ARGOMENTO
Come abbia Armonte et Altabrun racconta
Almoazar a i liberi guerrieri,
e ciascun d’essi in ragionar conforta
di sua condizion gl’indici veri.
A seguitar Giesù Darassa è pronta;
elegge Arezia entrar chiostri severi.
A Consalvo Rosalba, e Hernando Elvira
desiato imeneo congiunte mira.
I fuggitivi incrociano una nave diretta al monte del mago: salvano così Altabruno, Armonte, l’eremita e il pastore (1-19)
1Intanto Hernando, immoto a quei lamenti,
col famoso drappel segue il camino,
e de l’ampio Nettuno i salsi argenti
rompe co i remi audaci il curvo pino,
né guari andò che, sparse l’ali a i venti,
drago immenso fra l’onde appar vicino,
striscia pe ’l mar la smisurata mole
rapida sì che pare altrui che vole.
2Mirano allor la spaventosa immago
attoniti i guerrieri, e avvicinati
veggono spalancare il fiero drago
de la bocca infernal gli antri dentati.
Scorgon ivi disposti in ordin vago
folgoreggiar molti guerrieri armati;
di corpo eccelso e di sembiante atroce,
sorge fra gli altri un cavalier feroce.
3Questi dunque minaccia i fuggitivi
che vede apparecchiar nel basso legno,
l’armi a la pugna, e grida pria che arrivi:
«Se resister credete è van disegno,
vivrete se cedete; a i miei captivi
do vita, in chi resiste uso il mio sdegno»,
disse, e non dier risposta a i detti alteri
ma l’assalto aspettàr gli altri guerrieri.
4Giunse il drago al battel, quinci a l’assalto
vola primiero in su la belva ignota
il valoroso Hernando, e sal a l’alto
benché il barbaro stuol l’urti e ’l percota.
Ma sovra il mostro appena ferma il salto
appena a danno suo la spada rota
che sparve il drago, et in sua vece grave
d’armati cavalier resta una nave.
5Sparve del mostro fier l’orrida forma,
perch’era opra d’incanto, il qual è vinto
da la spada celeste e si trasforma
in vera nave il falso drago estinto.
Scagliasi allor fra la nemica torma
da stimoli di gloria Hernando spinto,
ma l’urta e lo percote il cavaliero
che gli altri regge e che parlò primiero.
6Sprezza Hernando quel colpo e fère ardito
col fatal brando il cavaliero estrano,
che privo di vigor cade ferito
e cede il passo al vincitor cristiano.
Segue Hernando fra gli altri e segue unito
il magnanimo stuol poco lontano;
sono a tanta virtù di tai guerrieri
paragon disegual pochi stranieri.
7Tutti dunque in breve ora estinti furo,
tranne il lor capitan, che oppresso langue,
e che tremante e di morir sicuro
sparge dal capo in larga vena il sangue.
Prima che il dolor grave in sonno oscuro
opprima di costui lo spirto esangue,
Hernando gli richiede ov’egli gisse,
onde venga e chi fusse, e quei gli disse:
8«Io son Almoazar, nacqui in Granata,
e ne i tempi migliori ebbi la cura
dal mio signor de la navale armata,
pria che fosse rinchiuso entro le mura.
Quando fu da Ferrando assediata,
rimasi anch’io ne la comun sciagura
a guardia de la patria, e per suo scampo
questa vita più volte esposi in campo.
9Non avrà diece volte il sol dal mare
per dar luce a la terra il volto alzato,
che dal mio re, ch’ogni secreto affare
fa comune ad Alchindo, io fui chiamato;
diss’egli: – O mio fedel, novelle amare
io ti vo’ confidar del nostro stato;
il valoroso Osmino, Osmin conforto
de le nostre sciagure, Osmino è morto -.
10Qui seguitò con nubiloso ciglio
de la morte d’Osmino il rio successo,
indi conchiuse: – Alchindo il suo consiglio
a vendicar tal morte ha già promesso;
partecipe del premio e del periglio
per compagno ad Alchindo io ti ho concesso.
Tosto che ceda il giorno a l’aer cieco
ei tenterà l’impresa, andrai tu seco -.
11Qui tace, e ne accommiata; io seguo il mago,
che poi mi dice: – Amico, al tuo valore
vuol fidare alta impresa il cor presago,
che ne sarai felice esecutore -.
A questi detti io, d’operar già vago,
m’offerisco a seguir l’incantatore,
per cui voler cento guerrieri eletti
raguno, ch’al mio cenno era soggetti.
12Convocati i guerrieri il mago strinse
se stesso e gli altri entro una nube oscura,
e la notte per l’aria a vol si spinse
volgendo il tergo a l’assediate mura.
i ministri d’Averno egli costrinse
con l’arti ignote a la proposta cura,
sì che non lunge ad Almeria su il lito
tosto giungemmo in solitario sito.
13Era appunto a lavar nel Gange il volto
dal letto marital l’aurora uscita,
che qui scendemmo, e quinci a me rivolto
favella il mago e una capanna addita:
– De i cristiani guerrieri il fior raccolto
alberga in quel tugurio un eremita:
vo’ che da l’arti mie questi sian privi
d’ogni vigore, e che sian miei captivi -.
14Tace, e sussurra i magici misteri,
onde il chiuso tugurio apre le porte;
noi prendiam l’eremita e i duo guerrieri
ch’un letargo opprimea pari a la morte,
e con essi un pastore e duo scudieri
provano eguale incanto et egual sorte.
De la preda ottenuta in sé giocondo,
volge il mago lo sguardo al mar profondo.
15Alta nave scorrea l’ampia marina,
Alchindo mormorò note potenti,
onde il legno si gira e si avvicina
senza remi a la spiaggia e senza venti.
