commenti
riassunti
font
AA+
Chiudi

La Cleopatra

di Girolamo Graziani

Canto I

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 19.03.15 12:22

ARGOMENTO
Sdegna Marte ch’Antonio arda d’amore
per Cleopatra, onde l’Invidia trova,
ch’al superbo Domizio infetta il core,
sì che irato de’ Parti il re ritrova.
Co ʼl sembiante fraterno alto furore
Marte a Fraate inspira, acciò che mova
a i danni del latin; l’Armenia scorre
Domizio, e quinci Antonio i suoi soccorre.

Proemio (1-4)

1Vieni, e lascia le sponde e ʼl giogo ameno
del gran Parnaso e del castalio rio,
e di sacro furor m’inebria il seno,
bella figlia di Giove, amata Clio;
tu da l’ira de gli anni e dal veneno
d’empio livor difendi il canto mio,
tu ʼl rischiara e l’innalza, e sia tuo dono
ch’ei s’oda de le trombe emulo al suono.

2Come di Cleopatra arso e trafitto
Antonio a le bellezze allettatrici
fesse porporeggiare, arder l’Egitto
e d’Asia e d’Azio e l’onde e le pendici,
com’ella sempre lieta e sempre invitto
divenissero poscia ambo infelici
io vuo’ cantare, altri conosca intanto
ch’allegrezza mortal finisce in pianto.

3A te, del grand’Alfonso augusta prole,
magnanimo Francesco, onor de’ gravi,
ne’ cui verdi anni il mondo ammira e cole
senno viril, pensier canuti e gravi,
d’ascoltar, di gradir le mie parole
al tuo nome sacrate or non aggravi,
tu spira onde sian chiare in ogni parte
serenissimi raggi a le mie carte.

4Quando fia poi che superati io veda
dal tuo sommo valor gli orridi mostri
ch’a far d’Esperia bella ingorda preda
lasciàr d’Averno i tenebrosi chiostri,
m’udrà lieto ciascun, mentre conceda
l’aquila tua la penna i carmi nostri,
cantar l’inclito eroe che i mostri uccide
liberator d’Italia, estense Alcide.

Marte osserva sdegnato la depravazione di Antonio, e decide di intervenire (5-13)

5Già quella di ben cento imperi e regni
voragine fatale, ambiziosa
da l’indic’ocean d’Ercole a i segni
ne le perdite altrui Roma famosa
perduta avea tra i cittadini sdegni
la libertate illustre e gloriosa,
e ʼl ferro onde tremò lo stuolo avverso
ne le viscere proprie avea converso,

6e già ʼl sangue roman sparso in battaglia,
oltre quel che già tinse il Tebro istesso,
ne l’infausta esecrabile Farsaglia
avea più volte in fera guisa espresso
ch’ogni potente impero ove l’assaglia
la discordia civil rimane oppresso,
e che regno non è sotto la luna
che non soggiacia al tempo e a la fortuna.

7Già de le patrie avean tra lor partito
Antonio, Augusto il poderoso impero,
dal britannico mar d’Atlante al lito,
da le rive del Tigre al flutto ibero,
e già s’era d’Antonio intenerito
fra i piaceri d’Egitto il cor guerriero,
et ei de la beltà di Cleopatra
era, di vincitor, fatto idolatra.

8Essa già lieta a suo voler reggea
e l’impero e ʼl voler d’Antonio amante,
e prostrata a i suoi piè già si vedea
tributaria et umil l’Asia davante;
già sola di trattar seco godea
con la tenea man scettro pesante,
qual se n’andò tra la feminea schiera
de le spoglie tebante Onfale altera.

9Vide dal quinto ciel Marte cruccioso
nel sen di Cleopatra Antonio accolto,
da se stesso diverso in vil riposo
vaneggiando languir servo d’un volto,
né ciò soffrir potendo, impetuoso
in tal guisa proruppe a sé rivolto:
– E quando mirerò sottratte alfine
al giogo feminil l’armi latine?

