ARGOMENTO
Frena Giove nel ciel l’ira di Marte,
va il suo consorte a ritrovar fra i Siri
Ottavia, e Cleopatra adopra ogni arte
perch’ella a i patri lidi il piè ritiri;
ottien l’intento, e quindi in ogni parte
sono a l’armi d’ognun volti i desiri.
In Efeso a raccor la sparsa armata
vassene Antonio, e va con lui l’amata.
Giove ferma Marte che pare intenzionato a riportare Antonio alle armi: lo diffida dall’intervenire, perché la guerra è imminente (1-6,6)
1S’apparecchia nel ciel lo dio guerrero
di perturbar fra tanto i lor diletti,
quando il rettor de lo stellato impero
l’interrompe, e ragiona in questi detti:
«A che più t’inquieti? È mio pensiero
scorger del fato e moderar gli effetti.
A che mia cura usurpi, e ti prepari
di regolar del mondo i dubbi affari?
2Già del Tebro sen va la vilipesa
suora d’Augusto a ritrovar fra i Siri
Antonio, e già da lui di nuovo offesa
a le sponde natie rieder la miri,
quindi è ch’al nuovo foco avvampi accesa
la terra, e che Nettun gema e s’adiri
al peso de le selve e degl’interi
da gli altrui sdegni in lui traslati imperi.
3Ne’ libri del destino in cielo è scritto
il fin di sì gran morti, e in van t’appresti
di traviar ciò ch’è qua su prescritto
da i decreti immutabili celesti.
Non curar tu s’al Lazio o s’a l’Egitto
s’apparecchino eventi o lieti o mesti,
ma soffri omai ch’alternamente in terra
piovan quindi le stelle e pace e guerra.
4Tu spettator del tragico successo
siedi com’ora a te più si conviene,
né sia quegli soccorso o questi oppresso,
che Roma è quinci e quindi in guerra viene».
Così favella, e fiso il guardo in esso
ond’è che di furor lampi baleno
Marte risponde in simil guisa e tuona
col feroce parlar mentre ragiona:
5«Ben volev’io, no ʼl niego, in nuovi modi
turbar le gioie a i duo lascivi amanti,
del laccio feminil troncare i nodi,
e cangiare il lor riso in doglie e in pianti;
avrei ben io l’allettatrici frodi
deluse, onde Canopo è che si vanti
de gli scorni del Tebro, avrei ben tutte
le fallaci del Nilo arti distrutte,
6ma poiché tu de le stellate carte
di contrastar, di penetrar mi vieti
gl’immutabili arcani, in altra parte
volgo i miei sdegni, e cedo a i tuoi decreti».
Così al re de gli dèi disse a l’or Marte,
e serbò ne la mente i suoi divieti.
Ma intanto Emilio in Cleopatra altroveA Cleopatra giunge notizia che Ottavia, moglie di Antonio, sta prendendo la strada per l’Oriente: se ne dispera, ma tace di fronte all’amato (6,7-22,4)
di gelosia procella aspra commove.
7Costui, de gli amor suoi ministro eletto,
a lei sen va con nubiloso ciglio,
e le dice: «E così lieto l’aspetto
riserbi tu nel tuo maggior periglio?
Di Cesare a trovare il tuo diletto
spinge la tua rival novo consiglio,
et essa già da la famosa Atene,
ove stette sin’ora, a noi sen viene.
8E tu dunque attendi or neghittosa
Ottavia? e ti vedrai tu pure inante
a scorno tuo da la romana sposa
abbracciato e baciato il caro amante?
tu soffrirai sprezzata e vergognosa
vincitrice raccorla e trionfante?
tu vivrai dunque ogni tuo ben perduto
del talamo latin scherno e rifiuto?».
9Qui tacque Emilio, e qui lasciò trafitto
d’alto sospetto a Cleopatra il core.
«Verrà in Siria (dicea), verrà in Egitto
così Ottavia a turbar dunque il mio amore?
e fia ch’io serva e che ministri il vitto
a colei che mi fa cibo il dolore?
e fia ch’io stessa incontri e che sopporte
d’applaudere a i miei danni, a la mia morte?».
10Qui tace, e pensa, indi soggiunge: «Or sieno
contro la mia rivale i vezzi miei
armi sicure; io ne l’amato seno
con essi innalzerò nuovi trofei.