Prende la nave et a morir destina
Alchindo i suoi nocchieri e l’altre genti,
che tutti eran cristiani, indi ripone
ne l’occupata nave ogni prigione.
16Quinci Alchindo mi chiama e mi favella:
– O tu, che da i primi anni il mar corresti,
e sprezzando ogni vento, ogni procella
più volte di Nettun l’ire vincesti,
tu quell’angusto sen che il vulgo appella
d’Ercole vincitor varca con questi
prigionieri che solo a te confido,
e gli porta al mio albergo in altro lido -.
17Qui seguendo insegnò l’ignote vie
de l’albergo, del mar, del ciel, del clima,
e conchiuse: – Io farò con l’arti mie
che non ti assalga alcuno e non ti opprima -.
Tanto disse, e in virtù di sue malie
la nave dilatò le vele in prima
in duo grandi ali, e poi mutò l’imago,
distese il corpo e trasformossi in drago.
18Co i miei guerrieri in quell’orribil mole
entro, e mi abbraccia il mago e mi accommiata;
varca i segni d’Alcide e verso il sole
meridional corre la nave alata.
Così n’andai sinché da mie parole
la battaglia con voi fu provocata;
sapete voi ciò ch’è tra noi successo,
e con troppo mio danno il seppi io stesso».
19Volea seguir, ma d’improviso ghiaccio
fu la voce interrotta e poi la vita.
Muore e gode il meschino uscir d’impaccio,
tronca la servitù morte gradita.
Cercano i vincitori e in duro laccio
trovano i duo guerrieri e l’eremita,
e Consalvo fra lor pien di stupore
mira, osserva e conosce il genitore.
Si svelano le identità di Rosalba e Darassa: Darassa decide di battezzarsi e Arezia di farsi monaca (20-33)
20Questi era il genitor, quegli Altabruno,
l’eremita era quel che gli raccolse
quando a la cura lor giunse opportuno
e che a morte vicina entrambi tolse.
Questi Alchindo a rapir ne l’aer bruno
spinse la nube ove gli armati accolse,
bramando allontanar con varia sorte
dal re cristiano ogni guerrier più forte.
21Da l’altra parte il genitor si affisa
in Consalvo, che primo allor si offerse,
e le note sembianze in lui ravvisa,
e di lagrime liete il volto asperse.
Qual girando talor scena improvisa
spettacoli novelli altrui scoperse,
onde con vario affetto in sé confuso
vede l’occhio e non crede il cor deluso,
22tal resta il figlio e ’l genitor sospeso,
e quando lo stupor cede al discorso
tolgon de le catene il grave peso,
che cingean de i prigioni il petto e ’l dorso.
Poiché cessàr gli amplessi e ch’ebbe inteso
il padre da Consalvo il vario corso
di sue fortune, Ordauro Armonte appella,
e baciando le man così favella:
23«Signor, raccogli Ordauro, ei che, tuo fido,
trasse fra duri errori acerba vita,
e che seco rapita al caro nido
ti rende alfin Rosalba tua gradita.
Falso già fu de la sua morte il grido,
e in abito virile errò vestita
lunga stagion ne l’africana corte,
sotto nome d’Armindo in varia sorte».
24Così parla ad Armonte e gli presenta
Rosalba, mentre ogni altro un uom la crede.
Ella s’inchina e lagrimando tenta
baciar la mano et abbracciare il piede,
ma quei, che lieto e stupido diventa,
la ritien, la rimira e a sé non crede,
e quando alfin la riconosce appieno
la bacia in fronte e la si stringe al seno.
25Ma più del genitore avido mira
la sua bella Rosalba il figlio amante,
e con fervidi sguardi in lei si aggira
su l’ali del desio l’anima errante.
Al pari di Consalvo arde e sospira,
e si cangia negli atti e nel sembiante
Darassa, che in quel punto ode mutato
in Rosalba donzella Armindo amato.
26Sdegno, dolor, vergogna in varia guisa
a la donna real rodono il petto;
vuol parlar, vuol tacere e in sé divisa,
confonde l’onestà, l’ira e l’affetto.
Cede alfine a l’amore e a l’improvisa
tempesta de i pensier vinto è il rispetto,
onde qual viva fiamma in volto accesa
così prorompe e ’l folle amor palesa.
27«Non qual voi mi vedete io son guerriero
ma donzella reale a l’armi usata;
figlia del gran Seriffo, a cui l’impero
cede l’Africa doma e trionfata.
Lunga stagion del faretrato arciero
l’armi sprezzai, d’aspro rigore armata,
sinché nel regno mio giunse costei
sotto il nome d’Armindo et io perdei,
28lassa, perdei la libertate antica,
e fui serva d’amor, che dispettoso
così volle schernir me sua nemica,
e turbar con più doglia il mio riposo.
Ma se amante non fu, sarammi amica
Rosalba: io veggo alto mistero ascoso
fra i nostri error, onde oggi il Ciel m’invita
con amor più felice a miglior vita.
29Cerimonie fallaci e riti vani
di mia setta nativa io più non curo,
da voi chieggo battesmo e tra i cristiani
bramo a l’anima mia scampo sicuro.
Questo core io consacro e queste mani
a la legge di Cristo, al Ciel mi giuro,
al Ciel che il bel desio nel cor m’ispira,
e con forza soave a sé mi tira».
30Così disse, e tacean tutti a i suoi detti
fra diletto confusi e fra stupore,
solo Arezia, che udì de i propri affetti
disperso il frutto e dissipato il fiore,
parla fra sé: – Qual nuova pena aspetti
del tuo infelice e sconsigliato amore?
Qual rimedio al tuo mal ti rappresenti?
Qual ristoro ti fingi a i tuoi lamenti?
