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La Cleopatra

di Girolamo Graziani

Canto IV

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 20.03.15 12:29

ARGOMENTO
Va in Siria Cleopatra; essaminato
da i suoi vezzi è d’Antonio il cor guerriero.
Il principio da Delio è raccontato
del regio amor di Media al messaggiero
che del suo re, cui scorso et assaltato
avean l’armi de’ Parti il proprio impero,
chiede Antonio in soccorso; ei l’odio antico
dona a i suoi prieghi, e lo riceve amico.

Cleopatra si agghinda per incontrare Antonio a Sidone (1-12)

1Così risolve, e sdegna impaziente
il patrio faro e la città natia,
e del lungo camin rapidamente
apparecchia gli arredi, indi s’invia.
De l’Egitto i confin varca repente,
quinci a fronte di Gaza entra in Soria,
e di bisso e di balsamo feconda
scorge de la Giudea l’amena sponda.

2Ioppe trascorre, e torreggianti al cielo
sorger di Salomon vede i trofei,
varia di culto poi mira e di zelo
la Samaria, finitima a gli Ebrei.
Lascia addietro Cesarea, e del Carmelo
scopre l’altera cima e i Galieli,
Tiro a sinistra e Sidone rimane,
cui celebri facean gli ostri e le lane.

3Non lontana prefissa ha la reina
del viaggio la meta, e volge il piede
a la villa ch’a Sidone è vicina,
et ove intanto il suo fedel risiede.
Quinci mentre s’innoltra e s’avvicina
del caro Antonio a la bramata sede,
con industria maggior de la sua rara
beltà contra il guerrier l’armi prepara.

4Versa prodigo Amore aureo tesoro
su la chioma, che torta in biondi anelli
giù per gli omeri ondeggia in flutti d’oro
al placido spirar de i venticelli.
Rifiutato ogni studio, ogni lavoro,
fan pompa di lor stessi i bei capelli,
ch’arte non è, gemma non è né fregio
ch’appo l’oro del crin non perda il pregio.

5Le molli guancie alternamente infiora
con la rosa purpurea il bianco giglio,
e con misto gentil l’alme innamora
l’indistinto candore e il bel vermiglio.
Così veggiam la mattutina aurora
donde a l’ombre del ciel l’usato esiglio
aprir con man d’argento in Oriente
la porta di cinabro al sol nascente.

6De la sferza d’Amor lucide stelle
fiammeggiano begli occhi, anzi i pianeti
che l’influenze ora benigne or felle
piovono indi a gli amanti, or tristi or lieti.
Sono i gemini rai lingue gemelle
interpreti de’ sensi e de’ secreti,
parlan gli sguardi e sembran dire altrui:
“S’arder ricusi, a che t’affini in nui?”.

7Fra conche di rubini ambiziosa
la bocca in sé candide perle aduna,
impallidisce appresso a lor la rosa
e vinto in paragon l’avorio imbruna,
quinci spira odorata aura amorosa,
qui tra vaghi coralli il riso ha cuna,
e di nettare qui dolci e vivaci
condisce amor le parolette e i baci.

8Sembra la bella man falda di neve
dal freddo ciel su l’Appenin caduta,
o il latte che talor preme e riceve
il provido pastor da mamma irsuta.
Scote la man candida piuma e lieve,
che agitata il soffiar de l’aure aiuta
ad asciugare i tepidi sudori,
che nel volto parean perle tra i fiori.

9Qual s’a fiamma vorace i fiati accoppia
il mantice, e gl’incendi a l’esca inspira
ne l’opposta materia il foco addoppia
con impeto maggior la fervid’ira,
tal la piuma agitata ardor raddoppia
a la fiamma gentil che il guardo spira,
né mancò chi la piuma ond’altri ardesse
da le piume d’Amor tolta credesse.

10Ritenuto da lieve e debil freno
di trasparente velo il guardo scorge
da un sentier d’alabastro aperto il seno
che in duo teneri colli altero sorge.
La bianca via se non a l’occhio almeno
al pensier fra la veste il varco porge,
e gli mostra più cari e preziosi
i tesori d’Amor quanto più ascosi.

11Sì grata poscia e sì faconda move
la lingua ch’ogni detto il core allaccia,
e l’uom che il dolce incanto avvien che prove
rapito a le sue voci arde et agghiaccia.
Eloquente parlar sempre commuove
de gli affetti tiranno e de la faccia,
ma se tal dote in bella donna siede
la possanza d’Amore amore eccede.

