ARGOMENTO
Fra delizie e piacer lieti e ridenti
traggon gli amanti avventurosa vita.
Miran del Casio i sacrifici intenti,
a riposar nel tempio Ormin gl’invita.
La bella istoria de’ famosi eventi
del grand’Antioco è qui da loro udita.
Tornano al regio albergo, ove gioiosi
godono in dolci amplessi almi riposi.
Gli amanti godono il proprio ozio tra banchetti, feste e cacce (1-16)
1Peregrine delizie intanto i Siri
preparano a gli amanti, e ne’ conviti
stillano a gara i prodighi desiri
generose vendemmie estranie viti.
Vengono pesche da gli egei saffiri,
sono al barbaro Fasi augei rapiti,
a i lauti cibi de la regia mensa
i delicati amomi India dispensa.
2Fatte moli superbe e torreggianti
sorgono le vivande in vario aspetto,
e le fa rugiadose e biancheggianti
da le canne sabee nettare eletto.
Vi spargono di mel favi spumanti
la florid’Ibla e l’odorato Imetto,
e in aureo vaso infin di Persia estratte
le ricchezze d’Ormus nuotan disfatte.
3Ciò ch’avanza a i conviti il gioco e ʼl canto
usurpano a vicenda e le carole,
ove l’egizia con lascivo manto
ornamento a bellezza aggiunger suole.
Ne’ balli il piè leggiadro invola il vanto
a le danze che in ciel guidan del sole
l’argentata suora, e l’auree eterne schiere
a l’armonia de le rotanti sfere.
4I vaghi movimenti, i dolci detti,
il suono lusinghier, l’abito molle
son mantici d’amore, onde ne’ petti
eccitato il desio fervido bolle.
Quinci avvien ch’egualmente i cori alletti
se la voce e lo sguardo o ʼl piede estolle,
e piace in varia guisa e sempre è bella
o se mira o se danza o se favella.
5In van scherzando le sembianze conte
trovò per occultar forme diverse,
che ʼl natio lume lampeggiando in fronte
del mentito vestir l’arte scoperse.
Così tra valli opache in alto monte,
ne’ folti boschi o tra le nubi avverse
il sol si riconosce, e in van la luce
cela ch’ad or ad or vaga traluce.
6Di sontuoso bagno ambo sovente
s’attuffan ne la conca, onde restaro
de le più fine pietre e d’Ida algente
le balze impoverite e la gran Paro,
i roseti di Cipro ampio torrente
d’odorifero umor quivi versaro,
di Sparta e di Giudea sparsero quivi
i cedri e i mirti preziosi rivi.
7Da gli occhi de l’egizia e dal bel volto
folgoreggia tra l’acque il raggio usato,
da i membri al molle argento il pregio è tolto
l’alabastro del bagno è superato.
Con luminosi errori ondeggia sciolto
ne’ liquidi adamanti il crine aurato,
tal sorgendo dal mar la bionda aurora
fa scintillar l’arme e i flutti indora.
8Di limpido zaffir lucido pelo
formano l’acque a gli animati avori.
Sparsa così di mattutino gelo
la rosa apre ne l’alba i suoi tesori,
tal fra le nubi del piovoso cielo
spiega l’iride bella i suoi colori,
tal da puro cristallo ov’è rinchiuso
splendor d’acceso lume esce diffuso.
9Godon talor per solitari calli
turbar le fere e depredar le tane,
e per le selve insieme e per le valli
de’ cervi superar l’orme lontane,
quindi tosto che ʼl sol sferza i cavalli
e che vinta dal dì l’ombra rimane
s’ode con alto suono il rauco corno
fugare il sonno e salutare il giorno.
10Sorgon de i cacciator l’avide schiere
di latrati, di gridi e di nitriti,
vario rumor s’aggira e l’aria fere,
risuonan gli alti monti e i curvi liti;
sui veloci corsier d’armi leggiere
i più nobili eroi vengon guerniti,
cinto Antonio con lor d’irsuta spoglia
attende la reina in su la soglia.
11Il regio incarco, e d’oro e d’ostro altero,
impaziente aspetta e morde il freno
da le mandre nifee tolto il destriero,
e con argenteo piè batte il terreno.
