commenti
riassunti
font
AA+
Chiudi

Il conquisto di Granata

di Girolamo Graziani

Dedicatoria e prefazione

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 19.07.15 12:08

Serenissima Altezza,

È dovuto a Vostra Altezza Serenissima il poema del conquisto di Granata, contenendo l’azione di un gran re, a cui Vostra Altezza è non meno simigliante per merito che pronipote per sangue, et avendol composto un suo servo, che le ha consacrati non meno i parti dell’ingegno che gli ossequi della persona.
Ma questa dedicazione, ch’è necessaria per convenienza del soggetto e per o-bligo dell’autore, è volontaria ancora per interesse di patrocinio e per auspicio di fortuna, essendosi osservato che nella sua serenissima casa sia propria la tutela e fatale la felicità dei poemi.
Supplico riverentemente Vostra Altezza di ricever con aggradimento quest’opera, che le si deve per tanti rispetti e che nel di lei gloriosissimo nome fatta partecipe dell’immortalità, renderà perpetua testimonianza della sua beni-gnità e della mia divozione, conservando a Vostra Altezza il titolo ereditario di protettore della virtù et a me quello di cui ambiziosamente mi pregio di essere, di Vostra Altezza Serenissima umilissimo devotissimo obbligatissimo servo,

Girolamo Graziani

 

Lo stampatore a chi legge

Esce finalmente in luce Il conquisto di Granata dopo il giro di tre lustri che fu dall’autore intrapreso e già promesso. Termine assai lungo, se si ha riguardo alla brevità della vita, ma sempre breve se si considera che si scrive per l’immortalità del nome.
Vari impedimenti si sono opposti ala pubblicazione: distrazioni domestiche, accidenti pericolosi, agitazioni di corte, occupazioni continue della carica in congiunture sommamente travagliose, viaggi fatti in diverse parti d’Italia e fuori ancora per gravi occorrenze della serenissima casa. Qual fine sia per sortire quest’opera, che è parto di tanti anni, dovrà rimettersi al tempo, che col giudicio universale determina le vite de’ poemi.
Intanto, per quel che può toccare in questa parte a giustificare innanzi a sì gran tribunale l’intenzione dell’autore, è bene che si sappia che nella favola, la quale è l’anima dell’epopeia, è stato particolare il suo studio. In questa, compiacendo al proprio genio et all’amenità dell’istoria, ha procurato di allontanarsi da certo superstizioso rigore, e formarla in guisa che apporti maggior diletto tenendo sospeso l’animo di chi legge colla novità e varietà d’intralciati avvenimenti. Vedrai però questa libertà dell’autore regolata da un’avvertenza che, non lasciando alcuno de’ successi ozioso, fa che servano tutti d’istrumento a chi opera, sì che dalla frequenza degli episodi non resta punto di scomposta l’unità dell’azione.
Nell’elocuzione egli ha seguitato il parere di chi ne ha prescritte le regole, e l’uso de’ due maggiori epici della nostra lingua, la cui autorità è dal publico applauso autenticata per legge. Nella sentenza ha desiderato di congiungere alla gravità l’affetto e la chiarezza, per secondare l’umore del popolo, ch’è il soggetto a cui si scrive; e ne i costumi si è ingegnato di adattarsi a i personaggi, a i tempi et alle nazioni di cui si tratta.
Gli è però convenuto talora, per accomodarli all’espressione spagnuola, introdurre qualche voce nuova all’orecchie italiane, e talora anche, per non incontrar durezze nell’idioma toscano, gli è bisognato mutare od alterare qualche nome di persone o di famiglie spagnuole che sonavano poco bene nella nostra lingua; ma si assicura che la necessità di osservar per una parte l’usanze de’ popoli e di conformarsi per l’altra alla dolcezza della favella, sarà dalla discretezza dell’una e dell’altra nazione compartita.
Così pure io spero che sieno per esser condonati quegli erori che, non ostante qualsivoglia esatta diligenza, sono scorsi nella stampa colla mutazione de’ caratteri, come bebbe per benne e simili, che non saranno però se non pochi, e di ciò non si fa nota pe rimetterne alla tua prudenza la cognizione et alla tua cortesia la scusa.
Stava per incominciarsi la stampa quando seguì la morte, sempre deplorabile, della Serenissima Signora duchessa Vittoria, di cui si parla nelle stanze della dedicazione. L’autore non ha voluto alterarle, ambizioso di continuar questo poco tributo dell’obligata sua Musa alla gloriosa memoria di sì gran principessa. Non ne prender dunque maraviglia, ma godi che sia riverito lo splendore della virtù e pagato il debito della gratitudine: quello non offuscato, questo non isciolto dalla morte.
Resta che tu avverta che le parole dea, fato, destino, idolo, paradiso, adorare e simili sono usate per vezzo di poesia, non per errore di credenza. La vaghezza delle forme non deve pregiudicare alla purità della fede: quelle si osservano per delizie della penna, questa si riverisce per oggetto del cuore. Lo stile tutto poetico e l’animo sempre cattolico: così l’autore si protesta. E tu vivi felice.

Girolamo Graziani