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La Cleopatra

di Girolamo Graziani

Canto II

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 20.03.15 8:11

ARGOMENTO
Cleopatra d’Antonio a la partita
riman di gelosia mesta e tremante;
chiama Argilea, da cui impetra aita
per richiamar da i Parti il caro amante.
Placa i tartarei dèi la coppia ardita
e a la grotta infernal volge le piante,
scioglie i mostri la maga, e le future
de l’Italia predice alte sciagure.

Cleopatra tormentata dalla gelosia: teme che Antonio sia partito perché ormai stanco di lei (1-6)

1De l’amato guerrier l’egizia intanto
s’affligge a la partita, e in sé dubbiosa
teme ch’altra beltà di maggior vanto
nuova accenda gli al cor fiamma amorosa;
ben con teneri vezzi e dolce pianto
tentò di raddolcir l’alma sdegnosa,
ma il sen ch’ardea di nobil ira al foco
a l’incendio d’amor non diede loco.

2O che tragger lassù Cinzia si miri
con l’argentato piè liete carole,
o che la luce dai superni giri
su ʼl teatro del ciel comparta il sole
la mesta donna in preda a i suoi martiri
de l’amante lontan si lagna e dole,
né le querele sue sono interrotte
del variar del giorno e de la notte.

3- Lassa (dicea), pure ha il crudel voluto
fra i miei gravi pensier sola lasciarmi?
sprezzò le mie preghiere, et ha potuto
infestar la mia pace e seguir l’armi?
Porger si gloria a gli stranieri aiuto,
bench’io ʼl serva non cura abbandonarmi:
Strana pietà che in sollevar gl’ignoti
nuoce a i più cari e opprime i più devoti.

4Il pianto de l’armeno e del cilice
nuove guerre a tentar dunque il commove,
e pure il lagrimar di me infelice,
il mio dolore a consolar no ʼl move?
Misera, già presago il cor mi dice
che non zelo d’onor lo spinga altrove,
ma che di me già infastidito ei corra
lunge da me perché vedermi aborra.

5Deh, se fosse ciò vero a che non desti
fine a le mie sciagure, al tuo sospetto?
perché tu di tua man non trafiggesti
no mortal piaga l’odioso petto?
Così già pago il tuo desire avresti
e premiato il mio amor con vario effetto,
saria premio al mio amore, al mio servire
ne le tue braccia e per tua man languire.

6Ma qual d’infedeltà nel mio fedele
senza cagion pavento errore indegno?
a che deggio temer ch’egli crudele
abbia il mio amore e la mia vita a sdegno?
Sono ingiuste, signor, le mie querele,
tu al sospettoso feminile ingegno
la mia tema condona -; in questa guisa
l’agitata reina in sé divisa.

Convoca Argilea, maga nera, e le chiede di spegnere nell’animo di Antonio il desiderio marziale: lei impone un sacrificio agli dei tartari (7-14)

7Or mentre nel suo cor vari litigi
move incerto il timor, dubbia la spene,
de l’amica Argilea, che i regni stigi
a sua voglia corregge, a lei sovviene;
da questa, ch’a gl’incanti, a i suffumigi
dentr’un bosco den Nilo in su l’arene
sta intenta, al suo dolor chiedere aita
ella dunque risolve, e a sé l’invita.

8Lascia tosto Argilea de la reina
al commando l’albergo, e ubbidiente
sen va dal bosco a la città vicina
ove colei l’attende impaziente.
La fatidica donna et indovina
senza indugio è introdotta a la dolente,
che la raccoglie, e quindi, ogn’altra esclusa,
l’interno del suo cor così le accusa:

9«Ardo, Argilea, tu ʼl sai, che de’ mortali
non si celano a te gli affari e l’opre,
ma che dic’io, de gli amorosi strali
la profonda ferita invan si copre;
ben tu dunque saprai ch’è da’ miei mali
amor sola cagion, s’amor si scopre
a mille segni, e s’è d’amor al foco
il petto d’una donna angusto loco.

