ARGOMENTO
Fanno pugna campal le squadre ispane
con le nemiche e la vittoria pende.
Il feroce Altabrun morto rimane
e l’alma al sommo Dio Darassa stende.
Dà soccorso il Colombo a le cristiane
armi, e Almansor colpo fatale offende.
Arride al fedel campo amica sorte,
et Alimor dal gran Ferrando ha morte.
I due condottieri dispongono le armate arringano gli uomini (1-25)
1Già di belliche trombe il suono altiero
chiama del mar la sonnacchiosa aurora,
che, presaga del dì sanguigno e fiero,
d’un torbido vermiglio il ciel colora.
Sorge nel fedel campo il re primiero
e lieto in volto i popoli rincora,
indi gli schiera e con mirabil arte
divide i siti e gli ordini comparte.
2Con sembianza di luna in doppio corno
il saggio re l’esercito dispose:
egli il mezzo ritenne, e parte intorno
col duca di Sidonia a destra pose;
stese a parte sinistra al mezzogiorno,
e ’l duca d’Alva a cura lor prepose.
Stetter distinti in debiti intervalli
a difesa comun fanti e cavalli.
3Fremeano i Catalani e quei che manda
la fertile Sicilia al destro lato,
quei che Maiorca e Andaluzia comanda,
quei che il freddo Aragone avea lasciato.
Ma si vedea ne la sinistra banda
di Cordova e Valenza il vulgo armato,
quei di Leon, d’Asturia e quei che a prova
con Murcia alpestre invia Castiglia nuova.
4Nel mezzo intorno al re viene il restante
del campo invitto et ei medesmo è duce,
e con augusto intrepido sembiante
sovra un baio corsier destro riluce.
Fra i più grandi lo siegue Hernando audace,
seco al pari Darassa il re conduce,
poi dice ad Altabruno: «Ove la selva
copre il fianco nemico i tuoi rinselva.
5Quando fia poscia il gran conflitto acceso,
tu del campo africano urta le spalle,
ond’egli sia con maggior danno offeso
e di sangue nemico empi la valle.
Te di tale opra esecutore ho preso,
ché puoi de la vittoria aprire il calle,
cosa nuova da te non si richiede,
ma l’usato valor, l’usata fede».
6«Andrò nel bosco» il cavalier rispose
«per insolite vie, come ti aggrada,
e dove più saran l’armi dannose
a la vittoria io ti aprirò la strada.
Ben è ragion che tu l’usate cose
ti prometti, o signor, da la mia spada,
mi fia legge fatale il tuo comando,
vivrò vincendo e morirò pugnando».
7Tacque, e di sua fortuna i duri eventi
troppo veri augurò con questi detti.
Indi i suoi, di rapine e d’ira ardenti,
entro al bosco vicin guida ristretti.
Trascorre il re veloce e a l’altre genti
propon di nuove glorie usati effetti,
e magnanimo parla in tal maniera
a l’esercito suo di schiera in schiera:
8«Se non fussero a me per tante prove
note l’opere vostre, o miei soldati,
forse in voi tenterei con arti nove
seminar di virtù sensi onorati;
direi che le vittorie e i premi altrove
sospirati da voi sono adunati
in questo giorno appunto e in questo loco,
dove immenso il guadagno e ’l rischio è poco.
9Direi che in quelle schiere et in quel duce
è riposta de i Mori ogni speranza,
onde se il valor prisco in voi riluce,
vinti costor non altro intoppo avanza.
Direi che quella turba in guerra adduce,
priva d’armi, d’ardire e d’ordinanza,
non rispetto d’onor, legge di fede
ma con tema servil brama di prede.
10Direi ch’audace sì ma non esperto
d’arti guerriere il capitan garzone,
forse ne i boschi d’orrido deserto
con le belve africane ebbe tenzone,
ma l’onor di tal opra e di tal merto
diasi a privato avventurier campione:
d’altra lode si vanta e d’altra legge
chi gli eserciti aduna e chi gli regge.
11Direi più chiaro, e vi porrei davante
de la perdita il danno e più lo scorno,
la patria lagrimosa e supplicante,
l’afflitte mogli e i mesti figli intorno.
Io vi direi che tante ingiurie e tante
o vendicar dovete in questo giorno
o che avete a patir, miseri servi,
del Moro vincitor gli odi protervi.
12Ma ciò tralascio, e rammentar non voglio
quanto acerbo sarìa mirar da gli empi
con grave sì ma inutile cordoglio
violati i sepolcri et arsi i tempi.
Pensate di veder barbaro orgoglio
far de i teneri figli orridi scempi,
pensate di veder che prigioniere
servono a sozzo amor le donne ibere.
13Tutto lascio da parte e non ritardo
con le parole mie le vostre prove,
né propongo, o miei fidi, altro riguardo
a la virtù già conosciuta altrove.
So che voi non temete il suon bugiardo
di linguaggio stranier, di genti nove,
Turchi, Egizi, Etiopi e Indiani
sono vani romori e nomi vani.
14Quante volte da noi vinti restaro
in varie guerre i Saracini e i Mori,
da cui per vanto e per trofeo più chiaro
questa gente deriva i suoi maggiori?
