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Il conquisto di Granata

di Girolamo Graziani

Canto XXVI

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.02.15 15:25

ARGOMENTO
Di Malaga il racquisto, e de la moglie
ode Ferrando il generoso ardire.
Rodrigo appar tra luminose spoglie,
raccorda il voto e mostra il fin de l’ire.
Per dar l’assalto il re le squadre accoglie,
onde resa Granata avvien che mire.
Innalza un tempio il vincitor fedele,
e dal culto pagan tragge Baudele.

Colombo racconta di come con i suoi compagni abbia preso Malaga e bruciato le navi di Alimoro (1-9)

1Poiché alfin tra gli eroi furo adempiti
di rispetto e d’amor gli usati uffici,
richiese il re come da strani liti
il ligure opportun giunse a gli amici.
Rispose il cavaliero: «Avrai sentiti,
del nome tuo sotto i famosi auspici,
de le vittorie mie gli alti successi,
per altro messaggier più chiaro espressi.

2Sentiti avrai del ritrovato mondo
i vari abitatori e ’l vasto impero,
nel cui stato io però non mi diffondo
serbando a migliore agio il fatto intero.
Saprai ancor che a l’ocean profondo
tolsi di questi eroi lo stuol guerrero,
e che poi da l’inculto ultimo lido
salvi gli ricondussi al patrio nido.

3Dunque io sol ti dirò che quando esposto
ebbi Armonte e i compagni in su l’arene,
cerco un porto a i miei legni e mi discosto
verso Occidente, ove trovarlo ho spene,
ma sorge da la riva un vento opposto,
che mi respinge e in mezzo al mar mi tiene;
scopro quinci venir di verso i regni
de l’Africa vicina armati legni.

4L’insegne dimostràr che Saracini
eran color che difendean le navi;
noi prendiam l’armi, e giunti a lor vicini
gettiamo ad afferrarle ancore gravi.
Segue la pugna infra gli armati pini,
rosseggian l’onde cupe e i legni cavi,
dopo lunga tenzon restano vinti,
parte i Mori captivi e parte estinti.

5Quei che vivi restaro e prigionieri
narràr senza riguardo a chi il richiese
che a Malaga traean dal ricco Algieri
vettovaglie, armature et altro arnese.
Già che arride la sorte a i bei pensieri,
io rivolgo la mente a nuove imprese,
e penso quand’io possa et in qual guisa
a Malaga recar guerra improvisa.

6Risolvo di vestir l’armi pagane
e le bandiere e gli abiti nemici,
e fingendo che sian genti africane
in Malaga introdurre i finti amici.
Eseguisco il pensier, nulla rimane
o d’ardire o di forze o d’artifici
che non si tenti allora e non si adopre
per render più spedito il corso a l’opre.

7Così n’andiamo in abito mentito
vèr la cittate, e con propizie sorti
prendiamo il porto et occupiamo il lito
ove i legni africani erano sorti.
Cedono al repentino assalto ardito
i Mori mal provisti e poco accorti,
e tosto nel fervor de i nostri sdegni
d’Alimoro distrutti ardono i legni.

8Con l’impeto medesmo e ne l’istesso
corso de la vittoria a la cittade
moviam l’assalto, e con egual successo
occupiamo le porte e le contrade.
Vive chi cede, è chi ripugna oppresso,
la fin di quel giorno il sol non cade
ch’espugnato il castel, presa ogni via,
Malaga fu ridotta in mia balia.

9Quinci da la città la gente eletta
e da l’armata, ad uopo tal discesa,
scelsi, e mi mossi a la battaglia in fretta,
di cui certa novella erasi intesa.
Tardi giungemmo, onde a te solo aspetta
l’onor ed la battaglia e de l’impresa;
basti a me di goder ch’oggi io sia stato
in campo tal di sì gran re soldato».

Fonseca racconta a Ferrando come Isabella abbia rovesciato una sortita degli assediati (10-22)

10Tace, e segue al suo dir publica lode
premio de l’opre illustri a nobil core,
ma più d’ogni altro il gran Ferrando gode
e d’applausi accompagna il suo valore.
Sa che Malaga tolta a l’altrui frode
toglie ogni speme al libico furore,
che non può, chiuso il porto et arsi i legni,
nuova guerra portar contra i suoi regni.

11Così afflitta Granata e priva alfine
del soccorso african sarà costretta
di rimirar sovra le sue ruine
dal campo vincitor la croce eretta,
e così avrà quel glorioso fine,
che il suo zel sospirò, l’impresa eletta,
né rimarrà, per rinovar la guerra,
altro esercito a i Mori et altra terra.

12Da i sensi di piacer provido passa
a quei de la pietate il re cristiano,
e gli estinti e i feriti in cura lassa
con uffici distinti a l’uso umano.
Intanto all’Occidente il dì si abbassa
e precipita il sol ne l’oceano;
sorge la notte e dentro a l’ombre amiche
i pensieri sommerge e le fatiche.