L’arti e gl’inganni ancor leciti fieno
perché indietro rivolga il piè costei,
né vuo’ mirar se la ragion sia meco,
ch’a non mirar m’invita Amor ch’è cieco».
11Tace, e perché non fida ogni sua spene
a l’usate lusinghe, a l’or ricorre
a più tenaci e stabili catene,
onde avvinto non puossi un cor disciorre.
Quinci dolente e languida diviene
e di pulire insieme e di comporre
la nativa beltà lascia e trascura,
ma tanto alletta più quanto men cura.
12Gli ornamenti confusi, il manto sciolto
quinci e quindi negletto errante pende,
e deposto il diadema ov’era accolto
giù per gli omeri sparso il crin discende.
De l’usato vigor brillante il volto
non più ride festoso e non risplende;
è mesta sì, ma in guisa tal che vivo
tra le lagrime il riso è più lascivo.
13Ogni cibo l’annoia, odia e disprezza
l’allegrezza e ʼl piacer lieta nel pianto,
ogni pompa, ogni studio, ogni vaghezza
aborre, e ciò ch’adorna il crine o ʼl manto;
ma benché afflitta sia la sua bellezza
non però scema il pregio o perde il vanto,
poich’è bella e gentil sempre egualmente
bella donna o sia lieta o sia dolente.
14Qual da le nubi over dal mare uscendo
vie più vaghe rassembra il dio di Delo
mentre de le fresche acque ei va spargendo
quasi di perle il suo dorato velo,
tal più bella è costei mentre fingendo
del viso or turba or rasserena il cielo,
e del suo pianto infra i sorgenti rivi
spuntano de’ begli occhi i rai più vivi.
15Talor mentre a superba e nobil mensa
con Antonio s’asside, in sé raccolta
non comparte altro cibo e non dispensa
ch’infiammati sospir di volta in volta.
Fa sovente sgorgar la doglia intensa
la pioggia de le lagrime disciolta,
sovente irriga il sol de gli occhi il giro
e fa sorger dal cor tronco il respiro.
16Quindi Antonio le dice: «O mia fedele
qual di strano pensier doglia importuna
l’alte dolcezze mie sparge di fele,
del tuo volto il seren turba et abbruna?
a che sei nel tuo duolo a me crudele,
che spiro co’ tuoi sensi? a che fortuna
quelle del ciel d’amor stelle gioconde
con nube di dolor invid’asconde?
17Dimmi, se vuoi ch’umile e riverente
dal più estremo confin del mondo ignoto
l’Occaso i suoi tesori e l’Oriente
a le bellezze tue consacri in voto,
ciò che ʼl gelato e ciò che ʼl clima ardente
serba in sé ti promette il tuo divoto;
chiedi pur ciò che vuoi, ciò che t’aggrada,
che non può lo mio scettro o la mia spada?».
18Qui tace Antonio, e qui colei gli dice,
congiungendo i singulti a la favella:
«Nulla chieggio, o mia vita, e son felice,
né bramo più quand’io ti viva ancella».
Sospirando qui poi da gli occhi elice,
indi reprime il pianto, et è più bella
mentre da l’arte a le palpebre spinta
è la lagrima in lor nata ed estinta.
19Sguardo che da’ begli occhi uscendo al core
d’incauto spettator giunga furtivo,
bocca che spiri ad ogni detto ardore,
che sparga ad ogni riso un incentivo
ben l’armi sono ond’assalire amore
suol con certa vittoria un cor lascivo,
ma più d’ogn’altro vezzo e d’ogn’incanto
ha forza in noi di bella donna il pianto.
20Soggiunge ei dunque impaziente a l’ora:
«E in qual parte de l’Asia, idolo … » e quivi
la bacia a l’ora et interrompe il “mio”
co’ raddoppiati suoi baci lascivi.
Non accettò l’egizia, e non fuggio
quei baci no, né i lagrimosi rivi
de le luci arrestò, ma i baci insieme
schiva et incontra, e piange e bacia e geme.
21E dal chiuso del sen spinge angosciosa
un ohimè fuggitivo, indi il raffrena,
sì che la voce flebile e dogliosa
da le labbra spuntò furtiva appena.
