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La Cleopatra

di Girolamo Graziani

Canto V

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 20.03.15 12:34

ARGOMENTO
Piange l’egizia addolorata e priega
Amor ch’al suo fedel vieti ʼl partire;
a le lagrime sue lo dio si piega,
e seconda pietoso il suo desire:
con celeste catena entrambi lega,
si lascian l’armi, intrepidiscon l’ire,
siedon gli amanti a lauta mensa e intanto
de l’empio Metrodoro odono il canto.

Cleopatra si reca al tempio di Cupido, lo prega di impedire la partenza di Antonio (1-8)

1Intanto Cleopatra i nuovi moti
del suo diletto addolorata mira,
e, de la nuova assenza i segni noti
già vedendo, tra sé geme e sospira;
or accusa l’amante, or a’ suoi voti
de la sorte nemica ella s’adira,
e dubbio or qua or là rapito a prova
l’agitato pensier pace non trova.

2Tal se rivolto al lampeggiar del sole
fiede lucido vetro il raggio ardente
il tremolo splendor si gira e suole
quinci e quindi vagar rapidamente,
or precipita al fondo, or par che vòle
sin al tetto et al ciel lieve e repente,
e vario in questo lato e in quel rapito
con moto repentin scorre ogni sito.

3Del palagio real si chiude in seno
ricco altare a Cupido eretto e sacro,
ove di chiari lumi ogni ora ardieno
cento lampadi innanzi al simulacro;
colà ricovra, e sciolto al duolo il freno
fa di lagrime prima ampio lavacro,
e, gli occhi ne l’imago alfin diretti,
prorompe Cleopatra in questi detti:

4«Misera, e pur mi sono apparecchiate
da l’avverso destin nuove sciagure?
odo trombe feroci e squadre armate
propinque minacciar guerre future?
da falce militar così troncate
son le tenere mie gioie immature?
e tu ʼl permetti, Amor, le cui promesse
m’offerser di piaceri eterna messe?

5E dal volto così ne l’elmo chiuso
devrò i baci rapir del mio fedele?
et udrò di sue voci il suon confuso
fra le belliche strida e le querele?
fra gl’inganni e fra l’armi lui rinchiuso,
sempre paventerò morte crudele?
e da larve infelici i sonni rotti
daranno a i miei pensier torbide notti?

6S’ei parte io che farò? lo sieguo o resto?
Timore e gelosia mi scuote il petto,
ah troppo a gli occhi miei, troppo è molesto,
mirar fra tanti rischi il mio diletto.
Ma forse ascolterò nunzio funesto
narrarmi che d’amor novello affetto
il cor gl’infiammi? Amor, fra duo perigli
qual di lor fuggirò? che mi consigli?

7Deh, se d’inclito amante unqua t’offersi
fra cotanti olocausti ostia gradita,
se co’ tesor de gli Arabi e de’ Persi
la tua imago da me fu riverita,
tu, del ciel maggior nume, i fati avversi
placa de la tua ancella, e tu l’aita;
tu il poter del voler non hai minore
e non cede al destin forza d’amore.

8Cessi a l’orecchie omai di rimbombarmi
de l’odiosa tromba il suono altero,
a le preghiere mie cedano l’armi,
abbia sol del mio Antonio Amor l’impero.
Festi nel gel de’ Traci e de’ Biarmi
altre volte avvamparlo, dio guerrero,
e vide l’Ira in onta sua che loco
ebbe tra le sue fiamme anco il tuo foco».

Amore recupera una catena di rubino nella sua armeria con cui lega il cuore di Cleopatra (9-15)

9Tacque, et udì le sue preghiere e prese
de’ suoi gravi dolori Amor pietade,
e impedir stabilì le nuove imprese,
tanto vuol, né più avvien che pensi o bade,
ma rifiuta ogni indugio, e l’ali stese
solca rapido a vol l’aeree strade,
fermansi i venti a rimirarlo e al lume
fiammeggia il ciel de le purpuree piume.

