che a gara concorrea da vario lido
a gli oracoli suoi popoli ignoti.
Da lei presagio vero e parer fido
trasser le turbe incerte a i dubi voti,
et ella qual Sibilla in detti oscuri
predisse i fati a i secoli futuri.

28Di questo monte, in cui mia reggia è posta
ne la parte più sterile e più interna,
del rigido Aquilone a i fiati esposta
giace orribile al guardo una caverna;
quivi a tutti altri ella solea nascosta
gli studi esercitar de l’arte inferna,
e col suon de le magiche parole
de gli abissi agitar la cupa mole.

29Morì poi, ma sua fama eterna visse
con applauso comune in questo regno,
e ciò ch’ella discorse e ch’ella scrisse
norma fu d’ogni lingua e d’ogni ingegno,
e quando alfin la gente maura afflisse
del lascivo Rodrigo il solio indegno,
passò di lei con immortal memoria
nel popolo african l’arte e la gloria.

30Fra quei che di Granata ebber l’impero
fu Almoravido, a cui le dotte carte
di Granata insegnaro ogni mistero
de i fogli occulti e de la magic’arte.
Riconobbe costui l’onor primiero
de l’antica reina e in ogni parte
celebrando i suoi pregi in vari modi
rendette al nome suo debite lodi.

31Or mentre un dì con cerimonie ignote
a i soliti misteri egli è rivolto,
ecco donna gli appar con crespe gote
e con fronte rugosa e crine incolto;
questa chiamollo, e con amiche note
seguì dicendo: – O re, tu miri il volto
di Granata; io son dessa, io quella sono
di cui gli studi ereditasti e ’l trono.

32Più che non pensi, io de i tuoi regi affari
con sollecito cor mi prendo cura,
poiché primo sei tu fra gli altri cari
ch’abbiano unqua regnato in queste mura,
e vo’ però che al regno tuo prepari
difesa inviolabile e sicura
d’ogni danno maggior, d’ogni periglio
con nuovo incanto il mio fedel consiglio.

33Giace il mio corpo entro l’occulta grotta
ov’io soleva esercitare in vita
del magico saver l’arte più dotte,
secreta, impenetrabile e romita.
Colà vanne, e ’l ritrova, indi ridotta
dentro un’urna la spoglia incenerita
fa’ sovra di lei quel ch’al mio corpo appresso
troverai con un libro incanto espresso.

34Io l’incanto fatal pria che morendo
i miei lumi chiudessi in sonno eterno
in quel libro spiegai, tutte scoprendo
l’arti più occulte a cui soggiace Averno.
Tu de l’incanto mio l’opra eseguendo
costringerai l’obediente Inferno;
vieta poscia che l’urna ivi sepolta
o per forza o per frode indi sia tolta.

35Di riporre in quell’urna io mi do vanto
del tuo scettro il fermissimo sostegno,
a cui pria che lasciassi il fragil manto
de’ miei studi rivolsi ogni disegno.
Provederà quel poderoso incanto
che non possa cader mai questo regno,
sinché dal loco ove riposta fia
la nostr’urna fatal tolta non fia.

36Sia l’incanto e la legge in te serbata,
né fuor ch’al regio sangue altrui si scopra,
perché tolta qualcun l’urna incantata
non renda inutil l’arte e vana l’opra -.
Tace, e ’l loco gl’insegna, indi GranataS | Garnata
sparisce, il re l’osserva e pronto adopra
i suoi consigli, e ne la grotta entrato
trova il corpo giacer col libro a lato.

37L’incanto apprese e ’l corpo arse primiero,
e ne l’urna la cenere ridotta
il libro lacerò suo consigliero,
e l’urna sepellì dentro la grotta.
De l’incanto fatal l’alto mistero
per legge inviolabile e incorrotta
fu celato a ciascun fuorché a coloro
che per sangue avean parte al regno moro.

38Anch’io serbai l’ereditario arcano,
tranne Elvira mia figlia, altrui celato;
l’apersi a lei, folle giudicio umano,
che sostegno io credei del regio stato.
Ella fuggissi, et io più volte invano
mandai chi la seguisse in vario lato,
che né di lei, né mai di sua fortuna
mi pervenne sinor novella alcuna.

39Ieri poi mentre spunta il sole infante
de l’eritreo fuor de le piagge ondose,
mi apparve in sogno in rigido sembiante
donna che tai formò voci sdegnose:
– Dunque gravi tempeste il ciel tonante
al tuo capo minaccia e tu ripose?
Tu nel rischio maggior dormi quieto,
né rimembri il fatale alto decreto?