Non sai dir s’ella vuole o se non osa
o se sdegna scoprir l’interna pena,
così nuovo in amor Proteo costante
cangia a tempo voler, moto e sembiante.
22A quelle voci addolorate e meste
vie più s’affligge Antonio, e in sé raccolto
pensa tra mille cure egre e moleste
ciò che in un punto ogni piacer gli ha tolto.
Tutta zelo e pietà, cinta di vesteAntonio viene messo a parte dei dolori di Cleopatra: manda Delio ad Atene a impedire che Ottavia prosegua il viaggio (22,5-39)
di cinebro colore, umile in volto
la finta Lamia a l’or, sacerdotessa
d’Isi, opportunamente a lui s’appressa.
23Questa, di faccia veneranda e grave,
d’una falsa umiltà spirante è piena,
volge a sua voglia d’ogni cor la chiave
e lo spinge in un tempo e lo raffrena.
Scaltra è ne l’opre, e nel parlar soave
ingannatrice e perfida sirena,
sa compor, sa formar preghi e scongiuri,
sa finger, sa mentir lodi e spergiuri.
24A lui dunque sen vien la donna accorta,
e gli dice: «Signor, forse a te solo
dubbio e ignoto sarà quel ch’oggi apporta
a Cleopatra alta cagion di duolo?
A le piagge d’Egitto il mar già porta
Ottavia, o ch’essa qua già drizza il volo
de l’odiose antenne? Essa già preme
di Cleopatra il trono e in un la speme.
25Non è giusta ragione onde si doglia?
non per degna cagion sono i suoi pianti?
che ʼl premio del suo amor le involi e toglia
Ottavia, e del suo mal lieta si vanti?
che fra le braccia la rival t’accoglia?
che le gioie di lei celebri e canti
musico plettro? e ch’ella stessa ascolti
i biasmi suoi ne l’altrui lode accolti?
26Questo il frutto sarà de la sua fede
che già in Siria la spinse a ritrovarti,
quando non paventò movere il piede
tra l’armi e le minaccie anco de’ Parti?
Venne forse a le stragi et a le prede
fra lontane ad esporsi estranie parti
Ottavia, o pur mirò con lieto ciglio
sin dal Tebro oziosa il tuo periglio?
27E tu pur qui l’attendi? e nel tuo letto
di Cesare la suora accoglier pensi?
l’offesa moglie? e pur non ti è sospetto
il gran fasto d’Ottavio e gli odi intensi?
e credi tu che maritale affetto
a te la spinga, o pure occulti sensi?
che prometter di vero e che di giusto
potrà donna gelosa, emulo ingiusto?
28Da le leggi a colei tu fusti unito
ma te congiunse a Cleopatra amore.
Di qual dunque sarai degno marito
e qual laccio maggior ti strinse il core?
anzi, chi fia di sottoporle ardito
a la legge commun te che signore
sei de le leggi? o chi d’Amor la fiamma
spera evitar se Giove istesso infiamma?
29Vinca sol dunque Amor te sempre invitto,
anzi in virtù d’amor fia tu vincente
di Cleopatra, ella del vasto Egitto
chiara stirpe d’eroi donna possente
gode aver del tuo amore il cor trafitto,
gode al tuo paragon d’esser perdente,
Cleopatra non moglie e non amica
brama sol che tua serva altri la dica».
30Qui tace, e s’alcun vice in valle ombrosa
indurata Borea a’ fiati algenti
ne la calda stagion falda nevosa
liquefarsi del sole a i rai cocenti,
stimi che de la donna insidiosa
s’intenerisse a i lusinghieri accenti
così d’Antonio il sen, cotanto pote
dolce tenor d’adulatrici note.
31Da sì false lusinghe affascinato,
da sì morbidi vezzi intenerito
rimase Antonio, e fu da lui mandato
quinci Delio suo nunzio al greco lito.
Cura fia di costui che sia vietato
di penetrar là dove era il marito
a la suora d’Augusto, e che non lassi
ch’oltra l’attico suol s’avanzi e passi.
32Piacciasi a Cleopatra e ʼl ciel ruine
e sossopra confuso il mondo vada,
a lui non cal di stragi e di rapine,
pur che segua colei l’Asia pur cada.
