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Il conquisto di Granata

di Girolamo Graziani

Canto XXIII

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.02.15 15:13

ARGOMENTO
Giungono insieme i cavalier cristiani
de i regni iberi a i sospirati liti,
e son quivi da lor con modi umani
gli animi d’Alva e di Sidonia uniti.
Con lieto applauso il re gli accoglie, e strani
incanti di Granata ha poscia uditi:
Hernando per tentargli inviasi al monte,
gli vince, e con Alchindo uccide Orgonte.

Navigazione dei cavalieri: lungo le coste del Marocco vedono una grande armata (1-10)

1Sorse l’alba ridente e sparse intorno
con la candida man nembi di fiori,
e da l’uscio del Gange il carro adorno
trasser del biondo Apollo i corridori.
Del mar tranquillo e del sereno giorno
la dolce calma e i lucidi splendori
ciascun saluta, e grazie al ciel ne rende,
al lito corre e su le navi ascende.

2Il ligure guerrier ne la sua nave
de l’isola raccoglie il nobil stuolo,
gonfia gli sparsi lini aura soave,
striscia il concavo pin fra l’onde a volo.
Già la prora fatal che nulla pave
lascia le stelle onde si adorna il polo
in sembianza di croce, et onde i legni
hanno invece de l’orsa il lume e i segni.

3Trascorre il legno et a la destra appare
diviso in cinque foci il fiume Nero,
che de l’egizio Nilo emulo pare
di fortuna, d’origine e d’impero.
Varca duo promontori esposti in mare,
verde ha l’ultimo crin, rosso il primiero,
poi l’Esperidi scopre a la mancina,
in cui visse Medusa e fu reina.

4Di Perseo, che l’estinse, il chiaro grido
par che tra quelle genti ancor risuone,
e rimembrando ancor che quivi il nido
aveva già l’orribile Gorgone
passa la nave, e scorge al destro lido
l’ampie città che il glorioso Annone
edificò sovra la piaggia aprica,
di che vive appo noi la fama antica.

5Scorre per lungo spazio il lito adusto
ove albergano i neri abitatori,
e del Cancro celeste il curvo busto
trapassa, e le Canarie incontro a i Mori.
Qui, negli Elisi, il secolo vetusto
già finse eterni i frutti, eterni i fiori,
e queste isole amene e fortunate
stanze favoleggiò d’alme beate.

6Costeggia poi le tingitane arene
fertili d’elefanti e di leoni,
e vede che son d’uomini ripiene,
quai di lor cavalieri e quai pedoni.
Vede navi infinite e vòte e piene,
di timpani e di trombe ascolta i suoni.
Coprono i colli intorno e le riviere
diversi padiglion, varie bandiere.

7Un pescator, che in picciol legno uscito
tendea l’occulte reti a i pesci erranti,
disse ch’è quel l’esercito infinito
che il gran Seriffo avea raccolto avanti;
che aspettavano ancor da vario lito
di più remoti regni altri abitanti,
e che tutti raccolti andrìa l’armata
dal lungo assedio a liberar Granata.

8A tai novelle aura d’onore alletta
gli intrepidi guerrieri a l’alte prove,
quinci ognun de la nave il corso affretta
e la rapida ciurma il mar commove.
Volge a destra la prora e ’l vento aspetta
che da l’ultimo Occaso il fiato move;
spunta il legno ove l’Africa divide
da le rive di Spagna il mar d’Alcide.

9A l’apparir de le natie contrade
s’alza di mille voci un lieto grido.
Adora ognun la desiata Gade,
e saluta di Spagna il caro lido.
Varca di Zibeltar l’anguste strade
l’armata, e costeggiando il patrio nido
verso il betico sen col primo raggio
sovra il lito vicin ferma il viaggio.

10Sorge l’armata e il ligure campione
da l’eremita e da lo stuol seguace
prende commiato, e lor su il lito espone,
et ei cerca per sé porto capace.
Sceso intanto il drappel già si dispone
d’incaminarsi ove assediata giace
l’alta reggia de i Mori, et è lodato
il più breve camino e ’l più celato.

Tornando verso il campo pacificano il duca d’Alva e quello di Sidonia, che stavano venendo a duello (11-35)

11Fu il pensiero eseguito e la via presa
verso il campo cristian, né guari andaro
che in largo prato a singolar contesa
duo cavalieri in paragon trovaro.
L’ampio steccato ov’è la pugna accesa
da molti altri guerrier cinto miraro;
chiese Armonte fra lor da quai cagioni
siano spinti a battaglia i duo campioni.

