ARGOMENTO
De i fuggiti guerrier frangonsi i legni
e ’l vanto è ascritto al perfido Idragorre;
et altrove del mar fra i salsi sdegni
al gran Colombo il divo ispan soccorre.
Trova questi campion famosi e degni
mentre le strade ondose ardito ei corre;
del conquistato mondo apre i successi,
e s’accinge a partir lieto con essi.
Idragorre genera una tempesta per impedire a Colombo di completare il viaggio di ritorno, la quale fa perdere ai cavalieri le proprie navi ormeggiate (1-13)
1Qui tacque il vecchio et ammirò ciascuno
il suon de le profetiche parole,
e riveriro il secolo opportuno
destinato dal Cielo a tanta mole.
Cede intanto la luce a l’aer bruno,
e si aspetta al viaggio nuovo sole;
ma la notte, che vien torbida e smorta,
in vece di riposo orrore apporta.
2Ombre funeste e nuvole sanguigne
spargono di terror gli aerei campi,
sfondano il verde bosco auree maligne,
rumoreggiano i tuoni, ardono i lampi.
D’impressioni orribili e ferigne
par che la terra gema e l’aria avvampi.
Strepitosa dal ciel la grandin piomba,
il vento mugge e l’isola rimbomba.
3Attende ognun da la futura luce
al gelido timor qualche ristoro,
ma sorge il sol turbato e sparsi adduce
di fiamma sanguinosa i raggi d’oro.
Con incerto splendore il dì riluce
e in vece di conforto offre martoro,
poiché rotti de i venti a i fieri sdegni
sovra l’onde vagar scorgono i legni.
4Il sublime navilio erra sdruscito
il lacero battel giace disperso,
dopo che l’uno e l’altro urtò nel lito
dove gli spinse il turbine perverso.
Chiusi dunque da pelago infinito
con le navi sospirano sommerso
il varco de l’uscita e non avanza
del bramato viaggio altra speranza.
5Mentre tacito langue ognuno afflitto
l’eremita favella al ciel rivolto:
«Signor, Tu che del barbaro d’Egitto
il popol d’Israelle al giogo hai tolto,
quando fu per sentier da te prescritto
col piede asciutto in mezzo al mar raccolto,
dove poi ritrovò sepolcro acerbo
con l’esercito audace il re superbo,
6Tu da questa prigione, in cui ne serra
de l’immenso ocean la torbid’onda,
oggi de la bramata esperia terra
noi riconduci a la nativa sponda.
Spagna dopo sì lunga atroce guerra
de la sua libertà la speme fonda
in questi, al cui valore è riserbato
del regno saracin l’ultimo fato».
7Mentre così pregava, il ciel si aperse,
e ’l vecchio rimirò per l’aria erranti
d’esercito infernal turbe diverse
che sossopra volgean l’onde spumanti.
Quivi l’empio Idragor primo scoperse
movere i nembi e i turbini sonanti,
e l’udì stimolar con queste voci
a l’opre inique i demoni feroci:
8«I nembi armate, i turbini movete,
lacerati e dispersi errino i legni,
che da queste del mondo ultime mete
ponno questi condurre a i patri regni;
ma né ciò valerà, se non tenete
che non giunga a turbare i miei disegni
il ligure Colombo, il quale il volo
stese a domar lo sconosciuto polo.
9Mirate: là vittorioso ei riede,
scorso il barbaro clima e ’l mar profondo,
portato il culto e la cristiana fede
con leggi peregrine al nuovo mondo.
Gode il Ciel di sue glorie e di sue prede,
e noi dannati al tenebroso fondo
oziosi miriam l’autor primiero
di tante alme rapite al nostro impero?
10Soavi odori e morbidi profumi,
splendidi simulacri, eccelsi altari,
lucide gemme e preziosi lumi
tanto nobili qua quanto più rari,
placide leggi e candidi costumi,
questi semplici più tanto più cari,
tolse dal nostro culto e fa ritorno
riportando a la Spagna il nostro scorno.
11S’egli qua giunge, e se ne trae costoro
fatal rovina a le città pagane,
quale avanza a Granata altro ristoro
contra le numerose armi cristiane?
Se poi cade soggetto il regno moro,
quale impero e qual tempio a noi rimane?
Potremo tollerar che regni Pluto
fallita maestà senza tributo?