13Ma poiché saettò da l’Oriente
Febo con l’arco d’oro il nuovo giorno,
il re vittorioso unì sua gente
e verso la città fece ritorno.
Di ferrea pompa e d’ostro e d’or lucente
marcia con ordin vago il campo adorno,
al cui valor con strepitosa laude
celebrando i trofei la tromba applaude.

14Così andando apparian poco distanti
de la chiusa città l’eccelse mura,
quando improviso il re si vide avanti
il Fonseca, a cui diè le tende in cura.
Prima con lieti e placidi sembianti
questi al re presagì nuova ventura,
indi spiegò con regolati detti,
messaggieri di gioia, i suoi concetti.

15«Signor, pari è la gloria e la fatica,
tu vincesti nel campo e vinse ancora
Isabella real l’ira nemica,
che ci assalì quando spuntò l’aurora.
L’asta ripiglia e l’armatura antica
sospinto dal furor che lo rincora
il re pagano, e con parole audaci
infiamma contra noi gli altri seguaci.

16Volle assalir, ma ci trovò che desti
siamS | sian tutti apparecchiati al nuovo assalto.
Girano i Mori e insidiosi e presti,
scorrono la trincea di salto in salto;
gli ululati barbarici e funesti
empiono il ciel di suon confuso et alto,
ma l’invitta reina a l’armi avvezza,
il cieco orgoglio e ’l van romor disprezza.

17Essa con lieto e generoso aspetto
vibra con man virile asta pungente,
e di limpido acciaio adorna il petto,
sprona sotto un destrier ch’è sauro ardente.
Infiamma ogni suo sguardo, ogni suo detto
è stimolo di gloria a la sua gente;
risplende altrui ne la purpurea vesta
con dolce maestà bellezza onesta.

18Tali forse trattar l’armi già vide
l’amazoni feroci il Termodonte
quando col greco stuolo il fiero Alcide
al regno feminil trovossi a fronte.
Seguono la reina ove le guide
gareggiando le schiere audaci e pronte,
già si accende la pugna e già la morte
scorre il campo fatal con dubbia sorte.

19Segue strage crudel, tinto di sangue
porta fiero tributo il Dauro al mare,
e tutta già sparsa di gente esangue
teatro di furor la terra appare.
Vinto alfine il pagano e cede a langue,
e de i tuoi la virtù chiara traspare,
ma trionfa d’ognun prima Isabella
col guardo, con la man, con la favella.

20A l’asta acuta, al maestoso aspetto,
a la voce real cedono i Mori,
e punti il cor da generoso affetto
gl’incalzano a le mura i vincitori.
Da l’alte torri e dal merlato tetto
versano allor gli arcieri e i frombatori
su il popolo cristiano, in strana foggia,
di saette e di pietre orrida pioggia.

21Dopo l’infausta prova, entro le mura
le reliquie de i suoi chiude il tiranno,
e qui de l’innocente alta sciagura
si prepara a soffrir l’ultimo affanno.
Ma ritira le schiere e in ciò procura
con vantaggio migliore il minor danno
Isabella, e con provida ragione
le guardie al campo e gli ordini dispone.

22Del tuo nuovo trionfo a la reina
giunge fra tanto il desiato avviso,
e che con alta orribile ruina
l’esercito africano era conquiso;
ne gode, e a te mi manda e a te s’inchina,
tu segui di fortuna il lieto viso,
e con piena ammirabile vittoria
mieti l’ultime palme a la tua gloria».

Rodrigo appare in estasi a Isabella e le ricorda il voto e il futuro glorioso della sua stirpe(23-40)

23Tace, e ’l suo dir l’esercito accompagna
con vario applauso, e giungono a le tende,
e veggono d’intorno a la campagna
de la fiera tenzon reliquie orrende.
Abbraccia il re l’intrepida compagna
che sì pronta sostien le sue vicende,
e che da gli steccati in su la porta
colma di gioia ad incontrarlo è sorta.

24Qui rinovàr di cortesia, d’amore
reciproche accoglienze in vari modi,
e raccolsero qui con nuovo onore
i capitani accorti e i guerrier prodi.
Poiché al senno fu dato et al valore
il guiderdon di meritate lodi,
il magnanimo re con lieto volto
così favella a i duci suoi rivolto:

25«Finalmente ristretta è in quella mura
la fortuna de i Mori e la speranza,
dunque di superar sia vostra cura
questo che solo a tanta impresa avanza.
De l’estrema tenzon palma sicura
promette il vostro ardir, vostra possanza.
Oggi le proprie squadre ognun ristori,
ma prepari l’assalto a i nuovi albori».

26Sì disse, e riverìr gli altri i suoi detti,
e l’avanzo del giorno è destinato
a i sacri uffici et a i riposi eletti
da l’esercito stanco e affaticato.
Sorse la notte, et offuscò gli oggetti
le tenebre spargendo in ogni lato,
e col placid’oblio, con l’ombre amiche
breve spazio interpose a le fatiche.

