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La Cleopatra

di Girolamo Graziani

Canto X

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 25.03.15 13:33

ARGOMENTO
Fra l’armata d’Egitto e la latina
ne l’azio seno aspra tenzon s’accende,
fuma al sangue commun l’ampia marina,
e le navi d’Antonio Apollo incende.
Fugge alfin l’egiziaca reina
mentre ancor la fortuna incerta pende;
la siegue Antonio, e lascia e regno e gloria
onde Cesare ottien l’alta vittoria.

All’alba le due flotte si schierano e attaccano battaglie (1-9)

1Fuggono i venti, e la vermiglia aurora,
squarciato de le nubi il fosco velo,
d’amaranti e di gigli i prati infiora
del lucid’Oriente al dio di Delo.
Già l’aria e l’onde il sol co’ raggi indora
e già splendono a gara il mare e ʼl cielo,
salutan lieti il nuovo giorno intanto
co ʼl nuoto i pesci e gli augellin co ʼl canto.

2Escono a l’or da i porti, e ʼl seno ondoso
con ferreo dente a Teti apron l’armate,
e volano di nuovo al periglioso
cimento militar l’antenne alate.
De gli abeti guerrier dal bosco ombroso
le campagne del mar sono occultate,
e in mezzo a l’agitate acque spumanti
veggonsi torreggiar cittati erranti.

3L’aurate poppe e le ferrate prore
i remi variati e l’ampie vele
e, di forme diverse e di colore,
le vaghe insegne e le superbe tele
offriano di diletto e di terrore
spettacolo gentil, pompa crudele;
splendeano l’armi, e ʼl mar di ferro e d’oro
tremolava dipinto a i raggi loro.

4In sembianza di luna ampia stendea
l’armata Augusto, et ei nel destro corno
co ʼl soggetto african d’Italia avea
i popoli feroci e i Galli intorno,
quei che là dove la gran mole etnea
fiamme avventa dal sen fanno soggiorno,
ivi sono adunati, ivi i soccorsi
ch’a Cesare mandaro i Sardi e i Corsi.

5Quei che l’inculta et ultima Bertagna
da le remote sponde in guerra manda,
e quei che ʼl lito abbandonàr che bagna
l’ampio ocean de la selvosa Irlanda
con le navi che tratte avea di Spagna
nel sinistro confin regge e commanda
Agrippa, che d’ingegno e di possanza
ne l’armata d’Augusto ogni altro avanza.

6La battaglia di mezzo, ov’era unito
de le squadre cesaree il rimanente,
Procubeio reggea, cui rende ardito
il prisco onor de la Fabrizia gente.
Da l’altra parte Antonio ha compartito
in simil forma il campo d’Oriente,
ben gli uffici adempié di capitano,
ma che può contra il fato ingegno umano?

7Quanti nel mar d’Atlante il lito, e quanti
de le nomadi selve i foschi orrori
scorrono, e quei che son nudi abitanti
del sole esposti a i più cocenti ardori,
gli Arabi fuggitivi e i Garamati,
i Nasamoni e i Libici cultori
in un raccolti nel sinistro corno
Celio, germe de’ Fabi, avea d’intorno.

8Nel destro i suoi Romani, e quei che l’onda
bevon del fiume che del vasto Egitto
con regolata piena i campi inonda
con Publicola guida Antonio invitto;
quindi quei che lasciàr la tracia sponda
cui disgiunge dal mar breve tragitto
da l’Asia, e l’Asia in mezzo in un ristretta
avean Marco et Infleio a lor soggetta.

9Nel periglio commun fatta guerrera,
di barbarico arnese intanto armata
Cleopatra di navi ardita schiera
tenea non lungi a la potente armata.
Nave di fregi e d’ornamenti altera
ch’avea seriche vele, antenna aurata
di sostener fra mille ebbe la palma
de la donna real la nobil salma.

Antonio soccorre i suoi dove sono in difficoltà, viene a battaglia con lo sfortunato Filebo (10-27)

10Così distinte a ritrovvar si vanno
l’emule armate, e più veloci legni
provocando il destino arder già fanno
e quinci e quindi a la tenzon gli sdegni.
Uscì da i sagittari il primo danno
che di Nereo tinse di sangue i regni,
e da nembo di strai con varia sorte
la nuvola letal piovve la morte.