12Grazia che la beltà rende perfetta
ogni moto accompagna et ogni gesto,
e con furtivo stral l’alme saetta
in forma lusinghiera atto modesto.
Con soave rigor ritroso alletta
scintillante di vezzi il guardo onesto;
che più? Dirò ch’è Cleopatra, e tanto
basti a spiegar di sue bellezze il vanto.

Antonio le si fa incontro, i due amanti si ricongiungono (13-21,4)

13Di tal beltà, di tai lusinghe armata
tal va l’egizia, e intanto al suo diletto
de l’arrivo di lei la fama alata
fa palpitar co ʼl primo annunzio il petto.
Cangia il volto al color, sorge eccitata
nel cor la fiamma de l’antico affetto,
e frettoloso ad incontrarlo passa
e servi e scettro et armi addietro lassa.

14Con piè tremante e con aperte braccia
a lei giunto s’avventa, essa lui stringe,
la donna il vago, ei la diletta abbraccia,
e ʼl volto ad ambi un bel rossor dipinge.
Così l’olmo talor la vite allaccia,
così il muro vicin l’ellera cinge,
e l’una e l’altro mille baci scocca
e negli occhi e nel seno e ne la bocca.

15Quinci Antonio prorompe: «Oh come giungi,
luce d’amor, bramata a le mie luci,
e i naufraghi pensier che da te lungi
correano il mar del pianto in porto adduci!
Così la vita a la mia vita aggiungi
e in duo soli diviso il sol riduci,
lucido sol da cui fugate e rotte
son le tenebre alfin de la mia notte».

16Tacque, et ella rispose: «Anzi al mio core
che vive in te di riunirmi io tento,
tu serva mi ricevi, e tu signore
le mie voglie correggia tuo talento.
In te nel tuo volere e nel tuo amore
sta il mio desio riposto e ʼl mio contento,
o non curo la vita o l’amo in quanto
mentr’io viva potrò viverti a canto».

17Tace, et entrano poi l’altere soglie
del palagio vicin, ch’arde e lampeggia
del metallo che il Gange in sen raccoglie
e di libici porfidi rosseggia.
Qui di gemme idaspee vario s’accoglie
prezioso tesoro, e qui fiammeggia
l’arabica maremma, e sta ristretto
il pregio d’Oriente in un sol tetto.

18Le sardoniche pietre e i marmi illustri
e di Caria e d’Egitto al gran lavoro
trasser d’estranio lito i fabbri industri
e dal Libano i cedri, de l’India l’oro.
Il sudor di più ingegni e di più lustri
e lo sparso de l’Asia ampio tesoro
con artificio inusitato e raro
il ricco albergo a i re di Siria alzaro.

19Qui riposaro entrambi, e traboccanti
qui risorsero in lor gli antichi affetti,
onde in molli delizie a i regi amanti
fu l’albergo commun, communi i letti.
Qui raddoppiàr le gioie, e qui festanti
rinovaro i primieri almi diletti,
al suon de i baci lor placido tacque
lo dio de l’armi, e addormentato giacque.

20Così Antonio da sé vario e diviso
le disegnate imprese a l’or trascura,
sol vagheggia l’egizia, e del bel viso,
immoto, solo i moti osserva e cura;
il balenar d’un tremolo sorriso
stima del suo voler norma e misura,
non adora altro ciel, non altro nume
che de gli amati sguardi il dolce lume.

21Di sua beltà, di sua fortuna altera
la donna insuperbisce, e già destina
di tornare in Egitto, ov’ella spera
a sua voglia goder l’alta rapina.
Ma dal partico ciel tromba guerreraIl messaggero Araspe giunge alla città, e incontra il cortigiano Delio sulle porte: gli chiede che gli narri la storia degli amori di Cleopatra e Antonio (21,5-27)
fa intanto risonar l’Asia vicina,
et al duce latin nuova perviene,
ch’un messaggier di Media a lui sen viene.

22Araspe è questi, uom che da l’ami al pregio
congiunge alto saver, dolce eloquenza,
e ne l’arti di guerra e in pace egregio
mesce a nobile ardir cauta prudenza;
a la sua fede è del sigillo regio
la custodia commessa e la potenza,
et ei del re, ne’ dubi affari esperto,
mostra al grado sublime eguale il merto.