10E non sarà che liberato io veggia
quei che fu tra i più cari a me più caro
da l’egizie catene? e sia che seggia
su ʼl trono de i Roman donna del Faro?
e così del Tarpeo l’antica reggia
che i figli miei di mille spoglie ornaro
rimarrà inculta e del mio nome a scorno
n’andrà de’ suoi trofei Canopo adorno?

11Per ricondurre Antonio a la smarrita
via de l’onor che non tentai, non fei?
L’Italia arse di guerra, uscì di vita
Fulvia, e sì celebràr gli alti imenei.
Fu dal concavo ferro Etna sentita
gemere al suon de l’armi e i campi iblei,
l’Oriente tremò, rimase estinto
il figlio di Pompeo, Lepido vinto.

12Prima cagion di sì gran moti io fui
che da l’empie lusinghe ingannatrici
così sperai di richiamar costui
de la regia sua cura a i degni uffici.
Ma che giovò, se tutti a pro di lui
i miei studi fur vani e gli artifici?
se rinovò le colpe? e s’oggi ancora
i ceppi suoi, le sue ruine adora?

13Ma non sarà che de’ suoi lunghi errori
l’indignitate io soffra e che permetta
che da barbari e vili adulatori
sia la gloria di Roma oggi negletta.
Sì sì, per disturbar gli egizi amori
già il modo è certo e già la strada eletta -.
Così Marte ragiona, e qui fremendo
nel volto fiammeggiò di sdegno ardendo.

Marte decide di sfruttare lo sdegno di Domizio, innamorato di Cleopatra, per Antonio (14-21,4)

14Tra quei che più famosi a l’alte imprese
Cesare già guidò seco in Egitto,
a l’or che Cleopatra egli difese
dal german, che restò vinto e sconfitto,
Domizio fu, che dal natio paese
su l’armata colà fece tragitto,
cui del proprio valor, de gli avi eggregi
la superbia maggior scemava i pregi.

15Ei primo de la tromba al suon guerriero
con intrepido volto il ferro strinse,
ei nel vallo nemico entrò primiero
e d’ossa il seminò, di sangue il tinse,
ei là dove il periglio era più fero
tra ʼl più folto drapel ratto si spinse,
né, se d’uopo ciò fu, riposo alcuno
ebbe nel chiaro ciel, ne l’aer bruno.

16Tal più noto divenne, e ʼl capitano
che il suo ardir riconobbe in varie guise,
de l’imprese al suo ingegno e a la sua mano
gli oculti arcani e l’eseguir commise.
Quinci, vinta la pugna, ove il germano
di Cleopatra incerto caso uccise,
di Farnace a frenar Cesare corse
l’armi, cui non poteo Domizio opporse.

17Fatta poscia da lor sovra il nemico
memorabil vendetta, e racquistate
quante avea già dentro il paese amico
il barbaro furor terre usurpate,
già privo il crudo re del trono antico
e le sue schiere in un viste e fugate,
de le spoglie di lui Cesare adorno
a l’italico suol fece ritorno.

18Ma non tornò su la cesarea armata
a riveder Domizio il patrio tetto,
poiché l’alma in Egitto incatenata
Cleopatra gli avea con nuovo affetto;
non sì tosto da lui fu rimirata
la famosa beltà che dentro il petto
sentissi penetrare a poco a poco
non conosciuto, inestinguibil foco.

19Crebbe l’incendio e ʼl desioso amante
risolvette tal or farlo palese
a chi n’era cagion, ma poi tremante
e in sé dubbioso, il suo parlar sospese;
pure a gli atti s’avvide et al sembiante,
scaltra, colei de le sue fiamme accese,
ma finse non vederle, e quei sofferse
l’interno duol che sol co’ guardi aperse.

20Così lunga stagione irresoluto
e tra vane speranze incerto ei visse,
sinché Antonio, ne l’Asia alfin venuto,
quella godé che ʼl seno a lui trafisse.
Ben a l’ora restò pallido e muto,
e de l’altrui dolcezze egli s’afflisse;
pure, i sensi frenando in mezzo al core,
taciturno rinchiuse il suo dolore.