12Rispose un di coloro: «I duo guerrieri
che pugnano colà sono i maggiori
che tra i più grandi osservino gl’Iberi,
per dominio, per sangue e per tesori.
Sidonia di colui serve a gl’imperi,
che ne l’armi vermiglie ha sparsi i fiori,
quell’altro è duca d’Alva, il quale ha inteste
verdi foglie di lauro in bianca veste.

13Questi sotto Granata allor che accese
fiamma civil l’esercito cristiano,
ebbero in varia guisa aspre contese,
presente il campo e innanzi al re sovrano,
né parendo quel loco atto a l’offese
partiro occulti e scelsero lontano
questo in sito opportun comodo prato
de i guerrieri litigi ampio steccato.

14Qui si sfidaro a singolar tenzone
per risparmiare i popoli soggetti,
e noi de l’armi eguali al paragone
siamo in numero egual giudici eletti.
Già l’ora è scorsa, e termine non pone
de i feroci guerrieri a i crudi affetti,
né si scorge vantaggio, onde si aspetta
di funesta battaglia egual disdetta».

15Così diss’egli, et ebbe appena udito
il vecchio pio quel che colui distinse
che ardendo in volto e dal suo zel rapito
si trasse innanzi e fra quei duo si spinse,
indi gridò: «Qual titolo mentito
di vana ambizion l’armi vi cinse?
E qual cieco furor vi persuade
nel vostro sangue a profanar le spade?

16Sacre sono le spade e sacro è il sangue,
voi, guerrieri di Dio, perché godete
il corpo lacerar di Cristo esangue
di cui parte migliori e membri siete?
Deh, che per vostra colpa il campo langue
mentre a danno comun l’armi volgete;
deh, con più lode a titoli più degni
movete, o cavalier, l’armi e gli sdegni.

17Voi, voi lucide stelle al ciel ispano,
voi del gotico sangue inclito seme,
nel cui senno il gran re, ne la cui mano
fondò l’impresa e stabilì la speme,
voi concedete al popolo cristiano
i vostri sdegni, e riunite insieme
l’ardite destre e i generosi cori,
ornamento di Spagna, orror de i Mori.

18Deh, la publica gloria in voi prevaglia
a le rise private, e più gradite
chiaro trofeo di general battaglia
che vendetta civil d’oscura lite.
Del giudicio vulgar non più vi caglia,
ma l’esempio degli avoli seguite,
ch’esposero i coltelli et a i perigli
per la fé, per la patria i propri figli».

19Così parla il buon vecchio, e ne i suoi detti
l’aura del Ciel sì dolcemente spira
che de i guerrieri a gl’infocati petti
spegne tosto l’orgoglio e smorza l’ira.
Poiché ne l’alme intiepidìr gli affetti
che l’odio accese, il duca d’Alva gira
lo sguardo a l’eremita et in quel punto
da lo spirto divin grida compunto:

20«O gran servo di Dio, tuo servo io sono,
cedo a publica causa odi privati;
giuro tornare al campo e giuro in dono
me stesso a l’alta impresa e i miei soldati.
A te, prode guerrier, chieggo perdono
se i tuoi giusti desiri ho mai turbati,
a te cedo l’onor, vinto mi chiamo,
ambi ad uso miglior l’armi volgiamo».

21Così diss’egli, e il cavalier nemico
stese la destra e in guisa tal rispose:
«Tolga, a gloria di Dio, l’affetto antico
da la guerra civil l’armi odiose.
Tu vincitore, io son tuo vinto, amico,
estingua il primo amor l’ultime cose».
Tace, e con pronto cor, con lieta faccia
si stringe al duca d’Alva e quei l’abbraccia.

22A l’amiche accoglienze, a i grati accenti
de i famosi guerrier gode ciascuno,
e rinova con lor gli abbracciamenti
l’eremita, del Ciel nunzio opportuno.
Si avvicinano poscia a i combattenti
Armonte d’Aghilar con Altabruno,
e gli altri che in gran parte infra i primieri
conoscevano in campo i duo guerrieri.

23L’accoglienze fra lor dunque iteraro
brevemente narrando i vari errori,
e con senso comun tutti giuraro
stringere il ferro a soggiogare i Mori.
A l’esercito ispan quinci mandaro
Ordauro, messaggier d’armi e d’amori,
che gli precorra e la novella porte
del lor viaggio a la cristiana corte.