12Ah no, poco ne giova, o miei diletti,
che già ne la prigion di Belsirena
e qui fossero poi questi ristretti
se il ligure nocchier seco gli mena.
Su dunque, raddoppiam l’ire e i dispetti,
perano i regni audaci in questa arena;
quei che mossero a Dio fiero contrasto
or d’un ligure van temono il fasto?».
13Così parlando a gli additati legni
i turbini eccitava e le procelle,
secondavano i venti i suoi disegni
e fean l’onde salir sovra le stelle.
Già cedeano le navi a i fieri sdegni
quando contra le turbe orride e felle
scoperse l’eremita in bianca veste
stringer la spada un cavalier celeste.
San Giacomo placa la tempesta: giunge a riva Colombo che narra ai presenti del suo viaggio (14-91)
14Questi, ch’è di Galizia Apostol santo,
la turba acherontea minaccia e grida:
«Ancora al Ciel con temerario vanto
vostro furor di contrastar confida?
Tornate, iniqui, a la città del pianto,
nel foco eterno e ne l’eterne strida;
non mostra il vostro caso e non v’insegna
come fulmina Dio quando si sdegna?».
15Così dicendo il cavalier percote
con la spada fatal gli empi demoni,
che abbandonando le celesti rote
piomban d’abisso a l’orride prigioni.
Quindi placido il mar non più si scote
al superbo furor degli Aquiloni,
ma del fulmine invece e del baleno
ride il sol luminoso in ciel sereno.
16Fuggono i nembi Zeffiro rimane,
l’onda tranquilla e l’aria lieta appare,
accompagna il gran Dio l’armi cristiane
e grida il vecchio a vision sì rare:
«Ecco da rive incognite e lontane,
vinto l’Inferno e soggiogato il mare,
porta il nostro Colombo, Ercol secondo,
le ricchezze e i trofei d’un nuovo mondo.
17Ecco il Tifi maggior, l’Argo novella
spinta dal cielo amico al nostro lido,
che malgrado de l’orrida procella
potrà noi ricondurre al patrio nido».
Tale il saggio eremita altrui favella,
et innalzano tutti un lieto grido
mentre veggono al lito avvicinarsi
del ligure Colombo i legni sparsi.
18Corron dunque a la riva, in cui già scende
de l’oceano il domator guerriero,
e Armonte d’Aghilar le mani stende,
l’invita e ’l nome suo chiama primiero.
Quei, commosso a tal voce, il cor sospende,
e fisando lo sguardo al cavaliero
a i segni certi e a le fattezze conte
torna in se stesso e riconosce Armonte.
19Né lui sol, ma ravvisa a i nostri segni
Consalvo et Altabrun, ch’ei visti avea
sotto Granata allor che l’armi e i legni
per l’impresa fatale al re chiedea.
Prima stupì, poiché gli eroi più degni
del gran campo cristiano ivi scorgea,
indi si appressa e al merto lor devuti
rende con pari amor grazie e saluti.
20Congiungono le destre, e rinovati
a vicenda fra lor gli abbracciamenti,
fastiditi del mar sono invitati
dal lito ameno a riposar le genti.
Quivi paghi del cibo e ristorati
prima distingue Armonte i propri eventi,
indi sorge Colombo e altrui palesa
il suo lungo viaggio e l’alta impresa:
21«Poiché gli ordini appresi e poiché tolto
de i cattolici regi ebbi commiato,
in Palo io mi trattenni, ove raccolto
de le mie navi era lo stuolo armato.
Qui, pria che il sole luminoso volto
da le rive del Gange avesse alzato,
del mio partir nel destinato giorno
mi apparve in sogno un giovanetto adorno.
22D raggi adorno e di purpurea veste
scote dorate piume, e in lieto aspetto
così parlando il giovane celeste
m’empie d’alta speranza il dubbio petto:
– Scaccia, amico, i timori e le tempeste
che sinor ti agitàr con vario affetto;
non errò tuo pensier quando ha creduto
di trovar nuovo mondo e sconosciuto.
23Quel corpo, che universo il vulgo chiama,
e che l’acqua e la terra in sé comprende,
forma una sfera a cui l’antica fama
due poli consegnò con cinque bende.
