ARGOMENTO
Giunge Emilio e racconta a la reina
ciò che tra i Parti al suo signor successe,
e quai nel ritirar l’oste latina
penose avversità sofferte avesse,
l’Artassata la strage e la ruina
narra, e come Domizio alfin cadesse;
quinci la bella donna a far partita
et in Siria a trovar l’amante invita.
Giunge a Cleopatra Emilio, messo di Antonio, e le racconta della campagna contro Fraate: Antonio, dopo aver invano assediato Media, si è ritirato verso la Siria, ed è stato flagellato dalla fame, finché ha incontrato l’esercito di Domiziano presso il fiume Arasse (1-21)
1Or mentre fra ʼl timore e fra la spene
l’innamorato cor sospeso ondeggia,
nunzio d’Antonio a la città perviene
Emilio, e frettoloso entra la reggia
scorto da i servi, et introdotto ei viene
ove sta Cleopatra in aurea seggia,
e ne l’animo suo raggira e volve
i suoi vari pensier, né si risolve.
2Poiché fu visto e conosciuto insieme
il noto messaggier da la reina,
da la tema in un punto e da la speme
sentì pungersi il cor d’acuta spina,
ma pur l’intimo affetto asconde e preme
e, rivolta a colui, ch’umil l’inchina,
richiede e d’onde egli sen venga e dove
il suo diletto Antonio a l’or si trove.
3A la donna il latin risponde allora:
«Fra Sidone e Baruti ove l’arena
del propinquo ocean l’onda divora
sorge villa feconda e d’ombre amena:
con l’esercito Antonio ivi dimora,
e d’armi intorno ha la Soria ripiena,
io d’indi a nome suo vengo a narrarti
ciò che gli avvenne e ciò ch’ei fe’ tra i Parti».
4Qui poi soggiunse: «Ove co ʼl mar de’ Siri
urta sotto Pelusio il Nilo altero,
Antonio a sollevar gli oppressi Assiri
il potente adunò campo guerrero.
Di costumi e di lingue e varie miri
le varie turbe d’abito straniero,
vedi che ʼl lito già copron le tende
e ch’a i lampi de l’armi il ciel risplende.
5Parte l’oste temuta, et i marini
lidi a tergo si lascia e la Giudea,
e già trascorre i fertili confini
de l’Arabia Felice e la Petrea,
varca i vasti deserti e già vicini
i campi babilonici vedea,
et udia già tra le famose sponde
del grand’Eufrate il mormorar de l’onde.
6Qui da messo fedel s’ode molesta
de lo stuol predator nuova sicura,
che l’Armenia ha già scorsa e che già infesta
d’Arbella i campi e le propinque mura,
e che tremante in quella parte e in questa
il mesto Assiro di fuggir procura
dal partico furor, ch’ovunque passa
d’orrenda ferità vestigi lassa.
7S’innoltra il campo, e ne l’ostil paese
fa varie prede e le città distrugge,
e vendicando le passate offese
ne la Media penètra e l’arde e strugge.
S’abbandonano l’armi e le difese,
resta morto o prigion chi tardo fugge,
sol Fraate, che il Medo avea munita,
a lo sdegno latin c’oppone ardita.
8Qui, credendo co’ figli a la fortuna,
la reina de’ Medi or fa dimora
e qui d’intorno a i muri il campo aduna
a sì gran preda intento Antonio a l’ora,
ma conchiusa da noi maniera alcuna
d’assalir la città non s’era ancora
che di ciò giunge il grido ove Fraate
le sue genti ha congiunte e radunate.
9Temendo a l’or che gli assediati al fine
cedessero al nemico, egli commosse
contra l’assalitrici arme latine
tutte del regno suo l’ire e le posse,
e Domizio, che dianzi alte ruine
ne l’Armenia scorrendo audace mosse,
richiamò co’ seguaci a le bandiere
e rivolse a Fraate indi le schiere.
10Qui fu più volte con incerto evento
combattuto da l’una e l’altra parte,
e spesso quinci or quindi in un momento
fu sospeso l’onor dubbio di Marte.
Bene il partico stuol sconfitto e spento
era da noi se no ʼl vietava l’arte
di Fraate, ch’oppose in vari modi
al romano valor barbare frodi.