27Già la stella d’amore accesa in volto
svegliava il sole a illuminare il cielo,
e già l’alba scotea dal crin disciolto
sovra i teneri fiori umido gelo,
quando sorse ad orar, col manto incolto,
la divota reina, ebbra di zelo,
et implorò con umili preghiere
l’eterno Duce e le celesti schiere.

28Mentre d’alto fervor l’anima piena
al ciel s’innalza in estasi divota,
si rappresenta lucida e serena
di Rodrigo l’imagine già nota.
Non è cinto di fuoco e di catena,
né trafitto egli appar da cura ignota,
ma d’aspetto giocondo e d’aurea luce
il candido vestir lieto riluce.

29Ne la saggia reina il guardo affisa,
Rodrigo, e sorridendo a lei favella:
«Non son io qual vedesti in altra guisa
albergo di dolor, mira, Isabella.
Già da i raggi del sol l’ombra divisa
sorge del dì fatal l’alba novella,
l’alba del dì fatale in cui Granata
dal cristiano valor cada oppugnata.

30Dunque a ragion, donna real, son io
ne l’abito giocondo e nel sembiante,
poiché, vinta Granata, al nome mio
avrò del sacro tempio urna bastante.
Tu seconda, o mia prole, il mio desio
e fonda tu con cerimonie sante
ne la presa città tempio adorato,
ove il sepolcro mio sia consecrato.

31Questo, che già con memorabil voto
tu promettesti, io desiando aspetto,
poiché indi avrò, sciolto da laccio ignoto,
ne l’empirea magion lieto ricetto,
ché, se ben del mio cenere fia vòto
del sepolcro votivo il marmo eletto,
pur godrà l’alma in quel beato regno
questo di tua pietà debito pegno.

32Così purgato e dal suo error diviso
lo spirto mio da gli Angeli raccolto
avrà tosto l’albergo in Paradiso,
benché giaccia il cadavero insepolto.
Quivi nel Sole eterno il guardo fiso
pregherò che il suo lume in voi rivolto
sparga del vostr’onor con nuove glorie
a la futura età chiare memorie.

33E già vegg’io del sangue tuo reale
progenie derivar d’invitti eroi,
che porta il nome augusto e trionfale
da l’ultimo Occidente a i regni eoi.
Di virtù, di fortuna esempio eguale
Roma o Grecia non ha tra i figli suoi,
al lor sommo valore è lieve pondo
sostener con l’antico il nuovo mondo.

34Quinci selve di palme a i loro onori
germogliano su ’l Tago e su l’Ibero;
spuntano quindi imperiali allori
su l’indomito Ren, su l’Istro altero.
Superbi scettri e barbari furori
cedono al giusto regno, al sacro impero,
e dove nasce e dove muore il sole
tributario s’inchina a la tua prole.

35Ne l’italo terren stende felici
con laccio d’imeneo celeste e raro
la gran pianta real le sue radici
congiungendo la Dora al bel Panaro.
De l’azzia gente i gloriosi auspici
quinci rinoverà famoso e chiaro
il gran Francesco, e nuove lodi immense
aggiungerà con l’opre al nome estense.

36Pietà ch’al ciel solleva ogni altro affetto,
giustizia ch’ogni affar libra e misura,
prudenza che prevede ogni altro effetto,
costanza che sostiene ogni altra cura,
eloquenza soave, alto intelletto,
animo generoso e mente pura
sono i rari ornamenti ond’ei più grande
ne l’arti de la pace il grido spande.

37E quale ei raccorrà con forte mano
in campo militar frutti di gloria,
qual ergerà del suo valor sovrano
a i secoli futuri alta memoria?
Darà, non men guerrier che capitano,
gran soggetto a i poemi et a l’istoria,
e da lui prenderanno i chiari figli
degno esempio ne l’opre e ne i consigli.

38Succederà de i suoi nipoti egregi
nobilissima stirpe avventurosa,
che lascerà di gloriosi pregi
a l’applauso comun serie famosa.
Non mai sarà de’ loro eccelsi fregi
da gli anni edaci la memoria rosa,
ma viverà con sempiterno onore
ad onta de l’oblio l’azzio valore.

39Or tu, di tanti eroi, di tai nipoti
felice madre e degnamente altera,
vattene al gran consorte e adempi i voti,
movi l’assalto e la vittoria spera».
Tace, e fra lo splendor di raggi ignoti
s’innalza al Ciel l’imagine leggiera,
e la tenda real spira e riluce
di grati odori e di gioconda luce.

40Lieta a ciò che ha veduto, a ciò che intese,
passa l’alta reina al gran consorte,
e de l’antico re spiega disteso
il discorso profetico e la sorte.
Ascolta i gravi detti il re sospeso
fra sé godendo, e non men pio che forte;
conferma i sacri voti e seco a prova
le preghiere e l’offerte a Dio rinova.