21Quinci tentò, stimando il laccio indegno,
di sciorlo e di smorzar l’alto desio,
ma, dubbio tra l’amore e tra lo sdegno,
né questo spense né da quel fuggio.Marte si reca alla dimora dell’Invidia, le chiede di infettare Domizio (21,5-28,4)
Or costui dunque osserva, e al suo disegno
ministro elegge il bellicoso dio;
risolve poi senza tardar là sopra
scendere al basso e dar principio a l’opra.

22Qual da torbida nube esce repente
strisciando per gli eccelsi eterei campi
con orrendo fragor fulmine ardente,
onde par che la terra e l’aria avvampi,
tale a l’or frettoloso e impaziente,
cinto lo dio guerrier d’orridi lampi
dal ciel discende, indi rivolge il piede
de l’Invidia a l’oscura infausta sede.

23Giace tra cupe valli ove non mai
alcun’aura spirando i soffi alterna,
del più lucido sole ignota a i rai
ne la Scizia nevosa atra caverna.
Non si scalda o risplenda il sen giamai
de la grotta, ov’è il ghiaccio e l’ombra eterna;
serpenti vomitar gonfi di tosco
suol la bocca de l’antro orrido e fosco.

24Qui sta l’Invidia, e quivi in arrivando
sdegna di penetrar la soglia infame
Marte, e la noderosa asta impugnando
batte l’antro, e quel cede a le sue brame.
S’apre la grotta, e scorge in lei mirando
l’Invidia, che pascea l’avida fame
di vipere, che feano a lei di rabbia
talor co’ morsi intumidir le labbia.

25Marte di più mirarla indi aborrisce,
e torce il guardo, et ella pigra intanto
sorge da la sua mensa, e de le bisce
sparge i laceri busti in ogni canto.
Lenta camina, e geme e infellonisce,
viste l’armi di Marte e ʼl ricco manto,
e di nuovo co ʼl suon de’ suspir sui
tragge al volto di lei gli occhi di lui.

26Tutta è d’atro pallor sparsa nel viso,
macilenti le membra, il guardo ha bieco,
livido è il dente, e non ha in bocca il riso,
se non quando negli occhi il pianto ha seco.
D’un ferro tosco, ond’altri resta ucciso,
la lingua è infusa, e ne l’interno speco
del petto il fiel verdeggia, e mai non gode
del sonno, de i piaceri e de la lode.

27A colei dunque, a cui supplicio è degno
s’altri offender non può morder se stessa,
Marte, benché l’aborra e l’abbia a sdegno,
rivolto in guisa tal parla con essa:
«Ne la città che de l’egizio regno
sorge primiera or vanne, e là t’appressa
a Domizio, et a lui del tuo veneno,
così chiede il bisogno, infetta il seno».

28Tanto sol disse, indi fuggì veloce
da l’empia, che ʼl mirò con torvo aspetto,
e brevi mormorando in bassa voce
de le glorie di Marte ebbe dispetto;L’Invidia colpisce Domizio (28,5-35)
quindi, lasciato con sembiante atroce
del crudo albergo il solitario tetto,
di fosche nubi a l’or coperta e cinta
scote verga di spine intorno avvinta.

29Ove move le piante o l’occhio gira
i campi inaridisce e i fonti sugge,
e col fiato pestifero che spira
i regni attosca e le città distrugge;
tal giunge in Alessandria, e quando mira
i lieti abitator dentro si strugge
d’un rabbioso dolore, e mesta appena
perché pianger non vede il pianto affrena.

30Sen entra poi dove Domizio alberga,
e gl’imperi esequisce, e del romano
percote il sen colla spinosa verga,
e con rigida il tocca e ferrea mano.
Quindi è che per le vene e l’ossa asperga
a l’amante negletto il tosco insano,
e ch’al misero il core infetto reste
da la tartarea abominevol peste.

31Vengono a l’ora a l’infelice inanti
e rassembran del vero anco maggiori
tutte de’ duo famosi e regi amanti
le soavi dolcezze e i lieti amori.
Altrove mira i suoi dispregi e i pianti,
indegno guiderdon de’ suoi sudori,
et ode ch’una voce al cor gli suona
e in tal guisa altamente a lui ragiona:

32«Ecco là che nel grembo Antonio accoglie
la bella Cleopatra, e tu schernito,
misero spettator de le tue doglie,
dal riso popolar sei mostro a dito.
Un sol tetto, un sol letto ambo raccoglie,
tu non sei pur di rimirarla ardito,
si riserbano a lor le gioie e i pregi
a te solo i tormenti, a te i dispregi.