Ella co ʼl vago suo si parte al fine
et al regno natio prende la strada,
arriva in Alessandria e prigioniero
d’Armenia il re tragge in trionfo altero.
33Quinci di Media ei sen va dov’è fermata
l’amicizia co ʼl re che la richiede,
et è da lor congiunta e confermata
con nodi d’imeneo la reggia fede.
Di nuovo ei poi de la sua donna amata
a la reggia fatal rivolge il piede,
poiché lontano da colei ch’adora
non puote soffrir lunga dimora.
34In tanto i bianchi lini a l’aura scioglie
e scorre di Nettun l’ampia magione
Delio, insin che ʼl Pireo nel sen l’accoglie
ove ad Ottavia infausto nunzio espone
ch’Antonio già l’esercito raccoglie
per rinovar co’ Parti aspra tenzone,
onde poiché trovarlo invan procura
me’ fia che rieda a le latine mura.
35Scolorossi la faccia, il piè tremante
a l’interno dolor quasi cedette,
e tra confuso affetto essa ondeggiante
d’amor, di gelosia muta ristette;
quinci, composto il torbido sembiante
in magnanima guisa il duol premette,
e dimostrò che la virtute appare
vie più che nel goder nel tollerare.
36Proruppe alfine, e fiammeggianti al cielo
quasi uscita di sé gli occhi converse:
«A voi che non corrotti e senza velo
mirate, eterni dèi, l’opre perverse,
se con intatta fé, con puro zelo
questo cor, questa destra unqua v’offerse
o vittime o preghiere, a voi s’aspetta
del mio tradito amor l’alta vendetta.
37Né già chieggo da voi che ʼl mio consorte
da lo sdegno del ciel punito sia,
che d’impero minor fatto e di sorte
soggiaccia a quei ch’or tiene in sua balia,
prima che ciò veder tronchi la morte
il filo infausto de la vita mia,
s’ei mi sprezza è mia colpa, e giusta legge
io stimo il suo voler, che ʼl mio corregge,
38ma chieggo e bramo sol contra colei
che con false lusinghe allettatrici
il sereno oscurò de i giorni miei
ministre di dolor le Furie ultrici,
sì sì, tragga l’iniqua, o giusti dèi,
de la sua vita i dì sempre infelici,
vegga quant’odia il ciel quei che disgiunge
color che in sacro nodo egli congiunge».
39Qui tace Ottavia, e quindi volge al fine
punta d’amor, di gelosia, di sdegno,
verso le patrie sue mura latine,
favorito da i venti il curvo legno.
Salamina e Megara a sé vicine
lascia a la destra, et a sinistra il regno
che di cento cittadi innalza altera
al ciel la fronte, e varca indi Citera.
La notizia della vicenda giunge ad Ottaviano Augusto, che convince il Senato a muovere guerra ad Antonio (40-51)
40Or mentre de l’Ionio ella fendea
il salso flutto de l’alate antenne,
precorse il volo la loquace dea
che vanta mille lumi e mille penne,
e su ʼl Tebro, ove in sé varie volgea
cure del regno, a Cesare pervenne,
e fatto il suo ritorno a lui palese
d’alto sdegno in un punto il cor gli accese.
41Quinci disse rivolto a i senatori
che gli faceano intorno illustre giro:
«Da sì lieve cagion l’opre maggiori
dunque cadere in sì brev’ora io miro?
l’impero che co ʼl sangue e co’ sudori
tanti eroi fabricaro e stabilito
crolla una donna? al nostro lauro invitto
prepon la sua conocchia il vinto Egitto?
42Così dunque portàr gli avoli nostri
con intrepida man l’insegne e l’armi
oltre i gelati, oltre gli accesi chiostri
a gli ultimi Etiopi et a i Biarmi?
Così stancaro i peregrini inchiostri
con le vittorie loro e i bronzi e i marmi
perché gli egizi eunuchi, i servi ignoti
calpestassero poscia i lor nipoti?
43Oggi su ʼl Nilo Antonio or voi mirate
d’una barbara vil drudo impudico
la straniera dorar finta beltate,
i cenni riverir del guardo amico.
Mirate coi là d’Imeneo sprezzate
da lui le leggi e ʼl sacro nodo antico
ch’a la suora d’Augusto in paragone
la mercenaria adultera prepone.