All’alba Ferrando dà l’assalto al muro, che vacilla (41-60)

41Da l’altra parte in varia guisa afflitto
le difese apparecchia il re pagano,
e da cure pungenti il cor trafitto
studia d’opporsi al vincitor cristiano.
Recato avea del general conflitto
e del perduto esercito africano
e d’Almansorre e d’Alimoro ucciso
Agramasso dolente il duro avviso.

42Questi, poiché mirò l’oste pagana
ne la guerra campal rotta e dispersa,
e che fe’ tutto ciò che a forza umana
lice di far contra la sorte avversa,
stimando alfin che fosse ogni arte vana
per trattener l’ira del Ciel conversa,
a l’eccidio de i suoi cedetteS | cedette al fato,
e sospirò de i Mori il grave stato.

43Lassa il campo e la pugna, e prima lassa
del suo fero valore orrido saggio,
e fra l’armi cristiane ardito passa
e verso la città drizza il viaggio,
ove il bosco spargea l’ombra più bassa
ei si rinselva, e con l’argenteo raggio
de la luna, che apria la notte oscura,
perviene alfine a l’assediate mura.

44Narrò de la battaglia i tristi eventi,
recò dolor ma diè conforto insieme
mostrando altrui che le cristiane genti
de i più forti guerrieri erano sceme.
Disse che moverìa l’armi più ardenti
Seriffo a vendicar l’estinto seme,
e nulla trascurò per dare aita
de i Mori oppressi a la virtù smarrita.

45Da i suoi detti eccitato e dal valore,
e vie più da l’esempio, il fier tiranno
riveste l’armi e riconforta il core,
qual serpe antico al rinovar de l’anno.
Seguono Omare e il popolo migliore
gli animosi consigli e seco vanno,
ma, tutti prevenendo, il re trascorre
ogni piazza, ogni machina, ogni torre.

46Era intanto spuntato il nuovo giorno
da l’ultimo confin de l’oceano,
già s’udian minacciar la tromba e il corno,
già sorto era l’esercito cristiano;
esce allor da la tenda e scorre intorno
con intrepido volto il re sovrano,
rivede i siti e con mirabil arte
gli squadroni e le machine comparte.

47Movono da tre parti a l’alte mura
le machine superbe orrida guerra,
e con la fronte impetuosa e dura
urtan l’eccelse torri e l’ampia terra.
Cozza il monton con ostinata cura
e i fondamenti scuote e i merli atterra.
Già da i colpi iterati il muro scosso
con le proprie ruina appiana il fosso.

48Catapulte, baliste et altri ordigni
piovono allora a la cittade in grembo
di saette, di lancie e di macigni
con strage spaventosa orrido nembo.
Già sparso è di cadaveri sanguigni
de l’abbattute mura il rosso lembo,
già con le scale e con gli scudi in alto
si apprestano i cristiani al fiero assalto.

49Altri le funi, altri le scale appoggia,
altri su le ruine ardito ascende,
altri conforta, altri sublime poggia
su i primi gradi e gli ultimi riprende.
Cade intanto da i muri infausta pioggia
che i fieri assalitori a terra stende,
da le machine uscìr, da le faretre
pece e solfo e bitume e dardi e pietre.

50Ma, sprezzando ciascun, già Garzilasso
il muro saracin calca primiero,
e move già su le ruine il passo
et a quei che seguiano apre il sentiero,
quando giunge da l’alto orribil sasso
che coglie ne le tempie il cavaliero.
Ei nel fosso vicin cade stordito
e si vanta del colpo Omare ardito.

51Né però vil timor gli altri spaventa,
ma se questi è caduto altri succede,
e con sorte miglior più cauto ei tenta
sovra il muro pagan movere il piede.
Chi scaglia un dardo e chi una pietra avventa,
altri sgrida, altri incalza et altri cede;
chi sale, chi precipita e chi scende,
chi da l’altrui periglio esempio attende.

52Il duca di Sidonia a l’Oriente
a la pugna murale i suoi conforta,
ma dove piega il sole a l’Occidente
il duca d’Alva al dubbio assalto esorta,
di verso il mezzogiorno il re possente
move le squadre e fa primier la scorta;
sol da monte difeso e da foresta
fra tante armi l’Allambra intatta resta.

53Di fino acciaio il fier tiranno adorno
con arte egual cura diversa ha presa,
e si pone egli stesso al mezzogiorno
del re cristiano a sostener l’offesa.
Con Ormusse et Acmete Omare intorno
scorre verso l’Occaso a la difesa;
splende sublime e a custodire il passo
verso i regni del sol freme Agramasso.

54Segue intanto la strage e segue insieme
da l’una canto e da l’altro orrido scempio,
Divisa è col timor la dubbia speme,
altri movono i detti, altri l’esempio.
L’assalita città confusa geme,
corron le donne e i vecchi al falso tempio,
e stancano Macone in rauche voci;
corrono a l’armi i giovani feroci.