Finse alcun per frenar l’umana brama
che il mondo quindi agghiaccia e quinci incende,
onde sotto i duo poli e l’equatore
o non vada o non viva abitatore.
24Ma falsa è tal sentenza e falso è il grido
de la gelida zona e de l’ardente:
vuol la Somma Bontà che in ogni lido
sia fecondo il terren, viva la gente.
Circonda de l’aurora il mare infido
il globo universale a l’Occidente,
e nel mondo non è strana contrada
ove l’uom non alberghi, ove non vada.
25Con vario corso il lusitano ardito
già scoprì l’Oriente, e resta solo
che verso l’Occidente a l’altro lito
tu spieghi adesso il fortunato volo.
Così il globo terren sarà compito,
così fia palesato il nuovo polo.
Misura i gradi e le distanze osserva,
vedrai che terre immense il mar riserva.
26De l’atlantica terra ancor si ascolta
un debil suono a la presente etade,
e che un tremoto avendo l’acqua sciolta
fece mar divenir quelle contrade;
dal cupo oblio fu la memoria tolta
di quell’estreme e procellose strade
che possono guidare ad altri regni
sottoposti a l’Occaso i vostri legni.
27Nel trigono de l’acqua è già congiunto
con massima union Saturno e Giove,
et in sito partil mostrano il punto
che mostra usanze ignote e terre nove.
Forse al mondo lunar tanto disgiunto
fia che l’uomo il commercio un dì ritrove:
vuol Dio ch’ogni secreto, ogni arte, ogni opra
in secoli diversi a l’uom si scopra.
28Lo spazio che sinora è sconosciuto,
fia pari di grandezza al vostro mondo;
quivi di gemme e d’or largo tributo
porge d’ampi tesori il suol fecondo.
Vanne, io son l’angel tuo, che reco aiuto,
non temer l’empia Dite e ’l mar profondo.
Vanne, soffri, confida: a la tua gloria
nuovo mondo rimbomba e nuova istoria -.
29Qui tacque e sparve, e me lasciò ripieno
di piacer, di speranza e di stupore.
Sorgo e parlo a i compagni e sprono il seno
con stimoli di gloria a nuovo onore.
Spirano aure tranquille in ciel sereno,
solcano il cupo mar l’ardite prore,
fugge il lito di Spagna e solo appare
il mar del cielo e ’l ciel confin del mare.
30Per l’immenso ocean drizzano il corso
le navi a la sinistra, e si perviene
a l’isole Canarie, ove soccorso
di fresche acque prendiam da fresche vene.
Quinci veggiam d’un alto scoglio il dorso
che versa fiamme in su le trite arene,
de l’arsa Tenerife, onde altri crede
ch’indi si cali a la tartarea sede.
31De la vergine Astrea varcava il sole
con l’alata quadriga i primi segni,
quand’io, lasciate le Canarie sole,
presi il viaggio a i desiati regni.
Di quel vasto ocean per l’ampia mole
a l’acquisto fatal volano i legni,
e s’internano ognor le vele ardite
fra l’ignote voragini infinite.
32Nullo aspetto di terra a noi rimane,
occupa l’orizzonte o il cielo o il mare,
d’orrida morte infra quell’onde inane
fiero teatro a i naviganti appare.
Mirano ad or ad or le plaghe ispane
quanto remote più tanto più care
gli smarriti compagni, e loro avanza
di salute e d’onor poca speranza.
33De i gradi de la vergine celeste
entrò ne la Bilancia il sol cadente,
né terra apparve onde vie più moleste
cure agitàr la sbigottita gente.
Freme, e par che a fatica ella si arreste
di sfogar contra me l’impeto ardente,
e già mi accusa il publico timore
de la morte comun perfido autore.
34Io tento di frenar l’impeto insano
con sensi vari e con ragion diverse,
e di ricco tesor con larga mano
prometto i premi a tante prove avverse.
Mentre ognun sospirava, ecco lontano
verde prato nel mare a noi si offerse;
gode ognuno a tal vista e spera ognuno
di fecondo terren lito opportuno.
35Ma fatti più vicini appar che l’erba
svelta dal lito era dal mar portata,
onde fassi maggior la pena acerba
ne la timida gente addolorata.
Quindi freme, minaccia e disacerba
con mordace parlar la mente irata,
e de le sue querele e del suo sdegno
divenuto son io ludibrio e segno.