31Svelta d’ogni speranza è la radice,
non vive amor dove non è speranza,
dunque lascia di amar se amar non lice,
se premio del tuo amor nulla ti avanza.
Anzi a beltà più rara e più felice
il tuo desio solleva e la baldanza:
segui di lei che amasti il nuovo amore,
apri a l’aura celeste, Arezia, il core.
32Calca i vestigi, e di real donzella
segui l’esempio, e se non puoi con l’armi
servi rinchiusa in solitaria cella
a i misteri del Ciel con sacri carmi.
Per fin più degno e per cagion più bella
il flagello e ’l digiun non si risparmi,
lungi nozze terrene e pompe frali,
stringi d’alti imenei gioie immortali -.
33Tal discorre in se stessa, e poi discopre
il suo fermo pensier; lodano tutti
il desio che l’ispira a sì bell’opre,
e di tanta pietà sperano i frutti.
Non lungi intanto un’isoletta scopre
l’amena riva infra gli ondosi flutti,
e vago di ristoro il nobil stuolo
spinge verso la spiaggia i legni a volo.
Dopo aver ascoltato la storia di Armonte sull’adozione della fanciulla e la proposta di matrimonio di Consalvo, Sireno, il pastore salvato, rivela del legame di sangue tra Rosalba e Hernando (34-55)
34Gara gentile a le fatiche invita,
move i remi, apre il mare, il corso affretta,
onde assai pria che faccia il dì partita
approdarono i legni a l’isoletta.
Qui riposàr, qui, poiché fu sopita
la brama natural ch’a i cibi alletta,
verso Armonte vicin con umil ciglio
così favella il generoso figlio:
35«Signor, pende dal Ciel l’aurea catena
che de i nostri imenei stringe gli amori,
e che qua giù ne la terrena scena
spesso il vulgo fallace appella errori.
Quinci nacque il mio amore e la mia pena
per la bella Rosalba, e quinci i cori
prima de i suo decreti il Cielo impresse
che in lor fiamme terrene Amor spargesse.
36Questa dunque che il Ciel mi diede in sorte
de la vita compagna e de la fede,
oggi dal tuo voler per sua consorte,
supplicante, Consalvo a te richiede.
È ragion che in tal guisa ella riporte
del suo lungo servir degna mercede,
e non chieggo per me dote maggiore
che la fé di Rosalba e che l’amore».
37Tacque, e lieto a i suoi preghi arrise il padre,
e disse: «Abbi costei che il Ciel ti offerse,
ma sappia ognun che vanta inclita madre,
se quel che a me la diede il ver mi aperse.
Vecchio pastor fra peregrine squadre
diè Rosalba a mia moglie, e le scoperse
di Guadalupe entro le sacre mura
de la bella fanciulla alta ventura.
38Disse il pastor che quando già tanti anni
il Tago vincitor ruppe le sponde,
e recando al paese estremi danni
fece i pesci guizzar sovra le fronde,
ei da lungi scoprì di ricchi panni
breve cuna coperta in mezzo a l’onde;
nuota leggiera e senza offesa alcuna
su l’asciuto pervien l’angusta cuna.
39Corse il pastore e del crudel torrente
al torbido furor tolse la culla,
e la discopre e vede in lei ridente
avvolta in fasce tenera fanciulla.
Abbraccia allor la semplice innocente
che seco pargoleggia e si trastulla.
Rosalba ei la nomò, perché l’espose
il fiume in un pratel di bianche rose.
40Mostrano i ricchi panni e ’l vago aspetto
che d’alto sangue è la fanciulla uscita,
sì che da lui con riverente affetto
a fortuna miglior cresce nudrita.
Era di poco il termine perfetto
di una anno dal natal de la sua vita,
quando con essa a Guadalupe un voto
fatto per lei sciolse il pastor devoto.
41Così disse, e donolla e fu condotta
da la consorte mia, da cui raccolta
fu in vece di sua figlia e crebbe istrutta
d’ogni virtù ne le mie case accolta.
Così nudrita e in libertà ridutta,
Rosalba dimorò sinché fu colta
nel palagio del Beti egra e malviva
da gente ignota, onde restò captiva».
42Stette d’Armonte a le parole intento
il giovane pastor, che diede aita
per sepellir gli amanti e Odonte spento,
e che preso fu poi con l’eremita.
Era questi Siren, cui spinse il vento
per recarsi a la magion romita,
da che uscì di Granata, ove sospeso
avea lunga stagione Hernando atteso.
43Prima in fondo a la nave egli assalito
dal travaglio del mare afflitto giacque,
indi a l’isola giunto e fastidito
lontano da ciascun si trasse e tacque.
Ma l’applauso festivo e ’l grido udito
de le turbe, risorse e si compiacque
il giubilo comun sentire anch’esso
e tacito recossi a gli altri appresso.
44Quinci appena ascoltò gli ultimi accenti
d’Armonte che fra sé quasi presago
di nuove cose e di maggiori eventi
richiese e dove e quando ruppe il Tago;
volle saper la cuna e gli ornamenti
de la fanciulla, e curioso e vago
investigò ciò che potea far per certo
il dubbioso pensier nel core incerto.
45Rispose Armonte e soddisfece appieno
a le varie richieste, onde si avvede
a molti segni attonito Sireno
che Rosalba è colei ch’estinta crede.
Di gioia dunque e di stupor ripieno
anelante e confuso abbraccia il piede
d’Armonte, che l’innalza e ’l pastor lieto
parla e publica altrui nuovo secreto:
46«Di gran stirpe, signor, Rosalba è nata,
testimonio son io del suo natale,
d’alto sembiante e d’aurei panni ornata
la madre le diè vita a sé mortale».