33Or esponi a l’irate armi nemiche
il seno, e spargi il sangue a pro di lei:
tu seminasti, e miete altri le spiche,
e su le tue ruine erge i trofei.
O mal spesi sudor, vane fatiche,
così negletto e vilipeso or sei?».
Tal risuona la voce, e ʼl suo veneno
intanto del guerrier serpe nel seno.

34Resta al tosco fatal, ch’ogni altro eccede,
del feroce latin la mente infetta,
e pria l’occupa il giaccio, indi succede
un ardor che l’infiamma a la vendetta.
Al senso ribellante il fren concede
del suo voler già la cagion negletta,
e già l’invidia in lui maligna e fella
move d’aspri pensier varia procella.

35Qual al fin da secreta occulta mina
sossopra rivolgendo eccelse mura
con improvisa orribile ruina
la già rinchiusa fiamma uscir procura,
tal nel sen di Domizio a sé destina
larga via da scoppiar l’invida cura,
che di stupido gel cangiata in foco
tra i confini del cor non trova loco.

Domizio decide di recarsi da Fraate re dei Parti, lo sprona a entrare in guerra e gli assicura il suo aiuto come stratega e tattico, Fraate tergiversa (36-53,4)

36«Vedrà (dicea), vedrà la donna ingrata
che l’amor mio, che la mia fé disprezza,
vedrà come già fu mal consigliata
scegliendo il possessor di sua bellezza;
per me sarà, da me sarà turbata
de la molle sua vita ogni dolcezza,
e da me rotti al fine in ogni parte
fieno i sonni amorosi al suon di Marte.

37Odano or sol, veggono or sol d’amori
spettacoli giocondi e dilettosi,
e tra infame drapel d’adulatori
de le vergogne mie godon fastosi,
ma tosto fian da l’ire e da i terrori
di Bellona interrotti i lor riposi,
e per me diverran con nuova sorte
le delizie d’amor scherzi di morte.

38Io me n’andrò dove Fraate ha in cura
regger di patria i popoli guerrieri,
che per vari successi e per natura
son del nome romano emuli alteri,
e la gloria or movendo, or la paura,
in lui risveglierò gli odi primieri;
così per mia vendetta e sol per opra
de’ miei consigli andrà l’Asia sossopra.

39E così poi, s’arsi già un tempo anch’io,
arderanno l’Egitto e d’Asia i regni:
spento nel foco altrui l’incendio mio
troveranno queste i miei disegni,
sazierà l’altrui danno il mio desio
e l’altrui pianto smorzerà i miei sdegni,
fieno l’altrui miserie i miei trofei,
laverà il sangue altrui gli scorni miei.

40Oh come poi vittorioso al fine
del vendicato amor godendo i frutti
e le lagrime egizie e le latine
lieto vagheggerò con gli occhi asciutti!
De’ nemici le stragi e le ruine
saran mie glorie, e le catene e i lutti
chiara vendetta di Domizio invitto
sarà l’Africa deserta, arso l’Egitto».

41Così discorre, e quindi il fero amante,
anzi il crudel nemico, ebro ne l’ira
d’Alessandria cruccioso e minacciante
parte furtivo, e ʼl piede a i Parti gira,
e giunge et è condotto al rege inante,
che l’abito latin sospeso mira,
et al volto et a l’armi ei ben gli pare
ch’uom sia d’alta possanza e d’alto affare.

42Domizio al re s’inchina, e fiso in lui,
rotto il silenzio, in guisa tal ragiona:
«Signor, di tua virtù chiara tra nui
la fama e gloriosa oggi risuona,
sì che fatto maggior de i regni tui
altri ammira il tuo merto e di te suona
l’Asia, e in mezzo al timor de’ tuoi nemici
congiungi al tuo valor gli animi amici,

43a me sin ne l’Egitto è prevenuto
de l’opre tue famose il nobil grido,
onde a te vengo, e in te il bramato aiuto
al mio dolor di ritrovar confido,
io, che per Cleopatra ho combattuto
e che per racquistarle il patrio nido
a la morte m’esposi, or vilipeso
da quell’ingrata a te ricorro offeso.