44Udrete sin di qua gli alti lamenti
de l’Asia abbandonata or che l’offese
rinova il Parto e barbari torrenti
d’Armenia ad inondar manda il paese.
Vedrete sin di qua le fiamme ardenti
de le cittati e de le ville accese,
e già del sangue amico a l’onda rossa
su l’Eufrate innalzati argeni d’ossa.
45E pur non ode Antonio e pur non vede
i danni de gli amici e non gli cura,
né ʼl romor de le stragi e de le prede
lo sveglia ancora o la crescente arsura.
A Cleopatra egli commette e crede
de i regni suoi la trascurata cura,
e d’ago in vece del famoso impero
tratta feminea man lo scettro altero.
46E voi, figli di Marte, a cui fu poco
il ridur l’universo in un sol regno,
che fra tanti perigli in ogni loco
d’alto valor lasciaste eterno segno,
d’impudica beltà ludibrio e gioco
soffrirete oziosi il giogo indegno?
fia ch’ubbidisca ad Iside Quirino?
che ceda agli obelischi or l’Aventino?
47O l’armi non più tosto oggi movendo
contro il superbo e ribellante Faro
la tirannia donnesca ivi spegnendo
ergerete trionfo illustre e chiaro?
Andrete voi là dove i dì traendo
fra quei vezzi che ʼl cor gl’incatenaro
vaneggia Antonio, e neghittoso aspetta
de i Romani e del ciel l’aspra vendetta.
48Grande il premio sarà, maggior la lode
de la vittoria, e lieve fia il periglio,
poiché i barbari amplessi Antonio gode
et a l’arti di guerra ha dato esiglio.
Solo de la sua donna intento egli ode
l’empie lusinghe, e sprezza ogni consiglio;
paraninfi d’amor vedrete voi,
non seguaci di Marte i guerrier suoi.
49Non più dunque si tardi, io ne l’impresa
a voi m’offro compagno a la fatica;
opporrà contra voi breve difesa
l’effeminata e vile oste nemica.
Quanto ingiusta fu in noi la loro offesa
a noi fia tanto or la giustizia amica,
e ben giusto sarà che sia colui
che no sa commandar servo d’altrui».
50Così diss’egli; al suo parlar di sdegno
arse il Senato e fulminò la guerra,
et Antonio stimò di scettro indegno
or che d’indegno amor vaneggia et erra.
Lieto Augusto seconda il lor disegno
e la già conceputa ira disserra,
e con l’esca de’ premi e de gli onori
a la guerra futura infiamma i cori.
51De l’Adria e del Tirren foreste alate
volaro ad ingombrare i campi ondosi,
mandano al mar già le provincie armate
de l’Occidente i popoli famosi;
qua tu miri sudar ne la cittate
sovra l’induci i fabbri industriosi,
e de’ figli odi là co’ mesti padri
sospirare al partir l’afflitte madri.
Antonio dà ordine di radunare l’esercito e arringa i capitani (52-63)
52Giunge in tanto in Egitto ove giacea
ne le delizie Antonio ebro e sepolto
il grido ch’a i suoi danni Augusto avea
sotto l’insegne l’Occidente accolto,
che l’esercito immenso a l’assemblea
nel porto di Brundusio era raccolto,
e che ʼl vento opportuno al gran tragitto
ivi attendea per assalir l’Egitto.
53Dal profondo letargo ov’egli oppresso
tra lascivi diletti era pure ora
a l’anunzio fatal riede in se stesso
l’egizio amante, e si discioglie a l’ora.
Scorge il vicin periglio, e manda appresso
da l’onda greca a la più estrema aurora
gli ordini a i duci suoi, ch’immantinente
raccolgan la divisa oste possente.
54Risveglia il sol la bellicosa tromba
ne le cuna del Gange, e in fere voci
a la preda, a la gloria et a la tromba
tragge precipitosi i cor feroci.
Al furor militar l’Asia rimbomba
da l’Ellesponto a le remote foci
de l’ultim’Indo: e d’un sol uom gli sdegni
movon sì vaste moli e tanti regni?
55Né già sol gli abitanti e le cittati
de l’ira marzial provano l’onte,
ma son da lei trascorsi et agitati
d’ogni selva i confini e d’ogni monte.