Qui seguitò, qui fu da lui spiegata
l’istoria lagrimosa e ’l funerale
del cavalier, che di Rosalba padre
ucciso fu da le nemiche squadre.
47Narrò che da la mischia era sparito
un suo compagno, e replicò che il forte
campione, oppresso e in mezzo al sen ferito
da feroce guerriero ebbe la morte.
Aggiunse poi che nel remoto sito
d’albergo pastoral l’egra consorte
Rosalba et un bambin al mondo espose,
quinci morendo al suo dolor si ascose.
48Disse come rapisse il Tago irato
Rosalba in fasce, e che novella alcuna
di lei non s’ebbe, onde ognun pianse il fato
d’innocente bellezza estinta in cuna,
ma che da l’acque il suo fratel salvato
corse lunga stagion varia fortuna.
Narrò come il suo petto amor trafisse
di regio strale e qui soggiunse e disse:
49«Con insolita legge Amor tiranno
a duro ufficio il giovinetto elesse,
e volle ch’ei tentasse a proprio danno
che de l’amata donna altri godesse.
Il misero mi aprì l’interno affanno
prima che uscir de la città potesse,
e mi pregò che s’ei moria ne l’opra
a chi n’è la cagion sua morte io scopra.
50Partissi e mi lasciò la bella imago
di lei che, benché finta, il cor gli accese
di vera fiamma, e di cui fatto vago
se stesso espose a barbaro paese.
Io restai, mio malgrado, e fui presago
ch’egli morria ne le proposte imprese;
morto il cred’io poiché non mai dal giorno
ch’ei partì n’ebbi avviso o fe’ ritorno.
51Tu rendi a chi ti serve, ingrato Amore,
sì duro premio e così ria mercede?
Che vale, ohimè, di consacrarti il core,
che giova di osservarti, ohimè, la fede?
O di rigida stella empio tenore
qual più fiero destino unqua si vede
di quel de i duo gemelli, onde si giacque
egli estinto dal foco essa da l’acque?
52Sazio alfin de l’indugio e de la vita,
inquieto desio mi persuade
almen di ricercarlo, e fo partita,
lascio gli orti reali e la cittade.
Scesi nel campo, indi per via spedita
scorsi gran tempo incognite contrade,
né lui trovai, né mai novella alcuna
del suo stato mi diè varia fortuna».
53Volea seguir come colà giungesse,
ma di stupore e di letizia pieno
Hernando sorse, e ’l favellar represse
fra le braccia stringendo il suo Sireno.
Stette immoto il pastor prima che avesse
quel che cercò raffigurato appieno,
ma per cader, ma per languir fu quando
a i segni certi ei riconobbe Hernando.
54«O mie dolci fatiche, o miei sudori
ben sparsi;» ei disse «il mio desire è pago.
Chiuda morte a sua voglia i nostri errori
poich’Hernando riveggo io me ne appago.
Ma prendi tu de i tuoi superbi amori
origine fatal al bella imago,
che tu già mi lasciasti e ch’io serbai
pegno di quella fé che ti giurai»,
55disse e volle recar l’imagin bella,
ma lo richiama Hernando, e poi l’abbraccia,
e rivolto a Rosalba, a lui sorella,
caramente l’accoglie infra le braccia.
Corrisponde l’attonita donzella
e di tiepid’umor bagna la faccia;
mostrano ambi negli atti e ne l’aspetto
di reciproco amor candido affetto.
L’eremita scopre i nobili natali della fanciulla, figlia della regina del Portogallo e di un nobile cavaliere, uccisi dal cortigiano Filargone (56-95)
56Rinovati seguian gli abbracciamenti,
ma interrotti cessàr da l’eremita,
che si spinge tra loro e in questi accenti
a nuove meraviglie ognuno invita:
«Anch’io» disse «godrò de i tuoi contenti,
o d’amico fedel prole gradita:
io col tuo genitore ebbi comune
l’amicizia, la vita e le fortune.
57Ma voi se d’ascoltare avidi sète
i superbi trofei d’instabil sorte,
udite e detestar meco potrete
la fortuna reale e l’empia corte.
Con le sciagure mie voi piangerete
del vostro genitor la dura morte».
Qui ognuno apre l’orecchie, alza le ciglia,
pende da l’eremita, et ei ripiglia:
58«Uderico io son detto, ebbi i natali
di nobil sì ma di privata gente
ne l’estrema Biscaglia, e spiegai l’ali
a miglior sorte in su l’età crescente.
Giunsi in Lisbona, superai gli eguali
ne la grazia del re sorsi eminente;
vidi spiegar, fosse ventura o senno,
le più dure cervici a un sol mio cenno.
59Temuto, riverito, invidiato
quinci lunga stagion vissi contento,
sinché a turbare il mio felice stato
sorse d’ampiaS | empia fortuna orrido vento.
Di maligno livor torbido fiato
mosse cruda tempesta in un momento;
o di grazia real luce funesta,
splende tarda, arde incerta e fugge presta!
60Donde io meno temea fato nemico
portò guerra improvisa a i miei contenti,
e da perfide accuse il merto antico
presso al re mi oscuràr nuovi accidenti.
Giunse in corte un guerrier, mio noto amico
insin quando fiorian gli anni crescenti,
natio d’Estremadura, uom d’alto aspetto,
di pronto ardir, di nobile intelletto.
61Cortese, che tal nome ebbe il guerriero,
da cortesi maniere in lui sortito,
ne i primi giorni il cupido pensiero
volse ad amare Alinda e fu gradito.
Questa, d’alta beltà, d’animo altiero,
trionfava tra sé d’Amor schernito,
e di merti dotata e di tesori
con doppio laccio incatenava i cori.
62Sdegnato dal suo fasto Amore attese
Alinda, e con un fervido sospiro
e con un dolce sguardo al cor le accese
del cortese guerrier nuovo desiro.