24Felice portator d’alte novelle
vola Ordauro veloce, e pria che il bando
publichi il nuovo sol contra le stelle,
giunge sotto Granata al gran Ferrando.
Guidano il messaggier le sentinelle
al magnanimo re, che stava orando
per mover Dio con fervide preghiere,
prima che regolar l’armi e le schiere.

25Si atterra Ordauro, e quella destra inchina
al cui sommo valor l’Africa trema,
poi dice: »Hai tu d’eroi squadra vicina
ch’è del popolo tuo gloria suprema;
l’ostinata città vinta già china
l’altiero collo a la miseria estrema:
oggi il famoso stuol lucido lampo
de l’ispana virtù giunge nel campo».

26Qui raccontò del nobile drappello
le fortune agitate e i casi vari,
sinché portaro al solitario ostello
il ligure guerrier venti contrari;
qui d’Alva e di Sidonia il fier duello,
e come raddolcì de i cori amari
il saggio vecchio il torbido veneno
soggiunse, e che quel dì giunti sarieno.

27De la grata novella il rege ispano
promette a lo scudier degna mercede,
e intanto per l’esercito cristiano
si diffonde l’avviso e acquista fede.
Quindi lieto ciascuno al caso strano
vèr la tenda reale affretta il piede.
Già di applausi festivi il grido si ode,
già la fama si accerta e il campo gode.

28Si apparecchia fratanto il re cortese
d’onorare il lor merto in varia guisa,
e seco la reina in vago arnese
spiega con le sue donne aurea divisa;
quando poi l’ora parve esser, gli attese
col gran Ferrando in ricco trono assisa.
Condiscono i suoi detti e la bellezza
placida maestà, grave dolcezza.

29Giunge l’ora prefissa e giunge alfine
la peregrina squadra a i padiglioni,
e le rive lontane e le vicine
rimbombano d’applausi a vari suoni.
Chi le rare bellezze e pellegrine
de le donne ammirò, chi de i campioni
lodò gli alti sembianti e i nomi egregi,
chi rammentò del lor valore i pregi.

30Fu chi dicea: «Quel di feroce aspetto,
che ha membra di gigante e color bruno,
e che spira dagli occhi ira e dispetto
è l’animoso indomito Altabruno.
L’altro, d’alto valor, d’alto intelletto,
cui di stato o d’onor non vince alcuno,
è duca di Sidonia, e mostra eguale
lo splendor del sembiante e del natale.

31Quel di rigido aspetto e di pel nero,
che ha petto rilevato e spalle quadre,
è il duca d’Alva, ordinator severo
de l’arti militari e de le squadre.
L’altro poi, ch’è più grande e meno austero,
uom di sembianze placide e leggiadre,
è Armonte d’Aghilar, che de i maggiori
accresce a la virtù nuovi splendori.

32Mira i duo che vicini ha il forte Armonte:
a sinistra è Consalvo, a destra Hernando,
cui di sommo valor, di prove conte
non ha pari nel campo il gran Ferrando.
Non fia giamai che il pregio lor tramonte
sinché merita pregio opra di brando,
e fa che di lor fama eterna duri
l’alta memoria a i secoli futuri.

33Le duo che il cavalier seguono insieme
son Rosalba et Elvira, ambo famose
per suprema beltà, per chiaro seme
e per varie fortune avventurose.
De l’armi sue, del suo piacer la speme
in quei labbri, in quegli occhi Amor ripose;
tal bellezza, tal grazia e tal maniera
non mai vide congiunto Argo e Citera.

34Quelle eccelse ne gli atti e ne i sembianti,
di forma egregia e d’abito straniero,
son donzelle africane: è Arezia avanti,
et ha volto gentil, guardo severo;
l’altra, che fra i nemici e fra gli amanti
mostra con egual pregio il cor guerrero,
è del re tingitan Darassa bella
inclita figlia e d’Alimor sorella.

35Ultimo è quel che viene a destra mano
ch’abito inculto e di pensier profondo,
che d’erma spiaggia abitator lontano
trionfò di se stesso e vinse il mondo;
vedi in rigido manto aspetto umano,
odi in semplice lingua ardor facondo:
quegli è il saggio eremita et al suo zelo
la salute del campo ascrive il Cielo».