Contra il ferro cristian debil riparo
son di cuoio e di lin rozzi lavori;
durate voi, che in una breve pugna
si vince il campo e la città si espugna.
15Così poi goderà dopo mille anni
intiera libertà l’afflitto regno,
e del vostro valor, de i vostri affanni
nobil frutto sarà fatto sì degno.
Ma che più?, l’onor vostro e gli altrui danni
io preveggo distinti a più d’un segno
son vosco, ma per me nulla desio,
le prede a voi, serbo le glorie a Dio».
16Disse, e tonò da la sinistra il cielo,
un balenò indorò con l’aria il campo,
e de i suoi detti accompagnando il zelo
a la nuova battaglia accese il campo.
Cinto Michel di luminoso velo
fu l’autor di quel tuono e di quel lampo,
de i cristiani a favor schierò quel segno,
così crede pietà, l’empireo regno.
17Da l’altra parte il giovene Alimoro
con forma egual l’esercito dispose:
per sé tenne nel mezzo il popol Moro,
gli Egizi e quei di Barca a destra pose,
collocò da sinistra incontro a loro
i Neri e gli Etiopi, indi prepose
il circasso Orcomanne al destro lato,
da Termute il sinistro era guidato.
18Chiama poscia i Numidi e i Trogloditi
esperti sagittari, e loro impone
che precorrano ognun lievi e spediti
e dian principio a la crudel tenzone.
Con presidio opportun lascia muniti
gli steccati, e gl’infermi ivi ripose,
e gl’inutili a l’armi; in cotal guisa
la gente saracine era divisa.
19Schierato il campo il giovene africano
scorrendo va sopra un destrier feroce,
di pel morello e di tre piè balzano,
e col guardo favella e con la voce:
«Non varcaste l’Atlante e l’oceano
e de l’erculeo mar l’orrida foce,
guerrieri miei, perché arrivati in Spagna
voi perdeste e fuggiste a la campagna.
20So che del patrio lido aura d’onore
vi spinse a liberar gli oppressi amici,
e so che voi col solito favore
n’andrete a soggiogar gli empi nemici.
Dunque inutil sarà che al vostro core
io procuri accostar caldi artifici
per infiammarvi a quella pugna istessa
che voi tanto bramate e che s’appressa.
21Sol dirò che in breve ora è qui ristretta
libertà, servitù, vergogna e gloria,
e che quinci da voi l’Afric’aspetta
o di biasmo o di lode alta memoria.
Se vincete, io vedrò tosto soggetta
la Spagna riverir la mia vittoria,
Granata goderà gli antichi onori
e saran vostre prede ampi tesori.
22Né vi rechi, o soldati, alcun spavento
o Ferrando o l’esercito cristiano,
poiché alfine il lor grido è un fumo, un vento
che sparisce vicino e appar lontano.
Quel titolo di grande è un ornamento
che dona un re sagace a un popol vano,
che non sa de la guerra i duri modi
ma fra i lussi di corte usa le frodi.
23Vinse talor, no ’l niego, e di ciò fanno
questi campi distrutti aperta fede,
ma fu de l’onor suo, del nostro danno
la discordia de i Mori unica sede.
Or non vagliono più l’arte e l’inganno,
sofferenza e valor l’opra richiede,
a noi dunque farà breve contrasto
di gente ambiziosa inutil fasto.
24Su, a l’armi, su; voi non sperate altronde,
ché vincere o morire oggi conviene.
Del procelloso mar le torbide onde
tolgono di fuggir l’ultima spene:
o drizzate i trofei su queste sponde,
o morite o vivete a le catene.
Ma del vostro valor perché diffido?
Noi vincerem: voi seguitate, io guido».
25Tacque, e de la battaglia il segno diede;
rimbomba il ciel di barbari ululati,
e di trombe e di timpani succede
formidabil romor da tutti i lati.
Divien pallido il sol, che intorno vede
sotto il carro volar gli strali alati,
e lascia per timor d’essere offeso
con luce scolorita il dì sospeso.
Il lato di Armonte schiaccia i Saraceni, l’opposto cristiano è messo sotto ed è soccorso da Altabruno, al centro la battaglia è incerta (26-46)
26Da gli archi i trogloditi e da i numidi
contra i cristiani i primi strali usciro;
risposer questi, e con saette e gridi
l’invito marzial lieti gradiro.
Del vicin monte e de i propinqui liti
gli scogli risonàr, gli antri muggiro
a gli urti, a le minaccie, a le percosse,
quando l’un campo e l’altro in guerra mosse.
27A i duri incontri in varie scheggie rotte
l’aste nodose insino al ciel volaro,
di chi sta, di chi muor voci interrotte
orribil tuon sino a le stelle alzaro.
Nubi di polve in paragon di notte
il ciel coprìr, gli esserciti adombraro.
Spargono la campagna in strane guise
ne la strage comun le membra incise.
28Avvezzi già ne i libici diserti
a saettare i saracini arcieri,
de i nostri sagittari eran più esperti,
onde usciano da lor danni più fieri.