10Qual sia dunque mia vita or che vagante
sotto barbaro cielo è la mia vita
a qual noto non fia, benché d’Atlante
o fra balze di Scizia alma nudrita?
Ha fatto, ahi crudo, il mio fugace amante
il mio signor da gli occhi miei partita,
et io resto pur qui viva sol quanto
d’esser viva talor m’avveggio al pianto.

11Deh, tu che puoi quanto voler ti piace,
del mio immenso dolor prendi pietade,
e richiama a l’usata antica pace
Antonio da le partiche contrade.
Del suo spirto guerrier spegni la face,
svelli da la sua man l’aste e le spade,
tu fa’ che a me ritorni, o saggia amica,
né senza il guiderdon fia la fatica».

12Tal parla, e raddoppiò promesse e preghi
et Argilea rispose: «A pochi è dato
ch’a le voglie di loro apra e dispieghi
ciò ch’è d’oprare al mio poter serbato,
a pochi è ver, ma non sarà ch’io nieghi
quel ch’a gli altri talor non fu negato,
a te, del cui volere i cenni osservo,
né premio i’ vuo’, c’ho il premio ove ti servo.

13Tutto di Pluto il tenebroso regno
per richiamar da i Parti il tuo diletto
e la città del pianto e de lo sdegno
di rivolger sossopra io ti prometto,
tu puoi solo ottener del tuo disegno
co ʼl nostro aiuto il desiato effetto,
et io sol co’ disagi Antonio afflitto
dai Parti ricondur posso in Egitto.

14Sol da l’impresa al tuo voler si puote
ritrarre Antonio ove dai bissi chiostri
io spinga a i danni suoi con le mie note
e la fame e la sete e gli altri mostri;
ma se brami a tuo pro de l’arti ignote
scoprir gli arcani e i gran misteri noti,
prima d’uopo sarà che tu prepari
sacrificio solenne a i nostri altari».

A notte, Argilea celebra il sacrificio e chiede l’aiuto di Ecate (15-28)

15Qui poi le narra dove e come e quando
e ciò che fia bisogno a i sacrifici.
Così stettero il giorno apparecchiando
lo scelerato culto a i numi amici,
e, già tutto provisto a l’or che bando
danno a i raggi del sol tenebre ultrici,
Cleopatra sen va con Argilea
al bosco ove albergar l’empia solea.

16Su la riva del Nilo a l’Occidente
sorge rivolta ampia foresta ombrosa,
a cui l’orrido sen del sole ardente
furtivo raggio penetrar non osa;
qui, non dispersa mai, l’ombra cadente
serba notte perpetua e tenebrosa,
e lunge sta da le mal note vie
sospeso il lume, irresoluto il die.

17Del solitario inviluppato bosco
sacre le Furie insieme et a le fate,
e le piante e l’orror tacito e fosco
l’antica protestò credula etade,
e quindi altri dicea livido tosco
spirar l’ombre temute e inabitate,
altri dicea che in esse udiansi irati
di Cerbero e Piton fischi e latrati.

18Nel mezzo poi de la gran selva oscura
in forma di teatro ampio e capace,
opra non sai se d’arte o di natura,
prato di mille passi occulto giace,
quivi de la magion sorgon le mura
ove suol dimorar la maga audace,
sempre solinga, se non quanto ha seco
il vulgo abitator del mondo cieco.

19S’alza di negri marmi eccelso altare
davanti a la magione, e in mezzo al prato,
che mira ove noi lascia ed onde appare
a gli altri d ala notte il sol fugato,
tre noci e tre cipressi in circolare
forma l’anno rinchiuso e circondato,
e con le fronde in quella parte e in questa
gli spargono d’intorno ombra funesta.

20D’Ecate qual superbo orrido monte
sovra l’altar l’imago al ciel s’estolle;
ha di serpente il piè, serpi la fronte,
cingon di venen stillante e molle.
Qui gli dei riverir di Flegetonte
la maga suol con empio culto e folle,
qui fa tremar de’ carmi al rauco suono
de l’ingordo Pluton la reggia e ʼl trono.

21L’umida notte non ancor giungea
a mezzo il ciel di nubi a l’or coperto,
e per quell’aria fosca o non splendea
o splendea de la luna il lume incerto
quand’arrivàr l’egizia et Argilea
con gli altri al bosco sterile e deserto,
cui di sei miglia, e forse anco men lunge,
breve camin da la città disgiunge.