36Ma già l’Inferno a danno mio prepara
novelle insidie e, congiurati, i venti
da le tetre caverne escono a gara
e gonfiano del mar l’onde crescenti.
Già si offusca nel ciel l’aria più chiara
se non quanto risplende a i lampi ardenti,
fulmina e piove e già confonde il loco
l’orribile procella a l’acqua e al foco.
37Guerreggiando col mar l’aria perversa
questa con un diluvio e quei con l’onde,
turba i vari pensier cura diversa
e ’l periglio comun tutti confonde.
Stillato in pioggie il ciel in mar si versa,
il mar co i flutti urta del ciel le sponde,
parve allor che da i venti in aria alzate
navigassero il ciel le navi alate.
38Fra sì vari perigli e in mezzo a quella
fiera tempesta alzo la mente a Dio,
e l’imploro a frenar l’alta procella
con umil voce e cor devoto e pio.
Vidi allor fiammeggiar lucida stella
che l’onde abbandonò, l’aure addolcio,
e quasi in pegno di futura pace
dal ciel cadde nel mar un’aurea face.
39Cedono i flutti a lo splendor celeste
che a i venti procellosi impone il freno,
e i turbini fuggendo e le tempeste
lasciano il mar tranquillo e ’l ciel sereno.
Ma che, se foche immense, orche funeste
sorgono contra noi dal cupo seno?
Balene e tiburoni e ciò che serra
Proteo di mostruoso a noi fa guerra.
40Spezzano i remi, assalgono i nocchieri
gli orridi mostri, e rodono le navi,
et urtano d’intorno ingordi e fieri
il nodoso timon, l’ancore gravi.
Parmi ancor di veder Lurgo e Rinieri
che i legni risarcian da i colpi gravi:
al primo un tiburon tronca una mano,
l’altro un’orca inghiottì ne l’oceano.
41A sì rigidi assalti, a sì diversa
forma di guerra ognun paventa e teme,
ma sol io con la mente a Dio conversa
ne l’imagine sua fondo mia speme.
Questa di sangue in dura croce aspersa,
questa che adora il Ciel, l’Inferno teme,
questa alzata da me sovra quei mostri
gli rispinge del mar ne i bassi chiostri.
42Fuggon le belve e prende alcun ristoro
la gente afflitta, affaticata e stanca,
ma breve è tal conforto appo costoro,
tosto scema l’ardir che gli rinfranca.
Manca il vigor, mancano i cibi a loro,
varia la calamita, e se non manca
il noto polo, almeno pigra e tarda
con dubbiose vicende incerta il guarda.
43Allor fu che occupò l’animo afflitto
del popolo confuso alta paura;
già siam noi senza forze e senza vitto,
già ne sembra fuggir la Cinosura.
Dispera ognun, sol io mi serbo invitto,
poiché l’angel di Dio mi rassicura,
spero, vinti i disagi e le procelle,
vincere i mari e dominar le stelle.
44Ma non sperano gli altri, anzi ciascuno
contra me volge l’ire e i detti arrota,
contra me fremon tutti e vuole ognuno
che lo sdegno di tutti in me percota.
Il timor di naufragio e di digiuno,
di mar sì vasto in regione ignota
fa che a mio scherno in minacciosi detti
sfoghi il vulgo adirato i chiusi affetti.
45Dunque dicean: – Per saziar d’uom vano
il mal fondato ambizioso istinto
fra gli abissi del torbid’oceano
ha da restare il popol nostro estinto?
Sotto incognito clima, in mar lontano
il nocchier temerario ecco si è spinto:
or che farà, famelico e confuso,
se del polo e del mar perduto ha l’uso?
46Questi sono gli acquisti e le venture
che al re promise? e noi seguirlo ancora?
E noi lasciam che nel suo imperio ei dure?
Chi si perde per lui dunque l’onora?
Deh, perisca l’autor di tai sciagure,
del suo popolo invece egli sol mora;
si sommerga nel mar, se stesso incolpe,
nacquer del mar castighi, il mar sue colpe.
47Direm che nel mirar le stelle e i segni
in cui si aggira il portator del giorno,
incauto sdrucciolò ne i salsi regni
pria ch’aita recasse alcun d’intorno.