A la grandine rea de i colpi incerti
i cavalli cadeano e i cavalieri;
godea volar ne la fedele armata
su i barbarici strai la Morte alata.
29Giaceano a monti, e divenian più rari
gl’infestati squadroni, e più costanti
l’ordinanze distinte, immote e pari
teneano i cavalier, teneano i fanti.
Ma fratanto osservò che gli avversari
prevaleano in oprar l’armi volanti
il duca d’Alva, e dal sinistro corno
si spinse, e disse a quei che avea d’intorno:
30«Dunque timida plebe avrà cotanto
di fortuna e d’ardir che con successo
insolito godrà l’eccelso vanto
d’avere il fior di nostra gente oppresso?
Ah, stringete la spada, urtate intanto
maneggiando fra lor l’armi d’appresso;
le saette ne i boschi oprin gli arcieri,
la spada usino in campo i cavalieri».
31Qui tace, e innanzi a gli altri Armonte ardito
con l’intrepido figlio a questi detti,
il seguace drappello avendo unito,
spinse dove i nemici eran più stretti.
Trema allor il Numida e ’l Troglodito,
né sostien di quei forti i fieri aspetti,
ma l’estrema salute al piè confida,
e ’l ciel copre di colpe, empie di grida.
32Il crudo Albumazar, Cassante il fiero
soli a tanto furor volgon la fronte,
ma col rapido ferro apre al primiero
l’incauta gola il valoroso Armonte,
Consalvo urta ne l’altro e col destriero
lui ferito nel sen getta in un monte.
Morti costor, non è chi più ritardi
la feroce virtù de i duo gagliardi.
33Qual famelico lupo, a cui vietato
sia da rigido cane il chiuso ovile,
il latrante custode alfin svenato
strage fa de la greggia inerme e vile,
tale, estinti costor, strazio spietato
fa la coppia magnanima e gentile
del vulgo imbelle, a cui morir non duole,
poiché morir ma contrastar non vuole.
34De la vil plebe il fuggitivo tergo
la disprezzante coppia urta e flagella,
e passato da gli omeri a l’usbergo
per man d’Armonte esce Ulamar di sella.
Lascia l’alma d’Asbino il caro albergo,
d’una punta che uscì da la mammella;
l’opra fu di Consalvo, e da l’istesso
cade estinto Adimir col capo fesso.
35Fugge il timido stuol rotto e confuso,
piegando invèr gli Egizi al destro corno;
urta il primo squadrone, apre il più chiuso
e turba il filo e l’ordinanze intorno.
Scorre e grida Orcomanne, e adempie l’uso
di capitano, e d’ira arde e di scorno;
tenta frenar de fuggitivi il corso
ma preval l’altrui tema al suo discorso.
36Qual de l’alto Apennin gonfio torrente
tragge non sol con la girevole onda
macigni, arbori e buoi, ma parimente
svelle i ripari e supera la sponda,
tale il timor de la confusa gente
su l’altre schiere impetuoso inonda,
l’apre e la turba, e con indegna sorte
tragge seco in un fascio il vile e ’l forte.
37Consalvo i fuggitivi incalza e preme,
nulla del suo furore il corso arresta,
Gilolfo e Madarasso uccide insieme,
questi il braccio diviso e quei la testa.
Safir, che ne la fuga avea sua speme,
con l’urto abbatte e col destrier calpesta;
diero Armusse e Tesfin l’ultimo crollo,
quegli tronco la mano e questi il collo.
38Così fea dura strage in questo stato
del vulgo infido il vincitor cristiano,
ma da l’opposto corno è superato
il popolo fedel da l’africano.
Già de i barbari arcieri avea provato
da i mortiferi strai danno lontano
il destro corno, e già confuso e incerto
mostrava lo squadrone il fianco aperto.
39Vide il proprio vantaggio e l’altrui fallo
l’animoso Termute, e tosto spinse
ne l’aperto squadrone il suo cavallo,
atterrò, dissipò, ruppe ed estinse.
Lui seguitò con debito intervallo
la gente sua, poi dilatossi e cinse
l’ordinanze cristiane, e già son sparte
più battaglie in un punto in varia parte.
40Cedono i nostri, oppressi e circondati
da l’impeto pagano e da l’inganno,
né il duca di Sidonia in tanti lati
può sostener, può riparare il danno.
Quinci da l’armi e dal timor cacciati
verso il regio squadrone in fuga vanno,
gl’incalzano i pagani et opportuno
da la selva in quel punto esce Altabruno.
41Gridava il fier: «Dunque mendiche genti
c’hanno in povere selve orrido albergo,
avvezze solo a pascolar gli armenti,
potran dir d’aver visto il vostro tergo?».
Tace, e d’ira fremendo a questi accenti
passa con l’asta acuta il duro usbergo
al nemico Termute e gli apre il seno,
ond’estinto il meschin preme il terreno.
42Morto il duce pagan gira la spada
il fiero vincitor nel suo drappello,
e le schiere più folte apre e dirada,
e fa de la vil plebe apro macello.
Sorge un monte di corpi ovunque ei vada
e scorre d’atro sangue ampio ruscello;
fuggon da la sua man le squadre intiere
e cadono a i suoi piedi armi e bandiere.