36Fra tanti applausi il nobile drappello
a la tenda maggiore alfin perviene;
l’accoglie il gran Ferrando e questa e quello
lieto accarezza e placido trattiene.
A la pompa real fregio novello
l’alta reina a raddoppiar sen viene,
e mostra come tutti in sé raguna
di natura i tesori e di fortuna.

Elvira scopre a Ferrando della reliquia che protegge Granata: Hernando si offre di sottrarla; Alchindo rinforza le difese alla grotta inviando Orgonte (37-56)

37Terminati gli amplessi e le parole
che affetto e cortesia dettano altrui,
Elvira al re si accosta e mentr’ei vuole
l’accoglienze iterar, soggiunge a lui:
«Magnanimo signor, quanto mi duole
che nel vulgo infedel perduta io fui,
tanto più godo or che disciolto il velo
del primo error fisso le luci al Cielo.

38E dritto è ben che de i passati danni
le colpe antiche io d’emendar procuri,
e che a notizia publica condanni
di tiranno infedel misteri oscuri:
sappi dunque, o signor, che invan ti affanni
di superar gli assediati muri
se da l’antro fatal non son levate
di GranataS | Garnata le ceneri incantate.

39Questa, che già de la città superba
fondò prima le mura e gli abitanti,
quando giunta si vide a morte acerba
dispose a suo favor gli ultim’incanti».
Qui segue Elvira, e nulla in sé riserba
de i secreti reali e scopre i vanti
de l’ampia maga, in cui del solio antico
le speranze ripone il re nemico.

40Narra che fuor che a lei non è concesso
de l’incanto scoprir l’arte vietata,
poiché al sangue reale è sol permesso
del mistero saver l’opra celata.
Conchiude e manifesta il loco istesso
dove occultano altrui l’urna incantata;
discorre il varco e il tempo, e insegna quanto
può superar l’insidioso incanto.

41Gode il re de i suoi detti e grazie rende
de l’avviso opportuno a la donzella,
e tra vari pensieri il cor sospende
come vinca l’incanto arte novella.
Ma il valoroso Hernando, in cui si accende
desio di tanta impresa, al re favella,
et ad onta del vincolo infernale
promette di rapir l’urna fatale.

42«Signor,» diss’ei «se l’opra mia ti aggrada,
de l’alta impresa io prenderò la cura;
tenterò de l’incanto aprir la strada
per soggiogar l’assediate mura.
E se avverrà che sotto il peso io cada,
stimerò mio vantaggio ogni sventura;
ma vo’ sperar che col favor del Cielo
vinca la spada mia, vinca il mio zelo».

43Tace, e stringe la spada, e ’l gran Ferrando
gradì l’offerte, e ’l guardo al ferro volse,
e tosto riconobbe il fatal brando
che l’apostol gli diede e Albin gli tolse.
Lieto ei richiese onde l’avesse Hernando,
e poiché in brevi detti il ver raccolse,
soggiunse: «O cavalier, quel brando è mio,
e di lui fabbro e donator fu Dio.

44Ma vo’ che ne sia l’uso a te concesso
sinché vinto de l’urna avrai l’incanto;
e ben giunge opportun, poich’è promesso
sovra l’Inferno a la sua tempra il vanto.
Con le preghiere e con l’affetto io stesso
giuro ne l’alta impresa esserti a canto.
Vanne e vinci l’incanto; a la tua gloria
si riserba l’applauso e la vittoria».

45Così ragiona, e ’l cavalier s’inchina
e di tanto favor grazie gli rende,
e magnanima invidia a la vicina
schiera de gli altri duci il cor sospende.
A l’Occaso fra tanto il sol declina
e per l’umido ciel l’ombra si stende,
onde si trasportò da l’aere oscuro
la prova de l’incanto al dì futuro.

46Ma il perverso Idragor, ch’indi prevede
l’ultimo eccidio al popolo pagano,
vola d’Alchindo a la secreta sede
ne l’alta reggia, e prende volto umano.
L’imagine d’Alì forma gli diede,
ch’era un servo fedel nato in Orano,
a cui lasciò de i prigionier la cura
quand’egli venne a l’assediate mura.

47Grida al mago costui: «La reggia eletta
preda del foco abbandonata giace,
Belsirena gentil, la tua diletta,
precipitò se stessa al mar vorace;
sciolti i legami e la prigion negletta,
si pose in libertà lo stuol fugace
de i tuoi captivi, e loro aprì la porta
Arezia, che ne fu cagione e scorta».