10Lava nel mar Carpazio il piè fiorito,
sacra a la dea d’amor Cipro gioconda,
cui sott’aria benigna in molle sito
di sue ricchezze eterno april feconda,
quindi scopria de la Cilicia il lito
che la fronteggia in parte e la circonda,
e quindi urtando ne la siria riva
fremer d’ira spumante il flutto udiva.

11Amor là drizza il volo, e a tergo lassa
la Fenicia, e piegando a la mancina
giunge sovra Amatunta, e scorre e passa
la montagna di Curio e la marina.
Restan le secche addietro, indi più bassa
vede l’antica Pafo al mar vicina,
e del gran tempio a Citerea sacrato
mira sorger sublime il tetto aurato.

12Nel sacro albergo entra furtivo Amore,
e penetra u’ più riposti eran gli arnesi
che di Venere a i prieghi il genitore
temprò degli antri d’Etna a i fochi accesi.
Qui son l’eterne faci, al cui ardore
da l’acque acherontee non fur difesi
gli dèi d’abisso, e d’amoroso affetto
arse a i Ciclopi et a i Centauri il petto.

13Era qui di Ciprigna il nobil cinto
degli ornamenti suoi maggior tesoro,
qui l’armi onde per lei Mare fu vinto,
che ʼl nipote domàr del vecchio Moro;
d’anelli indissolubili distinto
qui celeste rubin d’alto lavoro
forma lunga catena, onde legate
sono l’alme de’ grandi innamorate.

14Questa è legge fatal, ch’ove congiunga
con un solo desio duo cori insieme,
non gli sleghi giamai sin che non giunga
l’uno e l’altro di loro a l’ore estreme,
né se vita de l’altro ha l’un più lunga
ella men quel che resta annoda e preme,
ma il vivo al morto unisce insin che sciolti
siano entrambi dal mondo e in ciel raccolti.

15Prende Amor la catena, e ʼl volo scioglie
e le già corse vie ratto trascorre.
L’ali nel sirio lito indi raccoglie,
e l’albergo real rapido scorre;
qui da lato a costei che le sue doglie
sfoga co ʼl lagrimar si viene a porre,
e toccandole il cor con la sua face
fa che divenga impaziente, audace.

Cleopatra rinnova le querele con Antonio, che non cede alle sue offerte (16-43)

16Risolve a l’or di rinovar con lui
l’afflitta donna e le lusinghe e l’arti
onde, vinto, abbandoni a i preghi sui
la guerra che disegna incontro a i Parti,
quindi tosto se ʼn va dove colui
discorre in sé di quell’alpestre parti,
del loco e del camino onde men ria
a l’esercito suo s’apra la via.

17Qui, pria che spieghi il suo pensier distinto,
in un atto compon grave e doglioso
il volto, et è da gli occhi al sen respinto
il pianto ch’ora è noto et ora ascoso,
congiungendo con arte al vero il finto
rende il guardo or sereno or nubiloso;
così tra lieta e mesta e tutta bella
tragge un sospir dal core, indi favella:

18«Deh qual vegg’io di bellicoso arnese
le tue membra coprir duro ornamento?
et a che risonar tutto il paese
a l’armi scosse et a i nitriti io sento?
chi provocò il tuo sdegno? e chi t’offese?
ove di sì gran mole il fondamento
locasti, e con qual speme? e chi, signore,
fu di tant’opra e di tai moti autore?

19Il vero io ti dirò, segue che pote:
e quale or te con sì mortal periglio
fra nazioni indomiti et ignote
sospinge a guerreggiar nuovo consiglio?
a che terre cercar strane e remote?
a che far del tuo popolo vermiglio
il partico terren? a che le glebe
impinguar più de la romana plebe?

20Che manca a te? non è de’ suoi tesori
a te largo l’Egitto, a te l’Assiro?
l’Arabo non ministra a te gli odori
e le sete la Frigia e i fregi il Siro?
a te forse non danno e d’ostri e d’ori
prezioso tributo e l’Indo e Tiro?
non offron le più rare e fine gemme
a te de l’Eritreo l’ampie maremme?

21I destrieri nifei Media prepara
e per te sol vendemmia Creta e Chio.
Qual lauto cibo e delicato a gara
l’Asia molle non offre al tuo desio?
Deh, raffrena per dio la mente avara,
già che sì vasto impero il ciel t’offrio,
tempra l’ambiziosa avida fame,
che tutto avrai se d’aver più non brami.