22Quivi giunte, Argilea co ʼl crin disperso
cui duo serpi facean diadema orrendo,
di ben mille color manto diverso
veste, che la ricopre al piè cadendo.
Ha scalzo il piè, ma d’atri succhi asperso
il volto è formidabile e tremendo,
girano gli occhi spaventoso e tardo
di peste acherontea gravido il guardo.

23Va la maga a l’altare, a cui la fossa
opra de la sua man giaceva inante,
e cui fa rimaner tiepida e rossa
di negra agnella al caldo umor stillante,
quindi pon dal coltel l’ostia percossa
su la pira che innalza in un istante
sopra la fossa, et ivi a poco a poco
l’arde e l’incenerisce al sacro foco.

24L’odorifero poscia almo licore
che con furto gentil l’ape ingegnosa
toglie, et avida sugge al più bel fiore,
quasi olocausto in su l’altar riposa,
quindi con rotti accenti in suo favore
invoca la triforme Ecate ombrosa,
susurra poi sovra i profani marmi
inaudite bestemmie, orrendi carmi.

25Distingue al fin le voci e in grido altero
dice: «O notte fedel de’ miei secreti
ascoltatrice, o del celeste impero
amiche stelle, orror solinghi e cheti,
e tu, moglie del re del popol nero
di Stige, Ecate, tu ch’a’ miei decreti
del cielo scopri e per cui sol m’è dato
vincer natura e trionfar del fato,

26io chiamo te; co ʼl tuo potere astrinsi,
mentre stupian le ripe, i fiumi a i fonti
a far ritorno, io per te sol già spinsi
a muoversi talor le selve e i monti,
per te sol da i sepolcri uscir costrinsi
a le mie notte ubbidienti e pronti
i cadaveri al suon di mie parole,
al ciel la luna, e tolse al lume il sole,

27tu mi concedi che d’Abisso io toglia
gli orridi mostri e che d’Antonio i danni
io gli possa mandar quindi a mia voglia,
et a portare al campo estremi affanni,
così avverrà che l’oste ei raccoglia
da i disagi assalita e da gl’inganni,
e che rieda in Egitto ove l’antica
consoli or sconsolata e mesta amica.

28Se ciò permetti, e s’ottener cotanto
da te vien conceduto a i nostri voti,
a te di celebrar prometto e vanto
più sontuosi i sacrifici ignoti,
quindi per me gli Egizi in ogni canto
il tuo gran nome adoreran devoti
e, de la tua possanza eterni essempi,
alzeranno al tuo culto altar e tempi».

Poi conduce Cleopatra nella grotta infera, apostrofa la Fame e la Sete e chiede loro di scagliarsi sul campo di Antonio (29-39,4)

29Così disse la maga, e fin dal fondo
quasi svelte ondeggiàr l’antiche piante
ergendo il crin frondoso, e dal profondo
tremò scossa la terra e vacillante.
Raddoppiò delle voci il suono immondo
la donna a l’or con torbido sembiante,
e volta a Cleopatra «Io sono udita,»
altamente gridò «l’opra è compita.

30Quinci meco ne vieni» a lei soggiunse,
e le s’offre per guida, e s’incamina
ove balza scoscesa indi non lunge
a la terra magion sorge vicina.
La rupe torreggiante apre e disgiunge
trasformandosi in grotta alta ruina,
da le cui vaste fauci orribilmente
spira d’atro vapore aura nocente.

31Vassi per questa ove Plutone alberga
negl’imi abissi, et Argilea fra tanto
svena a l’ombre infernal con negre terga
quattro giovenchi a la spelonca a canto.
Quindi è che su le fiamme il vino asperga
per mitigare il crudo re del pianto,
ma prima il bianco crin con l’acque tolte
al gran fiume vicin bagna tre volte.

32«Vieni, et arma d’ardire il regio petto,
o reina (soggiunge), io son tua scorta,
tu dunque in me confida» e, così detto,
de l’orrida spelonca entra la porta.
La siegue Cleopatra, e ʼl fero aspetto
de la cieca magion lieta sopporta,
ch’ogni fatica ancor che dura e grave
Amor le fa parer lieve e soave.