11Sol più forte di numero o di sito
ne l’imprese di guerra esce il tiranno,
fuggono i suoi pugnando, et è ferito
chi siegue da color che in fuga vanno:
chi tema finge è nel timor ardito,
del vinto istesso ha il vincitor più danno,
che in battaglia simil mirabil cosa
del perder la vittoria è più dannosa.
12Ma gl’inganni per lui non sarian stati
da la nostra virtù schermo sicuro
se con vari disagi invidi i fati
assalto non moveano in noi più duro:
da i disagi e da l’armi indi agitati
i duci a ritirar costretti furo
l’esercito latin, finché venuti
rinovasser la guerra i nuovi aiuti.
13Emerardo d’Armenia, uom che de’ Parti
il linguaggio sapea, le forze e i riti
e di quelle remote ultime parti
tutti avea già peregrinati i siti,
ne mostrò che i nemici erano sparti
de’ monti a le radici, e compartiti
per assalirne con vittoria certa
del vasto pian ne la campagna aperta.
14Per lo dorso de’ monti unite insieme
l’afflitte gentil il principe romano
di ricondur dentro l’Armenia ha speme,
schivato de gli Assiri il fertil piano,
così n’andiam sicuri, e non si teme
assalto alcun del barbaro inumano,
poiché l’alpestre sito intorno ergea
di foreste e di rupi alta trincea.
15Ma se da l’armi ostili intatto resta
il nostro campo, altro nemico ei prova,
poiché fame letal l’ange e molesta,
onde fuga e riparo altri non trova.
L’infortunio commun già tutti infesta,
né ʼl senno punto e la virtù non giova,
poiché l’uom, benché saggio, è van che spere
contra l’armi del ciel difese avere.
16Spogliansi i monti, i boschi e le caverne
d’erbe e di frutti ignoti e di radici
dal famelico stuolo, e non si scerne
de’ congiunti l’amore e de gli amici;
si consumano già le parti interne,
né rimedio ha il malor de gl’infelici,
ché più acerbo e crudel diventa a ogni ora
et acquista vigor da la dimora.
17Inferma, e sviene abbandonato e stanco
nel difetto de’ cibi ogni guerrero,
copre il volto un color pallido e bianco
di caduta mortal nunzio severo,
vacillante la destra, asciutto il fianco,
roco ha il parlar,, torbido il guardo altero,
né l’antico valor né la superba
natia ferocità punto riserba.
18E pur sazia non è de’ nostri mali
l’ira siasi di giove o sia di Dite,
ma scocca in noi più venenosi strali
e fa in noi vie più gravi aspre ferite.
Tu di fervida sete il campo assali,
et a l’avide fauci inaridite
ogni succo, ogni umor togli, e n’insegni
che non tosto il destin placa i suoi sdegni.
19Rosseggiano le luci, et anelante
spesso il fianco si scote e sitibonde
induriscon le labbia, e il piè tremante,
la fiamma al cor si sparge e si diffonde,
o da gli antri o da rupi acqua stillante
non troci, o se pur v’è corrotte ha l’onde,
ché il tiranno crudel nulla trascura
per far più grave la mortale arsura.
Il campo di Domizio è flagellato da discordie e congiure, per via della bella Safiria, preda conquistata con la città di Artassate (20-66)
20Flagellati così da sì diverse
sciagure andammo infin che stanchi al fine
giungemo ove l’Arasse a noi s’offerse,
che di Media e d’Armenia era confine;
qui le squadre nimiche eran disperse
per assalirne, e qua prefisso il fine
era a i Parti dal re, che più non chiere
di seguir, d’infestar le nostre schiere.
21Qui Domizio reggea l’opposte genti
e qui il campo latino al varco aspetta,
ma tra le cupe immerso onde correnti
provò de’ giusti dèi l’alta vendetta.
S’a te grave non è, reina, or senti
come l’oste dal ciel fosse protetta,
né già devria spiacerti udir distinto
come quel traditor rimase estinto.
22Artassatta è città che fra l’armene
sorge famosa e vanta edificate
l’ambiziose mura in su l’arene
c’han l’acque de l’Arasse imprigionate.
Del re d’Armenia in vece Arsace tiene
o lo scettro tenea de la cittate,
ch’a tal grado l’alzàr, benché inesperto,
l’ampie ricchezze e de’ grandi avi il merto.