22Tu lo scettro, signor de l’Oriente,
reggi in ozio sicuro, in lieta pace,
né la sorte tentar, ch’instabilmente
ne mostra il suo favor lieve e fugace.
Troppo, ahi troppo del tempo avidamente
nostre gioie consuma il dente edace,
a che vuoi tu con volontari affanni
precorrer, provocar l’ira de gli anni?».

23Sì parla Cleopatra, indi pensosa
la risposta co ʼl cor sospeso attende,
e mezzo tra dolente e vergognosa
da la bocca d’Antonio intenta pende.
Egli con lieta faccia a la dogliosa
donna volto sorride, e sé difende
da le sue accuse, e la ragion palesa
che ʼl trasse et or lo spinge a l’alta impresa:

24«Non de l’altrui ricchezze ingorda brama,
come forse tu credi, e non affetto
di ciò che ʼl vulgo insano estolle e brama
nuove cose a tentar m’accese il petto;
magnanimo desio di chiara fama
zelo del proprio onore hammi costretto
lasciare il Nilo, e ne la propria terra
a Fraate portar debita guerra.

25Ardea l’Armenia tutta e de’ Cilici
fumavan le campagne a lei vicine,
e provavano già gli Assiri amici
dal barbarico stuol stragi e rapine,
et io dunque dove, mentre i nemici
empìan l’Asia d’incendi e di ruine,
de le soggette e de l’amiche genti
neghittoso ascoltar gli alti lamenti?

26Da l’onta invendicata esce il dispregio,
onde la maestà, base del regno,
scossa ruina, e del real suo pregio
vilipeso riman lo scettro indegno.
Non de’ soffrir l’ingiurie animo regio,
de l’ardir, de l’onor cote è lo sdegno,
l’offesa che trascura al fin vendetta
a nuove offese l’offensore alletta.

27Or tu i desiri acqueta, e tu permetti
che ʼl perfido ladron mi paghi il fio
de’ danni de gli amici e de’ soggetti,
ch’è tua la gloria del trionfo mio.
Vinto il nemico, a gli agi et a i diletti
vuo’ che torniamo, e vuo’ ch’un sol desio,
ch’uno spirto ambo regga; or soffri intanto,
breve il mio indugio fia, breve il tuo pianto».

28Qui tacque Antonio, e replicò colei:
«De gli Armeni l’ingiurie hai vendicate
già tu, signor, già formidabil sei
co ʼl nome solo al predator Fraate.
Su le sue cime eretti i tuoi trofei
stupido ammira il gelido Nifate,
per te i parenti addolorate e meste
piangon le partiche nuore in bruna veste.

29Scorre tiepido ancor nel mare ircano
sanguinoso l’Arasse, il Tauro fuma
al nostro foco, e ʼl Caspio ancor lontano
l’incendio universale arde et alluma,
trema del vincitor nome romano
sin colà dove ha sempiterna bruma
il fero scita, e ʼl Caucaso remoto
teme il giogo da te sin’ora ignoto.

30Molto festi e soffristi, or fora audace
che s’esponesse a nuovi rischi; è incerto
il giudicio di Marte, odia la pace
chi la palma ha sicura e l’onor certo.
Non tu, signor, cui malagevol face
l’incognito camin lungo e diserto
la vittoria, et a cui non solo è l’oste
ma son rupi, torrenti e selve opposte.

31Deh cessa, ah non per dio, non porre in forse
l’onor di tante imprese, anzi te stesso.
La filippica strage a te già porse
eterni lauri, e ʼl barbaro depresso,
il rubello roman che in te già torse
l’armi de’ Parti fu dal cielo oppresso,
che brami più? non sai che nulla tiene
se vuol tutto abbracciar fallace spene?

32D’astuzia e di valor sono i nemici
non secondi ad alcuno, il ver mi vaglia,
vinte le schiere lor son vincitrici,
fuggono ma la fuga è lor battaglia,
avranno il sito e gli abitanti amici
da trarre armi e soldati e vettovaglia;
fuor che il suo ferro e la sua man di scampo
altra speranza non avrà il tuo campo».