Tal con eguale incendio in lor si stese
di reciproco amor egual martiro,
ma col piacer d’immaginato bene
la speranza condì l’acerbe pene.
63O che Cortese in generoso agone
fra gli esperti guerrier l’asta corresse,
o che con grave picca agil pedone
la combattuta sbarra ei difendesse,
ebbe il vanto primiero e ’l guiderdone
de la finta battaglia, e lo concesse
a l’amata, che fe’ con vari modi
partecipe de i premi e de le lodi.
64Così godean, ma fe’ de i loro amori
invida Gelosia breve il diletto,
colpa di Filargone, i cui furori
destò contra gli amanti amor negletto.
Ardea questi d’Alinda e i suoi dolori
vide scherniti e intiepidì l’affetto,
o se arse pure, arse e cangiò disegno,
fatto il foco d’amor foco di sdegno.
65Nulla intanto curando i suoi lamenti
già conchiuse le nozze avean gli amanti,
e solo a stabilire i lor contenti
il consenso del re chiedeano avanti.
Questo, con arti varie, i pretendenti
procuraro impedire a i supplicanti,
e l’impedian, ma presso al re mi opposi
et a l’odio comun me stesso esposi.
66Espressi de l’amico il merto e i pregi
che lecita rendean la sua richiesta,
biasmai la legge degli antichi regi
che a le nozze straniere era molesta,
mostrai che l’acquistare uomini egregi
era di re prudente arte modesta,
onde col guadagnarsi eroe straniero
si accrescean lodi al re, forze a l’impero.
67Il consenso real così n’ottenni,
si celebràr le nozze; arse di sdegno
il crudo Filargone et io divenni
del suo cieco furor misero segno.
Godean gli amanti et io per me ritenni
infausto guiderdon l’odio del regno;
ma non cura tai danni alma sincera,
si osservi l’amicizia e ’l mondo pèra.
68Vantava Filargon chiari natali
e, ricco d’alta forza e d’ampio stato,
nessuno avea maggiore e pochi eguali
e fra i primi del regno era ammirato.
Godea nel sangue, insuperbia ne i mali,
di corpo eccelso e d’animo spietato,
e, fiero ne i costumi, era feroce
ne lo sguardo, negli atti e ne la voce.
69Questi meco adirato unì gli sdegni
a quei che invidiando la mia sorte
tessean d’inique frodi alti disegni
per trionfar de l’agitata corte.
Sotto zel di pietà ministri indegni,
con arti varie e con maniere accorte,
finte colpe, empie accuse al re mostraro,
e del primo favor l’aura turbaro.
70Qual di fermo edificio eccelso muro
che sprezzò d’aspra trave urti e percosse,
e di Borea canuto e d’Austro oscuro
al nemico furor nulla si scosse,
se pur debile il fianco e mal sicuro
con angusta fessura in lui si mosse,
pria tremò, poi si aperse e cadde alfine,
et ognun calpestò le sue ruine,
71tal chi gode primier l’aura di corte
mentre fermo possiede il regio affetto
vince ingiurie superbe, insidie accorte,
e degli emuli suoi sprezza il dispetto,
ma se crolla il furore instabil sorte,
trema l’autorità, cade il rispetto,
de le ruine sue l’emulo esulta,
e chi grande onorò caduto insulta.
72Dal sublime favor dunque io caddei,
e fu il mezzo onde al re giacqui accusato
ch’io l’esortai d’Alinda a gl’imenei
perché al re di Castiglia io fussi grato.
Grazia, favore, autorità perdei
da sì perfid’accusa insidiato,
et al re dimostràr che al proprio impero
è sospetta la fé d’un uom straniero.
73Questo fu il colpo grave, onde reciso
fu d’ogni mia speranza il filo audace,
questo il venen per cui rimase ucciso
lo spirito vital de la mia pace.
Da la grazia real così diviso
vidi tosto cessar l’ombra fugace
del vulgo, et al mio nome et al mio albergo
scorsi d’adulator volgere il tergo.
74Né d’umido vapore aura spirante,
né di rapido fiume onda corrente,
né d’arco sorian dardo volante,
né di torbido ciel folgore ardente
fugge tanto leggier come incostante
l’applauso popolar fugge repente
se manca l’aura che gonfiò le vele
per solcar de la corte il mar crudele.
75Da l’alte balze il peregrin caduto
il naufrago nocchier nel mar irato
sì misero non è come, perduto
il sublime favor, servo agitato.
Il tormento di Sisifo temuto,
la crudeltà di Cerbero spietato,
di Tantalo infelice il duro scempio,
d’un cortigian caduto è vivo esempio.
76Dunque, acerbo a me stesso e grave altrui,
risolvo abbandonar l’iniqua corte.
Vuol seguirmi Cortese, e quale io fui
vuole amico provar l’istessa sorte.
Per celarci ad ognun solo con lui
parto, e sola con noi vien la consorte
di Cortese, che avea d’amato pondo
con letizia comune il sen fecondo.
77Partiamo occulti e prendesi il viaggio
d’Estremadura a le natie contrade,
e schivando ogn’insidia et ogni oltraggio
usiamo ignote e disusate strade.
Ma il giudicio de l’uom, benché sia saggio,
non basta per fuggir ciò che ne accade
per decreto del Ciel, che rende vana
con l’immenso poter l’industria umana.
78Dopo vario camin giungemmo alfine
a i termini del regno, e già le sponde
si scorgono del Tago, e già vicine
lampeggiano l’arene e suonan l’onde.
Sorge del ricco fiume in su il confine
folta selva che loco in sé nasconde
opportuno a l’insidie, e qui ci aspetta
Filargone anelante a la vendetta.