44Io son Domizio, e ignoto il nome nostro
non giunge qua, se ʼl creder mio non erra,
poiché sarà palese al regno vostro
ciò che fei ne l’Egitto in dubbia guerra.
Quella fé, quel vigor ch’io dunque ho mostro
un tempo a pro de gli altri in altra terra
da l’impudica donna oggi negletto,
signor, da te raccolto a te prometto.

45E tu, poiché non mai la sorte offerse
occasion sì degna al tuo valore,
ond’abbi a vendicar l’onte diverse
de l’estinto german, del genitore,
questa che il cielo amico a te scoperse
devi tosto abbracciar con lieto core,
poiché raccoglie in una e ti promette
con prodigo favor mille vendette.

46De gli arcani d’Antonio a me palese
è la parte maggior, che seco a parte
fui de’ consigli un tempo e de l’imprese
esecutor ne’ dubbi affar di Marte;
so dov’egli più forte a le difese
a te può ripugnar, so da qual parte
non munito il suo regno o men provisto
tu potresti assalir con certo acquisto.

47Io l’Egitto, ch’irato e impaziente
soffre di Cleopatra il giogo indegno,
spargerò di tumulti, io l’Oriente
moverò contro l’empia a giusto sdegno.
Aborre di veder l’Asia dolente
ch’una femina vile usurpi il regno,
né sarà tarda, ove le s’offra il modo,
de’ suoi lacci servili a sciorre il nodo.

48Né già creder si de’ che neghittoso
di tanti moti l’Ido e l’Etiopo
sia per mirare il fine e ch’ozioso
in pace si rimanga a sì grand’uopo,
anzi l’avido spirto ambizioso
d’Antonio temeran che tenti dopo
soggiogarli al suo regno, onde devranno
teco uniti stimar proprio il tuo danno.

49Antonio e Cleopatra omai sospetti
ne la fortuna prospera a i tuoi regni
opprimi tu, prima che in te gli effetti
abbi a provar de’ vasti lor disegni.
Perdi tanto, signor, quanto ch’aspetti
pria che del tuo pensier scorgano i segni,
movi l’armi, onde inermi e irresoluti
prima sconfitti sian che combattuti.

50Non tu fra il sangue e fra i perigli usati
quei famosi Roman fia che ritrove,
ch’or tra i lussi de l’Asia effeminati
han già poste in oblio l’antiche prove;
inesperti guerrieri e delicati,
schiere tumultuarie e genti nove
son le forze d’Antonio, et egli stessi
da straniera beltà languisse oppresso.

51Movi dunque, signor, mentr’ei sen giace
tra gl’indegni piacer l’armi temute;
già timido lo veggio e già fugace
a le piante fidar la sua salute.
Vanne, e tua preda fia l’Asia ferace,
i tesori d’Egitto or tu rifiute?
Vanne, e tuoi fieno; al tuo valor fortuna
gli scettri d’Oriente offre et aduna».

52Così parlò Domizio, e a l’armi accese
con questi detti a gli ascoltanti il seno,
e gli risponde e mostra il re cortese
in regia maestà volto sereno:
«Amico, avrai da le nemiche offese
il regno mio schermo sicuro appieno:
qui ricovra e per or ti basti e godi,
che il tuo merto conosco e l’altrui frodi».

53Così favella, et empie il cavaliero
d’alte speranze, e intanto è combattuto
del suo incerto volere il dubbio impero
da l’invito de l’armi e dal rifiuto.Marte si mostra in sogno a Fraate con le fattezze di suo fratello Pacoro, ucciso dai Romani e lo sprona a muovere guerra all’Egitto (53,5-65)
Or mentre in questa guisa tal vario il pensiero
erra del re sospeso e irresoluto,
Marte l’osserva e stabilisce il core
novo tosco spirarli e novo ardore.