33Così diss’ella, e saettò dolente
un dolcissimo sguardo al suo diletto,
la man gli strinse, et un sospiro ardente
vibrò vèr lui da l’infiammato petto.
Ne l’alma Antonio penetrar già sente
un lusinghiero insolito diletto,
ch’a ceder quasi al suo voler lo stringe,
pur ancor resiste e se n’infinge,

34e soggiunge a colei: «Non è punito
l’error che si difende, e non conviene
l’ingiuria perdonar se non pentito
il reo l’afferma ancora e la sostiene.
L’Asia ha commossa e d al’estremo lito
d’Atlante insino a l’ultima Siene
l’africane contrade, e del mio sdegno
sarà vano romore inutil segno?

35E vedrà il mondo, che sospeso aspetta
pien di stupor sì gran moti il fine,
donata a i preghi tuoi l’alta vendetta
de le passate orribili ruine?
Del nome mio la dignità negletta,
con nuove stragi fia, nuove rapine
scorrerà l’Asia e sdegnerà Fraate
che termine gli sia l’assirio Eufrate?

36Taci dunque, e confida, o de la mia
vita parte più cara e più soave,
de la vittoria mia, che tua pur fia
s’offrir breve dimora or non t’aggrave.
Deh credi, idolo mio, ch’a me pur sai
l’esser lungi da te noioso e grave,
permetti, anima mia, ch’ora dia loco
al zelo de l’onor d’amore il foco».

37Volea forse più dir, ma l’interrompe
la mesta donna, che dal sen raccoglie
la fievol voce, e in un ohimè la rompe,
pare sfogando in lui de le sue doglie.
Con lagrimosa faccia indi prorompe:
«Sia ministro il destin de le tue voglie,
ceda l’oste nemica a i tuoi guerreri,
la fortuna s’agguagli a ciò che speri,

38ma non però del tuo valore il frutto
godrai, signor, poiché d’intorno i Parti
il paese vicino han già distrutto,
ond’altri potea il vitto amministrarti.
Or come tu l’esercito condutto
in quell’estreme e desolate parti
credi nutrir? qual cibo aver potrassi
tra le selve caucasee e i caspi sassi?

39Tu confidi nel Medo? Ah tu le frodi
non provasti de’ barbari a bastanza?
Vivi omai a te stesso, e lieto godi
quel breve tempo ch’a i disagi avanza.
Tu de gli adulator le finte lodi
che di dannosa inutile speranza
empion l’animo sprezza, e riedi accorto
dal mar de l’armi de la pace al porto.

40Deh tu, signor, chiudi l’orecchie e serra
al suono insidioso e menzognero;
colui che meno ardisce anco men erra,
vince assai chi mantien l’antico impero.
Chi preporrà d’una dubbiosa guerra
la sperata vittoria al fermo e vero
riposo de la pace? Ah siati a mente
del pertinace Crasso il fin dolente.

41La memoria così de i nostri amori
dunque è noiosa a te che pur ti cale
comprar co’ tuoi disagi i miei dolori,
col tuo rischio mercar, lassa, il mio male?
Più tosto vuoi tra i barbari furori
offrire il petto a l’inimico strale
che soffrir che ʼl mio seno e ʼl sian tocchi
da lo strale vital de’ tuoi begli occhi?

42Vuoi più tosto seguir stuolo fugace
che ne la fuga sua piaghe saetti
ch’aspettar chi ti segue e in lieta pace
goder seco d’amor dolci diletti?
le minaccie da i parti udir ti piace
più tosto che da me supplici detti?
ti sono alfin de le straniere selve
più de l’aspetto mio care le belve?

43Anzi t’è cara solo, hai sol desio
de la mia morte, eccoti dunque il petto:
immergi il ferro tuo nel sangue mio,
miralo aperto, appaga il crudo affetto;
strazia, ferisci pur, sazia, per dio,
tue voglie in me, che dolce in te l’effetto
proverò del mio mal, beata sorte
se mi darà la vita mia la morte».