Sorta intanto dal morbid’origliero
compon l’egizia il manto e vela il seno,
e mentre al fido specchio il crine infiora
insuperbisce de la sua dimora.
12Esce alfine, e sen va dove l’attende
co ʼl seguace drapello il suo diletto,
la gemmata faretra al tergo pende,
stassi in bel groppo d’oro il crin ristretto,
di purpureo color la veste splende
da la serica zona è cinto il petto
con fibbie di rubin l’aureo coturno
fiammeggiando ricopre il piede eburno.
13Tal Diana scorrea fra i cori amici
de le saltanti Oreadi festive
o de gli arcadi colli i gioghi aprici
o de l’Eurota le frondose rive.
L’abito e le sembianze allettatrici
miran le turbe cupide e lascive,
e de’ vagheggiatori intanto gode
Cleopatra a i saluti et a la lode.
14Per la Siria così moveano il piede
e penetrando la campagna e ʼl monte
facean di varie fere ingorde prede
da l’acque di Giordan sino a l’Oronte.
Quindi or sen gìano ove innalzar si vede
carca di cedri il Libano la fronte,
or a questi scorrean gli opposti colli,
or del nobil Damasco i campi molli.
15Non lontano dal mar di Salamina
del Casio il giogo ombroso al ciel sorgea,
e la foce eleuteria indi vicina,
quindi l’Oronte intumidir vedea,
la Seleucia scorgea su la marina
qua non lunge fumar Laodicea,
e più distanti in fertile pianura
d’Antiochia scopria le vaste mura,
16del Casio depredar l’ampie foreste
del cacciator drapello è risoluto,
et arrivano alfin dov’egli veste
d’amenissime selve il piede irsuto.
Qui le piante ciascuno avvien ch’arreste
da numeroso popolo veduto,
ingombro il pian che giace a la radice
de la sparsa di boschi erta pendice.
Durante una caccia giungono presso il tempio di Seleuco mentre il sacerdote Ormino sta celebrando un sacrificio (17-26,4)
17Sorge nel largo pian tempio sublime
di materia superbo e di lavoro,
che del lucido tetto erge le cime
di finissimi marmi adorne e d’oro.
Scopre intanto gli amanti et a le prime
genti colà raccolte i nomi loro
narra la fama, e v’è chi de’ lor visi
le già note sembianze indi ravvisi.
18Vengono tutte a riverir gli amanti
le ragunate turbe, e ʼl saggio Ormino,
sacerdote del tempio, a gli altri inanti
a la coppia real fassi vicino.
Cingono il crin candide bende erranti,
gli scende insino al piè di bianco lino
veste sottile, e ben del grado è degno
per aspetto, per sangue e per ingegno.
19Diss’ei: «Ben de la pompa incliti eroi
i sacri riti avventurosi fieno
or che giungete ad onorarla voi,
cui del mondo il destin commise il freno».
Tace, et applaude la coppia, ond’egli a i suoi
diè ʼl segno, e rimbombar quinci s’udieno
le solitarie selve e gli antri ombrosi
al suon di vari accenti armoniosi.
20«Gradisci, o di Seleuco alma beata,»
dice ʼl musico stuol «gradisci or questa
pompa che per memoria illustre e grata
del tuo amore in tua lode Antioco appresta.
Tu noi ch’al nome tuo questa sacrata
celebriamo solenne e lieta festa,
tu noi proteggi, e tu de’ tuoi devoti
gradisci, anima grande, e l’ostie e i voti».
21Qui tace de’ ministri il sacro coro,
e co’ preghi seconda Ormino il canto,
e su ʼl foco vicin da vaso d’oro
il liquor di Lieo disperge intanto.
Quinci condotto vien candido toro
da i suoi ministri e un ariete a canto,
et egli a l’or di propria man l’adorna
de le solite fasce ambo le corna.
22Tessute poi co ʼl prezioso velo
a le vittime in fronte aurei volumi
folgoranti così d’interno zelo
disse innalzando il sacerdote i lumi:
«O magnanimo eroe, che su nel cielo
lucida stella il nostro mondo allumi,
tu scorgi questi con sereno ciglio
olocausti che t’offre il tuo gran figlio».
23Con la scure letal ciò detto appena
fa cadere a i suoi piedi il tauro estinto,
e ʼl velluto monton consacra e svena
co ʼl ferro ch’a tal uso al fianco è cinto.