De’ foltissimi già boschi troncati
mostra il Caocaso a l’or nuda la fronte,
e già d’alberi al Tauro alto e nevoso
impoverito vedi il crin selvoso.
56Or mentre sono a preparare intenti
gli altri bellici ordigni, a sé raccoglie
Antonio i suoi famosi, e in tali accenti
quindi la lingua a favellar discioglie:
«Oh ne’ più dubbi e perigliosi eventi
fidi amici, e ministri a le mie voglie,
in un sol punto di mill’opre aduna
al vostro merto il premio oggi fortuna.
57Di così vasto impero or non contento,
Ottavio arma l’Europa a i danni miei,
et io lieto a ragion quindi argomento
c’hanno in cielo di me cura gli dèi:
io di Marte con lui l’alto cimento
bramato sì ma non sperato avrei,
egli previen ciò che da me si brama,
et i suoi regni a depredar mi chiama.
58Fu decreto del ciel, che ʼl suo favore
congiunge a i voti miei, che fusse ingiusto
con folle ardire Ottavio istigatore
de lo sdegno d’Antonio in lui più giusto.
Ben de’ patti fra noi violatore
già tentò rinovar l’odio vetusto,
pur soffersi, et errai, poiché negletta
spesso viltà la tolleranza è detta.
59Io sol, mentre supino egli del letto
premea le molli piume egro e tremante,
ne i filippici campi offersi il petto
a l’oste congiurata e ribellante;
ma de l’alta vittoria egli l’effetto,
egli sol gode, ei solo è che si vante
de i trofei di Sicilia e pur di Marte,
del rischio io fui, de le fatiche a parte.
60Egli ancor le mie navi, onde fu vinto
il figlio di Pompeo, m’usurpa, e tiene
ei l’impero, onde fu Lepido spinto
da la forza commun, solo ritiene.
Egli regge l’Italia, ei m’ha respinto
esule quasi da le patrie arene
del Nilo ignoto in su le sponde estreme,
mentre sol di Quirino il solio ei preme.
61E non ancor s’appaga? ancor procura
fabbricar nuove insidie, e già l’armata
nel porto di Brandusio a la futura
guerra contra l’Egitto ha radunata?
e fia da noi rinchiusi in queste mura
dunque l’assalitrice oste aspettata?
e da le torri mireremo al fine
del paese gl’incendi e le ruine?
62Ah no, deh non sia ver, ché troppo indegno
sì guardingo timor fora di voi:
muovansi tosto l’armi e sia il disegno
d’Ottavio prevenuto oggi da noi,
sia traslata da noi nel salso regno
l’Africa tributaria e i regni eoi,
e sia il campo che già sparso giacea
in Efeso raccolto a l’assemblea.
63Io là n’andrò, voi mi seguite, e sia
questo braccio a voi guida: egli primiero
a voi de la vittoria a sgombrar fia
ne l’esercito ostil l’aspro sentiero.
Fuor che la fede e la virtù natia
a sì grand’uopo altro da voi non chero:
siate quai fuste e quai vi spero, or questo
da voi si curi e sia mia cura il resto».
Cleopatra, con l’aiuto di Canidio, convince Antonio a portarla con sé in guerra (64-78)
64Così favella Antonio, e si prepara
verso Efeso con gli altri a la partita,
e Cleopatra a la novella amara
fra dolenti pensieri erra smarrita;
teme che la memoria amata e cara
de l’amor suo rimanga alfin sopita
da lunga assenza, e che di lui nel core
spenga incendio novel l’antico ardore.
65Risolve di seguirlo, e pensa i modi
onde possa ottenerlo, et a sé chiama
Canidio a l’or, che tra i più saggi e prodi
duci d’Antonio era maggior di fama.
Costui con le promesse e con le lodi
l’adulatrice alletta a ciò che chiama,
poiché catene inevitabil sono
a l’umano voler la lode e ʼl dono.
66A l’amato guerrier poscia s’invia
l’afflitta donna, et a lui giunta inante
disse: «E così gradita e nota fia
a te, signor, la tua fedele amante?
Io che per te ritroverei la via
nel foco istesso o dentro al mar sonante
ora in men dubbia e perigliosa impresa
quasi femina vil son vilipesa?