23Tra quei che del superbo al duro impero
sono astretti per legge ad ubbidire
vivea di leggiadria Ciro primiero,
giovane d’alto sangue e d’alto ardire;
de l’amor di Safiria ei giva altero,
e per Safiria egli dovea languire.
– Per sì rara beltà la pena è gioco
per sì bella cagion soave è il foco -,
24così dicea l’innamorato Ciro,
che l’incendio del cor languendo adora;
felice in quanto arride al suo disiro
Safiria, et al suo ardore ard’essa ancora.
Da duo seni è formato un sol sospiro,
duo cori un sol pensier move e innamora,
egli in lei vive ed ella spira in lui,
ond’è un’alma, un voler commune a dui.
25Poiché lunga stagion così gli amanti
arser di pari incendio esca gradita,
fu di lieti imenei con nodi santi
da i padri lor la vita lor unita;
quinci, perché dal re molti anni avante
la pompa de le nozze ha proibita,
s’egli a ciò non consente o quei che regge
in vece sua vassi a servar la legge,
26ad Arsace sen va la nobil coppia
(ché ʼl decreto real cotanto impone),
e mira ognun come per lei s’accoppia
di valor, di beltà rara unione.
L’accoglie Arsace, e come arida stoppia
s’accende ove la fiamma altrui suppone;
tale avvampare egli sentissi il core
di duo begli occhi a l’improviso ardore.
27Pensa com’ei l’ottenga, e al giovinetto
non concede il consenso e non contende,
ma cauto de le nozze il chiesto effetto
con incerto parlare almen sospende.
A i parenti di lei quinci il suo affetto
narra, e co’ doni amici a sé gli rende,
sì che in moglie l’ottiene al fin da loro,
cui gli occhi abbaglia il lampeggiar de l’oro.
28Ben se ne duol Safiria, e ben rifiuta
i novelli imenei, ma pur si danno
gli ordini de le nozze e si saluta
il grido popolar moglie al tiranno.
Trafisse intanto aspra saetta acuta
a l’acceso garzon di grave affanno
l’innamorato core, moria forse
ma in mezzo al suo dolor l’ira il soccorse.
29Compone il volto, e reprimendo al fine
il pianto e ʼl sospirar, ché nulla vale,
cela il suo duolo, e pria che s’avvicine
l’ora prefissa al talamo fatale
se ʼn va dove in Armenia alte ruine
Domizio a l’or commune e tutto assale,
né loco v’è cha’l suo furor non cada
o dal foco abbattuto o da la spada.
30Dal predator feroce aita chiede
Ciro de le sue ingiurie a le vendette,
et in premio di ciò con certa fede
le spoglie d’Artassata a lui promette.
Egli per sé de le sperate prede
sol de la donna sua pago si stette,
che d’amata bellezza a un cor gentile
appo i tesori ogni tesoro è vile.
31Fra l’amante e ʼl latin fu stabilito
così il patto de l’opra, e occultamente
se ʼn riede Ciro in Artassata, e il sito
trova de’ Parti ad introdur la gente.
Venen al tempo prefisso il duce ardito
che più fosca era in ciel la notte algente,
e dal garzon, ch’ebbe di ciò la cura,
fu con gli altri condotto entro le mura.
32Già in ozio dolce et in oblio profondo
il senso de’ mortali era sepolto,
et in un sonno altissimo e giocondo
già stanco ogni animal giaceva involto
quando fra l’ombre onde copriva il mondo
la notte d’un orror tacito e folto
l’orgoglioso latin principio diede
d’Artassata a le stragi et a le prede.
33Qual di fido mastin finge talora
insidioso lupo aspetto amico,
e penetrando il chiuso ovil divora
la greggia, pasce in lei lo sdegno antico,
tal giunge et entra inaspettato a l’ora
ne l’incauta cittade il fier nemico,
e qui la mente in doppia guisa appaga
de le spoglie e del sangue ond’ella è vaga.
34Le superbe pareti e l’alte porte
il furor militar rompe e disserra;
sono uccisi egualmente il vile e ʼl forte
ne l’incerta notturna orribil guerra.
Con la falce crudel scorre la morte
ogni confin de l’infelice terra,
e correr fa del popolo che langue
ne l’Arasse vicin rivi di sangue.