43Sostenuta così dal suo valore
la cadente fortuna era sospesa,
e varia la tenzon, dubbio l’onore
trattenevano incerta ivi l’impresa.
Con pari strage e con egual furore
la battaglia fratanto erasi accesa
nel mezzo, ove Alimoro e ’l re cristiano
pugnano col consiglio e con la mano.
44Fanno d’alta virtù gran paragone
intorno a i duci i cavalier più degni,
onde qui più sanguigna è la tenzone
ove più vigorosi eran gli sdegni.
Nel tribunal de l’armi ognun ripone
il giudicio sovran di tanti regni:
a stimolo sì grave e sì pungente
è la mano più forte, il cor più ardente.
45Corrono i provocati a la vendetta
su i corpi de i parenti e de gli amici,
nessun cede, ognun pugna e tutti affretta
dispietata virtù contra i nemici.
Così densa è la turba e così stretta
che non cadono invan le furie ultrici,
e non possono mai sovra il terreno
le percosse cader se non appieno.
46Dove manca il primier l’altro succede,
e ’l loco del morir compra col sangue,
pugnano man con mano e piè con piede,
entra un altro a pugnar su quel che langue;
felice muor chi nel morir non cede
ma cade combattendo e pugna esangue.
Altri adopra vicin la spada o l’asta,
co i gridi almeno altri lontan contrasta.
Arcodoante sbaraglia un’ala cristiana, Consalvo fa altrettanto con una africana: entrambi i fronti ripiegano verso il centro, dove i vari eroi mostrano il proprio valore (47-72)
47Altabrun fa da un lato opre ammirande
ma cede altrove il popolo fedele,
in cui sfogava Arcodoante il grande
de l’animo inuman l’ira crudele.
Non sì rapida mai nave che spande
al vento aquilonar le gonfie vele
corre i campi del mar come il superbo
scorre de la battaglia il campo acerbo.
48Voi, generoso Eredia e Pier di Luna,
sotto il fiero pagan primi giaceste,
del cui furor non è difesa alcuna
che l’ire intiepidisca e l’armi arreste.
Potrìa dir quante arene Afric’aduna,
quante foglie de l’Alpi han le foreste
chi potesse narrar quanti e in quai sorti
per man del saracin caddero i morti.
49Te sol dirò, di cui trofeo più degno
non innalzò quel giorno Arcodoante,
te splendor de l’esercito e del regno,
gloria de i Mauleoni inclito Ermante.
Spinse costui, spinto da nobil sdegno,
l’asta e ’l cavallo incontro al fier gigante,
e ’l colse ove si allaccia inverso il tergo
sovra il fianco sinistro il duro usbergo.
50Tra le fibbie si aperse il ferro acuto
nel fianco saracin facile entrata,
e ’l sangue trasse, onde su il cuoio irsuto
la veste rosseggiò d’ostro bagnata.
Non sì rapido mai né sì temuto
vola falcon grifagno a preda alata,
come fiero in quel punto e con qual fretta
tenta il crudo pagan presta vendetta.
51Alzò l’orribil trave e su l’elmetto
di sì gran colpo il cavalier percosse
che, torvo gli occhi e pallido l’aspetto,
perdette i sensi e ne l’arcion crollosse.
Rise il pagano e lo ghermì nel petto,
e ben tre volte in guisa tal lo scosse
che da la sella in su il terren lo spinse,
ove il caldo e la calca alfin l’estinse.
52Diè sovra gli altri il barbaro perverso,
elmi e scudi tritando e piastra e maglia,
e col grave elefante urta a traverso,
rompe le file e gli ordini sbaraglia.
Già del popolo cristian fugge disperso
e per fermar sua fuga invan travaglia
il feroce Altabrun, ch’è finalmente
trasportato egli ancor da quel torrente.
53I fuggitivi a riversar si vanno
sovra il regio squadron, cui rotto avrieno
se il saggio re, per evitare il danno,
non gli tenea per breve spazio a freno.
Quinci aperse le file e dove stanno
l’insegne in mezzo, ei gli raccolse in seno;
poi lo squadron chiuse di nuovo e strinse
e i Neri che seguian tosto respinse.
54Da l’altra parte è con egual successo
nel destro corno il Saracin fugato,
poiché il saggio Orcomanne, il capo fesso
d’un colpo di Consalvo, era mancato,
e giacea Tarnassar, dal padre oppresso
d’una punta che il seno avea forato,
né fatto avea contra il pungente acciaro
lo squamoso dragone alcun riparo.
55Privi di capitano e senza guida
fuggono i Cirenei, resta il Circasso,
che le speranze a la virtù confida
e vuol morir, non ritirare il passo.
Anzi, benché l’incalzi e che l’uccida,
ne la sua strage il vincitor già lasso,
quasi che di morir nulla gli caglia
lieto muor perché muor ne la battaglia.
56Spenti i Circassi, a cui mancò la vita,
non la virtù, perseguono i cristiani
il resto infin che i fuggitivi invita
e gli accoglie Alimor fra i Tingitani.
Così nel mezzo è la battaglia unita
da i prossimi squadroni e da i lontani;
quivi sol si combatte e in un sol loco
da tre parti raccolto avvampa il foco.