11Già s’accostan le navi e già si serra
lo spazio che tra loro il mar frapone.
Di Publicola Agrippa il legno afferra
e sanguigna s’accende aspra tenzone.
L’aste, i dardi e gli strai l’orribil guerra
mesce, e sembra ch’a i colpi il mar risuone,
e quinci e quindi sparse e compartite
son le morti egualmente e le ferite.

12Lo sdegno infiamma il sangue, e ʼl ferro a l’onte,
e l’onte co ʼl dolor sveglian l’ardire.
Publicola primier pugna a la fronte
immoto de’ nemici a l’armi, a l’ire,
non men l’egizie navi audaci e pronte
lo sieguono dovunque il corso ei gire,
e Anafrodisio intanto in vari modi
ove gli altri la spada usa le frodi.

13Contra l’impeto ostil da l’altra parte
s’offre di fino acciaio Agrippa armato,
e da Flavio e da Lelio, onor di Marte,
da l’un fianco e da l’altro è circondato.
Sorge di corpi uccisi e d’armi sparte
strana pompa lugubre in ogni lato,
e già di qua, di là turba e confonde
l’ostro del sangue il vago azzurro a l’onde.

14Non lungi Antonio, a cui nemico certo
anco non s’opponea, trascorre intanto
ove scorge il bisogno e ʼl rischio aperto,
soccorrendo i suoi legni in ogni canto.
Tra quei che più rendeano il fine incerto
a le speranze sue Teodomanto,
capitan de’ Britanni, indi scoperse,
onde i remi e le vele in lui converse.

15Sembra folgore appunto al moto il legno
che ʼl nemico guerrier da prora assale;
non fugge ei no, né di timor dà segno,
anzi previen l’assalitor fatale.
Sono eguali in costor l’ardir, lo sdegno,
ma di possanza Antonio a quei prevale,
onde in un punto a la nemica vita
e nel petto e nel tergo apre l’uscita.

16Su ʼl morto capitano ampia la strada
si fa tra i suoi Brittanni il vincitore;
convien che ceda ognuno, over che cada
o fuggendo o pugnando al suo furore.
Co ʼl volto, con la voce e con la spada
quindi è ch’altri spavente, altri avvalore;
sempre colpisce, e ogni suo colpo impiaga
e fa il colpo mortale ogni sua piaga.

17Preso il legno brittanno, urta per fianco
impetuoso nel drapel d’Irlanda:
per lui sommerso Eurilemone, e Planco
trafitto muor da l’una a l’altra banda,
tronca al fero Edemonte il braccio manco
che l’inimico stuol frena e comanda.
Ovunque passa de la gente avversa
nel mar di sangue un altro mar si versa.

18Solo a l’impeto suo Filebo a l’ora,
del feroce Orione unica cura,
intrepido s’oppone, e i suoi rincora,
ch’occupati vedea d’alta paura.
Non disgiunti costoro unqua l’aurora
vide, né vide mai la notte oscura,
né il destin secondando il lor desio
nel gran caso fatal gli disunio.

19Non sparge ancor la giovanile etate
al bel garzon di molle piuma il mento,
e in esso accresce a la natia beltate
l’abito militar vago ornamento.
Eran l’armi vermiglie, e seminate
dotto fabbro le avea di fior d’argento
con industria simil la sopra vesta
di porpora e d’argento era contesta.

20Tra ʼl luminoso acciaio i capei d’oro
splendono innanellati, e nel bel viso
vagheggia Amor con semplice lavoro
mista la rosa al candido Narciso.
Vezzeggian l’armi, e sembra dolce in loro
lampeggiar l’occhio e balenare il riso;
mossa da lui non punge o spada o dardo,
ché se impiaga la man risana il guardo.

21L’animoso garzon ratto si move
con sicura baldanza in fier sembiante
ov’Antonio facea tremende pruove
ne le schiere d’Irlanda a gli altri innante,
e benché «Oh mio fedel, deh volgi altrove»
a lui gridi Orion poco distante,
non frena de l’amico egli al consiglio
l’ardir che ʼl tragge a l’ultimo periglio.