Cleopatra sviene, Amore lega anche il cuore di Antonio, che si impietosisce e decide di rimanere (44-49,2)

44Mentre così dicea lacera e scinge
quel che ʼl bel sen copria serico velo,
cade poi tramortita, o tal si finge,
e le occupa la faccia un freddo gelo.
Pallido in volto, Antonio a lei si stringe,
e dentro avvampa d’amoroso zelo,
così a l’amor l’onore in lui cedendo,
meraviglia, colei vince cadendo.

45Vince Amor, che in quel punto entrambi lega
con le tenaci e solide ritorte
de la catena che non mai si slega,
se non la scioglie d’ambidui la morte.
Quinci lascia gli amanti, e l’ali spiega
lieto Cupido in vèr l’eterea corte,
a i cui abitator vuol mover guerra,
già che vinta da lui cede la terra.

46Di dolor, di pietà sente nel core
confuso affetto penetrare intanto
Antonio, e testimonio indi d’amore
stillar da gli occhi affettuoso il pianto.
Bagna la faccia il lagrimoso umore
a lei mentre rallenta al seno il manto,
e c’ baci ei gli spirti erranti invita
a ritornar la vita a la sua vita.

47Ella in sé riede, e singhiozzando abbraccia
con gli occhi umidi ancor l’afflitto amante;
egli unisce a la sua l’amata faccia,
ne la bocca di lei l’alma spirante,
ella di lui tra le soavi braccia
languida s’abbandona e sospirante
sostiene il caro peso, indi s’affisa
ei nel suo volto, e parla in cotal guisa:

48«Deh perché turbi, a che ti veggio, ahi lasso,
mesta il sembiante e nubiloso il ciglio?
Qui vuo’ l’armi depor, qui, fermo il passo,
cedo a le tue preghiere, al tuo consiglio.
Al riposo, a le gioie io fo trapasso
da l’angustie, dal ferro e dal periglio,
sia qual tu vuoi destin, legge od impero
un tuo sguardo, un tuo cenno al mio pensiero».

49Tace, e rinova a l’or gli amplessi e i baci
che con soave usura essa gli rende.
Escono poi dove de’ lor seguaciGli amanti si recano a mensa, ascoltano l’invito al carpe diem di Metrodoro: Antonio scioglie l’esercito (49,3-65)
la cortigiana turba umil gli attende.
De le più ricche sale e più capaci
ne la maggior di gemme ed or risplende
superba mensa, ivi gli amanti a prova
le più molli vivande il lusso trova.

50Ma poich’alfin da’ vari cibi in loro
la brama natural spenta riposa,
in tal guisa cantò di Metrodoro
la voce adulatrice e insidiosa;
costui, nato là dove al gran Peloro
morde latrando il piè Scilla rabbiosa,
seguace d’Epicuro a le sue note
così fe’ rimaner le turbe immote:

51«De’ congiurati esercito possente
nei filippici campi ecco s’aduna,
ecco la varia e numerosa gente
che sforzata da lor l’Asia raduna.
Antonio le s’oppone, e finalmente
tentar risolve l’ultima fortuna
l’un campo e l’altro, e già con pari ardire
muovon l’un contra l’altro il ferro e l’ire.

52Mira ch’Antonio intrepido e costante
con lieta faccia e con sereno ciglio
rincora i suoi guerrieri, e corre intanto
a gli altri, ove maggior vede il periglio.
Fulmina colla spada e co ʼl sembiante,
con le forze guerreggia e co ʼl consiglio,
tutto provede, e scorre in ogni loco,
sembra venti, balen, saetta e foco.

53I cavi bossi e i concavi metalli
lo strepito de l’armi e de gli armati
fanno i monti sonar, sonar le valli,
di fremiti, di strida e d’ululati.
Caggiono cavallier, caggion cavalli
nel proprio sangue e ne l’altrui bagnati;
già nel campo de’ morti e de’ malvivi
surgono i corpi in monti, il sangue in rivi.