48«Come, donde e chi fu, dimmi e in qual parte
fuggì?» prorompe il mago impaziente,
e ’l finto Alì distinse a parte a parte
l’istoria lagrimevole e dolente.
Soggiunse alfin: «Tu con la magic’arte
prevedi quanto importi a la tua gente,
ch’Elvira, a cui son noti i grandi arcani,
del cenere fatal sia tra i cristiani.

49Io ti dirò che non sarian bastanti
il dubbio varco a proibir del monte,
dov’è l’urna reale, i vani incanti
contra un guerrier che vuol tentarlo a fronte.
Quel terror de i guerrieri e de i giganti,
il forte re d’Algier, l’ardito Orgonte
poni dunque a la grotta e sia guardata
da l’arti e dal valor l’urna incantata».

50Tace, e sparisce e grida il mago allora:
«O chiunque tu sia, che Alì non sei,
vo’ tuoi detti eseguire; Orgonte ancora
confermi con valor gl’incanti miei.
Prima che alcun su la novella aurora
de la grotta real tenti i trofei
sia il re d’Algieri in sua custodia e vieti
del monte penetrar agli alti secreti».

51Così discorre, e passa ove fremea
nel suo lungo riposo il re d’Algiere,
e del torbido core il sé volgea
l’ira sfogar tra le nemiche schiere.
Dunque costui, che per se stesso ardea,
Alchindo infiamma in queste voci altiere:
«Che badi, Orgonte? A che morir di tedio
misero spettator di lungo assedio?

52Tanto ardir, tante glorie e tanti onori
son ridotti a languir di fame indegna?
Macchierà tal vergogna i tuoi splendori?
Il re d’Algier morte sì vil non sdegna?
Vieni, intrepido eroe, speme de i Mori,
nobil teatro al tuo valore insegna
Alchindo tuo, vieni, o guerrier sovrano,
serbo degne fatiche a la tua mano».

53Qui seguendo ei narrò l’alto disegno
intento a conservar l’urna fatale,
e con un riso, in cui traspar lo sdegno
lieto Orgonte rispose in guisa tale:
«Spendi, amico, a tuo senno e a pro del regno
ciò che in prova di guerra Orgonte vale;
so quant’io debba a chi di tanta impresa
confida a la mia man l’alta difesa».

54Tanto disse, e con rigidi sembianti
nel suo breve parlar molto promise,
poi concordi n’andaro al re davanti
che tosto al suo cospetto entrambi mise.
Quivi il mago de l’urna e de gli incanti
i consigli distinse in varie guise;
conchiuse alfin che vuole il forte Orgonte
difender l’urna e custodire il monte.

55Approva il re pagano il lor consiglio
e soggiunge rivolto al re d’Algieri:
«Ben tu sei degno, o generoso figlio,
a cui fidi il mio regno i tuoi misteri.
Itene voi, mentre la cura io piglio
di munir torri e proveder guerrieri;
ite, e ’l cenere sacro altrui vietate,
non fur mai senza premio opre onorate».

56Così ragiona, et ambi stringe al petto,
con varie lodi il barbaro tiranno;
molto pensato fu, molto fu detto
et alfin l’un rimane e gli altri vanno.
Giungono all monte e il re d’Algier soletto
si espone a sostenere il comun danno,
prendendo a custodir l’urna sicura
fatal custodia a l’assediate mura.

Hernando supera gli incanti della selva, uccide Orgonte (che si rivela essere Filargone) e Alchindo, e recupera l’urna (57-95)

57Sorge intanto dal mar la nuova aurora,
e l’erte vie de l’indic’Oriente
di perle ingemma e di ligustri infiora,
stimolando al viaggio il sol nascente.
Lascia Hernando le piume e ’l Cielo adora,
e pentito nel cor piange dolente
i propri falli, e l’eremita in fronte
le colpe assolve et egli inviasi al monte.

58Fra dure balze i torti colli aggira
Ernando, e giunge a la vallea fatale,
dove istrutto l’avea l’amata Elvira,
sepellita giacer l’urna reale.
Giunto colà sparsa d’intorno ei mira
di tartareo vapor nebbia mortale,
che la strada al guerrier copre con l’ombra,
e d’un alto stupore il cor gl’ingombra.

59Stupisce il cavalier ma non paventa,
e spinge il passo in quell’opaco orrore,
tocca appena, la nebbia intorno avventa
di sanguinose fiamme atro splendore;
non teme Hernando, e intrepido ritenta
superar la caligine e l’ardore,
tuona la nebbia e sparge il fosco grembo
di grandine pesante orrido nembo.