22Ma su gli estinti, ove il nemico altero
avea mossa d’intorno alta ruina,
corre precipitoso, e su ʼl cimiero
con rinovati colpi il ferro inchina.
Qual di Borea canuto o d’Austro nero
sostien gli orridi assalti in piaggia alpina
quercia ch’abbia a le nubi i crini affissi
e co ʼl ramoso piè calchi gli abissi,

23tale a i colpi di lui nulla si scote
il fortissimo eroe, che tosto gira,
qual rapido baleno o mobil cote,
nel feritore incauto il ferro e l’ira.
Ma le percosse in danno altrui sì note
scansa a l’or Filebo, e si ritira;
ma che pro se mentr’egli al ferro cede
nel bisogno maggior sdruciola il piede?

24Quindi nel mar precipita dal legno,
e seco porta d’Orione il core,
che, da l’orrore afflitto e da lo sdegno,
or cede a la pietate or al furore;
ma poiché diè ne l’agitato ingegno
luogo al discorso alfin l’aspro dolore,
per salvare il garzon ch’omai s’affonda
forsenato si scaglia in mezzo a l’onda.

25Giunge Filebo, e con robusta mano
gli porge aita, e seco il tragge a nuoto,
ma implacabil destino et inumano
fa riuscire ogni lor speme a vòto:
era quivi Assamandro il soriano,
sagittario d’Apamia illustre e noto,
cui di fissar lo strale al segno certo
cede ogni arcier de l’Asia il pregio e ʼl merto.

26Or costui dunque a la fatal saetta
sovra l’arco sonoro adatta e scocca,
essa vola et arriva ov’è diretta
del natante Orione entro la bocca,
né cessa qui ma, del suo sangue infetta,
fiede il garzon nel fianco, onde trabocca
l’anima in larga vena, e micidiale
di due vite due morti unisce un strale.

27L’onda che già li copre a le querele
l’adito avea et a lo spirto insieme,
pur si strinse Filebo al suo fedele
mentre il mar l’uno e l’altro occulta e preme.
Or così vi negò fato crudele
ne l’ultimo partir le voci estreme?
Fato crudele, anzi felice sorte,
foste in vita congiunti e sète in morte.

Anche al centro lo scontro è cruento (28-32)

28Erano tali i fortunati eventi
de la fera tenzon da questa parte,
nel mezzo non son già men l’ire ardenti,
né men sanguigno è il periglioso Marte.
O di non vive o di malvive genti
vedi per tutto errar le membra sparte,
e già l’onda coprir lacere e guaste
sopraveste, cimieri, insegne et aste.

29Fra i nemici scorrea Tarcodoonte,
orribile di forze e di sembiante,
et innalzava la superba fronte
qual alto scoglio in mezzo al mar sonante,
o qual sublime inaccessibil monte
che non teme il soffiar d’Euro spirante
a la selva de l’aste ond’è trafitto
immobile offerendo il petto invitto.

30Non fa scempio minor l’arabo audace
Albumazar de le cesaree schiere,
ma tra ʼl lanuto stuol lupo vorace
sembra qualora uccide, abbatte o fère.
Sprezzator de la morte, il crudo trace
le più dense caterve e più guerrere
rompe e sbaraglia, e ne l’estinta gente
sazia del sangue uman la sete ardente.

31Pugna da l’altra parte il buon Torquato,
splendor de la famosa Emilia prole,
Filadelfo per lui l’effeminato,
percosso il destro braccio, egro si duole,
e ʼl vago Eleazaro indi svenato
lascia la bella region del sole,
e di provar con danno suo gli pesa
che beltà contra l’armi è fral difesa.

32Fa de’ nemici aspro governo altrove
Proculeio, e per lui trafitto il tergo
cade il timido Osiri, e ʼl sangue piove
al feroce Aramon dal rotto usbergo.
Per la gola a Demetrio il ferro move,
onde l’alma canora il dolce albergo
lascia gemendo, e quinci il capo incide
a Mitridate, e l’arti sue deride.