57Sorgean monti d’estinti e di feriti,
correvano ruscei gonfi di sangue,
s’udian fremiti orrendi, alti nitriti,
gemiti di chi muore e di chi langue.
Ne la rabbia e ne l’odio infelloniti
muovono i cuori audaci il corpo esangue;
perde il moto a ferir la destra stanca,
ma nel fervido sen l’ira non manca.
58Cade su il vinto il vincitore oppresso,
spoglia l’avido amico il morto amico,
genti diverse il caso unisce e spesso
altri abbraccia morendo il suo nemico.
Non senti un parlar chiaro, un suono espresso
non vedi armi novelle o segno antico,
ma senti o gridi ignoti o voci fiere,
ma vedi infrante o rotte armi e bandiere.
59Le file aperte e l’ordinanze sparte,
pugnano misti i cavalieri e i fanti,
toglie il cieco furor l’uso de l’arte,
cozzano armi confuse e squadre erranti;
infiammano a le stragi in ogni parte
trombe canore e timpani sonanti;
sopraveste, cimieri, arnesi e pompe
sangue, polve e sudor macchia e corrompe.
60Fra tante stragi il valoroso Hernando
l’orribil mischia intrepido scorrea,
e dov’egli girava il guardo o il brando
l’infedel turba attonita cedea.
Per la battaglia Arcodoante errando
vide costui che il popol suo struggea,
e chi sia gli vien detto, e in fier sembiante
move l’ira a i suoi danni e l’elefante.
61Grida il barbaro audace: «Oggi non sei
mentito amante in feminil gonnella,
non son vezzi d’amore i colpi miei,
né di vincer ti pensa una donzella.
Di tue frodi vantar non più ti dei,
avrai d’antico error pena novella».
Tace, e mentre al suo dir l’aria rimbomba,
a i danni del guerrier la trave piomba.
62Il veloce destrier punge e trapassa
lungi dal colpo Hernando e si discosta,
poi girando ritorna e ’l ferro abbassa
e gli rende in un punto aspra risposta:
«Così con mano effeminata e lassa
al re nel cui valor l’Africa è posta
risponde il cavalier che fu già donna:
più nobil del tuo scettro è la mia gonna».
63Con la voce pungente il ferro acuto
del gigante superbo entrò nel fianco,
onde poi mortalmente egli feruto
cadde sovra il terren, gelido e bianco.
Non bada sovra il barbaro caduto
ma trascorre più innanzi il guerrier franco,
mentre l’alta proboscide difende
l’elefante e ’l suo re porta a le tende.
64Trascorre Hernando e Alminarasso uccide,
che indarno gli offerì l’oro pe ’l sangue,
poiché le offerte il vincitor deride
e pesta col destriero il corpo esangue.
Il braccio destro a Termilon recide,
sotto la spada sua Melindo langue,
e con la morte il giuramento scioglie
che di presto tornar fece a la moglie.
65Con emula virtù prese l’esempio
Consalvo, e incrudelì contra i pagani,
e fe’ di Magadarte orrido scempio
che già fatto l’avea d’altri cristiani.
Piansero i suoi corsari, estinto l’empio
d’un colpo che gli tolse ambe le mani,
e con ragion castigo tal si diede
a le mani già ree di mille prede.
66D’un rovescio Elizar priva del naso
con duo stoccate ad Asanaga ei fora
entrambi gli occhi, onde per strano caso
muore eunuco non sol ma cieco ancora.
D’un fendente Dorace ebbe l’occaso,
mentre con detti audaci i suoi rincora:
il ferro micidial sceso a la gola
tronca il collo in un punto e la parola.
67A la fronte de i suoi primo pugnando
fa, non men di costor, macello atroce
del popolo africano il gran Ferrando,
e col ferro combatte e con la voce.
D’una sol punta il suo fulmineo brando
toglie la vita ad Almugeo feroce,
che bestemmiando il Ciel morde la terra,
perché fu breve campo a poca guerra.
68Diviso il capo infino al curvo ciglio
giacque tra gli altri Dragonalte il forte,
che prima di partir chiese consiglio
ne la Mecca al nabì de la sua sorte.
L’oracolo bugiardo al suo periglio
lunga vita promise e tarda morte;
muore ei dunque rabbioso, e indarno accusa
Macon, che la sua fede avea delusa.
69E né tu, Dudrimar, benché sagace
da la spada real libero andasti,
ma di duo morti a un punto sol capace,
calpestato e trafitto ivi spirasti.
Così la miglior parte estinta giace
de i libici tiranni in quei contrasti,
mentre di nobil sangue infra i cristiani
Agramasso e Almansor bagnan le mani.
70Geme sotto il primier Sanchio d’Ovando,
trafitto il seno a la sinistra costa,
a Gaspar d’Azevedo il crudo brando
apre lo scudo e la corazza opposta;
quinci abbatte Oregliana, e fulminando
spezza la larga e la ferrata crosta
de l’elmo ad Alagone, ond’ei ferito
sovra il duro terren cade stordito.