60Cade con tal furor l’aspra tempesta
che apporta al cavalier noiosa guerra,
e di folgori e lampi atra e funesta
schiera intorno cadendo arde la terra.
Ei non scema l’ardir, né il piede arresta,
ma ne l’alta caligine si serra,
et ecco ode sonar da vari lati
barbare voci, orribili ululati.

61Nel punto istesso, infra le voci orrende,
flagellano il guerrier dure percosse,
e perch’ei pure ardito oltre si stende
lo respingono ancor gli urti e le scosse.
Non però nel viaggio il piè sospende
l’animoso campion, cui nulla mosse
da proseguir la destinata impresa
d’invisibil nemico aspra contesa:

62magnanima virtù sprezza egualmente
nebbie, fiamme, percosse, urti e procelle.
Giunge alfin dove un torbido torrente
le campagne sommerge e i boschi svelle:
nuotan per l’onde gonfie orribilmente
con mostri paventosi orche novelle.
Non teme il cavalier, cui diè natura
un cor dove non mai giunse paura.

63Mira intrepido il fiume e tra sé dice:
– Sia pur grande il periglio e manifesto,
questa per me sarà morte felice
se col danno d’un sol trionfa il resto.
Se ne l’ampia morir divoratrice
voragine al roman già parve onesto,
perché mi duol se con ragion moro io,
pe ’l mio re, pe ’l mio regno e pe ’l mio Dio? -.

64Così proruppe e strinse il ferro Ernando,
e lanciossi nel fiume e quel disparve,
poiché l’alta virtù del fatal brando
vinse gl’incanti e dissipò le larve.
Solo al monte vicin l’occhio girando
su la bocca de l’antro Orgonte apparve,
che, visto il cavalier, trasse la spada,
e gli chiese onde venga e perché vada.

65«Io vo’» diss’ei «dove tu chiudi il passo,
e dove l’aprirò con la mia mano;
o cedimi l’entrata o scendi al basso,
e sia il campo di guerra in questo piano».
Rispose con quel suon, con quel fracasso
ch’esce il tuon da le nubi il fier pagano:
«Tosto il fio pagherai de i folli detti;
mal per te se mi fuggi e se mi aspetti».

66Così fremendo il saracin discese
nel pian, ch’è destinato al paragone,
ove prima sfidollo, ove l’attese
con pari ardir l’avventurier campione.
Passan da i feri detti a l’aspre offese,
a i colpi orrendi, a la crudel tenzone;
tremono i faggi antichi e gli alti cerri
al rimbombo de l’armi, al suon de i ferri.

67Non vide mai tanto valore a fronte
ne le guerre troiane idra superba,
quanto ne vide il solitario monte
de i duo guerrier ne la battaglia acerba.
Torreggiando sovrasta il fero Orgonte,
qual papavero eccelso a l’umil erba,
ma con agili membra Hernando snello
sembra rapido veltro e lieve augello.

68Tagli, punte, rovesci or pieni or scarsi
scendono tanto gravi e tanto spessi
che tal giamai la grandine versarsi
altri non vede a dissipar le messi.
Studiano or d’assalire or di ritrarsi,
par che questi si scansi e quei si appressi;
d’arte Hernando prevale, Orgonte avanza
di furor, di superbia e di possanza.

69Dispettoso in se stesso il re d’Algiere
che tanto un sol guerrier gli duri a petto,
le sue forze raguna, indi lo fère
d’improviso fendente in su l’elmetto.
Del sublime cimier le piume altere
caddero sparse, e si curvò su il petto
Hernando, e sfavillò l’elmo sonoro
rotto il cerchio di ferro e l’orlo d’oro.

70Qui si fermò del saracino il brando,
poiché l’elmo di tempra adamantina
non permise che fesse oltre calando
su la fronte nemica alta ruina.
Non trascurò di vendicarsi Hernando
ma di punta ferir l’altro destina:
drizza al fianco sinistro il ferro crudo,
previene il colpo Orgonte e oppon lo scudo.

71Cede lo scudo a la pungente spada
cui né meno resiste il duro arnese:
il ferro penetrò con larga strada
nel fianco, onde vermiglio il sangue scese.
Non sì mai ne la libica contrada
la leonessa a vendicar si accese
dal cacciatore il suo covil rapito
come allor fece il re d’Algier ferito.