33Su ʼl limitar de la caverna oscura
il Lutto dimorar primo si mira,
sta la Frode vicina e la Paura,
la Morte, il Sonno e la Vecchiezza e l’Ira;
qui la Vendetta il varco ottiene in cura,
e la pazza Discordia, a cui s’aggira
e fischia intorno a la gran chioma orrenda
di vipere sanguigne infausta benda.

34Sveller con l’unghie e l’erbe e i tronchi alfine
la Fame rimiràr, pallida il volto,
rugginoso era il dente e lungo il crine
per gli omeri cadea ruvido e sciolto.
Sorgea dura la cute e l’intestine
altrui scopriva, e l’occhio era sepolto
dentro un’occulta e cavernosa fossa,
pendean da i curvi lombi l’aride ossa.

35Scorgon dopo la Sete egra e languente,
polverosa i capei, rossa il sembiante,
livida uscia fuor de la bocca ardente,
la lingua in favellar rauca e tremante,
la fronte di sudor molle e cadente
rigava il seno arsiccio et anelante,
e da l’asciutte fauci et agitate
sorgeano ad or ad or l’aure infocate.

36La maga a l’or, cui penetrar non cale
del sotterraneo albergo i cupi chiostri,
con minaccievol guardo in guisa tale
orgogliosa parlò rivolta a i mostri:
«Itene tosto ove ora Antonio assale
i Parti, e a’ danni suoi gli sdegni vostri
tutti sfogate, ond’a l’antica sede
de la donna del Nilo ei volga il piede».

37Tace, e con bassa voce orribil note
aggiunge, al cui poter cede l’inferno.
Al sacrilego suon l’antro si scote
e rimbomba Cocito e ʼl basso Averno.
A infettar l’aria e le stellanti rote
del puro ciel da quell’orrore eterno
escono a l’ora i mostri, e quinci a i danni
del gran campo latin spiegano i vanni.

38Come talor che il temerario e ingiusto
gigante contra il cielo a mille a mille
suol fulminar dal fulminato busto
densi globi di fumi e di faville,
trema a quei fochi incenerito e adusto
il bel terren delle sicane ville,
e a l’avventate orribili facelle
sembran di tema impallidir le stelle,

39così de i mostri a la repente uscita
trema la selva e la campagna intorno,
e mostra egra la faccia e scolorita
pur dianzi il ciel di liete faci adorno.
L’abominevol pompa indi fornita,Argilea descrive a Cleopatra i futuri danni che la Peste farà in Italia (39,5-50)
fanno del bosco a la città ritorno
la reina e la maga, et a costei
pensierosa tra via chiede colei:

40«Ben vedesti fra ʼl vario ivi raccolto
stuolo de’ mostri un che in femineo aspetto
occhi torbidi avea, squallido il volto,
e sembrava esalar tosco dal petto;
dimmi a lui che fremea d’impeto stolto
perché scior ricusasti il piè ristretto
da le ferree catene, e dimmi come
tra la schiera infernal s’appelli e nome».

41Tacque, e così parlando in lei s’affisse
la maga: «È ben ragion che pago reste
il tuo desire: è il mostro a cui stan fise
l’aspre catene al piè l’avida Peste.
Di sciorla io ricusai, ch’a lei prefisse
il fato in altre etati opre funeste,
in cui mutandole foreste in roghi
sui miseri mortai l’ire disfoghi.

42Già più che in altro tempo io veggo al fine
dopo varia fortuna e volger d’armi
ne l’arme costei piagge latine
far lagrimosi e memorabil danni.
Oh quai sciagure, et oh di quai ruine
io contemplo sin ora i gravi affanni,
et oh come sin or de l’egre genti
mi feriscon l’orecchie i mesti accenti.

43Divoratrice fiamma abbrucia e strugge
occultamente a gl’infelici il seno;
scabra la lingua inumidisce e sugge
la bocca in vece d’aura atro veneno;
benché lieve ogni vel s’aborre e fugge
sembra odioso il letto, e su ʼl terreno
per ristorar da la cocente face
l’arsiccie membra alcun riposa e giace.