23L’estranio messaggier quinci a racorre
pria ch’arrivi a l’albergo è Delio eletto,
che in età giovenil saggio discorre
con accorte maniere e grato aspetto.
La venuto del medo egli precorre,
cui trovato abbracciò con lieto affetto,
ch’altra volta in Media al re nemico
Delio e conobbe Araspe e l’ebbe amico.

24Rinovate fra ʼl medo e fra ʼl latino
l’offerte dunque e l’accoglienze a gara,
sieguono ambo congiunti il lor camino
cui men noioso il ragionar prepara;
de la guerra de i Parti e del vicino
incendio a l’or la rimembranza amata
rinovellaro, e Delio i lumi affisse
ne la faccia d’Araspe e così disse:

25«Vedrai, signor del predator Fraate
rintuzzato l’orgoglio, e fia respinto
oltre il gelido Arasse, oltre il Nifate
dal romano valor fugato e vinto.
Se lo spirto guerrier da la beltate
di Cleopatra oggi non resta estinto,
che sai forse ancor tu quanto nel seno
d’Antonio possa e come il tenga a freno?».

26«M’è nota in parte (Araspe a l’or soggiunge),
la fortuna d’Antonio e gli amor suoi,
pure incerta è la fede e di lor giunge
cario e confuso il grido anco tra noi.
Tu mentre da l’albore or ne disgiunge
l’avanzo del camin ridir mi puoi,
se t’aggrada, onde avesse e in quale loco
di sì fervido amor principio il foco».

27Tace, e «Non fia ch’io nieghi a la ragione
de la nostra amistà, de’ lunghi errori
la bramata notizia e la cagione
che in vinti ci cangiò di vincitori»
gli risponde il latino, e si compone
l’origine a spiegar de’ regi amori;
poi, com’è l’uso di chi serve in corte,
il suo signore accusa e la sua sorte.

Delio racconta dell’arrivo di Cleopatra di fronte al vincitore di Bruto e Cassio (28-46,4)

28«Dopo ch’Antonio ebbe fugati e spenti
ne la pugna campale e Cassio e Bruto,
onde al mare i filippei torrenti
portàr del nostro sangue ampio tributo,
fra quei che d’oro avean, d’armi e di genti
somministrato a i congiurati aiuto
prima del sanguinoso aspro conflitto
fu incolpata la donna anco d’Egitto.

29Il vincitore, a cui l’egizie offese
in narrando più gravi altri rendea,
d’ira maggior contra colei s’accese
che di cola sì rea stimata è rea.
Destinato a l’accuse e ale difese
Efeso fu, dov’ei la sede avea,
e d’onde al uso voler divota a l’ora
legge prendea la trionfata aurora.

30A la bella reina intanto arriva
del decreto roman nuova secura,
né già d’esporsi ella paventa e schiva
del giudice nemico a la censura,
che intrepida baldanza in lei ravviva
con le sue doti a gara arte e natura,
onde, altera fra sé di sua bellezza,
molto ardisce, assai brama e tutto sprezza.

31Lascia dunque le mura edificate
dal macedone invitto, e de’ Cilici
entra nel regno, avendo già varcate
le campagne de’ Siri e de’ Fenici.
Qui poscia aggiunge a natural beltate
di grandezza real vari artifici,
poiché accresce bellezza illustre fregio
con regio portamento il titol regio.

32Del Cidno, e poi del mare il qual le piante
bagna d’Efeso a i muri indi propose
fendere in nave non più vista inante
l’onde, a sì nobil salma avventurose;
la nave che solcò del mar sonante
l’aureo vello a rapir le piagge ondose
cede a questa, che incisa in bel lavoro
avea prora di cedro e poppa d’oro.

33Mano de la natura imitatrice
ne la poppa scolpì l’antica istoria
de la prole di Semele felice
quando ottenne de gl’Indi alta vittoria;
qui Bacco a la già mesta et infelice
Arianna concede ogni sua gloria,
qui di pampini e di vin pieni
fan liete danze i Satiri e i Sileni.

34L’ampie seriche vele erano inteste
dal bel Damasco e colorite in Tiro,
e le funi di seta e d’or conteste
de la dedalea Menfi i fabbri ordiro.
Gli egizi servi in preziosa veste
pur di porpora e d’oro in doppio gito
il molle argento con ben cento e cento
fendean di qua, di là remi d’argento.

35Sono con tal misura e simmetria
gli argenti da costor remi adoprati
che grata e soavissima armonia
esce da i flutti scossi et agitati.
Accompagnan tra lor la melodia
i Zeffiretti co’ giocondi fiati
fra le vele scherzando, e si confonde
un musico concento e d’aure e d’onde.