Apollo, sdegnato con Antonio perché non ha ascoltato il suo oracolo, dardeggia le sue navi con frecce incendiarie (33-39)

33Così pugnan costoro; Apollo in tanto
partì da gli azi altari e si sospese
sovra l’armata, e non già porta a canto
de la musica lira il molle arnese,
ma si mostra nel volto orribil quanto
Agamennone il vide, o qual già stese
terror de le campagne il serpe atroce,
e quindi in simil guisa alza la voce:

34«E pure i miei presagi e ʼl mio consiglio
schernendo Antonio a la tenzon si mosse?
e per lui mostra l’onde il mar vermiglio
de la strage civil tiepide e grosse?
Or mi provi nemico, e nel periglio
vegga quanto per lui meglio già fosse
i miei detti osservar che provocarmi
a volger contra i suoi gli sdegni e l’armi.

35Tu, de gli Albani padri e de’ grandi avi
che ressero Ilion figlio maggiore,
vinci in mar, già la terra è tua, già gravi
di ceppi Asia et Egitto al tuo valore
servono tributari, a le tue navi
Roma confida il trionfale onore;
s’oggi tu non difendi i patri muri
non ben vide Quirin gli alati auguri.

36Né già temer se mille vele e mille
ha mosse in te l’effeminato amante,
che dal lido natio forza partille
non di palma o trofeo spirto curante;
d’ardir la tua ragion vive faville
desterà ne l’Ausonia oste pugnante,
l’armi che in guerra han la ragion disgiunta
la vergogna e ʼl timor rintuzza e spunta.

37Per te il destino e la ragion guerreggia,
questa destra per te pugna e quest’arco,
dritto è ben che del Faro omai la reggia
del giogo di Quirin soffra l’incarco.
Giunta è l’ora prefissa in cui si deggia
a l’illustre vittoria aprire il varco,
io te l’addito, e fia ch’io guidi al fine
con l’aurigera man le prue latine».

38Sì disse Apollo, e da la chioma aurata
tolse de i caldi raggi i più ferventi,
e su l’arco adattolli e ne l’armata
d’Antonio saettò fiamme cocenti.
Fuman gli aridi abeti, e riscaldata
stride la negra pece a i fochi ardenti,
che rapidi serpendo hanno già sparti
i semi de l’incendio in varie parti.

39A l’orribile ardor ciascuno ammira
già d’Azio fiammeggiar l’onde e l’arene,
misto il fumo a la fiamma al cielo aspira
e fosco a gli atri globi il ciel diviene.
Or così qui volubile s’aggira
la fortuna, e il timor varia e la spene,
poiché di qua, di là con egual sorte
la falce a i danni lor ruota la morte.

Celio tenta con una finta fuga di attirare in una trappola Ottaviano, che però non cade nell’inganno (40-50)

40Intanto a i suoi già da l’opposta parte
Cesare contra Celio anch’ei movea,
ma questi, o sia temenza o sia pur arte,
lungi da lui le navi sue traea,
e quelle, in lungo e raro ordine sparte,
con largo giro in alto mar volgea,
quasi voglia assalir nel suo ritorno
a le spalle d’Augusto il destro corno.

41Prima di Celio i moti Augusto mira,
e dubbioso di frode osserva intento
le sue varie ritorte, et ei non gira
intanto i legni suoi, ma cauto e lento
l’armi sospende, e vede alfin che spira
di verso il lido sì opportuno il vento
ce per soccorso del navilio amico
non può riedere a tempo il suo nemico.

42De le navi più scelte a schiera eletta
indi in guardia preposti Ortensio e Planco
per far contrasto a Celio, ei mosse in fretta
contra quei d’Asia i legni suoi per fianco.
Quivi d’Eleazaro a la vendetta
Lelio che biondo, Anteo che ʼl crine ha bianco
dal fier cilice caggiono svenati,
e son o al bel garzon sacrificati.

43Urta Cesare a l’or de gl’inimici
inaspettato il fianco onde, sdruscito
il suo vedendo, nuota a i legni amici
nel primo assalto il tracio re ferito.
Volgono in tanto i Medi et i Cilici
a l’impeto latin il volto ardito,
move pari furor l’armi, et accese
son da pari cagion l’ire e l’offese.

44Bruto, che nacque in su la Brenta, uccide
Sillarco il forte e ʼl timido Ademaro,
la destra coscia il fero Alasto incide
di Bitinia e di Ponto al duce avaro,
a Minuzio Rodaspe il sen divide,
svena Tito Corebo e Palomaro,
cui Lidia in un sol parto espose al sole
di sconosciuto padre incerta prole.