Su la pira fatal, ch’olezza piena
d’odor coricio, l’uno a l’altro avvinto
quinci ripone, e gli arde e al fin raccoglie
in urna d’or l’incenerite spoglie.
24Il musico drapel qui le canore
voci rinnova, e Ormino il tempio sacro
entra con gli altri, e giunge ov’è ch’adore
de l’eroe riverito il simulacro.
Di pregiato odorifero licore
ei fa pria sovra l’urna ampio lavacro,
poi la colloca ove propinqua appare
base di marmo a l’odorato altare.
25Compito il tutto a riposare invita
gli amanti Ormino a l’or che ʼl sol giungendo
su l’usata del cielo erta salita
vibra i raggi più caldi i campi ardendo;
ne la sacra magion la coppia unita
accettate l’offerte, entra seguendo
il sacerdote, e ammira in varie fogge
ampie sale distinte e ricche logge.
26Qui con pompe real le mense foro
preparate da i servi ubidienti,
che le molle vivande e ʼl liquid’oro
ministràr lautamente in tersi argenti.
Poiché quivi gli amanti ebber riposoOrmino racconta loro della storia di Seleuco, che cede al figlio Antioco la moglie Stratonica per sanarlo dalla devastante passione amorosa (26,5-78)
di natura i bisogni in lor già spenti,
nel sacerdote amico il guardo affisse
Antonio curioso, indi gli disse:
27«O tu, che sì cortese a noi ti mostri
e che grato a gli dèi godi quieto
di sì felice albergo i sacri chiostri,
de la fortuna tua contento e lieto,
dimmi, e così mai sempre a te dimostri
favorevole il cielo ogni decreto,
chi tra queste solinghe erme pendici
il tempio stabilisse e i sacrifici».
28Tace, e quegli risponde: «Al tuo desio
ben io, signor, di sodisfar prometto,
ma fatto così illustre e così pio
non puote in breve giro esser ristretto:
l’istoria di colui che stabilio
l’antichissima pompa ampio soggetto
porge a la nostra lingua, e saria forse
a te grave l’udir le cose occorse».
29«Anzi (disse il latin), da me gradita
la notizia sarà de l’altrui gloria,
e fia del sacro stil la serie udita
da me con grata et immortal memoria».
«Poiché il tuo impero a raccontar m’invita»
soggiunse Ormin «l’avventurosa storia,
cose d’alta pietà, di meraviglia
odi, signor». Qui tace, indi ripiglia:
30«Resse un tempo de l’Asia il vasto impero
Seleuco, che la prospera fortuna
vinse co ʼl merto, e lo cui scettro altero
riverì tributario il sole in cuna.
L’alta Antiochia egli fondò primiero,
cui pari non mirò cittade alcuna
l’Asia, che di splendor, d’arti e d’ingegni
e d’abitanti apparve emula a i regni.
31Antioco unico figlio ha il re possente,
in cui l’arte compagna a la natura
a bellezza esquisita eccelsa mente
con glorioso innesto unir procura.
Ciascuno ammira il suo valor crescente,
egli è del genitor delizie e cura,
a cui di sue virtù furo presaghi
indovini d’Egitto, Arabi maghi.
32Ma perché de la regia antica seggia
il non ben fermo appoggio in un sol figlio
non stima il re che stabilir si deggia,
di novelli imenei prende consiglio.
Sola speranza a la cadente reggia
di Demetrio, agitato in vario esiglio,
Stratonica la figlia a l’or vivea,
che ʼl pregio di beltà ne l’Asia avea.
33A la chioma di lei cedon l’onore
le superbe del Gange auree procelle,
de’ suoi begli occhi al gemino splendore
sembrano fosche in paragon le stelle.
Son del sen, de la mano al bel candore
le bellezze de l’alba assai men belle,
et a la rosa che ʼl suo labbro infiora
rosa eguale non ha la rosea aurora.
34D’onorata vergogna arma il bel viso
vago rossor che riverito il rende,
sovra il cielo del ciglio Amore assiso
fulmina dolci fiamme e i cori accende;
scherza ne’ labbri, ma pudico il riso
con la bellezza l’onestà contende,
né sai qual sia maggiore o quella o questa
l’onestà bella e la bellezza onesta.
