ARGOMENTO
A sollevar l’afflitto re pagano
giunge opportuno il messaggiero Omare,
e gli narra che già contra il cristiano
l’esercito african passato ha ’l mare,
conta le squadre e d’ogni capitano
distingue i nomi e le virtù preclare.
Fa consiglio Ferrando e a pugnar pronte
guida sue genti al tingitano a fronte.
Omare ritorna a Granata e narra a Baudele la composizione dell’immenso esercito di Alimoro, ormai prossimo alla città (1-48)
1Entra ne la città la fama intanto,
scorre la reggia e scopre al re pagano
che ha spento il re d’Algier, vinto l’incanto,
ucciso Alchindo il cavalier cristiano.
Piange il barbaro allor d’interno pianto
vista l’urna fatal difesa in vano,
e nel torbido cor geme vicine
de l’afflitta città l’alte ruine.
2Mentre ondeggiando infra le cure amare
agitato in se stesso era il tiranno,
giunge opportuno a raddolcire Omare
de la mente dubbiosa il grave affanno.
Questi passò con gli africani il mare,
poi li precorse, e con l’usato inganno
il linguaggio cristian finse nativo,
e penetrò ne la città furtivo.
3Al re chinossi, e visto a più d’un segno
il suo grave dolore il fronte scritto,
disse: «O signore, a liberarti il regno
con l’armata africana io fei tragitto.
Dimane a terminar l’assedio indegno
giungerà d’Alimoro il campo invitto,
e tu dunque, or che cessa il tuo periglio,
serbi d’alti pensier torbido il ciglio?».
4S’allegra alquanto al desiato avviso
il re dolente, e al messaggier palesa
del morto incantator, d’Orgonte ucciso
il successo, e de l’urna invan difesa.
Sorride Omare, indi con lieto viso
gli soggiunge: «O signor, la nostra impresa
da l’armi e dal valor tutta dipende,
folle chi da gl’incanti aiuto attende.
5Qual difesa migliore e quale incanto
darà speme più certa e più serena
che il numer infinito e ’l chiaro vanto
del campo ch’Alimor d’Africa mena?
Quanto da i Nubi a i Mauritani e quanto
dal ricco Nilo a la deserta schiena
de l’inospite Atlante è contenuto
si commove, o signore, a darti aiuto».
6Temprò le voci e tranquillò la mente
a tai voci il tiranno, indi rispose:
«Mi consola il tuo dir sì dolcemente
ch’io non vo’ rammentar l’andate cose.
Or tu narra il viaggio e parimente
de le schiere più note e più famose
spiega i nomi e i paesi, e chi le guidi
a mio favor da sì remoti lidi».
7Quei soggiunse: «O signor, lungo sarìa
il narrarti distinto il mio viaggio,
altra volta saprai l’occulta via
ond’io già feci in Africa passaggio;
basti che a tuo favor disposto sia
di Tingitana il re possente e saggio,
che nel giorno che altrui prefisso avea
l’esercito raccolse a l’assemblea.
8Giace in Marocco a la gran reggia avante
piazza capace a popolo infinito,
ove di lunga etate uso costante
il teatro a tal pompa ha stabilito.
Sotto un cielo di gemme e d’or stellante,
quinci d’eccelsa loggia in alto sito
scopria Seriffo in ricco trono assiso
in varie squadre il campo suo diviso.
9Sovra un destrier che pare aver le penne
sì che il vento e gli augei supera al corso,
primo il fiero Azamarre in guerra venne,
et avea per usbergo un cuoio d’orso;
questo il vulgo reggea di Tremisenne,
antico regno a cui l’inculto dorso
bagna il Malva a l’Occaso, e quinci ha i lidi
del mar Mediterraneo, indi i Numidi.
10Dragonalte il crudel guida secondo
de l’arenosa Arzilla ardita schiera,
vicina a i liti ove con nuovo fondo
divise l’ocean doppia riviera.
Mira distinti i termini del mondo
che Alcide v’innalzò la turba altiera,
e sente i mari entro l’angusta foce
provocarsi con gli urti e con la voce.
11Preme di membra snelle e di pel sauro
un corridor ch’è di tre piè balzano,
e porta l’arco al collo il fiero mauro,
la scimitarra al fianco e un dardo in mano.
La pelle d’un leon fregiata d’auro
copria gli omeri e ’l petto, arnese strano,
e con orrida pompa in folti anelli
su la fronte sorgean negri capelli.