40GranataS | Garnata io son, che assicurai l’impero
col grande incanto altrui sinor coperto,
ma che da la tua Elvira al rege ibero
ridutta in suo poter fia tosto aperto.
Con rimedio opportun sia tuo pensiero
vietar del mio sepolcro il varco incerto,
se tu ciò non provedi, io ti predico
vincitor del tuo regno il re nemico -.

41Sì disse, e sparve, e me lasciò ripieno
d’alto spavento e di profondo orrore,
onde non può girar l’occhio sereno,
da torbidi pensieri oppresso il core.
La mia speme è in te posta; or tu dal seno
scaccia co’ tuoi consigli il mio timore;
se non soccorri e se non ha sostegno
dal tuo raro saver, cade il mio regno».

Alchindo lo rassicura dicendogli che Elvira è ben custodita e che lui incanterà la grotta dove sono conservate le reliquie incantate della maga (42-56)

42Tale il chiuso dolor sfoga il tiranno,
indi prorompe in un sospir profondo;
ma il vecchio incantator molce il suo affanno
con lieta faccia e con parlar facondo:
«Da sì lieve cagion pende il tuo danno?
Deh sia il volto sereno, il cor giocondo.
Sovrasta a la fortuna il saggio e ’l forte,
serve a l’arti d’Alchindo anche la sorte.

43Elvira tua, né più saver ti piaccia,
custodita è così che il grande arcano
non può, come il tuo sogno invan minaccia,
palesar con tuo danno al re cristiano.
Aggiungi ch’io farò ch’occulta giaccia
l’antro fatal con nuovo incanto estrano,
sì che non solo il varco alcun non tenti,
ma soffrir la sua vista ognun paventi.

44Ancor non sai de’ miei temuti incanti
dove giunga l’insolito potere,
onde il vulgo de l’ombre e il re de i pianti
osano gareggiar con l’alte sfere?
Forse vuoi dubitar se de i miei vanti
siano l’offerte e le promesse vere?
Dopo sì certe prove a la mia fede
testimonio maggior dunque si chiede?».

45Seguia, ma il re lo ferma e impaziente
l’interrompe dicendo: «Elvira è viva,
e taci? E dunque il genitor dolente
del bramato ristoro, ohimè, si priva?
Dimmi in qual luogo alberghi e fra qual gente,
e se libera siasi over captiva.
Qual decreto esser può che dispietato
de i figli al genitor celi lo stato?».

46Tace, e replica il mago: «Io già ti dissi
d’Elvira tua ciò che mi fu permesso;
la minacciano gli astri erranti e fissi
s’ella or torni, e dir più non mi è concesso.
Basti che ad eseguir ciò che prescrissi
de l’incanto promesso io volo adesso».
Tal parla il mago e parte, e il re sta cheto
e sospeso riman tra mesto e lieto.

47Al palagio real volge le spalle
il vecchio incantatore, e si conduce
dove ne la profonda occulta valle
giace l’orrida grotta orba di luce.
Folta macchia di spine ingombra il calle
che de l’antro fatal nel seno adduce,
in cui ne la secreta urna incantata
la difesa del regno era serbata.

48Qui giunto il mago entro l’occulto speco
intrepido penètra e ’l varco scopre,
che la selva intricata e l’aer cieco
e vie più l’età lunga altrui ricopre.
Quindi con torva faccia e guardo bieco
ei dà principio a le sue magiche opre,
e tra sé mormorando orribil note
scalzo il piè, sciolto il crin, la verga scote.

49Tre volte il ciel l’innalza e tre l’inchina,
aggiunge vari cerchi, empi scongiuri,
poi grida: «O re tremendo, a cui destina
inviolabil legge i regni oscuri,
tu di questa fatidica reina
fa’ ch’io l’antro fatal vieti e assicuri,
onde alcun penetrar dentro non possa
de l’urna a profanar le nobili ossa.

50Fondamento primier di questo regno
sai tu, signor, ch’è l’urna ove risiede
de la saggia reina il sacro pegno,
sicuro appoggio al combattuto erede.
Sumministra ancor tu nuovo sostegno,
gran re d’abisso: a la tremante sede,
al tuo sommo poter sia il vanto ascritto
d’averti conservato il regno afflitto.