71Langue sotto Almansor d’Arranda il conte
e quel di Mirabello e di Tendiglia,
cade urtato da lui Lippo d’Aimonte,
freme tronco una man Silvio Padiglia.
Muore Aldanio, Gottiere e Florimonte,
di Messia, di Medina e di Siviglia;
cadono col signor di Rossiglione
duo Pietri, un di Tovarre, un di Girone.
72Seguiva di costor gli altri vestigi
il giovene Alimor con sorte eguale:
trafigge di sua man Brito et Ermigi,
a cui diede Toledo il gran natale.
Abbattuto da lui geme Dionigi
che vanta in Aragon sangue reale;
Ricaredo calpesta e Teglio uccide,
fere Arzia, dà la morte a Benavide.
Altabruno muore per mano di Alimoro (73-79)
73I casi di costor vide Altabruno,
e quivi a sostener lo stuolo amico
che disperso fuggia, giunse opportuno,
ma non per lui contra il furor nemico.
Non sì fieri mirò pastore alcuno
duo mastini a sfogar lo sdegno antico
correre impetuosi, ebbri di rabbia,
con occhi accesi e con spumanti labbia,
74come presti a l’assalto i duo guerrieri
quinci e quindi spronaro i corridori,
onde a i sembianti audaci, a i colpi fieri
tremàr gl’Ispani et agghiacciaro i Mori.
Le ricche sopraveste e i bei cimieri
sono breve trofeo de i lor furori,
cedono l’armi istesse a le percosse,
fatte dal sangue lor tiepide e rosse.
75Freme Altabrun, che del suo sangue tinto
mira porporeggiare il fino arnese,
e con rapida punta il ferro spinto
nel braccio destro il saracino offese.
Da pari ardir, da pari ardor sospinto
cerca Alimor di vendicar l’offese,
e assalito Altabrun su l’elmo il colse,
onde in parte stordillo e ’l fier sen dolse.
76Sen dolse il fier ma l’ira al duol prevalse
e col natio vigore ei si riscosse.
Gettò lo scudo e l’africano assalse
e col ferro a duo man tosto il percosse.
Sparsa di gemme e d’oro oppor non valse
la targa a quell’orribili percosse,
poiché il brando la fende e l’elmo arriva,
lo piaga in fronte e di vigor lo priva.
77Il colpo rinovar pensa il feroce
credendo terminar l’aspra tenzone,
ma da tergo col ferro e con la voce
doppiamente l’infesta Orimedone;
al rischio d’Alimor corse veloce
questi, che paggio è del real garzone
e, gridando, Altabrun ferì sul collo
e ’l fe’ in sella tremar con più d’un crollo.
78Risentito, il feroce arde ne l’ira
e contra Orimedon vibra la spada,
e ’l sen gli fora e ’l tergo, e doppia mira
il brando al caldo sangue aprir la strada.
Giunge intanto Alimoro e il ferro gira
nel fianco d’Altabrun, che altrove bada;
langue Altabruno al colpo fiero e spande
col sanguinoso umor l’anima grande.
79Tosto il corpo languì, ma non già l’alma,
che intrepida serbò l’ardire usato,
né fece atto in lasciar la fragil salma
indegno del suo nome e del suo stato.
Così ha un garzone d’Altabrun la palma,
così cede il valor sovente al fato;
cadde Altabrun ma pur morì qual forte,
cadde vincendo e nel morir diè morte.
Sopraggiunge Colombo con un drappello di cavalieri e rovescia le sorti della pugna (80-88)
80Tal fra l’un campo e l’altro erra divisa
la speranza, la strage e la fortuna,
e con dubbio favor nel mezzo assisa
la vittoria non piega a parte alcuna.
Gente ferita, moribonda, uccisa,
in orribili mucchi il caso aduna,
e con pompa dolente ivi si mira
spettacolo di morte in scena d’ira.
81Mentre l’aspra tenzone arde più fiera
s’ode al romor di bellici metalli
risonar la foresta e la riviera,
tremare il monte e rimbombar le valli.
Sorge la polve, indi di schiera in schiera
si veggono apparir fanti e cavalli;
de l’armi luminose a i ferrei lampi
ride il sol, splende il cielo, ardono i campi.
82Pien di vario stupor mira ciascuno
tanto apparecchio e curioso aspetta,
in soccorso di cui giunga opportuno
sì fiorito squadron di gente eletta.
Si avvicinano intanto e vede ognuno
ne l’insegna maggior la croce eretta;
sbigottisce a tal vista il vulgo infido
ma inalzano i cristiani un lieto grido.
83Era questa l’ardita e nobil gente
ch’avea per duce il ligure gagliardo,
ei la guida in soccorso al re possente,
a cui giunge opportuno ancorché tardo.
Giunse nel campo tragico e dolente
il gran Colombo, et affissò lo sguardo
in quel vario spettacolo d’orrore
e di pietà si accese e di furore.
84Strinse la lancia e disse a i suoi rivolto:
«Questo è campo di guerra e di virtute,
l’onor di mille imprese è qui raccolto:
chi fia che tante glorie oggi rifiute?
Immenso è il guiderdon, né il rischio è molto,
purché il ferro sia scorta a la salute.