79Questi, o per mezzo d’altri o per se stesso,
osservò la partita e la prevenne,
e, sue tacite spie mandando appresso,
costeggiando il sentier dietro ci tenne.
Quando poi vide il bosco ombroso e spesso
sovra il Tago vicin, lieto divenne,
et in loco opportun l’armi e gl’inganni
tese a la sua vendetta e a i nostri danni.
80Col seguace drappel corse improviso
e chiudendo la via guerra ci mosse.
Senza temer, senza smarrirci in viso
noi soffrimmo l’assalto e le percosse;
qual ferito di loro e quale ucciso
l’erbe intorno lasciàr tiepide e rosse,
ma contra tanti il nostro ardir non basta,
e l’uom col suo destino invan contrasta.
81Giacque dunque Cortese et ebbe il vanto
l’altiero Filargon de la sua morte,
e con stridi e con gemiti e con pianto
si dolse al caso rio l’egra consorte.
Non piansi io no, ma disperato intanto
mi spinsi a vendicar sì dura sorte
sovra un crudel, che nel guerrier caduto
vidi immerger più volte il ferro acuto.
82Non sofferse il codardo il giusto sdegno
e per la selva il corridor rivolse;
io seguii, d’ira acceso e d’odio pregno,
qual rapido levrier quando si sciolse;
già già l’arrivo e ’l fuggitivo indegno
che mi sente vicin, ratto si volse,
e di punta improvisa al lato manco
mi aprì l’usbergo e mi trafisse il fianco.
83Scorre la spada, ond’è minore il danno,
ma la mia sovra lui non scende in fallo,
che gli apre il seno e con mortale affanno
de la vita lo priva e del cavallo.
Morto il fellone, io di tornar mi affanno
verso il caduto amico e la via fallo,
poiché il bosco d’intorno ermo e deserto
mostra l’orme dubbiose e ’l passo incerto.
84Dopo lungo girar con vani errori,
giungo di nuovo al prezioso rio,
et a destra fumar tra densi orrori
veggo angusta capanna e là m’invio.
Qui vecchio pescatore, il qual di fuori
tessea piccole reti, a me s’offrio;
m’invita a riposar, grazie io gli rendo,
e l’invito opportuno accetto, e scendo.
85Quivi a curarmi io dimorai sin tanto
che una volta il suo giro empié la luna,
e quivi giunse un pastorello intanto
che narrò di noi duo l’aspra fortuna.
Narrò Cortese estinto e che, fra il pianto
e fra il dolor del parto, in su la cuna
la donna sua d’alta beltà dotata,
ch’io scorsi essere Alinda, era spirata.
86Al duro caso, a la novella acerba
piansi in me stesso e, del mio mal curato,
volli ancor de la mente egra e superba
curare i cieche affetti e ’l dubbio stato.
Dunque abbandono a l’aure, espongo a l’erba
l’armi e i desiri onde fui già turbato,
e di mia libertà contento e pago
parto dal pescatore e lascio il Tago.
87Inverso al mezzodì prendo la via
e scorsa la petrosa Estremadura
varco il fertile suol d’Andaluzia
e di Granata i colli e la pianura;
seguo il lito del mar verso Almeria,
e mi porgono qui stanza sicura
di valle opaca antri solinghi e foschi,
e qui mi fermo, abitator de i boschi.
88Qui dimorai più lustri, e de i verdi anni
piansi il tempo perduto e i ciechi errori,
e qui per ristorar gli antichi danni
comprai dal cor pentito altri dolori.
Qui conobbi del mondo i vari inganni
tra finte pompe e tra fugaci onori,
e mi sdegnai che per cagion sì vana
perda il fior de l’età la vita umana.
89Qui detestai di servitute acerba
le catene odiose e ’l giogo indegno,
e sospirai che signoria superba
doni a lungo servir premio sì degno.
Risi che un finto riso altri riserba
qual sicura promessa e certo pegno
di ventura felice, e non si avvede
che quel semplice riso è la mercede.
90Ruinosa viltà, legge insensata
stimar la servitù rara ventura,
seguir chi fugge e riputar beata
con premio incerto prigionia sicura.
La libertà, la libertà sì grata
che con tant’arte ogni animal procura,
solo a vendere in corte è l’uom avvezzo
a prezzo di dispetto e di disprezzo.
91Chi vago è de la gloria armi più tosto
la man robusta a soggiogare i regni,
chi brama le ricchezze in mar discosto
spinga in barbaro lito arditi legni,
e se tanto non val, viva nascosto
e i duri campi a coltivar s’ingegni:
l’empia corte è peggior de l’aspra terra,
del crudo mar, de la spietata guerra.
92Ma quanto fora meglio i gravi affanni
de la vita mortal sacrare a Dio,
che solo può cambiare i brevi danni
con gioie eterne e con miglior desio.
Così provai, così godei molti anni
lietamente sereno il viver mio,
né mai turbaro il mio tranquillo petto
avida cura, ambizioso affetto.
93Tale io vivea quando seguì vicino
al mio rozzo tugurio aspro duello,
in cui fu morto Odonte e con Osmino
Silvera, e da me tutti ebber l’avello.
Armonte et Altabrun, ch’egual destino
fea piegati languir, trassi al mio ostello,
dove con erbe varie a le ferute
trovai rimedio e diedi a lor salute.
94Risanati costoro e consolati
degli estinti compagni, io posi cura
di ridurre a concordia i cori irati
e di rendergli amici ebbi ventura.
De l’antica pietà quinci infiammati
ambi giuraro a l’assediate mura
guerra mortal tosto che in lor rinfranchi
il primiero vigor le membra stanche.
95Ciò provedean quando la turba ardita
depredando trascorse a la mia spiaggia,
da cui fatto prigion la vostra aita
liberate mi scorse a questa spiaggia.