51Tu del più cupo baratro e più fero
manda i demoni e i mostri, onde vietato
per difesa maggior del nostro impero
sia de l’urna fatal l’antro incantato.
Farò, se tu secondi il mio pensiero,
sacrificio per te solenne e grato,
con lingua offerirò sparsa di sangue
d’innocente bambino il corpo esangue.

52Se tu il ricusi aggiungerò parole
per cui dal fondo suo trema l’Inferno,
per cui cade la luna, imbruna il sole,
cui serve l’ombra cieca e ’l pianto eterno.
Venite omai da la tartarea mole,
Furie; ancor v’indugiate a nostro scherno?
Forse vuoi che col nome alto e temuto
a i nuovi uffici io ti costringa, o Pluto?».

53Qui basse mormorò note possenti
onde commossi furo i negri chiostri,
e mandaro a la grotta ubbidienti
dal baratro infernal le Furie e i mostri.
Vomita negro fumo e fiamme ardenti,
stende l’empio drappel gli artigli e i rostri,
e con strida esecrabili e tremende
l’antro e l’urna fatale in guardia prende.

54Quando vede eseguito il nuovo incanto,
onde l’urna e la grotta era difesa,
Alchindo parte, e riede al re, che intanto
la mente in varie cure avea sospesa,
e gli dice: «O signor, pari al mio vanto
preparata riman la tua difesa;
l’Inferno a tuo favor vieta l’entrata
e difende per te l’urna incantata.

55De la donna real la sepoltura
assicuràr de l’arte mia gli uffici;
or tu pigro, che badi? Esci e procura
con l’armi accompagnar gli studi amici.
Il disagio, la morte e la paura
lasciano consumati i tuoi nemici;
ciò ch’a l’ira del Cielo avanza intatto
dal tuo ferro, o signor, giaccia disfatto.

56Sia cura mia di proveder con l’arte
sia cura tua di guerreggiar con l’armi,
io ministro di Pluto e tu di Marte,
tu confida nel ferro et io ne i carmi.
Dunque adempia ciascun la propria parte,
né gli studi o le forze alcun risparmi;
gl’incanti e le battaglie in doppia guisa
la fatica e la gloria abbian divisa».

Baudele sprona i suoi uomini, manda due schiere per un assalto notturno coadiuvato dalle forze sataniche (57-72)

57Tacque, e rasserenò la mesta faccia
a i conforti d’Alchindo il fier tiranno,
e lui stretto e raccolto infra le braccia
le procelle acchetò del chiuso affanno;
poi disse: «La fortuna invan minaccia
a l’impero pagan l’ultimo danno
se tal saver, se tal virtù sostiene
nel periglio comun la nostra spene.

58Con l’arti a mio favor festi a bastanza:
compite, o miei guerrier, ciò che rimane;
si riponga nel ferro altra speranza,
domate col valor l’armi cristiane.
A la vostra fortuna e a la possanza
le difese opporrà debili e vane
l’esercito cristian, da i morbi afflitto,
oppresso dal timor, privo del vitto.

59Quali a l’aprir di maggio in varie rote
striscian liete le serpi infra l’erbette,
e vagheggiano al sol che le percote
le spoglie d’or novellamente elette,
tal de’ guerrier più chiar a quelle note
l’animoso drappel lieto ristette,
e d’auree spoglie e di ferrato arnese
folgoreggiando a la tenzon si accese.

60Freme il crudo Almansorre e ’l fero Orgonte,
chiede l’armi Agramasso infra i primieri,
ma il re pagan vuol ch’ei si fermi e il ponte
mantenga ad Almansor e al re d’Algieri.
Mancava Osmin, di cui con dubbia fronte
avea il re già richiesti i suoi guerrieri,
e da lor sapea ch’egli era uscito
solo e furtivo in abito mentito.

61Se n’appaga il tiranno imaginando
che secreta cagion di grande impresa
spingesse il cavalier contra Ferrando,
e quindi tranquillò l’alma sospesa.
Attendevano intanto il suo comando
e ’l tempo destinato a la contesa
i guerrieri, e fremeano impazienti
d’uscir nel campo a sfogar l’ire ardenti.

62Giunge la notte, e quando il suo viaggio
co i rapidi corsier mezzo ha fornito,
prima che l’alba con l’argenteo raggio
faccia al tenero sol lucido invito,
a far di sua virtù chiaro paraggio
esce da la città lo stuolo ardito,
che in duo schiere è diviso, e l’una adduce
Almansorre e de l’altra Orgonte è duce.