35Questa dunque Seleuco in moglie ottiene
da Demetrio, e congiunge amor quei regni
con sacre inviolabili catene
che disgiunsero già gli odi e gli sdegni.
Al talamo real condutta viene
Stratonica dal padre, e di lei degni
magnifici apparati intanto a gara
a le nozze di lei l’Asia prepara.
36La desiata sposa il rege accoglie
di nuova prole essa feconda il letto,
e con furto innocente in un gli toglie
il primo figlio, il suo maggior diletto,
poiché co ʼl genitor mentre raccoglie
la peregrina madre il giovanetto
attonito ammirando il bel sembiante
già n’arde, e già divien di figlio amante.
37- Deh qual, – dicea deh quale il sen t’accende
occulta fiamma, e qual costei tu miri?
Madre od amata? Il ciel questo contende,
quello niegan pur troppo i tuoi sospiri,
sì ch’amante ne sei leciti rende
la sua rara bellezza i tuoi desiri,
ti scusa quel bel volto, e dica meco
alta necessità d’amore io reco.
38Antioco, ma che parli? Ah non ti scusa
vana ragion di scelerato amore,
la materna beltà dunque s’abusa
e per te fassi esca d’infame ardore?
deh così rimarrà dunque delusa
la speranza commun del tuo valore?
mieterà la tua corte e i regni intorno
da seme di virtù messe di scorno?
39Sperò quando vibrar ti vide il padre
con la tenera man l’asta e la spada,
cresciuto poi, tra le nemiche squadre
a la gloria vederti aprir la strada,
e d’adultero incesto oggi la madre
vedrà che tenti e che per te già cada
il proprio onor? che faccia empio consiglio
de l’ingiuria del padre autore il figlio?
40Ma che? folle ragion senza ragione
a che importuna a non amar mi esorte?
è forse in mio poter l’alta cagione
ch’ora mi spinge a desiar la morte?
o non più tosto al mio voler impone
dura legge d’amore Amore e Sorte?
anzi colei ne’ cui begli occhi ond’ardo
ruota e prefigge il mio destino un guardo?
41Amerai dunque Antioco; il tuo desio
moderare a tua voglia a te non lice.
Lasso amerò? ma qual de l’amor mio
fine attender potrò che sia felice?
forse a quella ardirò che mi ferio
la ferita scoprir? taci, infelice,
non che rimedio il chieder sol pietate
a ferita simil fora impietate -.
42Così dicea l’amante irresoluto,
ne l’amor suo de la sua vita incerto,
e ben volle talor chiedere aiuto
e l’incendio del cor mostrare aperto,
ma tosto impallidì, tremante e muto,
e, quasi fosse il suo desio scoperto,
prima ch’altrui co ʼl favellar l’aprisse
ne le fauci restàr le voci affisse.
43Talor mentre volea chiamarla amata
la parola cangiossi in madre o tacque,
talor proruppe in voce addolorata
in un ohimè, né più seguir li piacque.
L’importuna esalar fiamma celata
spesso tentò per gli occhi in flebil’acque,
ma ʼl pianto, che ʼl dolore a gli occhi spinse,
raffrenò la vergogna e al cor respinse.
44O quante volte ei ne la tazza e quante
de i porporini labbri, onde fu tocca,
le reliquie lambendo ignoto amante
e mille baci e mille avido scocca!
Bacia il candido bisso anco altrettante
che più volte asciugò l’amata bocca,
e gode in lui, benché mentito e corto,
di creduto piacer vano conforto.
45Egli di lei furtivo ama sovente
premer le molli e delicate piume,
e di lagrime in lor prodigamente
versar misto co’ baci un caldo fiume.
Del bel piede vestigi ei riverente
d’osservar, di calcare ha per costume;
s’ella si move ei corre, et a al guida
del braccio suo la bella man confida.
46Ma non si pasce e non si può nudrire
amor di così lieve e debil esca,
quindi è che non s’appaghi il suo desire
ma nel falso gioir vie più s’accresca.
Ben da i lacci d’amor tenta fuggire,
ma la fuga non è che gli riesca,
ché mal si scioglie d’amoroso affetto
da gli antichi legami un cor ristretto.