36Ne la poppa sublime un padiglione,
da gl’industri di Lidia aghi dipinto,
de le dive più belle il paragone
esprime sì c’ha fé di vero il finto;
dubbio l’ignude dee mira il garzone,
ch’alfin di Citerea da i premi è vinto,
e ʼl desiato pomo a lei concede,
esca d’incendi a la paterna sede.

37Riposava colà di Citera
al manto, a le bellezze emula altera
la reina del Nilo, e la cingea
di vezzose donzelle amica schiera.
Altra di lor le funi, altra regge
ale vele, e de la nave in guardia altr’era,
e scoteano in queste parti e in quelle
d’odorato vapor ricche facelle.

38Sovra le sponde fertili di fiori
che son meta del fiume a i puri argenti,
in abito di ninfe e di pastori
quinci vanno l’ancelle, indi i sergenti,
e l’une e gli altri insieme empion d’odori
l’aria, e di nuovi armonici concenti.
Ridon alfin dovunque il Cidno bagna
lussureggianti il cielo e la campagna.

39I ricchissimi Seri apparecchiaro
le peregrine sete al nobil manto,
che d’adornar de la beltà del faro
gli ornamenti nativi ottenne il vanto.
L’aracni babiloniche il fregiaro
di pomposi ricami in ogni canto,
sì che quale in fin or rubino avvolto
in bel manto o più bel sembra un bel volto.

40Or sì vezzosa dunque, sì lasciva
tenerezze d’amor tutta spirante,
la superbia del Nilo aprendo giva
ne la poppa real l’onda sonante.
Stupisce, e vola invèr l’efesia riva
a rimirar tante delizie e tante
de la beltà creduta innamorata
su l’ali del desio l’Asia portata.

41Come a l’or che solcò la bella dea
cui la spuma del mar diè il nascimento
fra le Grazie e gli Amor de l’acqua egea
in aurea conca lo spumoso argento
restaro a l’apparir di Citera
immobil l’onda e stupefatto il vento,
e d’Anfitrite i procellosi numi
sorsero sfavellando a i suoi bei lumi,

42così non meno attonite e sospese
la famosa a mirar strana beltate
corrono, e son del suo bel foco accese
al primo lampeggiar provincie armate.
Fra le reti ch’Amor nel crine ha tese
son l’alme in aurei nodi incatenate,
e ʼl cor che in sì bei lacci è prigioniero
stima la servitù soave impero.

43Entra ne la città già impoverita,
et or ricca per lei d’abitatori,
fra l’applauso comun la donna ardita,
vincitrice già in sé de’ vincitori,
vittoria ahi troppo vera onde sopita
fu la virtù ch’accese i nostri cori
a le palme, a i trionfi, et onde alfine
il lusso effeminò l’armi latine.

44Vassene Antonio ov’ha colei ricetto
e di gioia in mirarla ebro diviene,
mentre in atti leggiadri il vago aspetto
sollevato ne gli occhi il cor gli tiene.
Sente poi che trascorre ignoto affetto
con l’armi del piacer dentro le vene,
gli arride il senso e la ragion gli cede,
sì che domo il voler l’alma possiede.

45Non permette la via che più distinto
a te di quell’amor narri il successo,
e come da beltà supplice vinto
fusse, in guerra già invitto, Antonio oppresso.
Così tra i lacci feminili avvinto
egli rimase a la sua donna appresso,
ch’osò trattar con impudica mano
l’emulo de gli dèi scettro romano.

46Felici voi, cui Silla o Mario uccise
o ʼl farsalico suol diè sepoltura
pria che miraste in vergognose guise
dar le leggi a i Romani egizia cura!».
Qui tace Delio, e di bei fregi inciseAraspe espone ad Antonio l’ambasciata del re di Media, che gli chiede aiuto contro Fraate (46,5-69)
qui scorgon fiammeggiar le ricche mura,
e penetrando ne l’eccelsa reggia
trovano alfine Antonio in aurea seggia.

47Di persico broccato ombra contesta
a l’assiso roman sovra si stende,
e di porpora avvolto in regia vesta
sublime e ragguardevole risplende;
preziosi tappeti il piè calpesta,
ferro di Siria il fianco orna e difende,
aureo scettro ha la destra, e grave e tardo
raggi di maestà vibra lo sguardo.