Or godo, e più non curo a la mia vita
se da rigida parca il ferro caggia,
mentre veggo fiorir col pregio antico
vivo in sì bella prole il morto amico».
Ordauro svela che Elvira è figlia d’Armonte, Armonte la marita con Hernando (96-115)
96Mandò fuora per gli occhi un dolce pianto
mentr’ei parlava intenerito il core,
et ognun lagrimò da l’altro canto
di pietà, di allegrezza e di stupore.
Sorge et a i piè d’Elvira Hernando intanto
s’inginocchia, et a lei scopre il suo amore:
«Ecco Zoraida tua cangiata mira,
d’abito, non d’affetto, o bella Elvira.
97Già Zoraida creduta Hernando io sono,
di veste feminile Amor mi cinse,
e ’l tuo bel volto, a cui del cor fei dono,
sino in Granata a vagheggiar mi spinse.
Dunque concedi a l’ardir mio perdono,
poiché Amor la ragione assalse e vinse;
qual colpa non si dona e non si scusa
quando autor de la colpa Amor si accusa?
98Ma se pur non si appaga il tuo desio
e con mio danno a la vendetta aspira,
passami questo petto, ahi, che tem’io
più che il morir del tuo bel volto l’ira.
Smorza lo sdegno tuo col sangue mio,
sia pur crudel, ma non sdegnata Elvira;
uccidimi, ch’io vo’ che in me tu scocchi
il colpo da la mano e non dagli occhi».
99Così pregava il cavalier dolente;
stette attonita Elvira, indi rispose:
«Io perdono al tuo ardir, poiché egualmente
a somigliante ardire Amor mi espose.
Non prometto rimedio al foco ardente,
poiché note ti son le fiamme ascose,
onde lunga stagion fedele amore
consecrato a Consalvo arde il mio core».
100Fine avea posto al favellare appena
la donzella real ch’oltre si spinse
Ordauro, e palesò mirabil scena,
e d’Elvira il natal chiaro distinse:
«Mirate, » egli gridò «nuova catena
che di vari accidenti il fato strinse;
udite chi sia Elvira e di chi nacque»,
egli seguì parlando et ognun tacque.
101«Nacqui in Granata et Ulaman fui detto,
fra l’empia legge di Macon nudrito;
ne la corte reale ebbi ricetto,
servo de la reina e ben gradito.
Questa mi conservò tenero affetto,
perch’io d’una sua ancella era marito,
che a la figlia di lei, ch’unic’avea,
le mammelle nutrici allor porgea.
102Col favor di Maurinda il grado ottenni
di capitano, e scelto a varie imprese
tal mi mostrai che grato al re divenni,
e recai lode a chi mi fu cortese.
Un dì fra gli altri a depredare io venni
del chiaro Beti il fertile paese,
e penetrai dove il bel fiume inonda
i campi ameni a Cordova feconda.
103Quivi trovai con duo guerrieri a lato
un giovane scudier detto Averardo,
che una bambina involta in drappo aurato
con affetto portava e con riguardo.
Corsi a la preda e riversai sul prato
morti i guerrieri, indi girai lo sguardo
a lo scudier, che a la vallea vicina
frettoloso fuggia con la bambina.
104Io lo sieguo e lo sgrido, e in mezzo al tergo
di lui, che non mi ascolta e non mi aspetta,
di una punta sanguigna il ferro immergo,
onde il misero cade in su l’erbetta.
Ma prima che abbandoni il caro albergo
l’anima fuggitiva, ei la diletta
bambina mi raccomanda, e del suo stato
l’origine mi narra e spira il fiato.
105Narrò ch’era la tenera innocente
d’Armonte d’Aghilar prima figliuola,
che su il Beti a diporto iva sovente,
tacque, e mancò lo spirto e la parola.
Io prendo la fanciulla e con mia gente
sieguo la via ch’è più remota e sola,
torno in Granata e la mia cara moglie
con singulti e con lagrime mi accoglie.
106Attonito io rimango, essa ripiglia
il pianto, e la cagion narra e sospira;
narra ch’essa dormendo avea la figlia
affogata del re chiamata Elvira.
La pietade e ’l timor tosto consiglia
che del re, di Maurinda io fugga l’ira,
vo’ che si taccia e che succeda finta
la bambina captiva a l’altra estinta.
107Scopro dunque il successo a la consorte,
che si consola e applaude il mio disegno.
Così fusti nudrita a maggior sorte,
et erede crescesti unic’al regno.
Lieto io vivea, ma ne l’iniqua corte
non ritrova quiete umano ingegno:
sorse a turbare il mio tranquillo stato
de l’Invidia maligna orrido fiato.
108Nacquero, di Granata ultimi danni,
fra Zegrindo e Abenzarre odii e rancori;
ognun sa quai sian stati i gravi affanni,
onde al foco civile arsero i Mori,
dunque vi tacerò quei che tanti anni
scossero il nostro impero alti furori,
e solo vi dirò quel che appartiene
a la propria cagion de le mie pene.
109Fra i tumulti di corte io, che pendea
dal favor di Maurinda, al re dispiacqui,
e ne diè segno, e de la turba rea
al disprezzo comun tosto soggiacqui.
Intanto inevitabile io vedea
la mia ruina e a l’odio altrui compiacqui;
volli ceder, fuggendo in altro loco,
de la guerra civile al nuovo foco.
110Deliberai di satollar l’invidia
con volontario esiglio a ciel remoto;
lascio dunque Granata e vèr Numidia
del viaggio incamino ogni mio voto.
Ma poco andai che con occulta insidia
un drappel di cristiani in sito ignoto
mi fa prigione, e con molti altri io sono
al valoroso Armonte offerto in dono.