54Sta la sorte dubbiosa, alfine arride
la vittoria ad Antonio e Cassio cede,
e disperato poi se stesso uccide
poiché il compagno vincitor non vede.
Bruto ogn’intoppo ostil tronca e recide,
e fa da l’altro lato stragi e prede,
mentre Ottavio guardingo in forte muro
nel periglio commun vive sicuro.

55Or così la vittoria è compartita
fra l’uno e l’altro esercito egualmente,
e pur di nuovo a la battaglia invita
l’uno e l’altro di lor l’oste vincente.
Ecco la pugna accesa et inasprita,
la fortuna sospesa e indifferente,
ecco alfin che di Bruto e del suo stuolo
ottien nobil vittoria Antonio solo.

56Sol, poiché quando più feroce ardea
la sanguigna tenzon tratto in disparte
Ottavio a rimirar si trattenea
l’altrui periglio da lontana parte.
Nobil vittoria sì, ma qual dovea
premio ottener del faticoso Marte
Antonio? e qual restò di tal vittoria
degna di tanti rischi alta memoria?

57Un’ombra fuggitiva, un lieve, un folle
di favoloso onor titolo vano,
la campagna fatal tiepida e molle
d’asiatico sangue e di romano
è il guiderdon che ʼl pazzo vulgo estolle
e ch’è spesso da lui bramato invano,
misero guiderdon di cui sol resta
memoria lacrimevole e funesta.

58Quanto giocondo più, come c’invita
a guerre più soavi Amor sagace!
Qual più dolce vittoria e più gradita
che l’amata beltà godersi in pace?
Ben tosto perder la stagion fiorita
i preghi suoi, troppo è l’età fugace,
e vano è lo sperar ch’amica sorte
ci serbi altri piacer dopo la morte.

59Svanisce il corpo in terra e l’alma in auro,
e se vita immortale altri si finge
sono favole e sogni, ond’ei ristaura
la mente, e ʼl vulgo a le sue leggi astringe.
Gli elisi ove mai sempre il sole inaura
i lieti campi e l’Erebo e la Sfinge,
d’Acheronte il nocchier, di Stige i fiumi
e Cerbero e l’Arpie son ombre e fumi.

60Che l’alme sciolte a la stellata mole
tornino incorruttibili e leggiere
son d’umano desio, che troppo vole
forsennate menzogne e lusinghiere.
Tal di Titan la mostruosa prole
assalitrice de l’eterne sfere
volea con man sacrileghe e rubelle
rotare il sole e moderar le stelle.

61Sorge quercia robusta in piaggia alpina
e sprezza d’Aquilon gli sdegni e l’onte,
pur cede a gli anni edaci e pure inchina
svelta da lor la temeraria fronte.
Fabrica eccelsa emula al ciel ruina,
cade superbo inaccessibil monte,
sono alfin de l’età pompe e trofei
piramidi, colossi e mausolei.

62E l’uom, ch’è poca terra unita insieme
da l’innato calor spirante e mossa,
di ripugnare al tempo ha certa speme
e d’aver spirto eterno in fragil ossa?
né vede che ʼl suo fasto occulta e preme
freddo marmo in un punto e angusta fossa?
e che de la passata alta speranza
l’opinione altrui solo gli avanza?

63Perché giace talora egro e languente
il corpo è giudicato esser mortale,
l’anima, che languisce egra sovente,
fra i suoi contrari affetti anco fia tale.
Godiam dunque, godiam troppo repente
qual da scizio arcier pennuto strale
fugge la vita, amiam, che tosto in polve
ogni nostro piacer morte risolve».

64Qui tace l’empio, e qui vie più cocenti
avvamparo nel petto innamorato
l’antiche fiamme a i lusinghieri accenti
del canto insidioso e scelerato.
A lo spirar d’impetuosi venti
in tal guisa talor foco agitato
vigore acquista, e sparge a mille a mille
in aurei globi lucide faville.

65Dessi congedo a l’adunate schiere,
si depongono l’armi e l’ire insieme,
divien muta al tromba e le bandiere
un ozio vergognoso avvolge e preme.
Così fu di sì varie e di sì fere
genti disperso il campo, onde l’estreme
rive tremàr del faretrato Idraspe
e le rupi iperboree e l’onde caspe.