45Con purpureo cimier splendea Timante
in armatura d’ostro e d’auro intesta
quand’improviso il soriano Alvante
colpillo in fronte e gli partì la testa.
Ne le fasce il bambin gli offerse innante
lagrimò la consorte afflitta e mesta
ma in van per richiamarlo a i baci amati,
poiché traggon ciascuno u propri fati.

46D’un colpo Albumazar divide e fende
il durissimo scudo al fero Aiace,
né ben contento il brando al fianco scende
et uscendo ne trae l’alma fugace,
quindi Arideo con la sinistra prende
e ʼl fa cader ne l’ocean vorace,
poscia il ligure Albino e Mario insieme
feriti atterra, indi co ʼl piè li preme.

47Sorge in tanto la fiamma, e s’avvalora
d’ogn’intorno l’incendio in guisa tale
che le prossime navi arde e divora
e vince l’arti opposte e al mar prevale.
Strugge gli annosi pini una brev’ora,
vana è la fuga e ʼl contrastar non vale,
ferve a la strage la sanguigna spuma
ciò ch’avanza a le fiamme il mar consuma.

48V’è chi talor de la nemica spada
l’iterato colpir fugga smarrito,
e ne le fiamme inciampi e nel mar cada
in un punto sommerso, arso e ferito.
Lo scettro già de l’umida contrada
usurpa il foco ingordo, avvampa il lito,
par che qui vuotin d’Anfitrite a scherno
Encelado e Plutone, Etna et Averno.

49Cresce l’incendio, e già le navi sparte
copron lacere l’onda e i lidi intorno,
superbisce Vulcan, trionfa Marte,
gode Nettun di varie spoglie adorno,
caggion vele, timoni, antenne e sarte
nel funesto di Teti ampio soggiorno,
tra gli abissi del foco orribilmente
naufrago in mar di sangue è l’Oriente.

50A i gridi, a le percosse, a le querele
suona l’aria e già misti al proprio sangue
i flutti beve, e de l’eccelse vele
macchia il candor d’Antonio il vulgo esangue.
Solo de la Cilicia il re crudele
al nemico furor non cede o langue:
sassi, lancie e saette a scherno prende
quanto è percosso più tanto più offende.

Morte pietosa dei due amanti Silveria e Calistene (51-65)

51Voi tra gli altri, o Silveria e Calistene,
ch’amoroso desio sete d’onore
al bel lido rapìr de le Sirene
quivi cadeste vittime d’amore.
Or non si nieghi già quel che conviene
premio di vera gloria al vostro ardore,
vivrà, sarà quanto potrà il mio inchiostro
il vostre nome illustre e l’amor vostro.

52In servitù d’amor lieta e felice
godean costoro avventurosa vita,
sin che a l’armi, a la fama allettatrice
la bellicosa tromba Italia invita.
Di nobil gloria a l’or, brama infelice,
lusinga del garzon la mente ardita,
onde risolve ritrovarsi a parte
de le fatiche e de l’onor di Marte.

53Ma da l’amata pria congedo toglie,
che quando del suo vago ode il pensiero
dunque così la lingua afflitta scioglie:
«Senza mente n’andrai? Ah non fia vero.
Ti servirò, ti serbirò le spoglie,
porterò l’armi e condurrò il destriero,
no no, mio bene, una medesma sorte
ne regga in vita e ne congiunga in morte».

54Cede a le sue parole il giovanetto,
e da le patrie sponde in vesti ignote
fuggono al campo, e in abito negletto
mutansi entrambi, e non è chi gli note.
Così in un punto, in un istesso petto
pugnan duo spirti, Amore or che non pote?
Apre duo seni una ferita, e gira
duo ferri un’alma che in duo corpi spira.

55Là dunque ove pugnando il re feroce
di legno in legno il tutto empie d’orrore
passa il garzone intrepido e veloce
del barbaro a frenar l’ira e ʼl furore.
Sovra l’elmo il ferì, ma poco noce
tenera man, benché d’invitto core,
a colui che più fero e in maggior fretta
minacciando si move a la vendetta.