35Ne la prospera sorte il vincitore
insuperbisce e i prieghi e la beltate
inesorabil sprezza, e con rigore
egual strazia ogni sesso et ogni etate;
solo alcun sottragge al suo furore
impudico desio, ma non pietate,
e s’ha fra tante stragi alcun salute
l’avarità è per lui fatta virtute.
36De le turbe non son crude e villane
da la rapacità sicuri i tempi,
ma con mani sacrileghe e profane
v’esercitan rapine e stupri e scempi.
Ciò che intatto dal ferro ivi rimane
con la fiamma guastar tentano gli empi,
moli di lunga età strugge e risolve
l’incendio in picciol’ora in poca polve.
37Dal talamo al feretro Arsace ucciso
fece tragitto, e tra quell’ombre in vano
tentò fuggir del giovane deriso
la fatal del suo sangue avida mano.
Ciro co ʼl piè lo preme, e con un riso
amaro il punge, et ei risponde: – È vano
il piacer del mio mal, poich’è vicina
a la caduta mia la tua ruina -.
38Sì disse Arsace, e ʼl fier garzon si prende
gli auguri infausti a scherno e lo calpesta.
Cinta d’oscure intanto et atre bende
spunta l’alba nel ciel torbida e mesta,
quindi già sorto il sol palese rende
la strage lacrimevole e funesta,
e molti scopre infra gli estinti avvolti
moribondi giacer vivi sepolti.
39Se ʼn vola Ciro a la diletta sposa
e l’abbraccia e la bacia, e al fin la stringe,
va Domizio con lui, che la famosa
donna a veder fatal desio sospinge,
poiché ardono tosto in fiamma ascosa
le viscere, e in mirarla amor li cinge
d’indissolubil laccio il core acceso,
ond’ei ne la vittoria è vinto è preso.
40Il nuovo incendio in guisa tal fervente
l’esca de la beltà nudrisce in lui
ch’oblia l’amico, e scherne impaziente
le sue promesse e le ragioni altrui,
quindi, tosto che ʼl tempo a ciò consente,
manifesta a Safiria i pensier sui,
e preziose offerte aggiunge a i preghi
perché la donna al suo voler si pieghi.
41Essa risponde al peregrino amante
che del suo Ciro in paragon disprezza
ciò c’ha in sé di pregiato il Gange e quante
più bramate ricchezze il vulgo apprezza,
ch’è sua lode maggior l’esser costante,
che nacque a Ciro sol la sua bellezza,
disse, e i suoi detti nel feroce petto
fiamma eccitàr di sdegno e di dispetto.
42D’ira avvampa il crudel, ma dentro il seno
la rabbia occulta e ʼl feminil disegno
di celebrar s’infinge, e con sereno
sembiante cela il conceputo sdegno;
come vuoti fra tanto il rio veneno
pensa onde porta il cor livido e pregno,
e da lui vendicar fu risoluto
con la morte di Ciro il suo rifiuto.
43Ne la notte medesma al regio albergo
simulando altro affar chiama il garzone,
che se ne va, né l’arma il ferreo usbergo
dove l’insidie il traditor gli pone;
ivi assalito, ivi gli fu dal tergo
dopo la disegual breve tenzone
reciso il capo, che languente e scemo
– Safiria – nominò co ʼl fiato estremo.
44Fornita la funesta opra nefanda
su dorato vasel di gemme adorno
che sia il teschio riposto a i suoi commanda,
cui di serico drappo ei copre intorno,
e quindi a la donzella in dono il manda,
tosto ch’esce dal mare il nuovo giorno,
come s’a i colpi del dolor percossa
la possanza d’un cor romper si possa.
45Ella del vaso a l’apparir sentissi
d’un secreto timor gelare il sangue,
e pria che lo discopra e in lui s’affisse
suda la fronte e la man trema e langue;
pur lo scopre, e ʼl remira, e fosca ecclissi
le luci adombra, e pallida et essangue
muta divien, poiché nel caso atroce
a dolersi il dolor toglie la voce.
46Ma poich’alfine a gli odiosi uffici
fe’ lo spirto ritorno e la favella,
così disse: – O del core occhi nemici,
o crudele a te stessa alma rubella,
Ciro estinto mirar, luci infelici,
potete? anima rea, deh chi t’appella
a darmi vita? Ahi lassa, è già fuggita
l’anima mia, senz’alma avrò pur vita?