48Piega la fronte, e riverente a l’ora
gli occhi a la terra il messaggier chinando
a l’usanza de’ Medi Antonio onora,
i saluti barbarici iterando;
indi la man che soggiogò l’aurora
baciata umile, incominciò parlando,
e mentre ei disse immobili e pendenti
tacquero gli altri a i suoi facondi accenti:

49«Signor, di cui la fama altera e grande
c’ha per termine suo solo le stelle
con meraviglia universal già spande
di supremo valor chiare novelle,
la tua eccelsa virtù, che memorande
sacra a l’eternità l’opre più belle,
affida il mio signor, che de gl’ignoti
sa che virtù non finta ascolta i voti.

50Il mio re, che nemico a te già fue
ne la guerra de’ Parti, or sol ripone
nel cortese favor de l’armi tue
del uso regno la speme e la ragione;
lui che ministro a le vittorie sue
e compagno ebbe a i rischi, in guiderdone
ha Fraate assalito, e mostra aperto
odiar l’ingrato in chi giovolli il merto.

51Cediamo noi che incauti e spensierati
da chi premio doveaci ingiurie abbiamo,
et arsi i nostri campi e desolati
da le partiche fiamme oggi veggiamo,
da ferro crudelissimo svenati
gl’innocenti bambin gemere udiamo,
e già miriam con lagrimose stragi
abbattuti del par tempi e palagi.

52Altri creder potria, che tu co ʼl ciglio
lieto e tranquillo or vagheggiar dovessi
i nostri danni, e de l’altrui periglio
udir con riso i miseri successi
che la nostra discordia util consiglio
offrisca a te di soggiogar noi stessi,
ché, stanco l’un cui l’altro oppresso ceda,
son ambo a chi gli assale agevol preda,

53ma no ʼl crede il mio re, che non misura,
signor, l’animo tuo da le sue offese,
anzi in te si promette e s’assicura
di racquistar da i Parti il suo paese.
Di tua nobil virtute è degna cura
or difender colui che già t’offese,
di pietà seminando i benefici
ne gli animi stranieri, anzi nemici.

54Basti al trono real vederti inante
le feroci di Medie ire prostrate,
e in voce del mio re me supplicante
a i suoi mali implorar la tua pietate,
sprezza e condona alma d’onor curante
a l’inerme nemico ingiurie armate,
i cedenti virgulti Austro non svelle,
regio piè sol calpesta armi rubelle.

55E bench’a i generosi inutil sia
de la gloria propor premio maggiore,
e che lo spirto e la virtù natia
sia stimolo bastante a nobil core,
aggiungerò ch’a te dannoso fia
ove di noi rimanga or vincitore
il superbo Fraate, e le sue forze
con l’acquisto di Media oggi rinforze,

56poiché il crudel, che intento a i danni tui
ferve tra sé d’inestinguibil ire,
mentre aggiunga la Media a i regni sui
fia che di nuovo a molestarti aspire.
Ragion non cura, e d’occupar altrui
con l’impeto maggior fassi il desire,
né mai, se non discorde e disunita,
sta la potenza eguale in duo partita.

57Quanto me’ fia de l’impeto nemico
gli oltraggi prevenir l’armi movendo,
pria che sfoghi in te lo sdegno antico
le vincitrici squadre in te volgendo.
Tu del mio re, già divenuto amico,
le sparse genti a le tue schiere unendo
puoi sin dentro le viscere de’ Parti
co ʼl poderoso esercito inoltrarti.

58Noi, che sappiam di quel paese il sito,
che inespugnabil sembra a gli stranieri,
ti scorgerem, ti mostreremo a dito
fra l’erte balze agevoli i sentieri;
saprai dove men aspro o non munito
trovar possa il camino a i tuoi guerrieri,
onde a mirar siano anco i Parti astretti
arder al foco ostile i patri tetti.

59Fia da i Medi finitimi a la guerra
al campo tuo su ministrato il vitto,
sì che non tema in quell’alpestre terra
da novelli disagi essere afflitto.
Invan dunque per te le biade serra
ne le chiuse città nemico editto,
poiché altronde verranno agevolmente
i necessari cibi a la tua gente.