56Torse il furor dal destinato segno
l’empio ferro, che ʼl misero Orcomede
che dal foco fuggia ch’arde già il legno,
nel sen con l’altrui piaga a morte fiede.
Da la propinqua nave il caro pegno
Silveria che nel rischio in tanto vede
ingombra l’arco di fulmineo telo,
indi l’incurva e così parla al cielo:

57«Tu, figlio di Latona, onor di Cinto,
da la cui destra il fier Piton cadeo,
se mai di lauro o d’oleastro cinto
arsi al tuo simulacro odor sabeo,
tu scorgi il colpo, io del crudele estinto
ti prometto de l’armi alto trofeo;
fallo, signor, se mai t’accese il core
per gradita beltà fiamma d’amore».

58Udilla Apollo, e rammentò gli amplessi
de’ suoi amori, e sospirando disse:
«A tutti inevitabili i successi
de la vita e ʼl dì estremo il ciel prefisse:
daran morte al cilice i fati istessi,
che sovrastano a te», tacque et affisse
di lei pietoso il guardo in altro canto,
fuggì lo stral dal teso nervo intanto.

59Non volò colà dove era diretto
da la feminea man l’infido strale,
ma del vago infelice aperse il petto
e bagnò del suo sangue il ferro e l’ale.
La misera, veduto il suo diletto
cadere essangue, e ch’essa è micidiale
de l’amato garzon, de la sua vita
gridò contra se stessa infellonita:

60«Così dunque il bel sen, quel che sol era
segno a lo stral del faretrato dio
la mia destra così spietata e fera,
ribella del mio cor, lassa, ferio?
Ah s’io fui l’empia et inumana arciera,
sarò di me saettatrice anch’io,
et io de l’opra abominanda e rea
carnefice sarò, giudice e rea».

61Sì disse, indi nel legno ove languente
Calistene giacea passa veloce,
e de l’amato sen rapidamente
tragge tinto di sangue il ferro altrove.
Ne le viscere sue poscia repente
l’immerge, e singhiozzando in fioca voce
dice, mentre cadendo infra le braccia
del giacente garzon seco s’abbraccia:

62«Questa del fallo mio degna vendetta
gradisci, anima bella, e tu concedi
ch’io là ti siegua ov’è la stanza eletta
a te fra le beate elisie sedi.
A me co’ freddi baci or si permetta
ch’io da te prenda gli ultimi congedi,
e che sia la tua bocca oggi la porta
a l’uscir del mio spirto or tu sopporta».

63Qui tace, e del garzon si stringe a l’ora
a i cari labbri, e languida sospira,
e tra i fior cui di morte empia scolora
invidioso gel l’anima spira.
In tanto abbruccia l’assalita prora
la fiamma, e già l’antenna in cui s’aggira
cade al suo sdegno, e fa cadendo al fine
con la propria ruina alte ruine.

64Preme l’eccelsa e noderosa trave,
che d’altezza rassembra emula al monte,
del re che tutto ardisce e nulla pave
con percossa mortal l’orrida fronte.
Vacilla al colpo repentino e grave
indi cade supin Tarcodoonte,
lieto in quanto non ebbe alcuno in sorte
d’arrogarsi l’onor de la sua morte.

65Filandro e Licofron seco tremanti
da l’antenna fatal giacquer colpiti,
ne l’isola costor dove i giganti
provàr l’ira del ciel furo nutriti.
Arde in tanto la nave, e de gli amanti
sono i corpi dal foco inceneriti,
oh gloriose, oh fortunate spoglie
ch’un rogo abbruccia et un sepolcro accoglie!

Cleopatra pensa che Celio stia fuggendo e decide di fuggire (66-72)

66Qui il popolo d’Asia a la virtù latina
timido sembra, e ʼl primo onor concede,
ma fa del sangue ostil l’ampia marina
fumare altrove Antonio, e ognun gli cede.
Di qua, di là non volge e non inchina
così dubbia la sorte ancora il piede,
e tien con lance egual de l’alta impresa
la vittoria e la perdita sospesa.

67Ma già l’ultimo dì, l’ora fatale
a l’impero d’Antonio è giunta alfine,
né può recalcitrar forza mortale
a le leggi immutabili, divine.
Amor, prima cagion d’ogni suo male,
l’estrema fu del miserabil fine,
onde precipitò l’altera mole
che nel Gange adombrò nascente il sole.