47Così talora il semplicetto augello
mentre schernir l’atteggiatrice ei crede
suol ne’ rami posar de l’arboscello
su le tenaci insidie incauto il piede,
e in van s’aggira in questo lato e in quello
et aita stridendo invan richiede,
che quanto più si sforza uscir d’impaccio
tanto più stringe e fa più grave il laccio.
48- E qual – diss’ei – di lagrimevol fato
odiosa viltà ti serba in vita?
Da te stesso a te stesso è pur vietato
a chi puote sanar la tua ferita;
di rimedio vivrai tu disperato,
e tal vita sarà da te gradita?
S’è ciò, sei degno ancor ch’indegna sorte
a te faccia stimar vita la morte.
49Deh perché a l’or che nel campal conflitto
con Demetrio nemico io combattei,
da l’asta poderosa il sen trafitto,
fra al turba de’ morti io non cadei?
Di famoso guerrier dal ferro invitto
almeno avuta illustre morte avrei,
né proverei l’abbominevol fiamma
che in un funesto incendio il cor m’infiamma.
50Ma quel che ti negò sorte nemica
in mezzo a le vittorie or chi ti vieta
ne l’avverso destin? Breve fatica
del tuo immenso dolor sarà la meta;
pur s’io m’uccido altri avverrà che diva
varie incerte ragion de la secreta
cagion ch’a ciò mi spinse, e alcun potria
ad infamia recar la morte mia.
51Vivrai dunque infelice, e gli error tui
nuove furie d’Averno avrai davanti?
e tu sarai de le dolcezze altrui
misero spettator fra doglie e pianti?
Ah no, godano lieti i piacer sui
ne le mie pene i fortunati amanti,
pace del padre al talamo procuri
il tumulo del figlio e l’assicuri.
52Già risolvo morir, ma qual degg’io,
qual fia da me fien opportuno eletto
a la mia vita, et onde il morir mio
de l’occulte cagion non dia sospetto?
Ahi folle, a che ripensi? il tuo desio
nel tuo desio ritroverà l’effetto;
che ferro? che venen? non è veneno
pari al dolor che ti divora il seno -.
53Tal vaneggiava, e in guisa tal dicea,
e l’amorosa fiamma ognor cresceva,
veraci i suoi presagi omai rendea
lo spirito vitale in lui spegnendo.
Quindi torbido l’occhio, e già parea
vacillar stupefatto il piè languendo,
già tremava la destra e a sé diverso
era di pallidezza il volto asperso.
54Già s’accende la febre entro le vene,
ei cade infermo, e ʼl fero incendio ascoso
a danno suo sempre maggior diviene,
e lo priva del gusto e del riposo.
Al crescente malor manca la speme
in Seleuco, ch’afflitto e pensieroso
chiede a i medici ognor de la cagione
per cui giace in tal guisa egro il garzone.
55Vari sono i pareri, e non si trova
certa ragion che mostri onde discenda
de la febre la fiamma occulta e nova,
e in qual materia e come ella s’accenda.
O mentre arde et aghiaccia Antioco e prova
de l’ardore e del ghiaccio aspra vicenda,
Erasistrato il saggio alfin consoce
la secreta cagion de le sue angosce.
56L’Asia non ha chi del saver di lui
non resti in ammirar l’opre confuso,
su la sponda per lui de’ regni bui
ozioso il nocchier stette deluso,
spopolati i sepolcri, e per costui
fu spesso astretta a rannodar su ʼl fuso
la Parca il filo, e rugginose vide
la morte divenir l’armi omicide.
57Il saggio, che scoprir dunque procura
l’origine del mal ch’Antioco opprime,
ogni detto, ogni moto intento cura
ch’egli opportuno a penetrar ciò stime,
quinci s’avvede che l’occulta arsura
è sol d’amore effetto, il qual imprime
sì fervido il desio nel cor languente
ch’agitato divien fiamma cocente.
58Sa ch’è febre d’amor, ma non insieme
quella conosce ond’arde il giovinetto,
pur spera, e non fu già vana la speme,
la radice scoprir del chiuso affetto.
A consolar l’egro garzon, cui preme
l’alto desio d’ignota cura il petto,
Stratonica veniva, e le più belle
ch’avesse la città donne o donzelle.
59Immobile de l’altre a le bellezze
altrui si mostra il disperato amante,
e sol par che lo muova e ch’ei sol prezze
se Stratonica sua gli s’offre inante.