12Asanaga l’astuto in guerra mena
d’Orgonte in vece il popolo d’Algiere,
poich’egli autorità libera e piena
gli diede nel partir su le sue schiere.
Non v’è scoglio sicuro e non arena
al furor de le turbe avide e fere,
che depredano intorno i liti e i mari
e più che cavalier sono corsari.
13Punge sotto un destrier negro qual pece
tolto al monte vicin, che l’aure agguaglia,
veste una giubba azzurra e d’arco in vece
porta una fionda e vibra una zagaglia.
Nacque pastore e un cane eunuco il fece,
mentre seco, fanciul, facea battaglia,
et Orgonte ammirando il caso amaro
l’accettò ne la corte e l’ebbe a caro.
14Segue poscia Elizar sovra un destriero
che il pascolo di Cirta avea lasciato,
di candido mantel fregiato a nero,
di fattezze gentil, di piede alato.
Questi con parlar dolce e lusinghiero
a la grazia del re si era portato,
spargendo in lauta mensa a i prandi lieti,
sagace adulator, sali faceti.
15Ubbidisce a costui l’ardita gente
che di Cartago e d’Utica deserta
da l’antica republica cadente
vide cresciute Tunisi e Biserta.
Le mura eccelse e l’arsenal potente
che il regno contrastàr con sorte incerta
al popolo romano in lunga guerra
or son poche ruine in nuda terra.
16Magadarte a costor pronto succede
sovra un falbo corsier con brune spoglie,
per dimostrar che dentro al cor risiede
tenebroso pensier di meste voglie.
Questi fu già cristiano e cangiò fede
perché usurpogli il padre suo la moglie,
quella che destinata era sua sposa:
tanto può sovra l’uom fiamma amorosa.
17In Tripoli fuggissi e qui pagano
Magadarte divenne infra i corsari,
ch’or del gallico regno or de l’ispano
per diverse rapine erano chiari.
Quinci eletto da lor per capitano
guida costui gli abitatori avari
che abbandonàr quelle campagne apriche,
ricche di palme e povere di spiche.
18Melindo effeminato appo costoro
del bel regno d’Oran guida la gente,
e con gran lusso in barbaro lavoro
spiega la veste di gemme e d’ostro ardente.
Cinge al fianco mancin con l’else d’oro
temprata in Carmanìa spada lucente,
e sì veloce un destrier turco affrena
che non segna col piè l’erba e l’arena.
19Succede Tarnassar con fiero sguardo,
che non avea cavallo e non usbergo,
ma in vece di destrier cavalca un pardo,
gli arma un drago scaglioso il tergo e ’l petto.
Seguono ubbidienti il re gagliardo
quei che lasciàr di Barca il nudo albergo
e le mobili arene et infeconde,
che a sembianza di mare Austro confonde.
20Di Marmarica i regni e di Cirene
la vasta solitudine comprende,
e verso il mezzodì sino a Siene
sovra l’Egitto i termini distende.
Piena di masnadier, priva di vene
la terra inabitabile si rende;
qui ne l’antica età noto per tutto
sorse il tempio d’Ammon, ch’oggi è distrutto.
21Gli abitanti seguian di Costantina,
d’ingegni accorti e di costumi infidi;
questa Cirta nomò voce latina,
reggia di Massinissa e de i Numidi.
Il regno suo con Tunisi confina
et arriva di Bugia a i voti liti;
serba ancor la città fra le sue glorie
di fabriche romane alte memorie.
22Guida costoro a l’assemblea Dorace,
ch’è fresco di vigor, maturo d’anni,
e di cui non ha il campo uom più sagace
ne l’ordir, nel formar bellic’inganni.
La sua stirpe costui dal gran Siface
vanta, e da i prischi libici tiranni,
ma il regio sangue è il pregio in lui men degno
al par del suo valore e del suo ingegno.
23Da le rupi e da i boschi in guerra mena
il fiero Albumazar gli Arabi erranti,
che fra i monti d’Atlante e di Carena
comprendono i Numidi e i Garamanti.
Mutano ognor per la deserta arena
le mobili città l’orde vaganti,
et incerte d’albergo e di confine
solo han certe l’insidie e le rapine.
24Vidi poi che traea Cassante il crudo
de i fieri Trogloditi orrido stuolo,
che ne l’atre caverne abita ignudo
tanto al fervido suole arde quel suolo.