Quinci, salvi noi stessi e salvi i legni,
a le rive natie farem ritorno,
altro non resta in così estrema sorte
che comprar mille vite in una morte -.
48Con tai detti accendean gli animi audaci
a muover contra me l’armi rubelle;
io pien d’alte speranze e di vivaci
grazie, espongo me stesso a tai procelle:
– Deh (gridai), qual furore, o miei seguaci,
la prudenza e la fé dal cor vi svelle?
Qual nube di follia la mente oscura?
Chi vi spinge, infelici, a tal congiura?
49Quella fé che a gli ebrei da rozze cote
acque vitali a gli arsi labbri asperse,
quella fé che del sol fermò le rote
e la vittoria a Giosuè scoperse,
quella può voi condurre a terre ignote,
fra l’onde procellose e l’aure avverse.
L’àncora de la fede immobil reste,
né si temano i mostri e le tempeste.
50Se fusse la mia vita oggi bastante
a comprar tante vite, io da me stesso
vorrei precipitarmi al mar sonante
e farmi autor di prospero successo.
Ma chi sarà che regga voi fra tante
varie procelle, ov’io rimanga oppresso?
Chi de i venti, del mar, del ciel ignoto
conosce l’influenze, i siti e ’l moto?
51Ma concedo che siano amici i venti,
tranquillo il mare e che torniate in corte:
il re non crederà gli strani eventi
che fingeste fra voi de la mia morte.
Vorrà con le promesse o co i tormenti
il vero penetrar de la mia sorte,
e punirà quel barbaro pensiero
che a me la vita, a lui scemò l’impero.
52Meglio fia dunque avventurarsi a l’onde
che provar del re nostro il certo sdegno.
Del paese fatal le care sponde
io già scorgo vicine a più d’un segno;
mirate quegli augelli e quelle fronde,
colà vaganti entro l’ondoso regno:
questo è certo argomento e mai non erra
che non lungi di qua sorge la terra.
53E che terra? Ivo l’ostro, ivi gl’incensi,
ivi nascon gli amomi, ivi gli odori,
e difendono sol quei regni immensi
pochi, timidi e inermi abitatori.
Vedrete come largo il ciel dispense
al felice paese ampi tesori;
il mar di perle, i rivi e le maremme
risplendono colà d’oro e di gemme.
54A che dunque temer? Duriamo, amici,
me stesso a tanti rischi anch’io confido,
Ecco tranquillo il mar, l’aure felici
ecco vicin l’avventuroso lido.
Venti contrari e turbini nemici
non ci ponno vietare il fatal nido;
duriam, non ha l’Inferno o la fortuna
su la nostra virtù possanza alcuna -.
55Così tentai con providi consigli
del lor cieco timor fermare il corso,
ma la ragion confondono i perigli
e ricusa la fame ogni discorso.
Non appare argomento onde si pigli
speranza di salute e di soccorso,
e ci stimola ognor senso importuno
di voglia, di sete e di digiuno.
56Quando tale io mi vidi, a Dio mi volsi,
e in brevi detti i miei desiri esposi:
– Signor, questi a patria io primo tolsi
et immense ricchezze a lor proposi;
io spirato da te, primo rivolsi
queste lacere vele a i regni ascosi:
o Tu, Signor, mi scopri il nuovo polo,
o salva gli altri e fa che mora io solo -,
57dissi, e quasi che siano i nostri affetti
favoriti nel Ciel da Re sovrano,
tosto volàr duo candidi augelletti
su la mobile antenna a destra mano.
Questi sgorgando armoniosi detti
tempràr con lieto augurio il duolo insano,
e predissero altrui ch’indi non lunge
la terra, onde volàr, il mar disgiunge.
58Preso da tale augurio alcun ristoro
vediam che rosseggiando il dì cadente,
e che d’altri augelletti allegro coro
cantando raddolcia l’afflitta mente.
Fermiamo il corso insin che i raggi d’oro
spieghi per l’orizzonte il sol nascente,
e con animo vario attende ognuno
che succeda la luce a l’aer bruno.
59De la somma Bilancia il sol correa
del temperato segno inverso il fine,
e dopo otto carriere entrar dovea
del lucido Scorpione entro il confine,
allor che di Titon la bella dea
le bramate scoprì terre vicine.
Vaga è la spiaggia e i riguardanti invita
d’odoriferi fior l’erba vestita.