Sembra a l’or che diviso il cor si sprezze
ne l’agitato petto e palpitante;
stupido resta, e in rimirarla fiso
palido suda, indi arrossisce in viso.
60Il fisico gentil cauto raccoglie
da questi segni onde il suo male ha fonte,
e pensa del garzon l’ascose voglie
come faccia a Seleuco aperte e conte.
Risolve al fine il modo e poi si toglie
da l’egro Antioco, e con sicura fronte
al re se ʼn va, che chiede a lui del figlio,
onde esso gli risponde e inarca il ciglio:
61- Del tuo figlio, signor, pur troppo al fine
del male ignoto ho la cagion scoperta,
ma tanto è del rimedio incerto il fine
quanto del male or la cagione è certa.
Non più d’uopo sarà ch’altri indovine
di confusi parer tra mole incerta:
arde d’amore Antioco, e d’amor tale
ch’a spegnere il suo foco arte non vale -.
62Increspa il re la fronte, indi gli dice:
– Ma qual sarà sì prezioso amore
che comprar non si possa? e che non lice
co’ tesori d’un re mercare un core?
Anzi Antioco sanato e me felice
stimo che smorzerà l’oro l’ardore;
tu dunque mi rivela ove consista
al vita del mio figlio o lieta o trista -.
63Tacque, e l’altro soggiunse: – Or che tu ʼl vuoi,
nunzio sarò di mie vergogne io stesso:
Filenia, ch’Imeneo congiunse a noi,
ama il tuo figlio, e per lei giace oppresso -.
Restò muto Seleuco a i detti suoi,
quinci si strinse e s’abbracciò con esso,
e di lagrime tutto empiendo il volto
replicò, sospirando, a lui rivolto:
64Erasistrato, e tu potrai soffrire
di veder, tu ch’amico esser ti vanti,
le mie speranze, il tuo signor languire?
e tu godrai de l’orbo padre a i pianti?
Deh concedi Filenia al suo desire,
e vivan lieti i duo felici amanti,
tu chiedi ciò che brami, e sia tua cura
al premio impor co ʼl tuo voler misura -.
65Risponde a l’ora il saggio: – Agevol cosa
sembra a te che sei padre il suo volere,
ma terresti ben tu s’ei la tua sposa,
se Stratonica amasse, altro parere -.
Alzò la faccia il re molle e pensosa,
et – Oh, piacesse al ciel ch’a mio piacere –
soggiunse a l’or – di quest’amor potessi
con gli affetti cangiare anco i successi -.
66- Anzi, – replica l’altro – il ciel gradisce
i tuoi voti, et a lor nulla contende.
Per Stratonica Antioco egro languisce,
dunque da te la vita sua dipende -.
Qui poscia al re, ch’al suo parlar stupisce,
d’Antioco il chiuso ardor palese rende,
e gli racconta come ei penetrasse
che ʼl garzon fosse amante e quale amasse,
67e che ʼl misero ardendo a poco ardito
già risoluto ha di morir tacendo
prima che violare il riverito
letto paterno il suo desio scoprendo.
Tacque il saggio, e Seleuco, il caso udito,
attonito riman qual uom ch’aprendo
gli occhi dal sonno vegga in ogni loco
de la cara magion scorrere il foco.
68Come in torbido mar cui Noto e Coro
muovano quinci e quindi orribil guerra
nocchier che trae di ricche merci e d’oro
il legno onusto in peregrina terra
fra l’amor de la vita e del tesoro
punto da varie cure instabil erra,
la salute a i tesor prepone alfine
e gli getta a l’ingorde acque marine,
69così nel re, cui preme il dubbio core
de la sposa e del figlio incerta cura,
alfin da la pietà vinto è l’amore,
e pur ch’ei si salvi l’un l’altra non cura.
Vassene dunque ove il garzon già more
da rispettosa oppresso occulta arsura,
e i suoi più cari e la non più sua moglie
innanti al figlio, anzi al rival accoglie.
70Quindi poi favellò da l’aurea sede
mentre gli altri pendeano a’ detti suoi:
– Figli, che figli l’incorrotta fede
per lunga prova a me renduti ha voi,
del regno al peso e de l’età già cede
l’animo stanco, e non più vive in noi
il solito vigor, cui sembrò leve
de l’impero la soma immensa e greve.