60Ma forse egli avverrà ch’altri ti dica
che sospetta de’ barbari è la fede,
e che sol ti sarà la Media amica
sin quanto al tuo bisogno util ciò crede,
ch’ella a te diverrà tosto nemica
quando vedrà da le vicine prede
le tue forze accresciute, ond’abbia poi
sue ruine a stimar gli acquisti tuoi,

61che non fia mai di nazion straniera
d’amicizia e di sangue a i Parti unita
per lunga e stabile e sincera
a l’esercito tuo la nuova aita,
che se l’ira novella a la primiera
amistà cede, et è da lei sopita,
co’ Parti ella unirà l’armi e i disegni
a i danni del tuo campo e de’ tuoi regni,

62ch’ove ciò t’avvenisse a l’or ristretto
da la Media e da i Parti e circondato
da l’insidie nemiche avrai difetto
di cibo in steril loco assediato,
che in sito ignoto, a la battaglia astretto
non potrà dimostrar l’ardire usato
il campo tuo, ma rimarrà sconfitto,
dal ferro insieme e da i disagi afflitto.

63Qui concedo, signor, ch’altrui sol caglia
ciò che giova seguir, non ciò che deve,
che l’util proprio a la ragion prevaglia
e ch’ogni altro rispetto a i re sia lieve,
che quanto può durar tanto sol vaglia
il nostro beneficio in chi ʼl riceve,
ch’ove cessi il bisogno indi a vicenda
spesso in vece di grazia odio si renda,

64ma insiem dirò che l’amistà che fue
lunga stagion fra i Parti e noi congiunta
ruppe Fraate, e da l’ingiurie sue
con infausta memoria oggi p disgiunta,
onde più de’ sotto l’insegne tue
la sua fede osservar la Media aggiunta,
ché violati dal crudel nemico
rimembra i patto e ʼl sacro ospizio antico.

65Né si può dubitar che ribellante
di nuovo al traditor la vita e ʼl regno
fidi il mio re, ch’ancor si vede inante
de la perfidia ostile aperto segno:
se di vera amistà, di fé costante
da l’empio riportò premio sì indegno,
che non deve temer da le sue frodi
se reo di qualche danno offeso ei l’odi?

66Ben sa che premeria l’ira nel seno,
e in danno altrui la sfogherebbe al fine
a l’or che del fellon temute meno
fosser dal mio signor l’armi vicine.
Fors’ei potria ne’ nuovi rischi almeno
da le da lui tradite armi latine
sperar soccorso, et in color ch’offese
tante volte ripor le difese?

67In tal stato di cose è dunque vano
ogni sospetto onde, signor, tu creda
ch’abbandonato il popolo romano
il mio re disleale a i Parti rieda,
sì che assalito da Fraate in vano
da te ne’ suoi perigli aita ei chieda,
e divenga, prezzati i preghi suoi,
preda del traditor, scherno de’ tuoi.

68Ma perché più co’ detti miei procuro
d’infiammarti, signore, a l’alta impresa
quasi contra un nemico a te sì duro
a bastanza non sia tua mente accesa?
A te sol non è già celato e oscuro
quanto da i Parti è la tua gente offesa,
e ʼl sa l’ombra di Crasso invendicata,
e ʼl sa l’Asia da loro arsa e predata.

69Sin dentro la sua tana or dunque assali
questa che l’Oriente avida fera
già già divora, e scocca in lei gli strali
de la vendicatrice ira severa.
Di famosi trofei, d’archi immortali
così n’andrà la tua memoria altera,
e per tua lode a le colonne, a i carmi
Roma darà gl’inchiostri e l’Asia i marmi».

Antonio accetta la proposta e raduna l’esercito (70-72)

70Qui ʼl fine Araspe al favellare impose,
e fra gli altri eccitò breve bisbiglio;
ma in cotal guisa al suo parlar rispose,
in lui grave innalzando Antonio il ciglio:
«Ben con ragione il tuo signor m’espose,
se in mia bontà confida, il suo periglio,
ma non è già s’ei rimembra in quante guise
offese le mie genti e me derise.

71Pur vuo’, poste in oblio l’ingiurie andate,
ch’al suo fallir la mia pietà prevaglia,
e in sua difesa i regni di Fraate
farò che l’oste mia di nuovo assaglia.
Sappia solo il tuo re ch’ove sprezzate
le leggi a lui de la sua fé non caglia
quell’armi istesse onde protetto or fia
ministre diverran de l’ira mia».

72Tace, e Araspe s’inchina e bacia il manto
al fortissimo eroe, grazie rendendo.
S’apparecchia a la guerra Antonio intanto,
l’esercito suo diviso in un stringendo;
rimbomba a l’or la Siria in ogni canto
de’ bellici strumenti al suono orrendo,
splende lucido il ciel del ferro a i lampi,
calcati da i destrier tremano i campi.