47Avrò pur vita e pur vedrommi inante
pianto lo sposo mio pria che goduto?
sarà de gl’imenei l’inno festante
da l’elegia funebre or preceduto?
darò in vece di baci al morto amante
di lagrime dolenti ampio tributo?
sarò sposa la sera indi, ahi destino,
vergine insieme e vedova il mattino?
48Ma benché tronchi il marital mio nodo
barbaro ferro e me da me divida,
non fia che del mio amor con egual modo
lo stame adamantino egli recida.
Voi di seguir care reliquie io godo,
voi mi vedrete estinta e non infida,
sarà intatto il candor de la fé mia
o sol dal sangue mio macchiato ei fia.
49Ma, che dirò?, macchie non già ma fieno
le sanguinose stille al mio diletto
caratteri immortali, onde nel seno
ei coʼl ferro vedrà scritto il mio affetto.
Ma dove, ahi van dolore e senza freno?,
non fia d’amor ma di furore affetto.
La morte amasti, Ciro? Ei da te chiede
vendetta, or qui ʼl tuo amor, qui la tua fede.
50Qui la tua fé s’impieghi; Amor di sdegno
t’infiammi il cor, t’armi d’ardir la mano,
ostia d’amor, tradito amor disegno
sacrificarti il traditor romano.
L’ingannerò, né fia l’inganno indegno
con lui che m’ingannò; d’uomo inumano
a punir l’empietà degne di lode
saran l’insidie, e fia virtù la frode -.
51Tace, e vario dal cor formando il volto
mentisce i sensi e ʼl traditor raccoglie,
che impaziente, or che il rivale è tolto,
con instanza maggior la chiede in moglie.
Ne l’interno Safiria il duol raccolto
finge amica pietà de le sue doglie,
e, qual pentita del rigor primiero,
così favella e gli nasconde il vero.
52- Amai Ciro, no ʼl niego, e giusto fue
ch’al futuro marito, o tal creduto,
me riserbando io de l’offerte tue
generoso facessi alto rifiuto;
or giace estinto, e de le nozze sue
mutata la ragion, pensiero io muto,
et or che sia qual già credea non sono,
tolta a lui da la morte a te mi dono.
53Sol richieggio, signor, che differite
sian le mie nozze al novell’anno almeno,
deh, ch’al tepid’umor che le ferite
del mio Ciro versar fuma il terreno,
sian l’esequie dovute a lui fornite
del tronco busto e del trafitto seno,
si rasciughin le piaghe, ah che ʼl richiede
il tuo onore egualmente e la mia fede -,
54disse, et aggiunse altre preghiere e mosse,
benché duro e crudel, l’empio al suo dire,
e volle Amor che differito fosse
sin a l’anno futuro il suo desire.
L’armi intanto a Fraate avea commosse
d’Antonio a rintuzzar gli assalti e l’ire,
e Domizio ove l’oste ei raccogliea
co’ seguaci guerrier chiamato avea.
55Avido d’altro sangue e d’altro pianto,
se ʼn va il latin là dove il re l’invita,
e l’amata Safiria ha sempre a canto,
più curante di lei che de la vita.
La donzella fra sé rivolge intanto
come opprima il fellon che l’ha tradita,
e la Vendetta alfin le somministra
de l’oltraggiato amor l’ira ministra.
56D’antica nobiltà Tigrane altero,
torbido di pensier, forte di mano,
de la Media reggea lo stuol guerrero
che le rive lasciò del mare ircano;
questi sperò, benché superbo e fero,
da gli assalti d’amor schermirsi in vano,
poiché appena Safiria in campo venne
che tosto del suo cor la palma ottenne.
57Né fu stupor se in un momento accese
e soggiogò così feroci amanti,
poiché il cielo, a lei solo in ciò cortese,
ornò d’egregia forma i suoi sembianti:
le reti nel crin d’oro Amore ha tese,
sembran gli occhi di lei stelle rotanti,
et amica per lei natura pose
ne la faccia e nel sen ligustri e rose.
58A l’insolito ardor s’infiamma il petto
quinci del fier Tigrane, e vede insieme
che gli è rival Domizio, e di dispetto
ne l’intimo del cor si cruccia e freme.