54Era ne l’ora che i destrier del sole
con sonoro nitrir chiaman l’aurora,
ad infiorar di gigli e di viole
la strada al biondo dio che il cielo indora,
già la saggia di Maia alata prole
il giorno precorreva al par de l’ora,
e non invidiando al ciel le stelle
già il mare insuperbìa d’auree fiammelle,

55quand’a Fraate di Pacoro ucciso
dal nemico Roman preso il sembiante
nel suo placido sonno a l’improviso
Marte irato apparisce e minacciante:
ha del color di morte asperso il viso,
tutto è di sangue il crin lordo e stillante,
il sen da cento piaghe orribilmente
versa di caldo umore ampio torrente.

56Non sembrava egli a l’or cinto d’intorno
da le grazie festose e da gli Amori
quel che d’egregia alta bellezza adorno
de le partiche donne accese i cori,
ma qual ei fu nel memorabil giorno
che da i Romani irati e vincitori
con l’esercito suo fu rotto e vinto
ne la Soria dov’ei rimase estinto.

57De l’ucciso fratel stupido intanto
mira il volto sanguigno il re smarrito,
e negli occhi frenando appena il pianto
così poscia favella intenerito:
«O gran luce de’ Parti, o da me tanto
sospirato germano, a che ferito
e lacero in tal guisa a me pervieni
dopo sì lungo indugio? e d’onde or vieni?».

58Tacque, e proruppe in un sospir di sdegno
l’imago, indi rispose a i detti suoi:
«Et ancor giaci in sì vil ozio indegno
tra i bissi di Giudea, tra gli ostri eoi?
tra morbidi piacer godi quel regno
che co ʼl sangue acquistàr gli avoli tuoi?
e veggono per re deposti e scarchi
i Parti arrugginir gli strali e gli archi?

59Tu vivi lieto e invendicata ancora
l’ombra del tuo german erra in Soria?
e non ti cal se l’ossa sue divora
crudo mastino ove insepolto ei sia?
Mira qual sono, che fui già tale a l’ora
ch’io perdetti me stesso e l’oste mia,
mira il sangue stillante e mira ahi queste
che mi squarciano il sen piaghe funeste.

60Quante ferite in questo sen tu miri
sono altrettante bocche, onde ragiona
l’alma del tuo fratel morto tra i Siri
e vendetta immortal chiede e risuona,
e tu pur non sospiri a i miei sospiri,
e a la voce che flebile ti suona
a l’orecchie non gemi? e nel mio lutto
serbi immobile al pianto il ciglio asciutto?

61E tu che tragga il micidial permetti
fra lascivo drapel sonni oziosi?
e disprezzando i miei lamenti e i detti
la morte mia di vendicar non osi?
anzi non vuoi, non corri i suoi diletti
interromper con l’armi e i suoi riposi?
Deh, non forse a ragion t’addito e segno
degli Arsacidi eroi nipote indegno.

62Serve il romano effeminato e vile
a l’adultere egizie e ʼl piè che corse
del mondo vincitor da Battro a Tile
volontario d’amore a i lacci porse:
a che dunque indugiar? Del ferro ostile
ad altro uso il piacer l’uso già torse,
l’armi sparse di gemme e d’or lucenti
ricca preda saranno a le tue genti.

63Che tardi più? che non l’opprimi or ch’esso
giace nel mar de le delizie immerso?
forse attendi che rieda egli in se stesso
e sia di novo a i danni tuoi converso?
Or ch’egli sta dal proprio pondo oppresso
sarà in breve da te rotto e disperso,
ma se da i lussi a l’armi ei fa ritorno
ergerà contra i Parti altero il corno.

64Deh, prima che veder con duri scempi
da le barbare fiamme arso il paese,
tu movi l’armi in fretta e tu de gli empi
cautamente previeni oggi l’offese.
Serba i teneri figli e i sacri tempi,
da l’ira ostil serba le tombe illese,
vendica il tuo german, che più s’aspetta?
Io ti seguo, io ti guido a la vendetta.

65Io sarò la tua guida: a te il sentiero
nel maggior rischio agevolar prometto;
seguimi tu, che dal celeste impero
io son quindi a partir tosto costretto».
Qui tacque e sparve, e ʼl luminoso arciero
il giorno saettò nel regio letto,
e da i lucidi rai gli occhi percosso
dal suo torbido sonno il re fu scosso.