67Tu te n’andrai tra l’ire e tra i furori
di Marte in mezzo a l’onde, et io soletta
da mille oppressa il cor dubi e timori
l’esito attendrò dunque negletta?
Ah no, che s’a le gioie et a gli amori
già fui la tua mercé compagna eletta,
è dritto anco che fedelmente amica
t’accompagni al periglio, a la fatica.
68So ben anch’io sprezzar la morte, ho il petto
intrepido ne’ rischi al ferro, al sangue,
né già d’ogni timor, d’ogni sospetto
agitato il mio cor fievole langue.
So mirar de’ nemici il fero aspetto
con la faccia non mesta e non esangue,
e ove il chieda un subito periglio
so la mano adoprar non che il consiglio.
69Testimonio ne sia di Tolomeo,
del mio german l’esercito sconfitto,
la mia destra, il mio senno alto trofeo
ottenne di quel campo un tempo invitto.
Da l’armi d’Etiopia e dal Sabeo
per me difeso il potrà dir l’Egitto,
gran tempo è già che de le trombe al suono
questo cor, queste orecchie avvezze sono.
70Fra i sospetti consigli e vari almeno
avrai, signore, il mio parer sincero,
e regolati i sensi miei non fieno
da senso alcun che non riguardi il vero.
Se non altro io sarò scudo al tuo seno
dal crudo stral de l’inimico arciero,
e prima ch’a te giunga in te diretta
in me si spunterà l’ostil saetta.
71Deh permetti al mio amore, a la mia fede
ch’io seguitar ti possa ove tu vada,
che ʼl tuo cenno mi guidi e ch’al mio piede
il vestigio del tuo segni la strada.
Perch’a me di trattar non si concede
qual già teco lo scettro, oggi la spada?
perché non deggio a sì grand’uopo anch’io
sacrificar me stessa a l’idol mio?».
72Tace, ma nel silenzio anco favella
supplichevole un guardo affettuoso,
e pure Antonio in questa parte o in quella
non volge anco del tutto il cor dubbioso.
Or mentre varia cura il sen flagella
in varia guisa il cavalier pensoso,
sovra giunge Canidio, e con tai note
dal profondo pensiero tosto lo scote:
73«Qual la mente, signor, t’ange e molesta
dubbio importun se la ragion palesa
ch’esser non può se Cleopatra resta
fuor che dannoso a la futura impresa?
Ottavio, ch’a i tuoi danni ogni arte appresta,
forse donna schernita e vilipesa
fia che tentar, che stimolar rifiuti
onde in odio l’amore in lei si muti?
74Forse a lui mancheran promesse e preghi
per renderla nemica a te d’amante?
e chi non sa come si cangi e pieghi
la mente feminil varia e incostante?
Quindi, signor, mentre a costei non nieghi
di seguirti mai sempre, avrai davante
certo mallevador, sicuro pegno
de la sua fede insieme e del suo regno.
75S’ella teco verrà, seco l’Egitto,
de l’esercito tuo non poca parte,
sotto l’insegne volontario scritto
trarrà più numeroso al novo Marte.
Vedrai che pronto e copioso il vitto
i popoli verranno ad arrecarte
del regno suo da la feconda terra
ove la donna lor ti siegua in guerra».
76Tacque, e colui, che sino a l’ora in forse
sospesa avea l’irresoluta mente,
a i preghi che per lei Canidio porse
già l’impero del cor cede repente.
Baciò poi Cleopatra, onde trascorse
da questo labbro a quel l’alma languente,
indi le disse: «E che negar poss’io
al tuo voler, mia vita e mio desio?».
77Né sì bella giamai spunta l’aurora
dopo l’orror di fosca notte in cielo
e con l’eburnea mano i prati infiora
e somministra a i fior cibo di gelo,
né sì vaga giamai l’iri colora
de l’altera Giunon l’umido velo
e ricchi fregi e verdi e porporini
di smeraldi gl’intesse e di rubini
78come a l’ora a colei, che scaccia e frena
da la fronte e ne gli occhi il pianto e l’ombra,
al favellar d’Antonio e rasserena
l’atra nube di duol che ʼl cor le adombra.
Quindi, lasciata la nativa arena
con l’amato guerrier le navi ingombra,
e spirando al viaggio aure seconde
drizzan le prore in vèr l’efesie sponde.