Han di vinci tessuti agile scudo,
spingono aspre saette a certo volo,
i mortiferi strai pendono a basso
intrecciati nel crin fatto turcasso.
25Lasciò lo stuol che appresso a lor venia
la deserta di Libia arida terra,
che da i Numidi a gli Etiopi arriva
e ch’indi il Negro e quinci il Nil disserra.
Movono altrui per l’arenosa riva
i draghi velenosi orrida guerra;
ciò che di mostruoso Africa tiene
ivi nasce, ivi cresce et indi viene.
26Guida costoro Alminarasso avaro,
cui diè livida stirpe aspro cimiero;
varie di pelli di tigre il busto armaro,
fu sublime pantera alto destriero.
Non per natal, non per valor più chiaro
gli fu concesso il titolo primiero,
ma perché avea madre eloquente e vana
de li onori del re scaltra mezzana.
27Seguian di preda cupidi e d’onore
quei che di Bugia abitaro al mare esposta,
città ch’edificò romano autore
d’un alto monte in su l’alpestre costa.
Targa, cui dipingea vario colore,
corazza cui tessea ferrata crosta
portava Dudrimaro il capitano,
uom di fervido cor, di pronta mano.
28Succedean gli Etiopi e gli reggea
Termute d’Agisimba, a cui diè pregio
perché gli ordini e i siti ei disponea,
d’armate schiere ordinatore egregio.
Intessuto di piume in capo avea
di barbaro diadema estranio fregio,
e premea senza sella e senza staffa
invece di cavallo una giraffa.
29Vengono altre provincie et altre genti
soggette a vario clima, a vari imperi,
differenti di lingua e differenti
di color, di costumi e di pensieri.
Questi d’armi, d’ingegni e d’or potenti
con titolo comun son detti i Neri,
dal fiume Nero, il qual gli bagna a filo
e da un fonte medesmo esce col Nilo.
30Sorge, o signor, ne l’Etiopia estrema
di ruinosi monti orrida schiera,
nel cui rigido dorso unqua non scema
l’indurata dal gel neve primiera.
Sovra la nubilosa aria suprema
giunge la fronte a la vicina sfera,
e da la luna, al cui dominio ascende,
de i monti de la Luna il nome prende.
31Stillano già da quelle alpestri fronti
nel regno Gogian rivi diversi,
che poi stagnano in laghi a piè de i monti
onde son di più genti i liti aspersi.
Quinci il Nero, indi il Nilo ebbero i fonti,
e per varie provincie erran dispersi;
questi son di tai fiumi i fonti veri,
fur de l’antica età vani i pensieri.
32Scorre il Nilo veloce a destra mano
per le ville Amarane in ampio letto,
poi de le cateratte accolto in vano
ne l’angusta prigion freme ristretto.
Esce libero alfine e inonda il piano
de l’Egitto vicin con raro effetto,
poiché a gli aridi campi, ove non piove
con felice diluvio il Nilo è Giove.
33Di sorte eguale e di camin diverso
trascorre a la sinistra il fiume Nero,
e de i popoli Neri intorno asperso
lascia d’acque feconde il vasto impero.
Quindi per cinque foci erra disperso,
steso a vari paesi il corso altiero,
e tra duo promontori un rosso e un verde
nel mar de le Canarie alfin si perde.
34Di tai popoli dunque il fior raccoglie
et in mostra gli guida Arcodoante,
che in alte membra estreme forze accoglie,
orrido di costumi e di sembiante.
Son l’armi sue d’un cocodril le spoglie,
e frena per cavallo un elefante;
spada non ha, ma noderosa e grave
scuote in vece di mazza immensa trave.
35Seguian quei che in aiuto avea mandati
Baiazete di Tracia al rege amico,
al cibo parchi, a le fatiche usati,
sprezzatori del cibo e del nemico.
Tolti a padre cristian sono portati
questi al barbaro re per uso antico,
e de i serragli, ove poscia son istrutti,
a la guerra, a l’onor sono condutti.
36La veste colorita al piè discende,
il mento raso e ’l labbro avean barbuto,
sovra il capo l’Essarcola distende
sparso di varie piume angolo acuto.
La curva scimitarra al fianco pende,
suona il tergo robusto arco temuto,
scuote rapido stral la man feroce,
copre scarpa lunata il piè veloce.
37Risplende d’ostro adorno e d’or fregiato
Celebin di Sofia lor capitano,
che al grado militar non hanno alzato
industria di consiglio, opra di mano.