Fraate raduna un immenso esercito e scorre Armenia e Assiria (66-71)

66Come desto del figlio al rauco strido
a cui serpe crudel morda le piante
apre le luci e corre al pianto, al grido
l’arsiccio abitator del mauro Atlante,
et ondeggiar su l’arenoso lido
visto al figlio vicin l’angue strisciante
freme e piange in un punto e sente il core
lacerarsi da l’ira e dal dolore,

67così a i lamenti, a le rampogne a l’ora
de l’imago fraterna orrida e mesta
Fraate, a cui le viscere divora
un interno venen, si scote e desta,
e piange irato in rammentar talora
l’ingombra di terror vista funesta,
e quinci e quindi il cor gli ange e martira
co’ suoi stimoli a gara il duolo e l’ira.

68Gridò poi, dal furor tratto e rapito:
«Ti seguirò fra ʼl sangue e fra i perigli,
io moverò con la tua scorta ardito
a i danni del latin l’armi e i consigli;
io manderò d’Egitto inaridito
le piagge ad inondar fiumi vermigli,
a mitigar de l’ombra tua gli sdegni
farò d’Asia cader vittime i regni».

69Tace, e lascia le piume, indi si danno
gli ordini de l’impresa, e da i cavalli
trema l’Arasse calpestato, e fanno
tremare il Caspio i bellici metalli.
Vengono in guerra i Medi e quei che stanno
del Caucaso ne’ gioghi e nelle valli,
e ʼl gran moto commun né pur quieti
lascia gli estremi Sciti e i Messageti.

70De le squadre più barbare e più fere
seco eletto drapel Domizio prende,
e le città d’Armenia e le riviere
dispietato depreda, abbatte e incende.
Le turbe o fuggitive o prigioniere,
de l’ira militar reliquie orrende,
abbandonan fra vari avidi insulti
con gli aratri oziosi i campi inculti.

Antonio risveglia il proprio ardore marziale, raduna l’esercito e marcia contro Domizio (72-76)

71Miran da lunge la città che cade
gli sbigottiti abitator dolenti;
canuta chioma o supplice beltade
non placa di color le furie ardenti.
Distrutte sono e lacere le biade,
dissipati e dispersi erran gli armenti,
e de gli agricoltori un giorno, un’ora
le fatiche d’un anno alfin divora.

72Su la regia del Nilo arriva intanto
del barbaro furor nuova funesta,
e racconta che ʼl Parto in ogni canto
il paese vicin scorre e molesta.
Ode Antonio de l’Asia il commun pianto
e che stuol predator l’Armenia infesta,
et ode che di là con torva faccia
agli Assiri, a i Cilici anco minaccia.

73Tra i vezzi di Canopo affascinato
quinci a l’ora ei si scote e in sé riviene,
e dal sonno profondo è pur destato
da l’assirie querele e da l’armene;
già lo spirto guerrier, l’ardire usato
si riscalda e rinfiamma entro le vene,
e ʼl delicato sen fatto si mira
di miniera d’amor fuccina d’ira.

74- Dunque – tra sé dicea – mentre sen vanno
fra le guerre sossopra i regni miei
vago di Cleopatra il proprio danno
spensierato vedrò nel sen di lei?
E dal superbo predator tiranno
dunque innalzati fian nuovi trofei
sin ne l’Assiria mentre io neghittoso
godo servo d’Amore un vil riposo?

75No, ch’andar vuo’ dove il rubel romano
con le squadre nemiche il tutto incende;
io di quel traditor con questa mano
per me stesso farò vendette orrende,
co ʼl sangue io smorzerò di quel villano
l’alta fiamma crudel che l’Asia accende,
e con la morte del fellon rapace
a l’Oriente io comprerò la pace -.

76Così già risoluto a le bandiere
con nuovi messi et ordini iterati
chiamò l’egizie e le latine schiere
del suo impero divise in vari lati.
Sen va quindi ove son da le straniere
turbe assaliti et arsi e desolati,
già trascorsa l’Armenia, i campi aprici
de gli Assiri vicini e de i Cilici.