63Da l’Aquilon ne le cristiane genti
superate le guardie entra Almansorre,
e fra i corpi de morti e de i cadenti
il campo a sua balia libero scorre.
Sdegna quasi il crudel tra quei languenti
tingere il ferro, e rapido trascorre,
cercando tra i più forti e tra i più degni
saziar col sangue i generosi sdegni.

64La stanchezza, il tumulto e la paura
rintuzzando l’ardir toglie il consiglio,
e l’assalto improviso e l’ombra oscura
vie più grave al pensier finge il periglio.
Segue il vulgo pagan tanta ventura
e fa del sangue ostile il suol vermiglio,
e con strage crudel macchia e corrompe
preziosi ornamenti e ricche pompe.

65Ma l’animoso Eleimo, il quale a lato
duo figli avea pari d’ardir, di posse,
dove il popol cristiano era fugato
contra Almansorre intrepido si mosse,
e su l’elmo che d’or splende fregiato
d’un fendente a duo man dietro il percosse;
risonò l’elmo e ’l saracin costretto
fu dal colpo a chinar la fronte al petto.

66Qual leon rugge e qual falcon si gira
verso colui che l’ha percosso, il crudo
vibra il ferro e di punta un colpo tira
che nel sen penetrò, rotto lo scudo.
Cade, e con gravi gemiti sospira,
dal caro albergo esce lo spirto ignudo,
corse tardo a l’aiuto il minor figlio,
che mirò di lontano il suo periglio.

67Al saracin de la vittoria altero
d’una punta furtiva apre la maglia,
onde il sangue ne spiccia e pur quel fiero
ride, quasi di ciò poco gli caglia,
e grida: «Sarai tu quel che primiero
oggi il sangue stillar mi fe’ in battaglia,
ma vo’ che te ne dolga, e vedrai quanto
de l’onor temerario è breve il vanto».

68Qui fermando la lingua il ferro mosse
per vindicar la ricevuta offesa,
ma in quel punto il maggior dietro il percosse
giungendo a la vendetta, a la difesa.
Freme irato Almansor più che mai fosse,
con gli occhi torvi e con la faccia accesa,
et a quel d’un fendente il collo incide,
et a questo di punta il sen divide.

69Fuggono gli altri, e il saracin feroce
fa del vulgo fedel strage funesta;
con la spada combatte, e con la voce,
con l’urto opprime, indi col piè calpesta.
Non può il ferro crudel o il volto atroce
soffrir la turba impaurita e mesta;
sensi di gloria e stimoli d’onore
con la sferza di gel scaccia il timore.

70L’ombra e il tumulto a i timidi appresenta
de la strage più rigido il sembiante;
de i fremiti e de gli urli il suon spaventa,
et accresce l’orrorS | l’honor del vulgo errante.
Nessun volge la faccia o il ferro tenta,
ma la speme ciascun fida a le piante;
la gente d’Almansor scorre le tende
col ferro abbatte e con le fiamme incede.

71Sembra già che tra dense oscure rote
di spaventosi incendi il ciel s’infiamme,
e che ’l vento che spira e gli percote,
col suo fiato gli accresca e gli rinfiamme.
Fu chi dicea che da l’enfiate gote
visti aveva soffiar torbide fiamme
tartarei mostri in orridi sembianti,
e suoi furo, Idragorre, i primi vanti.

72Serpe di tenda in tenda il nuovo foco,
chi di ferro non muor la fiamma uccide,
anzi spesso in un sol con doppio gioco
d’abbruciar, di ferir morte si ride.
Entran per ogni parte, in ogni loco
l’incendio struggitor, l’armi omicide;
cede ognun sbigottito al vario insulto,
accrescono il terror l’ombra e ’l tumulto.

Interviene Ferrando a contrastare Almansorre, ma dall’altro lato arriva Orgonte, al quale fa fronte Isabella, che rincuora i cristiani: con l’alba i Mori si ritirano (73-86)

73Tutto è pien di furor, d’orrorS | d’honor, di sangue,
tutto a i gridi rimbomba, a gli urli, al pianto,
di chi pugna d’intorno e di chi langue
è confuso il romor in ogni canto.
De la strage funesta il vulgo esangue
porta gli avisi al gran Ferrando intanto,
e ’l magnanimo re pronto soccorre
dove il popolo suo strugge Almansorre.

74Qual dal sommo Apenin palla di neve
ruinando a le valli ime e profonde
nel precipizio suo fassi più greve
et ognor più s’ingrossa e si diffonde,
tale il re ne l’andar forza riceve
da la gente ch’ognor sembra ch’abbonde,
e giunge ove il periglio arde più grande,
ove il popolo oppresso il sangue spande.