44Non rinfresca la terra il corpo, anzi esso
con l’insolito ardor la terra incende,
e da fervida sete il core oppresso
refrigerio da l’acque invano attende.
altri muor pria che beva, et altri spesso
mentre sugge l’umor lo spirto rende,
né la sete mortal s’estingue pria
che la vita bevendo estinta sia.

45Contra i medici istessi il morbo atroce
incrudelisce e ne fa strazio orrendo,
a l’incredulo autor l’arte già noce
su colui che sanò spesso morendo.
Par che lo sguardo uccida e che la voce
il tosco micidial vada spargendo,
la morte adopra in vece d’arco e strali
di livido tumor globi letali.

46Vano il rimedio e la pietà crudele,
ché se medesma offende e altrui non giova,
chi più a l’egro congiunto è più fedele
più tosto a parte del morir si trova.
Splende un lume a più bare, a le querele
stanca la voce il funeral ritrova,
diviene il senso ottuso e nel dolore,
secchi i fonti del pianto, il pianto more.

47Sesso od età non cura, et egualmente
fa de’ grandi e de gl’imi empie rapine
l’ingorda Peste, e infetta orribilmente
di tartareo venen l’aure latine;
è minor de la tema il mal presente
ne la tomba la febre ha solo il fine;
talor la madre del fanciullo a l’ossa
a cui porse la cuna apre la fossa.

48Sono angusti i feretri e i buoi, rapiti
de’ curvi aratri a i mansueti uffici,
traggon del carro infausto al giogo unito
de la strage vulgar salme infelici.
Da provido timor son disuniti
già congionti in amor popoli amici,
che de la terra, anzi de l’aria avari
trovan l’un contra l’altro armi e ripari.

49Dal figlio che sotterra il padre oppresso
doppiamente per lui perisce in lui,
e cadendo su ʼl morto il vivo ha spesso
l’esequie sue nel funerale altrui.
Langue il marito a la consorte appresso,
e co ʼl fiato d’un sol spirano dui;
che più? Coperta d’insepolte membra
il sepolcro d’Italia Italia sembra.

50Dopo lungo girar d’anni preveggio
questo avvenir, quando il germano altero
Carlo a scacciar dal posseduto seggio
l’oste congiungerà co ʼl rege ibero.
Il duce amico a sollevar già veggio
mover l’armi de’ Galli il re guerrero,
già di Savoia a i bellici instrumenti
s’odon scosse tremar le rupi algenti».

In particolare durante la guerra dei Trent’anni, che Argilea riassume con precisione (51-63,4)

51Qui taceva Argilea, ma l’altra, accesa
di curiosa voglia a lei soggiunge:
«Deh siegui, e più distinto a me palesa
ciò ch’a te lice penetrar da lunge.
Ben puoi narrar l’incominciata impresa
mentre ancor noi da la città disgiunge
la rimanente via»; tace, e l’appaga
seguendo a l’ora il suo parlar la maga.

52«A lo sdegno francese è sponda lieve
quella che d’alti monti ordì natura;
dopo cruda tenzon Susa riceve
il vincitor Luigi entro le mura;
trovano i gigli d’oro infra la neve
ch’al sangue intepidì stana sicura;
fugge ad onta del verno in freddo cielo
de’ bronzi al fulminar distrutto il gelo.

53Non resta qui, ma nel soggetto piano
con fortuna simil l’oste discende.
Tardo l’aiuto, il ripugnare è vano,
cede Vigliana e Pinerol si rende.
Scorre intanto il paese il campo ispano
che dal monte e dal ferro il nome prende,
e ben due volte assedia e di Casale
sotto scorta diversa i muri assale.

54Vittorioso altrove il duce alpino
con l’esercito suo guerreggia ardito,
Alba soggioga, espugna Nizza e Trino,
cui di vallo miglior lascia munito,
quindi mentre soccorre il suo domino
che da l’armi di Francia era assalito,
febre mortal l’estingue, e gli succede
del regno e del valor Vittorio erede.

55Il nemico furor questi raffrena
che fa del bel paese orridi scempi.
Arde il Piemonte, e lagrimosa scena
di tragici rassembra infausti essempi.
Tu, de’ fiumi gran re, l’onda e l’arene
di sangue tingi e da cadaveri empi,
sète cibo a le galliche faville
voi de la bella Dora amene ville.