71Su gli omeri d’Antioco io dunque il pondo
d’alleggerire in parte oggi desio.
Tu, figlio, al cui valore angusto è il mondo,
non che ʼl solo confin del regno mio,
tu come suoli al mio voler fecondo
oggi ti presta, a te fidar vogl’io
parte de’ regni a la cui mole impari
è la mia etade, e tu maggiore appari.
72D’Asia i regni più alti a te commetto,
tu gli reggi e sostieni in lor mia vice,
e prendi tu del marital mio letto
ciò che di caro a te donar mi lice.
Di più fausti imenei da i nodi stretto
a la donna già mia vivi felice,
sia Stratonica a te moglie, non madre,
non marito mi chiami ella ma padre.
73E tu, che meco una medesma sorte,
fida sposa, traesti, or figlia amata,
godi d’Antioco mio fatte consorte
con gioconda union vita beata.
Fili sicuro dal favor di morte
lo stame a coi Cloto cortese e grata,
nasca da voi, conforme a i nostri voti,
belle serie di figli e di nipoti.
74Né sia di voi chi al mio voler ripugne,
se ripugnare non brama a la mia vita.
Il ciel, né più si cerchi, or voi congiugne,
si la legge del ciel da voi gradita -.
Mentr’egli a queste altre parole aggiugne,
piange il figlio e la moglie intenerita;
da l’aurea seggia indi Seleuco sorge
e la mano de l’una a l’altro porge.
75Come a l’or che nel Cancro il sol raccolto
con la sferza di fiamme Eto flagella,
e de la terra innaridito il volto
s’increspa e s’apre in questa parte e in quella,
se da l’umida nube in aria accolto
cade il vapore in pioggia indi novella
virtù prende la terra, e già riveste
e de l’erbe e de i fior l’usata veste,
76del padre a i detti in cotal guisa appunto
Antioco apparve, a cui struggeva il core
l’occulto incendio, e si sentì in quel punto
spegner la febre e mitigar l’ardore.
Risanato così, godé congiunto
a la sua donna il desiato amore,
et essa lieta insieme e vergognosa
nuora e madre restò, e vedova e sposa.
77Trasser concordi avventurosa vita,
sinché lasciaro il suo corporeo velo
a l’auree stelle, ond’era già partita,
l’alma tornò del gran Seleuco in cielo:
quindi poi del figliuol fu stabilita
la pompa e ʼl tempio dal pietoso zelo,
e volle in guisa tal co’ sacrifici
di Seleuco onorar l’ossa felici.
78Ciascuno anno, facendo il dì ritorno
che Stratonica bella in moglie ottenne,
del monte Casio a le pendici intorno
l’illustre celebrò pompa solenne,
quinci lo stil del memorabil giorno
ne’ secoli futuri anco pervenne,
e di Seleuco a sempiterna gloria
i Siri rinovàr l’alta memoria».
I due amanti tornano alla reggia a godere del loro amore (79-93)
79Qui tace il sacerdote, arride a i detti
l’innamorata coppia, e la reina
soggiunge: «E dunque Amor, re de gli affetti,
anco tal volta a la pietà s’inchina?
Né amante sì modesto unqua credetti
che non chiegga al suo mal la medicina,
né saprei se più fosse in tal consiglio
pietoso il padre o pur modesto il figlio».
80De l’egizia al parlar sorise a l’ora
Antonio, e disse: «Abbia Seleuco il pregio
di sì inutil pietà, che per me fora
pietà crudel; no dunque, io non la pregio,
perano i figli, e Roma e ʼl mondo ancora
per te sola, mio cor, mia dea, dispregio
la salute d’ognun; stolto è colui
che impoverisce in arricchire altrui».
81Così Antonio favella, et al suo dire
applaudono le turbe, e poi gli amanti
di nuovo entran nel tempio a riverire
d’incensi nabatei l’are fumanti.
Riedon del sacro albergo indi a seguire
pe’ boschi di Soria le fere erranti,
e varie fanno in varie ombrose piagge
archi, reti e mastin prede selvagge.
82Da l’alte rupi timide fuggendo
precipitan le belve, et altre in vano
s’occultan ne’ cespugli, altre correndo
stancano i veltri ne l’aperto piano.