72Strinse la spada e fulminò di botto
sovra il capo nemico aspro fendente,
alza Hernando lo scudo e questo, rotto
in duo parzial, su il pian cade egualmente.
Una cuffia d’acciar ch’avea di sotto
fece duro contrasto al fil tagliente,
scese da l’elmo in su la spalla il brando
e ferito lasciò nel collo Hernando.

73Non sì rapida mai da chiuso loco
d’occulto minator fiamma si scaglia,
come arde nel guerrier subito foco
di sdegno, che l’infiamma a la battaglia.
Vibra una punta, e dove è folta poco
de l’usbergo pagan la dura scaglia
spinse il ferro, ch’entrò nel lato manco
e ’l sangue ne l’uscir trasse dal fianco.

74Così tinti di sangue i duo guerrieri
proseguiano gli sdegni e la tenzone;
lampeggiano le spade e ai colpi fieri
dura tempra d’acciaio invan si oppone.
Le sopraveste lacere e i cimieri
mostran d’alta virtù gran paragone;
sorge invitto l’ardir nel corpo esangue,
sparso è d’armi il terren, l’armi di sangue.

75Non arte più, non più destrezza eletta
schiva l’offese et al vantaggio aspira,
ma sollecita entrambi a la vendetta
cieco furore et implacabil ira.
Disperato valor l’ingiurie affretta,
e nuove forze al debil core ispira;
non vogliono parar, schermir, ritrarsi,
ma incalzar, ma ferir, ma vendicarsi.

76Vede il pagan che in maggior copia ei versa
il sangue da le piaghe, e furiando
di rabbia, di dolor geme e imperversa,
getta lo scudo, alza a duo mani il brando.
Oppone al fiero colpo arte diversa
intento a la difesa il cauto Hernando:
de la spada fatale a sé fa scudo,
et incontra d’Orgonte il ferro crudo.

77Urtano insiem le due famose spade,
ma di ferro celeste arte divina
prevale, onde spezzata in terra cade
l’altra, benché di tempra adamantina.
Freme il crudo african di quel che accade,
né ad atto d’umiltà l’animo inchina,
ma con tutte sue forze ardito lancia
la tronca spada a la nemica guancia.

78Come appunto ei segnò, colse la faccia,
stordisce Hernando e ’l re d’Algier si serra
sovra il nemico, e tra le forti braccia
lo scote ognor per riversarlo a terra;
ma si risente, e lui del pari abbraccia
Hernando, e stretto in guisa tal l’afferra
che men tenace avviticchiata posa
su l’antica parete ellera annosa.

79Dopo varie ritorte e varie prese,
del pari in su il terren battono il fianco
i duo campioni, e questo e quel distese
or sopra or sotto il destro braccio o il manco.
Fosse industria o ventura, alfin sospese
sovra Orgonte il ginocchio il guerrier franco,
quindi con la sinistra in giù lo caccia,
tragge il pugnal con l’altra e lo minaccia.

80Orgonte freme e si dibatte e grida:
«Perfido Cielo! Inutile Macone!
Ben è folle colui che in te confida,
mentre vinto son io da un sol campione.
Ma chiunque mi vinca o che mi uccida
sappia che vincerà non Filargone,
che non teme alcun Dio, ma quell’Orgonte
che del perfido Ciel vinto è da l’onte».

81Così l’un bestemmiò, l’altro si accese
di Filargone il fiero nome udito,
mentre offrirgli volea patto cortese
già del suo sdegno il primo ardor sopito.
«Il tuo stato» ei gridò «fammi palese,
e ’l tuo nome qual vero e qual mentito;
dimmi perché il tuo stato occulti e come
d’Orgonte e Filargon confondi il nome».

82Quei replicò: «Tu vinci Orgonte solo,
non Filargon, che Filargon son io;
fu mia patria Lisbona e del mio duolo
fu cagion d’alto amor caldo desio.
Spensi il rival, lasciai l’antico suolo,
disperato cangiai la patria e Dio,
et in Africa giunto e Orgonte detto,
fatto pagan, fui re d’Algier eletto».

83Mentre Orgonte parlava arse di sdegno
Hernando, e non soffrì che più dicesse,
ma grida: «O traditor, vivesti indegno
ch’altri pietà de la tua morte avesse.
Anima di Cortese, io ti consegno
questa che al cener tuo vittima elesse
il giusto Ciel, dal cui fatal consiglio
la vendetta paterna è data al figlio».