55Prendeva già gli eccelsi muri Olano,
quando gli sopravenne aspra percossa,
che dal braccio troncò l’ardita mano
e ’l fe’ cader ne la soggetta fossa.
Saliva Eridamon poco lontano
ma crollò l’alta scala orrida scossa;
ei cadde, e fe’ cader Litio e Gimesso,
che ne i gradi vicini erano appresso.

56Sta su l’orlo del fosso a tutti avante
il duca d’Alva, e con parole altiere
vibra la spada ignuda, e in fier sembiante
a la pugna mural spinge le schiere:
«Dunque il vinto nemico è ancor bastante
con sì debil riparo a trattenere
le nostre armi, o soldati, e i vostri sdegni?
O vergogna comun di tanti regni!».

57Così grida il feroce e con la spada
sollecita le squadre a poggiare alto,
né perché altri languisca et altri cada
vuol ei che si rallenti il dubbio assalto.
Tinta parea la combattuta strada
del rotto muro in sanguinoso smalto,
e su per le ruine in fiera guisa
sparsi i mucchi sorgean di gente uccisa.

58Con stimoli non meno acri e pungenti
il duca di Sidonia in altra parte
spinge i suoi capitani e le sue genti
su il rotto muro al paragon di Marte.
S’odono aspre percosse e feri accenti,
si veggon scale incise e membra sparte;
chi minaccia, chi mormora e chi geme,
pare il vento che mugge, il mar che freme.

59Ma questo è poco a l’impeto, al fracasso,
a la strage, al romor che segue altrove,
mentre del muro al periglioso passo
il gran Ferrando aspra battaglia move.
Altri muore di ferro, altri di sasso,
seguono vari casi e varie prove,
e con placid’orror gode la sorte
ne i morti variar l’opre di morte.

60Già spinti a la tenzon dal regio sguardo
il ligustico eroe, Consalvo, Hernando
muovon su le ruine il piè gagliardo,
rotavan già fra i Saracini il brando.
Già primo il re medesimo ogni uom più tardo
con l’esempio istigava e col comando,
e già sentiano in rimirarlo i Mori
gelare il sangue, instupidire i cori.

Agramasso tenta di rovesciare l’assedio con una sortita ma è sconfitto e ucciso da Colombo (61-76)

61Conobbe il vil timor a più d’un segno
l’indomito Agramasso, e se ne dolse,
e pien d’ardire e fervido di sdegno,
i più fidi tra i suoi seco raccoglie,
poi disse: «A che rinchiusi il giogo indegno
aspettiam qui? Spesso fortuna volse
a gli audaci consigli il guardo amico:
dunque a l’armi, assalite il re nemico.

62O che al nostro valore il ciel riserba
de l’afflitta città l’ultimo scampo,
o che noi preverrem la sorte acerba
morendo almen più degnamente in campo»,
disse, e infiammò la gioventù superba,
et uscìr da la porta; al fedel campo
gli assalitori assalsero improvisi,
molti lasciàr feriti e molti uccisi.

63Come talor da cavernose grotte
esce spinta da i venti atra tempesta,
che i campi affonda, i seminati inghiotte
e rapisce i tuguri e la foresta,
così, machine, insegne e scale rotte,
Agramasso recò strage funesta,
ne le schiere cristiane, e in un momento
fère, abbatte et uccide a cento a cento.

64Furo i primi tra gli altri Ezio d’Argonda,
Perifan di Rivera, Eleodante
nato là dove a Cordova feconda
riga i campi famosi il Beti errante.
Onorio uccise, il qual reggea la sponda
che da Gade fronteggia il mar d’Atlante.
Svenati rovesciò l’un sovra l’altro
Lurco il superbo e Didimo lo scaltro.

65Del forte capitan l’audace scorta
segue il vulgo pagano; arde la guerra,
e di gente ferita, oppressa e morta
con eccidio comun piena è la terra.
Lieto del gran principio i suoi conforta
Agramasso terribile, e si serra
ne la calca più folta e con sua gloria
lascia d’alto valor chiara memoria.

66Dal furibondo assalto e repentino
gli assalitori oppressi e sbigottiti,
già cedono al furor del saracino
e lasciano le mura e gli assaliti.
Porta il Dauro vermiglio al mar vicino
l’aviso de gli estinti e de i feriti;
scorre la Morte in questo lato e in quello,
fiera è la mischia, orribile il macello.

67Mirò de i suoi la fuga e lo spavento
l’intrepido Colombo, e acceso in volto
di vergogna, di sdegno e d’ardimento
a i seguaci guerrier disse rivolto:
«Dunque da un saracin fuggono cento,
questo frutto ha da voi dunque raccolto?
Voi sprezzate l’Inferno e l’oceano
per ceder tante glorie a un sol pagano?