Ben Safiria conosce il nuovo affetto
del medo, e nutre accorta in lui la speme,
disegnando ch’ei sia del suo furore
ne l’infame omicida esecutore.
59- Giusto è – dicea – ch’opprima arte simile
chi tradì la mia speme e gl’imenei,
né l’ingannar Tigrane atto fia vile,
ché barbari e nemici ambo son rei:
l’un Ciro estinse, e l’altro il ferro ostile
già ne l’Armenia insanguinò tra i miei.
De la patria e di me vendicatrice
sarò in un tempo, or che tentar non lice? -.
60Sì pensa, e i vezzi aggiunge, onde invaghito
arde Tigrane, e a la donzella amata
alfin di palesar risolve ardito
la fiamma c’ha sin’or dentro celata.
L’ode Safiria, e con piacer mentito
si mostra al suo parlar cortese e grata,
e quindi a lui, che la risposta attende,
pietosa in visto in guisa tal la rende:
61- Sì fosse a me di regolar permesso
al tuo gran merto il guiderdon devuto,
come già saria stato a te concesso
del reciproco amor dolce tributo!
Ma che poss’io s’al mio desire oppresso
porger non lice a i tuoi martiri aiuto,
se Domizio, di cui son preda e serva,
i miei squardi, i pensier geloso osserva?
62Tu, s’è pur ver che mia bellezza or sia
non odioso oggetto a gli occhi tuoi,
rendono a me la libertà natia
insieme al tuo desio render mi puoi,
tu il traditore uccidi, e così fia
ch’indi io possa voler ciò che tu vuoi;
il mio merto e ʼl tuo amor ben lieve accusi
se compararmi a tal prezzo oggi ricusi -.
63Qui tace la donzella, e pronto il medo
la morte del rival tosto promette.
Ella soggiunge: – Et io sin’or concedo
me stessa in premio a l’alte mie vendette -.
Da lei poscia il guerrier prende congedo,
poiché più dimorar non gli permette
Domizio, che infestato avea il nemico
e vincitor tornava al campo amico.
64Fra diversi pensier Tigrane aggira
come possa condor Domizio a morte,
e ʼl rispetto del re quindi il ritira,
quinci è ch’a l’opra il nuovo amor l’esorte;
or mentre irresoluto egli s’adira
tra i suoi vari desiri, alfin la sorte
gli apre il modo opportuno onde guarita
sia con la morte altrui la sua ferita.
65Già risoluto il capitano avea
da i patri ritirar l’oste latina,
e per gli orridi gioghi il piè volgea
a l’Armenia, ch’amica era vicina,
quindi manda Fraate, a cui togliea
di seguire il roman la strada alpina,
Domizio che l’assalga ove l’Arasse
l’acque e le ripe al guardo offre più basse.
66Vol che seco Tigrane i suoi guerrieri
congiunga, e ʼl siegua a la prescritta impresa,
onde il Medo del re lieto gl’imperi,
che Safiria a goder la mente ha intesa,
d’opprimere il rival quindi è che speri,
cui più di sofferir gli annoia e pesa;
così a l’Arasse, di pensier discordi,
l’uno e l’altro di lor vanno concordi.
Tigrane, generale di Domizio, uccide il proprio capitano per avere Safiria: l’esercito si sfascia e Antonio avanza fino a far prigioniero Fraate (67-77)
67Giunti al varco prefisso erano appena
che ʼl nostro corridor v’arriva e torna,
vita d’armi la riva ingombra e piena,
ove con l’oste il capitan soggiorna.
S’avanza Antonio a la propinqua arena
e, in van tentato il guado, a i suoi ritorna,
indi al fiume vicino ove il difende
l’esercito nemico erge le tende.
68Sorge là dove il Parto era accampato
fatto un sasso sublime argine e sponda,
che raffrenando il corso al fiume irato
frangea e spume a la volubil onda;
de la balza rodea l’opposto lato
con rauco mormorio l’acqua profonda,
e con rapidi giri a piè del sasso
ciò che d’alto cadea traeva al basso.
69L’eccelsa rupe il medo osserva, e stima
atta per esequir ciò che desia,
indi addita al rival l’altera cima
che ʼl campo de’ Romani altrui scopria.