Ma perché di beltà, di grazia ornato,
fu ne la gioventù caro al soldano,
a la gelida età manca il diletto,
ma nel fervido cor dura l’affetto.
38Emula di valor passa vicina
d’indomiti Circassi ardita schiera,
c’ha di senno, d’ardir, di disciplina
ne l’equestre tenzon lode primiera.
Lampeggia la corazza adamantina
la barba lunga e la sembianza austera,
arma il capo sublime elmo lucente,
vibra la destra forte asta pungente.
39Gli manda Caitbeio il re d’Egitto,
e gli guida Orcomanne, uom prima ignoto,
ma che da i campi a la città tragitto
fece, e per opre egregie altrui fu noto.
Giovine ancor, nel general conflitto
di Tarso ei raffrenò de i Turchi il moto;
forte è di man, ma titolo più degno
stima il pregio de l’arte e de l’ingegno.
40Ultimo vien con la feroce schiera
del suo Marocco il giovane Alimoro,
che ha sembiante amoroso, alma guerriera,
speme del genitor, gloria del Moro.
Sopraveste egli avea di seta ibera,
ricamata in Assiria e l’armi d’oro,
del gran cimier su la dorata cresta
trema di bianche piume alta foresta.
41Un destrier di Numidia al degno peso
insuperbisce e morde il fren d’argento,
e somiglia nel pel carbone acceso,
e somiglia nel piè rapido vento.
Spiega con l’else d’oro il brando appeso
de l’industre Soria vago ornamento;
di somma potestà segno sovrano
scuote verga real la nobil mano.
42Finì la mostra, e ne i vicini legni
fur mandati i guerrier, l’armi e i cavalli,
e col prossimo sol diedero i segni
de la partita i bellici metalli.
Striscian di remi onusti e d’aure pregni
gli alati pini entro l’ondose valli,
con le trombe, co i timpani e co i gridi
si salutano a gara i legni e i lidi.
43Dal potente Seriffo accompagnato
giunge Alimoro a le propinque navi,
ove dal genitor tolto commiato
fida al vento leggier le vele gravi.
Ma pria ’l cadì con sacra veste ornato
a Macone offerì gli abeti cavi,
et a i popolo eletti e a i legni amici
supplicò nel viaggio aure felici.
44I prieghi secondò la sorte o Dio,
e giungemmo con prospero viaggio
al paese di Malaga natio
ch’Orgonte astrinse a rinovarti omaggio.
Quinci spinto da fervido desio
de la luna partì col primo raggio,
qua venendo a recarti alto ristoro
e con gli altri diman giunge Alimoro.
45Or vedi tu s’hai con ragione adesso
di dolor, di timor cagione alcuna,
mentre per liberarti il regno oppresso
popoli sì feroci Afric’aduna.
Con augurio miglior dunque in te stesso
spera a le cose tue nuova fortuna,
la bonaccia succede a la procella
e la luce da l’ombre esce più bella».
46Così ragiona il messaggiero accorto
e ’l re pagano i suoi pensieri affrena,
e da i detti d’Omar preso conforto
il sembiante rischiara e ’l cor serena.
Quindi sparge tra i suoi ch’è giunto in porto
l’esercito ch’Omar d’Africa mena,
e che già viene a liberar Granata;
ode lieto ciascun nuova sì grata.
47Risolve il re con provido consiglio
che Agramasso e Almansor per via più corta
vadano incontro al generoso figlio
de l’amico Seriffo e gli sian scorta.
Del viaggio, del sito e del periglio
deve i modi spiegar la coppia accorta
al giovine Alimoro, onde sicuro
giunga in soccorso a l’assediato muro.
48Non sì rapidi mai la polve elea
calpestarono a gara i corridori
ch’eletti fur da la provincia achea
del palio usato a i trionfali onori,
come pronti n’andaro ove gli avea
il re disposti i duo famosi Mori,
bramosi d’eternar con nuova gloria
de gli antichi trofei l’alta memoria.
Ferrando, su consiglio del duca d’Alva, decide di muovere guerra a Alimoro prima che raggiunga la città e sposta l’esercito, lasciando il comando del campo a Isabella (49-74)
49Si divulga fratanto in ogni lato
la novella, et intende il re cristiano
che a dar soccorso al popolo assediato
era vicin l’esercito africano.