84Così dicendo egli più volte immerse
il ferro acuto in quell’orribil fronte,
et a l’alma orgogliosa il varco aperse,
che fremendo fuggì verso Acheronte.
Così di sua impietà pena sofferse
per man d’Hernando il temerario Orgonte;
il castigo e le colpe il Ciel riserba
temi l’ira di Dio, gente superba.

85Morto il crudo pagan, sorge il guerriero,
ringrazia il Cielo e, benché lasso e infranto,
spinto dal suo magnanimo pensiero
si move ad acquistar l’ultimo vanto.
Lo scorge alfine un piccolo sentiero
a la grotta ov’è posto il duro incanto,
e stretto il fatal brando entra sicuro
l’intrepido guerrier ne l’antro oscuro.

86Quadra è l’ampia caverna e in mezzo siede
di bianco marmo un gran sepolcro eretto;
lieto il guerrier colà rivolge il piede,
poiché sa ch’è l’incanto ivi ristretto,
ma in quel punto da l’antro uscire ei vede
smisurato dragon d’orrido aspetto,
che la gran coda in più ritorte aggira,
e da la bocca e fumo e foco spira.

87Sembran gli occhi infiammati accesi lampi,
sembra il naso fumante atra fornace,
par che l’ampia caverna intorno avvampi
al denso fumo, a la sulfurea face.
Pur non teme, anzi mira ov’egli stampi
il primo colpo il cavaliero audace;
affronta il drago e spinge al sen la spada,
ove la varia squama era più rada.

88Spinto dal forte braccio il ferro acuto
fa nel petto del drago ampia ferita,
scuote allor la caverna un suon temuto,
e la fera crudel cade ferita.
Ma depon nel cadere il cuoio irsuto
e la rigida squama ond’è vestita:
ripigliò usa forma e ’l drago sparve,
e trafitto nel sen un uomo apparve.

89Alchindo è questi; egli, vietar credendo
con nuovo incanto il cenere fatale,
preso del fiero drago il cuoio orrendo,
oppose al cavalier l’arte infernale;
ma dissipò sue larve il seno aprendo
la spada che temprò fabbro immortale.
Cadde Alchindo, e morì con giusta sorte:
a tal vita devuta era tal morte.

90Poiché non resta a proibir l’entrata
del sepolcro reale altra difesa,
Hernando alza il coperchio ond’è celata
la reliquia fatale a l’alta impresa.
Prende il forte guerrier l’urna incantata,
lascia la grotta e per la via scoscesa
glorioso ritorna al campo ibero,
di sua virtù, di sua fortuna altero.

91Non vede al ritornar la nebbia e ’l lago,
e non ascolta i folgori tonanti,
poiché disparve ogni fallace imago
e con l’incantator cadder gl’incanti.
Già scorge i padiglioni e ’l popol vago
concorre al suo ritorno et a’ suoi vanti;
lo saluta ciascun, benché lontano,
con lo sguardo, col grido e con la mano.

92Hernando vincitor si appressa intanto,
giunge a le tende et al gran re s’inchina,
e porge l’urna ove con raro incanto
il cener destinò l’empia reina.
Ma l’eremita, il qual gli stava a canto,
come il cor gl’ispirasse aura divina,
si tragge innanzi e ’l cavalier previene,
e con rapida man l’urna trattiene.

93«Tosto,» gridò «tosto da noi sian sparte
scelerate reliquie abominande,
né tra l’armi cristiane abbiano parte
di sacrilega maga arti esecrande.
Qui da l’urna le ceneri cosparte
con applauso comune a terra spande,
quasi che sian con la fatal ventura
tolti i ripari a le nemiche mura.

94Da gli emuli ammirato e da gli amici,
piega il ginocchio al regio trono Hernando,
vibra il ferro celeste e de i felici
successi così parla al gran Ferrando:
«Vinsi, o signor, co i fortunati auspici
del tuo zel, del tuo nome, del tuo brando;
con miglior sorte il servo tuo consegna
la spada gloriosa a man più degna».

95Tacque e porse la spada, e il re la prese
e disse: «Al tuo valor sono devute
le lodi che mi dà lingua cortese;
tu vero autor di publica salute,
ti serbo il ferro ad altre degne imprese
che promette di te l’alta virtute».
Qui l’abbraccia e qui tace, e a la sua laude
superata l’invidia ognuno applaude.