111Egli, ch’è lor signore, il dono accetta,
e me fra tanti a i figli suoi destina,
e tal mi adoperai che il frutto aspetta
d’una rara virtù mia disciplina.
Quinci a lasciar la mia fallace setta
benigna m’ispirò grazia divina,
e del nome e de l’animo cangiato
presi il battesmo e Ordauro io fui chiamato.
112D’Armonte poscia al favellar compresi
ch’ei de la finta Elvira è il padre vero,
e lo scudier cui diedi morte intesi
ch’era Averardo, e ch’era suo scudiero;
ma sì cruccioso Armonte e tale attesi
avido di vendetta il suo pensiero
contra chi la bambina avea rapita,
ch’io tacqui sospettando a la mia vita.
113Tacqui sinché per vie non mai credute
oggi veggo spuntar sorte migliore,
onde convien ch’Elvira mia trasmute
in affetto fraterno il primo amore.
Voi godete, e donando a me salute
concedete perdono al vecchio errore;
errai, è ver, ma con ragion vi chiede
perdono il mio servire e la mia fede».
114Così Ordauro favella, et a i suoi detti
applaudono con voci allegre e pronte,
e ’l generoso Armonte avendo stretti
i figli al sen, piange e li bacia in fronte.
Quinci Hernando a gli amorosi affetti
bramoso di recar conforto Armonte,
prende lui, prende Elvira e in lor si affisa
ebbro di gioia, e parla in questa guisa:
115«O d’amor, di fortuna incliti pregi
ecco il premio devuto a i vostri affanni;
Godete, amati sposi, e gli avi egregi
rinovate a domar mostri e tiranni.
Tu dopo varie insidie, aspri dispregi,
Ordauro, godi i tuoi felici inganni,
onde la figlia mia da te rapita
con ventura miglior serbasti in vita».
L’eremita profetizza glorie militari a Consalvo in Italia e a Hernando nel nuovo mondo (116-126)
116Tale Armonte ragiona, e fu raccolto
con applauso il parlar da gli ascoltanti,
che a l’interna allegrezza il fren disciolto
liete nozze auguraro a i quattro amanti.
Intanto l’eremita acceso in volto,
negli atti maestoso e ne i sembianti,
da lo spirto profetico agitato
con voce più che d’uom rivela il fato:
117«Godete alme felici e generose,
crescano co i vostri anni i vostri onori,
e, in paragon de le future cose,
siano i Mori distrutti opre minori.
Già sento celebrar l’armi famose
con applauso comun degni scrittori,
e già risuona ogni remoto lido
di Consalvo e d’Hernando al chiaro grido.
118Già vinti i Mori io veggo armati legni
guidar Consalvo a le provincie argive,
e quivi liberar da i traci sdegni
di Samo e di Corfù l’antiche rive.
Veggo poi che tornato a i patri regni
nuova cura maggiore il re gli ascrive,
per sollevar dal gallico nemico
di Partenope bella il regno amico.
119Ecco vince i baroni in fier conflitto
e gli prende a Laino e gli riserra,
con poche genti ecco opportuno invitto
Consalvo lungo assedio in debil terra.
Cresce quivi la peste e manca il vitto
e pur sostien la disperata guerra,
esce, e ridotto a general battaglia
l’esercito francese apre e sbaraglia.
120Cedono i Franchi e al vincitor guerriero
Partenope s’inchina e in sen l’accetta,
e d’ogni parte al fortunato impero
piegar l’alta cervice ognun si affretta.
Risolve intanto il re de i Galli altero
far di sì gravi ingiurie aspra vendetta,
e da varie provincie apparecchiata
a i danni di Consalvo invia l’armata.
121Si oppone al suo furor l’ardito ispano
e gli contrasta il periglioso ponte;
si arma la pioggia e si arma l’aria invano,
de la terra e del ciel supera l’onte.
Veggo tinto di sangue il Garigliano
quando a pugna campal vengono a fronte,
e veggo sparsi de li estinti Galli
i cupi gorghi e le profonde valli.
122Vince Consalvo e stabilisce il regno
al gran Ferrando entro l’Ausonia sede,
e ’l domino di Sessa in chiaro segno
del suo merto a Consalvo il re concede.
Nasce da lui raro lignaggio e degno
del suo valore, e del suo stato erede,
che di Sessa e del Pliego i nostri egregi
in duo rami diviso orna di pregi.
123Tal di Consalvo a la virtù crescente
applaude Italia e gode Europa lieta,
mentre a l’inclito Hernando in Occidente
l’Inferno altre vittorie indarno vieta.
Di stranio ciel, di sconosciuta gente
Hernando scoprirà l’ultima meta,
e del vasto ocean vinti gli sdegni
pianterà nuove palme in nuovi regni.
124Già scende in terra e già trionfa Hernando
di nazione indomita e feroce,
e cede al suo consiglio et al suo brando
de l’India estrema ogni remota foce.
De la Spagna colà regna il comando,
adorata colà regna la croce;
doma il forte guerrier con varie stragi
mostri perversi e popoli malvagi.
125A la virtù d’Hernando invano oppone
il Messico superbo acque stagnanti,
e l’indico tiranno invan dispone
arcieri ignudi e machine vaganti.
Tutto abbatte e distrugge il gran campione,
vince le belve e supera i giganti,
i canibali espugna e a terra spande
di sacrilega mensa empie vivande.
126Porta di quell’immensa ignota terra
ne le viscere poi le sue bandiere,
di false deità gl’idoli atterra,
scopre d’ampi tesori alte miniere.
Prudente in pace e valoroso in guerra,
introduce colà nuove maniere,
di nuove leggi e di quel grande acquisto
dona i regni a la Spagna e l’alme a Cristo.