68Questo è l’onor, questo è il valore antico
onde a vincere un mondo il re vi elesse?
Così voi liberate il regno amico
dal giogo rio che lui tanti anni oppresse?
Questi i trofei del barbaro nemico?
Questi i vanti superbi e le promesse?
Ah non segni, per Dio, così vil fregio
de le nostre vittorie il chiaro pregio».

69Tace, e spinge il destrier verso Agramasso
ch’a l’insegna il conosce, e in detti alteri
grida: «O tu, che presumi? Arresta il passo,
non guerreggi co i venti e co i nocchieri.
Qui di frombola armati e di turcasso
stolidi non affronti e nudi arcieri.
Vere guerre avrai qui, ben ti era meglio
goder l’oro de l’India e morir veglio».

70Così dice, e percote in su l’elmetto
il ligure guerrier con sì pesante
colpo che in varia guisa ei fu costretto
piegar stordito e vacillar tremante.
Di vergogna il Colombo e di dispetto
arse nel core insieme e nel sembiante,
e rivenuto al barbaro feroce
con la spada rispose e con la voce:

71«Prendi tu, che de l’armi e de la guerra
sei pronto consigliero e mastro esperto,
questa risposta, e vedrai quant’erra
de l’usanze indiane il grido incerto.
Vedrai che so pugnare in mare e in terra,
nel domestico clima e nel deserto.
Non guerreggiano sol le tue contrade,
ma sanno anco ferir le nostre spade»,

72disse, e gli fe’ sentir la sua risposta
pur troppo vera: apre il lucente usbergo
l’acuta spada e la sinistra costa,
e la punta sanguigna esce dal tergo.
L’alma dal seno e da la parte opposta
fugge per doppia via dal caro albergo.
Cade Agramasso e la caduta estrema
del nome suo la dignità non scema.

73Cade il pagan, ma nel cader non preme
de l’usata virtù l’antico onore,
non paventa, non supplica, non geme,
anzi intrepido ancor minaccia e more.
Ben cade allor de i barbari la speme,
smarrisce la virtù, langue il vigore,
onde attoniti e sparsi i suoi seguaci
fidan la vita cara a i piè fugaci.

74Fugge quei che fugò, cangia vicende
con diverso tenor l’instabil sorte,
cede il vulgo pagano e la via prende
pien di cieco timor verso le porte.
Gl’incalzano i cristiani e in guise orrende
distrugge i fuggitivi alata morte,
spinti così da ignobile paura
giungono i Saracini a l’alte mura.

75Di saette e di pietre i difensori
avventano a i cristiani aspra tempesta,
ma non curan l’offese i vincitori
né si perde il vigor né il piè si arresta.
Si chiudono le porte e parte fuori
a l’impeto nemico esposta resta
parte ne la città scampo ritrova,
misero avanzo d’infelice prova.

76Su quei che da le mura erano esclusi
rivolgono i cristiani il fiero sdegno,
e di lor, che fuggian sparsi e confusi,
fanno strage crudel senza ritegno.
Trucidati costoro e gli altri chiusi,
il magnanimo re rinova il segno
del tralasciato assalto e nuova guerra
con impeto maggior move a la terra.

Baudele decide di consegnare la città e manda Almireno al campo crociato a fare l’ambasciata (77-90)

77Già su l’alte ruine il gran Ferrando
porta l’eccidio a i miseri assediati,
già spinge con l’esempio e col comando
a la prova seconda i suoi soldati.
Già il ligure guerrier, Consalvo, Hernando
con gli altri più famosi in vari lati
rinovano l’assalto, e in ogni parte
oppugnan la città la forza e l’arte.

78A l’apparato, a l’impeto, al furore
del poderoso esercito cristiano,
smarrita la virtù, cede al timore
disperato e confuso il re pagano.
Stima che a la fortuna et al valore
del gran nemico egli contrasti in vano,
e già mostra insolita paura,
desolata la reggia, arse le mura.

79Da i fuggiti guerrieri intesa avea
la morte d’Agramasso, onde lo stato
de l’imperio cadente in sé volgea,
e scorgea del suo regno il duro fato.
Quinci, mentre altamente egli premea
da sì varie procelle il cor turbato,
giunge Omar, che magnanimo non cessa
con tai detti innalzar la speme oppressa:

80«Duriam, signor, perché vediamo alfine
cessar l’ire cristiane e l’armi intorno.
Già sembra che da l’alto il sol decline
a l’usato maritimo soggiorno;
forse terminerà tante ruine
la notte oscura; al variar d’un giorno
variano le vicende: altra ventura
ne può il tempo recar; vince chi dura.

81E quando pure oggi nel ciel sia dato
il termine prefisso al nostro regno,
vo’ che abbiam con la patria eguale il fato,
non serbarci vivendo al giogo indegno.
O godiamo felici un solo stato
o miseri ci opprima un solo sdegno;
qual più degna è per noi la sepoltura
che tra queste ruine, in queste mura?».