Invita dunque al militar senato
i più nobili eroi del campo ispano,
e richiede fra loro in tal periglio
con libero parlar saggio consiglio.
50Propose alcun di ricovrar la gente
nel vicin regno e abbandonar l’impresa
pria che giunga l’esercito potente,
onde restino esposti a doppia offesa.
Il periglio vicin, l’orror presente
già la mente d’alcun avea sospesa,
sì che grata parea quella sentenza
sostenuta fra lor da la prudenza.
51Altri biasmò che da tale atto indegno
fosse contaminato il chiaro onore
di quel campo famoso e di quel regno,
che pari a la fortuna ebbe il valore.
Quinci lodò che con egual disegno
il campo ceda al barbaro furore,
ma che in vicina e ben munita terra
si fermi, intento a proseguir la guerra.
52«Così (dicea), non sarà il campo esposto
a doppio assalto e seguirà l’impresa,
anzi, da la città poco discosto,
sempre fia pronto a rinovar l’offesa.
Da l’altra parte in tanto spazio opposto
e di terra e di mar l’oste discesa
tosto sarà da la penuria estrema
di molte schiere in poco tempo scema.
53Forse ancor gli africani impazienti
del giogo del Seriffo avran consiglio
d’assalirlo sprovisto, onde le genti
richiamerà di Spagna il suo periglio».
Così per differire i dubbi eventi
alcun dicea; ma con severo ciglio
sorgendo, il duca d’Alva in gravi detti
spiegò d’altro parer gli alti concetti:
54«Onorata non è, non è sicura
la sentenza, o signor, che persuade
il ritirar da l’assediate mura
il nostro campo a le natie contrade.
Sicura no, poiché fatal paura
con grave danno in ritirarsi accade,
tanto più che arrivar può nel camino
l’esercito african, ch’è sì vicino.
55Aggiungi che in un dì perdersi il tutto,
poiché il pagan, che già tanti anni afflitto
da la fame a languire era condutto
avrà, partiti noi, libero il vitto;
anzi così noi coglierem per frutto
d’aver più volte il saracin sconfitto
l’essere astretti entro la propria terra,
nudrir l’incendio e sostener la guerra.
56Quanto sia poi del tuo gran nome indegno
al grido sol de i timidi africani,
cedere il campo, abbandonare il regno
dicano i gloriosi avoli ispani,
e Ramiro e Pelagio, alto sostegno
de l’onor, de la fé contra i pagani,
e lo dican tanti altri incliti regi
del sangue tuo progenitori egregi.
57Lasciam l’assedio e a la campagna aperta
andianne ad incontrare il campo ostile.
Il rischio è poco e la vittoria è certa,
contro plebe confusa, inerme e vile.
Fra tanta moltitudine inesperta
nessuno ha l’armi fine o il cor gentile,
ma nudi osano sol movere il piede
fra gl’ignoti deserti a basse prede.
58A le minaccie, a l’impeto, al furore
del nostro campo, inaspettato a loro,
scuoterà grave tema il debil core
del Negro umile e del fugace Moro.
Nostro il vanto sarà, nostro l’onore,
nostra preda saran le gemme e l’oro.
Dissipato il soccorso or quale avanza
a i miseri assediati altra speranza?
59Dunque, signor, con una sol vittoria
il campo vinci e la cittade espugni,
e nel punto medesmo a doppia gloria
con fatica minor rapido giugni.
De gli antichi tuoi pregi a la memoria
sì bel trofeo con nuova lode aggiugni;
tale è la tua, ch’altra che questa
degna del tuo gran nome opra non resta».
60Qui tacque et approvò con lieto ciglio
l’intrepida sentenza il re cristiano,
dicendo: «Io vo’ che il tuo fedel consiglio
con opre di valor segua la mano.
Degno premio è proposto a tal periglio,
andianne, e con l’esercito africano
si combatta dimane a guerra aperta,
poiché a tanta virtù la palma è certa».
61Così parla, e ciascuno applaude a i detti,
divulgano il partir trombe guerriere,
e gli squadroni in ordine ristretti
si ragunano tutti a le bandiere;
scorrono intorno i capitani eletti
e dispongono in via l’ardite schiere.
Prima che parta il gran Ferrando appella
l’intrepida reina e le favella:
62«O de la vita mia, de la mia sorte
fedel compagna, io vado ove m’invita
il bisogno maggior prima che porte
il tingitano a gli assediati aita.