Vi saliscono entrambi, e calca prima
Tigrane la scoscesa alpestre via,
giungono al sommo e su la sponda aprica
veggono l’attendata oste nemica.
70Mentre il campo latin sospeso mira
Domizio, e spia le schiere e gli andamenti,
l’urta il medo, ond’ei cade ove raggira
la voragine in sé l’onde correnti,
l’acqua il guerrier sommerge, e a fondo il tira,
che nuotar grave d’armi è van che tenti,
così la pena ebbe l’error che nacque
da la fiamma d’amore in mezzo a l’acque.
71De l’estinto rival Tigrane in fretta
va impaziente a raccontar la sorte
a la donzella, e ʼl dolce premio affretta
ch’egli deve ottener da l’altrui morte.
Lieta Safiria – Avrai di mia vendetta –
gli disse a l’or – me in guiderdon consorte,
ma deh intanto, signor, mi si conceda
che ʼl loco ov’è il fellon sommerso io veda.
72Fia con lieve conforto a gli occhi miei
la bramata mirar giusta ruina -.
Sì parla, e ʼl persuade, onde con lei
a la balza propinqua ei s’incamina.
Giunti e ascesi che fur, volge colei
gli occhi ne la soggetta acqua vicina,
indi fra sé ragiona: – Or qual fortuna
apre al nostro desio strada opportuna?
73Su questo sasso, entro quest’onde, o Ciro,
l’anima mia consacro al nostro amore,
questa è l’ara fatal, qui lieta io spiro
ove l’ostia s’offrì del traditore -.
Tace, e si scaglia ove ritorta in giro
l’acqua fremente il rischio avea maggiore;
l’accoglie a l’ora, e in sempiterna notte
la profonda voragine l’inghiotte.
74Attonito mirò la sua caduta
da gelido stupor Tigrane oppresso,
e dal gorgo mortal fu pria bevuta
colei che ritornasse egli in se stesso;
ma poiché l’egra mente è rivenuta
da l’estinto Domizio il grave eccesso
in sé discorre, e di Fraate insieme
la presenza e ʼl castigo aborre e teme.
75Risolve al fin la fuga, e parte occulto
e nel bosco vicin ratto si svia.
Segue intanto fra i Parti alto tumulto
udito il caso e la novella ria,
quindi libera d’armi, d’ogn’insulto
lascian confusi la guardata via,
e tosto noi dove men cupa è l’onda
varchiam sicuri in su l’opposta sponda.
76Superato l’Arasse entriam l’aprica
campagna de l’Armenia et andiam lieti
senza che nel camin gente nemica
il riposo e la via c’infesti e vieti.
Così dopo sì lunga aspra fatica
si giunge al rege armeno, il qual secreti
inganni ci tessea, ma l’arti sue
restàr deluse, e prigioniero ei fue.
77Preso il re, son d’Armenia alfin sedati
i nuovi miti, e quindi Antonio il piede
caduto addietro rivolge e de’ soldati
aduna le reliquie e in Siria riede.
Qui da gli affanni e da i perigli andati
in tranquilla riposa amena sede,
e quindi ravvivar sue gioie invita
te, che sei del suo core il cor, la vita».
Cleopatra decide di affrettare la propria partenza per ricongiungersi con Antonio (78-80)
78Qui tace Emilio, e come esposto a l’ira
del superbo ocean nocchiero errante
lieto divien se fiammeggiar si mira
l’aureo splendor del faro amico inante,
tal la donna gentil, cui dubbia aggira
d’agitati pensier turbo incostante,
gode in udir del messaggiero a i detti
che sia il porto vicin dei suoi diletti.
79Tra sé poscia favella: – A che più resti,
neghittosa? e che pensi? or chi ti vieta
i bramati riposi? e i giorni misti
a che traggi pur tu varia e inquieta?
Quel che signor del tuo voler tu festi
a sé t’invita, or le tue doglie acqueta,
che tosto e con ragion devi godere
dopo lungo penar sommo piacere.
80Pria che l’assenza o che beltà novella
dal sen del tuo fedel scacci il tuo amore
vanne dunque veloce ov’ei t’appella
l’antiche a rinovar dolci dimore.
Dal noioso timor che ti flagella
con la sferza di giaccio ognora il core
così vivrai sicura; a che più tardi
e inutilmente or qui ti struggi et ardi? -.