82Tace, e forse egli empìa d’alta baldanza
con questi detti al fier tiranno il seno,
ma togliendo l’ardire e la speranza,
diverso di parer, disse Almireno:
«Che badi? a chi ti volgi? e qual ti avanza
speme o scampo, signor? Tutto vien meno;
stanchi gli amici e deboli i presidi,
l’erario esausto e i cittadini infidi.

83A che dunque pugnar contra il destino?
A che dunque morir senza profitto?
Cedi, signore, a quel voler divino
che il termine al tuo regno oggi ha prescritto.
Tu rendi la città, lascia il domino,
sol libero mantieni il core invitto.
Puoi tu col variar de la fortuna
sperare a miglior sorte ora opportuna.

84Vive, se tu vivi, la nostra speme,
cade, se cadi tu, la nostra sorte.
Serba in te stesso e serba insieme
il titolo e l’onor degno d’uom forte.
Chi vuol morir, perché la morte teme,
ha per viltà, non per virtù la morte.
Se muori al tuo nemico il regno approvi:
a che morir se al tuo nemico giovi?».

85Disse, e nudrì di vita e di ventura
lusinghiere speranze al re nel seno.
Di rendersi risolve e con tal cura
verso il campo cristian manda Almireno.
S’alza insegna di pace in su le mura
et esce il messaggiero istrutto appieno
de la mente del re, che in lui ripone
de l’estrema fortuna ogni ragione.

86L’esercito fedel vide lontano
lo stendardo pacifico da l’alto,
et arrivando il messaggier pagano
sospese l’armi e tralasciò l’assalto.
Giunto fra mille armati al re cristiano,
il superbo destrier lascia d’un salto,
piega la fronte e pon la destra al seno,
e con dolce parlar prega Almireno:

87«Oggi quel regno, oggi quel re, signore,
cui mosser tanti regi inutil guerra,
cedendo a la tua sorte, al tuo valore
t’offre per me l’assediata terra.
De lo scettro pagan ti dà l’onore,
ti concede le porte e ti disserra.
Entra dunque, e supponi al giogo ibero
con felice trionfo il nostro impero.

88Sol richiede il mio re che gli sia dato
il libero partir quando gli aggrada,
e che a i liti africani ei sia portato
su le tue navi e per sicura strada.
Forse gli serberà più amico fato
e regno più tranquillo altra contrada,
o, se non tanto, almen godrà quieta
con fortuna men rea vita più lieta.

89Vivrà contento e prenderà ristoro,
ché a te cede, se pur cedette, il regno,
né poteva il mio re con più decoro
cedere il proprio scettro a re più degno.
Tu goderai che, cinto il regno Moro,
vincesti del tuo core anco lo sdegno,
mentre donasti e libertate e vita
al re dolente e a la città smarrita».

90Tacque, e con lieta fronte il re cristiano
gradì l’offerta e al saracin rispose:
«Ciò che brami io prometto e non in vano,
in me sua speme il tuo signor ripose.
O nel libico regno o ne l’ispano
io farò ch’a suo grado egli ripose.
Non guerreggio co i vinti e con chi prega,
a chi tutto mi dà nulla si niega».

Ferrando entra in città e scioglie il voto, Baudele e la moglie gli chiedono il battesimo (91-109)

91Disse, e quanto richiese a lui concesse,
e con la croce insieme e con l’armata
tosto che il nuovo giorno il sol traesse
ei publicò ne la città l’entrata.
Stretti i patti a vicenda e le promesse,
l’accorto messaggier riede a Granata,
tutto espone al suo re, che i patti accetta,
vieta l’offese e ’l nuovo giorno aspetta.

92Al fiammeggiar de l’amorosa stella
privo alfin d’ogni lume il cielo imbruna,
poi da l’indico mar l’alba novella
sorge alfine, e prepara al sol la cuna.
Sorgono il gran Ferrando et Isabella,
e, sorto già, l’esercito si aduna
sotto i soliti duci a le bandiere
ne gli ordini diviso e ne le schiere.

93Primo su il primo albor gli altri precede
Armonte con più squadre et ha la cura
de l’Allambra occupar la regia sede,
guardar le porte e custodir le mura.
Entra ne la città, scorre, rivede,
con presidio opportun tutto assicura,
e solleciti avvisi al re n’invia;
movesi il campo e d’armi empie la via.

94Entran per le superbe antiche porte
tante volte difese et oppugnate,
l’ordinanze del campo e de la corte,
quelle di ferro e queste d’ostro ornate.
Entrano il gran Ferrando e la consorte,
coppia d’alto valor, d’alta pietate,
ambi di maestà chiari e di nome,
ambi d’oro e d’allor cinti le chiome.

95Sta su la vinta soglia il re pagano
che riverente al vincitor s’inchina;
ei lo sostien con generosa mano,
e quegli a lui favella e a la reina:
«Questo regno, da me difeso in vano,
alta legge del fato a voi destina.
Io godo almen che se lasciar lo deggio
n’ottenga alfin sì degna coppia il seggio».