60Di tenerezza e di piacer discese
a ciascun per le guancie un lieto pianto,
e ciascun con le palme al ciel distese
di Galizia adorò l’Apostol santo.
Quinci rendono a me de l’alte imprese
con vario applauso il fortunato vanto;
tutti accordano i detti a mio favore,
tutti accusano umili il lor timore.
61Da varie parti in su l’amena riva
concorse intanto il popolo straniero
per osservar chi sia colui che arriva
e qual sia la sua patria e ’l suo pensiero.
Pende al color de la matura oliva
de gl’inculti abitanti il volto nero;
sono essi ignudi et agili e robusti,
hanno da i caldi raggi i corpi adusti.
62Sovra lieti battelli andammo al lito,
e su il caro terren giunti in breve ora,
lagrimando di gioia intenerito
ognun bacia la riva e ’l Cielo adora.
Con lieta pompa e con solenne rito
il possesso real prendesi allora,
e ’l governo de l’Indie a la mia cura
conferma il vulgo e fedeltà mi giura.
63Seguendo gli abitanti il chiaro esempio
a l’ispanico re giurano omaggio.
Io dopo alzo una croce e fondo un tempio
a memoria immortal del gran passaggio;
quivi rendo grazie e i voti adempio
del nuovo mondo e del fatal viaggio.
Concorron gl’indiani e mansueti
osservano di Dio gli alti secreti.
64Lungo sarìa s’io raccontar volessi
di quei regni idolatri ogni costume,
basta saver che in breve a lor porgessi
de la fede cristiana il vero lume,
e sol breve dirò ch’ivi scorgessi
d’oro folgoreggiar gonfio ogni fiume,
e che ne i monti preziosi e fini
i diamanti lampeggiano e i rubini.
65L’aria è salubre e temperato il sole,
misto al florido april ride il settembre,
onde i pomi congiunti a le viole
primavera d’autunno altrui rassembre.
Donne sincere in semplici carole
mostrano senza colpa ignude membre;
il vizio non alberga in mente pura
a cui norma di legge è la natura.
66Producono le piante amomi e incensi,
nutre porpore e perle il ricco mare,
con fortunata messe i campi immensi
danno miniere preziose e rare.
par che prodigo quivi il Ciel dispensi
ciò che scarso e diviso altrove appare;
con felice stagion la terra serba
vaghi i fior, dolci i frutti e verde l’erba.
67Mentre io godea di quel paese ameno
le delizie e i tesori, arriva al lito
gente armata di freccie e di veneno,
che move guerra esercito infinito.
Senza fé, senza legge e senza freno
corre a libere prede il vulgo ardito;
sono detti Caribi, e a’ loro insulti
lasciano gl’Indi imbelli i campi inculti.
68Contra costoro a sollevar gli oppressi
impugnai l’armi in general conflitto,
ruppi l’orgoglio e l’impeto repressi
e tolsi al giogo indegno il vulgo afflitto.
Io primo de i Caribi il duce oppressi,
con duo ferite in mezzo al sen trafitto;
mossa la gente mia da tale esempio
fe’ del barbaro stuolo orrido scempio.
69Vinti appena i Caribi accese i cori
de gl’Indiani a i nostri danni Aletto,
onde per rintuzzare i lor furori
fui di pugnar, d’incrudelir costretto.
S’inchinaro umili i perditori,
e per legge accettaro ogni mio detto,
e fu mio vanto in sì remota sede
stabilire il battesmo, alzar la fede.
70A la riva del mar poco lontana
d’alta rocca fondai poscia le mura,
e con altri lasciai Diego d’Arana
che del loco difeso abbia la cura.
Quinci, scorsa la terra, a cui d’Ispana
il titolo preposi e la ventura,
io risolvo portar del memorando
successo i primi avvisi al gran Ferrando.
71Già spirano al ritorno aure seconde,
sciolgo dunque le vele e al mar mi fido,
e per le note vie supero l’onde,
si abbassa il porto e si dilegua il lido.
Già sparite del tutto eran le sponde
quando cangia tenore il vento infido,
che soffia da sinistra e alfin ci getta
fra le Sirti vicine a un’isoletta.
72Fremono l’acque intra le dense arene,
rugge il torbido mar quasi leone;
io corro e tronco l’arbore, ché tiene
più grave il legno, e modero il timone.