Boscherecci trofei così traendo,
rivolgeano gli amanti il piè lontano
vèr la magion primiera ove ridutti
del giardin d’amor coglieano i frutti.
83Di cedri in verde crin selva ridente
del palagio real negli orti ergea,
cui nel mezzo sorgendo un fonte algente
di lubrici cristalli il sen spargea.
Qui spesso a l’or che nel meriggio ardente
saettata dal sol l’aria fervea
tra vaghi fiori in su la molle erbetta
sedeano il cavaliero e la diletta.
84Di finissimo lin candida veste
de la bella reina i membri vela,
lieve così che né pur l’occhio arresta
ma i tesori più occulti altri rivela.
Del bianco seno, onde la neve resta
vinta nel pregio del candor non cela
invido vel le tenere mammelle
da cui sugge il desio fiamme novelle.
85Ne l’adorato volto immobil tiene
l’avido sguardo Antonio, e al fianco amato
fa de le braccia sue dolci catene
e al lume de’ begli occhi arde beato,
quindi or le care labra or le serene
luci bacia, di gioia inebriato;
mirando bacia, e nel baciar rimira,
e con vario piacer gode e sospira.
86«Deh perché (egli prorompe) a sol nudrire
con gli sguardi e co’ baci il viver mio
a me non lice, o nel tuo sen morire
sospirando e baciando non poss’io?
Amor, se mai gradisti il mio servire,
favorisci benigno il mio desio,
fa tu, mio dio, che dopo morte almeno
l’animo mio riposi in questo seno».
87Così ragiona, e bacia il seno, ed ella
infingevol risponde: «Oh come il core
è diverso talor da la favella,
e mentisce i sospir, mentito ardore».
Tace, e nel finto sdegno è vie più bella,
e nel foco de l’ora avvampa amore,
lasciva alletta e par ch’acerba sprezzi,
e con dolce rigor condisce i vezzi.
88Soggiunge Antonio: «Oh fosse a me concesso
mostrarti aprendo il petto i sensi miei,
come perché mirasse inciso in esso
il nome tuo co ʼl ferro io l’aprirei.
O fia ch’io t’ami o ch’io non sia più desso,
poiché s’io non t’amassi io non vivrei,
tu se’ il mio cuore, e l’uom nel core è vivo,
dunque o t’amo, mio core, o ch’io non vivo».
89A i detti de l’amante essa ridendo
sembra che nel bel volto arda e sfaville,
e dice: «Amiamci or dunque, e congiungendo
le bocche uniamo i baci a mille a mille.
Non abbia tanti raggi il sol nascendo,
né mai dal freddo sen cotante stille
il fonte sparga quanti baci e quanti
scocchin da i nostri labbri i cori amanti».
90«Sì, baciamci, mio ben (l’altro rispose)
e sian meta de’ baci i baci istessi,
o ne i gigli del seno o ne le rose
restino de i tuoi labbri i baci impressi;
labri soavi, or chi deh tal ripose
rara dolcezza e inusitata in essi?
Cari labri del cor gioia e ristoro,
o non ha il cielo Amore o il cielo ha in loro».
91«Arco d’Amore è il labbro (ella soggiunge)
onde strali di baci egli saetta,
ma grazia è la ferita e dolce punge
e mentre impiaga più vie più diletta.
D’Amor catena è il labbro, ond’ei congiunge
l’alme co’ baci, e incatenando alletta;
bacianci dunque, e i cori innamorati
siano de i baci avvinti e saettati».
92Replica il cavalier: «Su vibra i baci,
e l’alma m’incatena e il cor m’impiaga,
sien pure i baci tuoi, sien pur mordaci,
vendicherò mill’onte in una piaga.
Passa ne’ labbri tuoi qualor mi baci
da le viscere mie l’anima vaga:
or se l’alma è commun non si distingua
labbro da labbro in noi, lingua da lingua».
93Tai fra molli piaceri e lieti amori
vaneggiando gli amanti i dì traieno,
e ʼl romano guerrier de’ suoi allori
termine fea di Cleopatra il seno.
Del Po ch’inonda a i rapidi furori
è più agevole impresa imporre il freno
che moderar d’impetuoso amante
sregolato desire e traboccante.