75Con intrepido volto i suoi rincora
il gran Ferrando e i fuggitivi affrena,
e ’l feroce Almansor respinge ancora,
che la terra d’estinti avea ripiena.
La fortuna de i suoi così ristora,
ch’avean già volta a i barbari la schiena.
Fiera è la pugna e come in propria reggia
tra sanguigni trofei Morte passeggia.

76Seguono il re dov’è maggior la guerra
gli avventurieri, e primo è Garzilasso,
et al barbaro stuol, ch’ivi disserra
il suo sforzo maggior, vietano il passo.
Già sparsa di cadaveri è la terra,
già tutto ingombra orribile fracasso,
fra l’ombra oscura e fra la calca folta
ordine non si serva e non si ascolta.

77Mentre qui combatteano, il re d’Algieri
esce da l’altra parte e il campo assale,
ruppe steccati e rovesciò guerrieri,
e fe’ di chi aspettò scempio mortale.
Fugge il timido vulgo i colpi fieri,
in cui la tema a la virtù prevale,
turba i sensi il tumulto e fa maggiore
la confusa tenzon l’ombra e l’orrore.

78Tronca, abbatte e calpesta il fiero Orgonte,
i forti uccide e i timidi discaccia,
i guerrieri e i destrier getta in un monte,
in un punto ferisce, urta e minaccia.
Già paventa ciascun volger la fronte
al crudo ferro, a la terribil faccia;
segue il barbaro stuolo il re feroce
e ’l campo tutto empie di strage atroce.

79Del publico periglio il grido arriva
de la reina al padiglion vicino,
e vi giunge lo stuol che sparso giva
dal tremendo furor del saracino.
La magnanima donna, in cui nudriva
intrepida virtù spirto divino,
esce nel campo e il palafreno ascesa
si spinge ove fervea l’aspra contesa.

80Alza gli occhi et al Ciel così favella:
«Signor, tu che a donar l’empio Oloferno
virtù porgesti a la tua fida ancella,
che fe’ del capo altier publico scherno,
Tu con pari valor scorgi Isabella,
onde possa frenar l’armi d’Averno,
e da man feminile il fedel campo
riconosca due volte il proprio scampo».

81Tal discorre e di zelo arde nel petto,
e ’l suo popol che fugge altiera sgrida:
«Voi temere de i Mori il solo aspetto,
e Ferrando il suo regno a voi confida?
Su, meco a la battaglia io vi prometto
esser vostra compagna e vostra guida.
Cederete quest’ardir forse a una donna?
Se questo è ver, cangiate l’armi in gonna».

82Poté de i gravi detti il suono amaro
ne i timidi svegliar l’ardire antico,
onde a la pugna intrepidi tornaro
sfidando a prova il vincitor nemico.
L’alta reina ogni guerrier più chiaro
chiama per nome, e con sembiante amico
gli infiamma a l’armi, onde per le i si avanza
la virtù de i cristiani e la speranza.

83Pugnan quei che fuggiro, a i vincitori
contrastan la vittoria i fugitivi,
mentre sparge de i premi e degli onori
la reina fra lor vari incentivi.
Rincora altrove il fero Orgonte i Mori,
e fa correr di sangue infausti rivi,
e se mira e se va sembra che porte
con l’occhio e con la mano orrore e morte.

84Ma già l’uscio del ciel al sol nascente
su i confini del Gange apre l’aurora,
e già de i primi raggi in Oriente
il sollecito lampo i monti indora;
de la ferita e de l’estinta gente
lo spettacolo fier vedesi allora,
e ’l diurno splendore altrui discopre
de la torbida notte i casi e l’opre.

85Or che apparsa è la luce e che già manca
il vantaggio miglior de l’ombra oscura,
Orgonte et Almansor la gente stanca
risolvono ridurre entro le mura.
Dunque uniro le squadre et a la manca
de la selva giràr la via sicura,
onde, schernito l’impeto nemico,
salvi si ricovraro al muro amico.

86Quivi Agramasso i duo campioni accoglie,
che, sforzato a restar, quivi gli attese,
e dipoi gli saluta e gli raccoglie
fra gli applausi del vulgo il re cortese.
Già figura il destin pari a le voglie
e spera ognun che da sì lunghe offese
Ferrando alfin l’esercito ritiri,
onde cessi l’assedio e si respiri.