Tu, che di mente saggia e di cor forte
sai le guerre trattare accorta e ardita,
devi a guardia restar de gli steccati
per vietar le sortite a gli assediati».
63Così ragiona e l’istruisce appieno
de i secreti del campo e de l’impero;
essa intenta l’ascolta e con sereno
sembiante si prepara al ministero.
«Sarà tomba (dicea) questo mio seno
d’ogni tuo detto e d’ogni tuo pensiero;
qualunque io sia qui sosterrò tua vice
pur che quanto fedel io sia felice.
64Vanne pur tu dove l’onor ti aspetta,
combatti e vinci, al tuo partir non piango,
perché dono i miei sensi a la vendetta
e compenso il mio duol col tuo guadagno.
Vinto il crudo nemico e l’empia setta
ti avrò d’eterna gloria alto compagno,
intanto io qui spero imitar tua sorte,
so che del gran Ferrando io son consorte».
65Così l’una rimane e l’altro parte
e seco trae l’esercito feroce,
a cui gli spazi e gli ordini comparte
con lieto volto e con allegra voce.
Precorrendo ciascun scorre ogni parte
di spediti guerrier schiera veloce,
ch’osserva i siti e del vicin nemico
da l’insidie assicura il campo amico.
66Questi appena duo leghe avean trascorso
de l’ameno paese il fertil piano
che d’un placido colle ascesi il corso
tutto scoprìr l’esercito africano.
Volgono rapidi allora indietro il corso,
e ne portan l’avviso al re cristiano,
che con scelto drappel vola spedito
del nuovo campo ad osservare il sito.
67Ricco di limpide acque il Dauro fende
sparsa d’alberi e d’erbe ampia campagna,
che da Granata al mezzodì si stende
verso il mar che divide Africa e Spagna.
A destra un bosco et a sinistra ascende
cinta d’orride balze alta montagna:
nel largo pian in ordine quadrato
l’esercito african giace attendato.
68Di cupa fossa era munito intorno
il gran steccato, e de le tante schiere
rendeano in varia guisa il campo adorno
l’armi, le sopraveste e le bandiere.
Ciò vede il gran Ferrando, e vede il giorno
ceder l’instabil regno a l’ombre nere,
onde in comodo sito alloggia e vuole
differir la battaglia al nuovo sole.
69Da l’altra parte al giovane africano
gli arabi corridori avean portato
l’avviso de l’esercito cristiano
che ne i campi vicini era attendato,
e già da loco eccelso anch’ei lontano
le nemiche bandiere avea mirato,
e punto il cor da stimoli di gloria
fremea che il dì mancasse a la vittoria.
70Chiama dunque un araldo e impaziente
vuol che tosto sen vada al re cristiano,
e per quando risorga il dì cadente
lo sfidi a guerra in su l’aperto piano.
Giunto l’araldo ove fra nobil gente
sedea ne la gran tenda il re sovrano,
con magnifiche voci et orgogliose
del fier conflitto il duro invito espose:
71«O tu cedi Granata, il cui domino
è di certa ragion del popol Moro,
o diman ti prepara in su il mattino
a la pugna campal col Alimoro.
Tu puoi, se non t’inganna il tuo destino,
dare a i tuoi, dare a noi grato ristoro;
pensa e risolvi, avrai qual più ti piace
co i patti già proposti o guerra o pace».
72Tace, e d’amaro sdegno il re sorride,
e risponde: «Altro patto io non accetto
che quel che pose infra noi altri Alcide
col termine d’ondoso orrido stretto.
Col mar le nostre terre il ciel divide,
ciascuno il regno suo goda soggetto;
ei di Libia, io di Spagna, o tal sia fatta
la legge de la pace o si combatta».
73«Si combatta» gridò l’ardito araldo,
«diman si proverà con tuo periglio
se al pari de la lingua il core hai saldo;
me’ per te se credevi al mio consiglio».
Tace, e parte d’orgoglio e d’ira caldo
e spiega il tutto al generoso figlio
del tingitan, che al suo parlar cruccioso
brama il dì, sdegna l’ombre, odia il riposo.
74Sorse intanto nel ciel la notte oscura,
e le menti occupò d’alti pensieri.
Altri l’asta rivede e l’armatura,
altri l’arco provede, altri i destrieri;
qual tien desto l’onor, qual la paura;
i capitani anelano e i guerrieri
sotto i debiti uffici; ognuno a gara
l’armi a la pugna e gli animi prepara.