Chiamo poi Florimano, il qual ritiene
gran lode in osservar sito e stagione,
e gli commetto che da poppa ei tragga
il canapo, e la nave indi sottragga.
73Con altri duo sovra il battel salito
Florimano eseguir finge il mio detto,
ma rapido trapassa al vicin lito
e lascia me fra le seccagne astretto.
Io resto a la sua fuga instupidito,
né a la vera cagion reco l’effetto,
pur gli spirti raccolgo, uso l’ingegno
et alfin da le Sirti io tolgo il legno.
74Quinci tento girare al mar la prora
ma contrasta i disegni il vento avverso,
getto l’ancora e fo quivi dimora
duo giorni, e tra le Sirti erro disperso.
Nel terzo poi, con favorevol ora,
al bramato viaggio era converso,
quando sento lontano inverso il lido
chiamarmi a nome un lamentevol grido.
75Mi rivolgo a tal voce e Florimano
riconosco su il lito, il qual piangendo
piega il ginocchio, innalza al ciel la mano
e supplica vèr me così dicendo:
– Deh prendimi, o Signore, e l’oceano
o di me sazia o qualche mostro orrendo;
fugii, no ’l niego, io de l’error mi avveggoS | avvego,
non rifiuto il castigo anzi lo chieggo.
76Almeno avrò di vostra man la pena,
non da Furia infernal sarò punito -.
Queste parole avea distinte a pena
che fu non lunge alto romor sentito:
venia correndo in su la trita arena
fiero stuolo che d’urli empieva il lito;
avea la turba orribile e ferina
statura gigantea, faccia canina.
77A l’apparir di quella schiera orrenda
corse a tutti per l’ossa un freddo ghiaccio;
paventa Floriman, né sa qual prenda
via sicura a fuggir da tale impaccio.
Alfine in mar si getta et a vicenda
or allarga or restringe o piede o braccio,
e col nuoto e co i gridi, or sotto or sopra,
per giungere a la nave ogni arte adopra.
78Io, che veggio il suo rischio, a dargli aiuto
d’Alonso di Pinzon mando il battello;
vola il legnetto al giovene perduto
quasi rapido veltro o lieve augello,
giunge, e lo salva; intanto irresoluto
mira dal curvo lito il fier drappello
de l’insolite navi e de le genti
l’armature, i sembianti e gli ornamenti.
79Visto poi Floriman da me raccolto,
forma con grave sdegno un grido altiero,
al cui romor quasi leon disciolto
corre a la riva un uom selvaggio e fiero;
simile a gli altri avea canino il volto,
ma lo sguardo più crudo e più severo,
e la fronte sì eccelsa e così vasta
che qual monte fra i colli altrui sovrasta.
80Viste costui de i peregrini legni
l’armi novelle e le maniere ignote,
e visto Floriman tolto a i suoi sdegni
con un rauco latrato il ciel percote;
sin dal torbido abisso i salsi regni
si scossero a quel suono in varie rote,
tremàr gli scogli eccelsi e i liti cavi,
spumeggiàr l’onde e vacillàr le navi.
81- Fuggite Corficurbo il fier gigante -,
gridava Floriman pien di cordoglio,
– fuggite perché il mar non è bastante
dal suo sdegno a salvarvi e dal suo orgoglio -.
Tal ei gridava, e intanto il mostro errante
corse dove su il mar sorge un vivo scoglio,
che con l’eccelsa innaccessibil fronte
de le nubi e del mar supera l’onte.
82L’afferra il mostro, e con robusta mano
ad una scossa un’alta balza svelle,
e la scaglia vèr me, cui già lontano
allargavano in mar l’aure novelle.
Giunge il colpo vicin, ma cade invano,
rimbomba l’ocean, treman le stelle;
adirato Nettun rode la balza,
et a l’acque del ciel l’onda s’innalza.
83A simil vista attoniti e smarriti
restiamo alquanto, indi con remi e vele
fatti al moto più lievi e più spediti
lasciam la spiaggia orribile e infedele,
e quando poscia i mostruosi liti
spariti fur de l’isola crudele,
io chiesi a Floriman perché fuggisse
e ciò che poi gli avvenne, et ei mi disse:
84- In quel punto, signor, che fui diviso
col battello da te, subite larve
sorser nel lito, e con leggiadro viso
feminea schiera in su la riva apparve.