Ci vedrà, ne la fuga alcun non speri,
vincitori la Spagna o servi Algieri».
85Così dicendo il duro cerro abbassa
e spinge contra i barbari il destriero
rapido sì ch’anco gli augei trapassa,
precorre il vento e supera il pensiero.
Trema il ciel, trema il suol mentre che passa
a la cruda battaglia il gran guerriero;
sembra lampo a lo sguardo e tuono al moto,
sembra tempesta e folgore e tremoto.
86Mise la lancia a Raisalon nel petto
che si fe’ per uscir la via nel tergo,
ond’egli cadde e con mortal dispetto
sospirò de l’Arabia il nudo albergo.
L’asta ricovra e con eguale affetto
forò lo scudo e trapassò l’usbergo
a quattro altri guerrier, che tutti estinse,
ruppe l’asta nel sesto e il brando strinse.
87Non ruota il mietitor ne i campi aprici
la falce mai tra la matura biada
come girò tra i barbari nemici
l’intrepido guerrier la buona spada.
Fère, abbatte et uccide, e tra i felici
si puote annoverar chi gli fa strada,
misero chi l’aspetta, e più quel ch’osa
far d’inutil virtù prova dannosa.
88Seguono l’orme sue gli altri guerrieri
e nel vulgo africano entrano arditi.
Cadon Turchi, Etiopi, Arabi e Neri,
Mauri, Egizi, Numidi e Trogloditi.
I pedoni, i cavalli e i cavalieri
sottosopra giacean morti o feriti;
già con orrenda strage, imagine di lutto,
pare un sepolcro solo il campo tutto.
Darassa uccide Celebin, vagheggiato da Almansorre, il quale la raggiunge e la uccide, prima di subire la stessa sorte per mano di Consalvo (89-99)
89Già cedono i pagani e già Darassa,
ch’avea fatte quel dì prove stupende,
contra il bel Celebin la spada abbassa,
che di porpora e d’oro adorno splende.
La punta micidial l’usbergo passa,
e su il duro terren morto lo stende,
ma sì vago negli atti egli languisce
che fra il ghiaccio di morte Amor fiorisce.
90Vide Almansorre e sospirò lontano
con incognito affetto il suo periglio,
e lui volle aiutar, ma corse invano
poiché il fato prevenne il suo consiglio.
Giunse alfine, e mirò languir su il piano
il bel garzon quasi reciso giglio;
n’ebbe pietà ma la pietà nel core,
non già dolor, ma seminò furore.
91Da rabbioso venen dunque agitato
contra Darassa il barbaro si spinge,
e qual freme da i venti il mar turbato
tale ei freme co’ denti e il ferro stringe.
Drizza la scimitarra al destro lato
e fora la corazza e il fianco tinge.
Darassa arse di sdegno e di dispetto
e spinse il ferro al saracin nel petto.
92Il cuoio del leon nulla difende
il barbarico sen dal ferro acuto
che la carne penètra, e il sangue scende
a tinger in vermiglio il vello irsuto.
Con sì fiere sembianze e con sì orrende
orso non fu, drago non fu veduto
come con guardo bieco e volto acerbo
mostrossi allora il saracin superbo.
93Al fischio, a lo splendor parve la spada
tuono e fulmine insieme, allor che scese;
e l’uccidea, ma fa che indarno cada
l’Angelo che Darassa in cura prese.
Mentre a la sua custodia intento ei bada,
alta voce di Dio così il riprese:
«A che per breve e tormentosa vita
differisci a costei gloria infinita?
94Di felice martirio a la sua fede
riserbato è nel Ciel premio immortale;
forse vuoi compensar tanta mercede
con poche ore di vita oscura e frale?»,
disse, et ubbidiente il loco diede
l’Angelo ad una punta aspra e mortale
che spinse il saracin al lato manco
e che, rotto l’usbergo, entrò nel fianco.
95Il ferro nell’uscir tragge col sangue
de la vergine pia la vita eletta,
resta a la terra nuda il busto esangue,
porta l’Angelo a Dio l’alma diletta.
Mentre tiepido ancora il corpo langue
l’intrepido Consalvo arriva in fretta,
vede Almansor sovra la bella estinta
e la spada fumar di sangue tinta.
96Sdegno e pietà nel generoso petto
chiesero la vendetta al nobil core,
onde mosso il guerriero al doppio affetto
mosse contra il pagan l’armi e ’l furore.
Terribile nel moto e ne l’aspetto
parve in quel punto e parve d’uom maggiore,
sì che Almansorre immobile e conquiso
con insolito orror smarrisce in viso.
97Vorrìa con dubbio cor cedere al fato,
vorrìa pugnar, non osa e non paventa,
opprime alto stupor l’orgoglio usato,
si confonde Almansor, non si sgomenta.
Fra sì vari pensieri e in tale stato
sopragiunge Consalvo e gli si avventa,
drizza verso la gola il ferro crudo,
quei non si arretra e non oppon lo scudo.
98Non ressero il camaglio e la gorgiera
a la bontà de la pungente spada,
che penetrando impetuosa e fiera
da la gola a la nuca aprì la strada.