96`Vinsi, è ver,» gli rispose il gran Ferrando,
«ma con ragion vo’ che sen dia l’onore
a la destra del Ciel, non al mio brando:
vinse il mio Dio, non vinse il mio valore.
Tu spera che, se cedi al mio comando
il tuo scettro, io riserbo a te il mio core:
parte in esso avrai condegna e quale
ben si conviene al sangue tuo reale».

97Tace, e l’altro s’inchina, e curioso
il popol Moro a rimirar si aduna
la nuova pompa e ’l vincitor famoso,
e la virtù ne ammira e la fortuna.
Formidabile oggetto e dilettoso
danno in passar le schiere ad una ad una,
e con publico applauso, a suon di tromba,
Isabella e Ferrando il ciel rimbomba.

98Giunge l’altera coppia ove giacea
larga piazza opportuna al suo disegno,
et ove al gran Rodrigo alzar volea
tempio sublime e cimitero degno.
Qui già il sito capace eletto avea
il dotto Argoglio, uom di profondo ingegno,
da cui nel divisar gli alti edifici
prendea ciascun gli oracoli e i giudici.

99Quivi prima invocò propizio il Cielo
a la mole sorgente il saggio Piero,
poi lo seguì, cinto di bianco velo,
con sacre note il venerabil clero.
Acceso il re di generoso zelo,
secondò co i suoi preghi il gran mistero,
e di sua man con fortunato esempio
fondò la prima pietra al nuovo tempio.

100Mentre a l’opra costoro erano intenti,
mira tratto in disparte il re pagano
le sacre cerimonie, ode gli accenti,
et ammira in se stesso il rito strano.
Era giunta Maurinda, e riverenti
ambi di nuovo al vincitor cristiano
voleano offrirsi allor, ché a miglior vita
con miracolo nuovo il Ciel gl’invita.

101Sorgea su questa piazza in base aurata
del profano Macon statua sublime,
che dal vulgo pagano era serbata
del culto suo fra le memorie prime.
Mentre quivi a mirar la pompa ornata
di vari riti e varie spoglie opime
pende intenta Maurinda e ’l re marito,
fu dopo un lampo un grave tuon sentito.

102Uscì da l’empia statua il lampo e ’l tuono,
che tutti empì d’insolito terrore,
quinci si udì con formidabil suono
orribil voce in rigido tenore:
«Care mura infelici, io vi abbandono
al nemico destin, non al valore.
Feci quant’io potea, mi opposi al fato,
contro al Ciel, contro a Dio più non mi è dato.

103Cada il regno pagan, cadano alfine
queste mura dilette invan difese,
non vi temo io però, leggi divine,
non tralascio io però l’usate offese.
Son cote al mio furor queste ruine,
cerco a l’impero mio nuovo paese.
Non è vinto Idragor, ma vola altrove
a sparger nuovi semi a guerre nuove».

104Così disse Idragorre e di Granata
lasciò la reggia, abbandonò la cura,
et allor del re mauro illuminata
fu da i raggi di Dio la mente oscura.
Vide costui la verità celata
fra l’ombre, onde nel mal l’alma s’indura,
e sentì liquefarsi a poco a poco
il giel del freddo core a un dolce foco.

105Di cor mutato e di voler diverso
veste nuovi pensieri, alma novella,
e con mente sincera a Dio converso
chiede battesmo e la consorte appella.
Quinci de i primi errori il vel disperso
al celeste desio consente anch’ella,
e s’innoltrano insieme ove devoto
il magnanimo re consacra il voto.

106A l’apparir de i conosciuti regi
ognun dà loco, e cede ognun la via,
giunge Baudele e dice: «A nuovi pregi
ti chiama il fato, e nuov’onor t’invia.
Più che del regno mio vo’ che ti pregi
che regno in Ciel la tua pietà mi dia;
io vo’, signor, che le mie colpe gravi
con l’acqua del battesmo oggi mi lavi.

107Questa ancor, che del regno e de la sorte
mi fu compagna, a te ricorre e chiede
che col sacro mistero apri le porte
del vero occulto e de la vera fede».
Tacque, e volea con la real consorte
baciar la mano et abbracciare il piede,
ma lieto il gran Ferrando a tal novella
lor sostiene in punto e lor favella:

108«Coppia real, più di servir mi pregio
al bel desio che vi apre al Ciel la strada
che goder la vittoria e ’l titol regio,
cui diè legge del Cielo a la mia spada.
Io ministro sarò del fatto egregio,
di cui non fia che nel mio regno accada
gloria maggiore; io vinsi e voi vinceste,
a me palma terrena a voi celeste».

109Tacque, e si rinovàr gli abbracciamenti,
e gareggiàr di cortesia, di affetto,
e i casi loro accompagnàr le genti
con voci d’allegrezza e di diletto.
Proseguì poscia, e con divoti accenti
diede al voto solenne intiero effetto
il gran Ferrando, e quivi offerse a Cristo
il nobil tempio e ’l glorioso acquisto.