Questa con dolce sguardo e lieto riso
lusinghiera e soave a noi comparve,
e ci fe’ caro et amoroso invito
con vari cenni ad approdar su il lito.
85Io, stanco dal viaggio, amo il riposo,
volgo il battello e su la riva scendo,
mi lusinga il drappello insidioso
verso il bosco vicino il piè movendo.
Io m’invio co i compagni al bosco ombroso
ma con nuovo miracolo stupendo
giunti appena nel bosco in un momento
le donne ci sparìr qual nebbia al vento.
86Sparìr le donne, anzi le finte larve,
e noi lasciaro attoniti e delusi,
ma tosto altro spettacolo ci apparve
che ne rende più mesti e più confusi:
de i crudi mostri il fiero stuol comparve,
da cui nel bosco assediati e chiusi,
fummo presi e condutti a una caverna
che d’un monte nel baratro s’interna.
87Questo è l’orrido albergo ove dimora
Corficurbo feroce, ove rinchiude
i miseri prigioni a cui divora
le carni sanguinose e l’ossa ignude.
La turba ria lui per suo duce adora,
e seco a mense abominande e crude
pasce di sangue uman l’avida fame;
canibale si appella il vulgo infame.
88Io vidi ne la grotta, ahi fiera vista!,
d’uomini estinti orribile mistura;
pendea la carne affumicata e trista
di marcia e di fuliggine a le mura;
e vidi poscia, ahi quanto il cor mi attrista
così acerba memoria e così dura!,
da Corficurbo i duo compagni uccisi
e lui vidi inghiottire i membri incisi.
89Io vidi spumeggiare i labbri ardenti
di caldo sangue orribili e fumanti,
e palpitar sotto i voraci denti
vidi le membra tiepide e tremanti.
Di sì rigida morte a pari eventi
serbato io fui da i barbari giganti,
ma quando tutti eran nel sonno immersi
io la notte a la fuga il piè conversi.
90Fuggo, e dentro una selva al mar vicina,
taciturno e furtivo io mi nascondo,
e sostento la vita egra e tapina
d’erbe e di frutti, ond’è il terren fecondo.
Duo volte sollevò da la marina
il sole i raggi a dare il lume al mondo
mentre io stetti nel bosco, e ’l terzo io vidi
le navi costeggiar gl’infausti lidi.
91Signor, tu sai ciò che dipoi seguisse,
e come in questo legno ebbi ricetto -.
Qui tacque Florimano, e mentre ei disse
sospirai de gli estinti al fiero oggetto.
De le stelle vaganti e de le fisse
siegue intanto l’armata il noto aspetto,
e l’usato sentier corre veloce
verso l’Europa a la tirinzia foce.
Estasi dell’eremita, i cavalieri richiedono Colombo di portarli a Granata (92-95)
92Mosso ciascun da naturale istinto
anelava di Spagna il lito amato,
quando Aquilon d’orridi nembi cinto
fe’ le navi piegare al destro lato.
Scorsi verso il meriggio e alfin sospinto
in quest’isola io fui dal mar turbato.
Qui voi ritrovo et a voi tutti il resto
del mio arrivo in tal parte è manifesto».
93Tace il Colombo, e da furor divino
grida il buon vecchio in estasi rapito:
«Invano Ercole alzò segno vicino
de le antenne felici al volo ardito,
invano congiuràr flutto marino,
stranio ciel, dubbio vento, ignoto lito:
del magnanimo eroe tutto fa strada,
a la sorte, a l’ingegno et a la spada.
94Taccia d’Argo e di Tifi opre vulgari
la Grecia favolosa a tal paraggio,
e del Colombo a i titoli più chiari
non presuma agguagliar breve viaggio.
Questi ha l’onor di superare i mari,
questi vola del sole emulo al raggio,
e scopre con eterna altra memoria
gran campo, un nuovo mondo a la sua gloria».
95Così ragiona e stupido ciascuno
del ligustico eroe loda il successo,
e chieggono da lui modo opportuno
di ritornare al patrio suol con esso.
Quegli pronto il concede, e lieto ognuno
posò la notte e preparò se stesso
per seguire il viaggio allor che sorta
l’alba del nuovo dì faccia la scorta.