Così cade il terror di Spagna intiera,
ma fa molti cader prima che cada,
mentre afferra cadendo i più vicini
perché altri al suo cader seco ruini.
99More il forte Almansorre e seco more
la fortuna de i barbari e la speme,
e con forza e con impeto maggiore
il popolo fedel gl’incalza e preme.
Distrugge i fuggitivi il vincitore,
apre le file e l’ordinanze estreme;
corre a traverso e dissipa le schiere,
genti calpesta e lacera bandiere.
Ferrando uccide Alimoro, i pagani fuggono disordinatamente e vengono falcidiati fin dentro le tende (100-112)
100Tutto è sangue, terror, fuga e tumulto,
va sossopra chi cede e chi contrasta,
con cieca furia il militare insulto
o rapisce o consuma o strazia o guasta.
Sopraveste pomposa, abito inculto
ricca promessa e priego umil non basta,
non grado e non età trova salute,
quivi è la crudeltà fatta virtute.
101Ma fra tanto Alimoro, il quale altrove
fatt’avea tra i cristiani alta ruina,
mira del campo suo l’infauste prove
e la perdita sua scorge vicina;
freme, e contra i nemici il ferro move,
già che morir pria che servir destina,
e grida a i suoi: «Perché passaste il mare
se veniste a fuggir, non a pugnare?
102Ma gite pure, e al vostro re narrate
che fra i nemici abbandonaste il figlio:
so che vi renderà qual meritate
o dura morte o vergognoso esiglio.
Trattenetevi almen sinché miriate
l’ultimo fin del mio maggior periglio».
Così diss’egli e si avventò col brando
per morir degnamente al gran Ferrando.
103Lui fère a suo poter sovra l’elmetto,
che scintilla e rimbomba al grave peso,
onde l’altera fronte incurva al petto
e si scote in arcione il re sospeso.
Ma gli accresce il vigor sdegnoso affetto,
sì che, d’alta vergogna il core acceso,
cerca vendetta; il saracin si oppone
e comincia fra lor dura tenzone.
104Fanno intorno corona a i duo guerrieri
i popoli ansiosi e palpitanti,
e pendono di tutti a i colpi fieri
le menti dubbie e gli animi tremanti.
Giran le spade e girano i destrieri
come in torbido ciel lampi rotanti,
tuonano al fulminar de i ferri crudi
infranti gli elmi e laceri gli scudi.
105Ma la spada fatal del re cristiano
troppo di fina tempra ogni altra avanza,
et egli stesso il giovene africano
troppo supera d’arte e di possanza.
Quinci in testa ferita e ne la mano,
scema Alimor di forze e di speranza,
non di virtù, poiché quel nobil petto
a’ sensi di timor non dà ricetto.
106Ferve dunque nel cor gonfio di sdegno,
molle del proprio sangue il saracino,
e poiché non gli resta altro disegno
furiando s’avventa al re vicino,
e grida: «Vinci tu, cresca il tuo regno
su le perdite mie, su il mio destino;
sì, caderò, ma vo’ tentare in prima
ch’io nel mio precipizio almen ti opprima».
107Qui tacque e d’un orribile fendente
su la spalla sinistra il re percosse,
e spezzò l’armatura e finalmente
fe’ del sangue real le vesti rosse.
Chi vide mai quando il leon possente
pien di furor contra il torel si mosse,
s’imagini che tal con fiero sguardo
gisse contr’Alimoro il re gagliardo.
108Rispose il gran Ferrando: «Io vo’ che prove
s’è miglior de la tua la nostra spada.
Folle speranza a ruinar ti move
nel precipizio tuo perché altri cada:
meglio per te se con dannose prove
non venivi a turbar questa contrada».
Così dice, e nel fin di tal consiglio
fère Alimor tra l’uno e l’altro ciglio.
109Il popolo african geme vicino
al duro colpo, al rigido sembiante
e, presago di misero destino,
sente agghiacciar nel seno il cor tremante.
Non la cuffia d’acciar, non l’elmo fino
furo al brando fatal schermo bastante;
cade Alimoro, e pallido et esangue
versa dal capo fesso e l’alma e il sangue.
110Spento Alimor, che gli altri in parte a freno
con l’esempio e co i detti avea tenuti,
fuggono a briglia sciolta, a corso pieno
da tutti i lati i barbari abbattuti.
Bagnano l’erbe e coprono il terreno
con larga strage i popoli caduti,
segue i fugaci il vincitor feroce
e col ferro gl’infesta e con la voce.
111Volgono il corso invèr le tende i mori,
sperando ivi trovar nuove difese,
ma confusi co i vinti i vincitori
entrano insieme e son le tende prese.
Le stragi si rinovano e i furori
tra spade sanguinose e fiamme accese;
l’impeto militar scorre ogni loco,
se non guasta col ferro arde col foco.
112Poiché fur de l’esercito africano
dissipate le genti e gli steccati,
restrinse in ordinanza il re cristiano
a i propri padiglioni i suoi soldati.
Qui col guardo, co i detti e con la mano
ei comparte a ciascun premi onorati,
e fra i primieri il gran Colombo apprezza,
lo raccoglie, l’abbraccia e l’accarezza.