56Con indomito ardir pugna fra tanto
il feroce Tedesco in altra parte,
e con egual periglio et egual vanto
ha le terre vicine a terra sparte.
Ridotto è già ne la città di Manto,
cui del pari difende il sito e l’arte
Carlo, e contra l’irate armi nemiche
intrepido sostiene le mura amiche.

57Ma congiunta a la Fame avida Peste
ne la città scemando i difensori
favorisce il Germano, ond’è ch’appreste
furtivo assalto i su i nascenti albori;
quindi l’invitto duce a le funeste
armi d’Averno cede, et esce fuori
da la città, cui di sua sorte altera
scorre la minacciosa oste guerrera.

58Tema, lutto et orror mesce e confonde
il caso estremo, e ʼl vincitore al fine
fa degli ampi tesor che indarno asconde
l’afflitto abitator ricche rapine.
Del nobil Mincio in su l’erbose sponde
piangon de la città l’alte ruine
i cigni, et accompagnano dolenti
le ninfe del bel lago i lor tormenti.

59Così divisa è la vittoria e giace
la fortuna dubbiosa, e infiamma intanto
d’incendio marzial fervida face
le provincie d’Esperia in ogni canto.
Sol nel moto de gli altri ha ferma pace,
sol può lieta goder nel vicin pianto
la riva del Panaro, ove con legge
d’amore il gran francese i suoi corregge.

60Questi, germe real d’alto lignaggio,
con prudenza senil supera gli anni,
e il suo popolo intatto e forte e saggio
de l’incendio stranier serva ne’ danni.
Sol riposa quieto il suo retaggio
fra i tumulti d’Italia e fra gli affanni,
e può mirar de l’altrui guerre il lutto,
se no ʼl bagna pietà, co ʼl ciglio asciutto.

61Quinci a le fiamme ostil egli non mira
fumare i campi, incenerir le biade,
né lo smarrito agricoltore a l’ira
quindi fuggir di peregrine spade.
De le belliche trombe ei non sospira
al rimbombo tremar le sue contrade,
né da i nemici infra i vermigli solchi
vede predati buoi, morti i bifolchi.

62Non pur mentre di guerra ogni pendice
ferve il saggio garzon solo riposa,
ma l’amata beltà gode felice
tra soavi imenei di regia sposa.
Di prospera fortuna il ciel predice
lieti eventi a la coppia avventurosa,
a l’or ch’innesterà ne’ chiari figli
i cilestri giacinti a gli aurei gigli.

63Serbo a tempo miglior di raccontarti
de l’estense virtù prove maggiori,
onde poi fioriran gli studi e l’arti
a l’ombra de l’olive e de gli allori».
Tace, e l’altra stupisce, e i crini spartiTornano in città, Cleopatra è indecisa se partire per il fronte di guerra o restare e attendere (63,5-66)
già raccogliea Ciprigna, e a i nuovi albori
divenia biancheggiando il ciel più chiaro
quando ne la città le donne entraro.

64De’ sacrifici Cleopatra attende
con palpitante cor quivi l’effetto,
e vario il suo voler pugna e contende
con dubbiosa tenzon dentro il suo petto.
Or di seguire Antonio ella s’accende,
or di restare approva e cangia affetto,
e mentre quinci e quindi il pensier volve
nel suo molto pensar nulla risolve.

65Di partir, di restar nuovi disegni
al combattuto cor sorgono intorno,
et aspetta de’ mostri a i gravi sdegni
che sia Antonio costretto a far ritorno,
tal del Zodiaco ella mirò più segni
scorrer da ch’ei partissi il re del giorno,
L’agitaro in un mar di cure intanto
co ʼl vento de’ sospir l’onde del pianto.

66Sembrava al suo desio già d’Argilea
troppo tardo l’effetto a le promesse,
e tra sé disperare omai parea
che l’aita bramata unqua giungesse,
quinci or contra la maga irata ardea,
che le speranze sue deluse avesse,
et or di gelosia dubbia e tremante
sospirava lontano il caro amante.