68Cleopatra, che vede in mar lontano
Celio e lo stima o perfido o fugace,
e che nel mezzo dal valor romano
l’Asia dispera e superata giace,
già la sperata e insieme avida mano
teme del vincitor crudo e rapace,
e già di ferro armate e di minacce
scorge de i vincitor l’orride facce.

69Generoso timor quinci nel core
d’una maschia virtù faville accende.
«Dunque» dicea «de’ Tolomei l’onore
che da fonte incorrotto in me discende
s’io del nimico barbaro furore
son fatta prigioniera in me s’offende?
e in me s’oscureran per tanti lustri
di sì grandi avi le memorie illustri?

70Io me n’andrò di servil nodo avvinta
nel pubblico trionfo in Campidoglio?
io del volgo latin derisa e vinta
andrò su ʼl Tebro a saziar l’orgoglio?
Ah no, dal ferro over tra l’onde estinta
schernirò la sua speme a che mi doglio?
La mia morte farà che indarno agogne
onorarsi il crudel di mie vergogne.

71Anzi io vivrò, vuo’ che fuggir si tenti
ond’io possa, tornata al patrio regno,
nuov’armi commuovendo e nuove genti
perturbar de’ nemici ogni disegno.
Non fian de la mia morte essi contenti,
non di Cesare fia pago lo sdegno
con la caduta mia». Quivi ella tace,
ne l’istesso timor già fatta audace.

72Quindi la nave in vèr la spiaggia achea
da gli egizi nocchier tosto fu mossa,
e la fortuna, che da lei pendea,
de l’amante con le tragge e la possa.
Pugnava altrove Antonio e fatta avea
del buon sangue roman l’onda già rossa,
e già cedeano al ferro, a le ferite
le squadre d’Occidente impaurite,

Antonio, titubante, decide infine di abbandonare il campo e seguire l’amata (73-80,4)

73quand’ecco egli si volge e lunge mira
di Cleopatra le fugaci vele;
impallidisce a l’or, freme e sospira
in un punto, e prorompe: «Ah tu, infedele?
Forse dove ne vai … » seguia, ma l’ira
interruppe la voce e le querele,
e gli fu in un momento il dubbio core
da lo sdegno assalito e da l’amore.

74Quindi rivolge con turbato ciglio
ne l’ondeggiante cor diverse voglie,
et or pallido in faccia et or vermiglio
mille pensieri in un pensiero accoglie,
e, vario di sembiante e di consiglio,
non si risolve ancora e non si toglie
da questo in tutto over da quel disegno
ove il tragge or l’amore et or lo sdegno.

75Poi dice: «E chi sarà ch’Antonio avvivi
se con la donna sua fugge la vita?
come potrò, s’io non son più tra i vivi,
a l’esercito mio porgere aita?
Meglio sarà che i legni fuggitivi
dov’è l’anima mia con lor partita
rapido segua». Al dir di tai parole
sdegna insieme e desia, vole e disvole.

76Poiché un altro pensier scorge e molesta
la già confusa e travagliata mente,
egli soggiunge: «Or se tu vai, chi resta
per difesa in tua vece a la tua gente?
Antonio ahi tu, tu lascerai deh questa
ch’oggi per te combatte oste possente?
e con essa avverrà che lasci insieme
de l’impero del mondo oggi la speme?».

77Tacque, e già rivolgea di sdegno ardente
contra il nemico stuol la destra irata
quando, il primo pensiero in lei sorgendo,
la risoluta mente è raffrenata:
«Poco fia che restando over fuggendo
o tu giovi o tu noccia a la tua armata,
ma ʼl restar peggio fia con loro oppresso,
nulla giovando a i tuoi nuoci a te stesso.

78Senza cor, qual speranza e quale aita
dal braccio tuo la gente amica aspetta?
senza l’idolo tuo, senza la vita
che giova a te s’è l’Asia a te soggetta?
Vadane pur di tanti imperi unita
l’immensa monarchia per me negletta
pur che a colei c’ha del mio cor l’impero
viver possa congiunto, altro non chero».

79Qui tacque, e qui d’abbandonar propose
de la gloria e del regno alfin la speme,
qui di partir, qui di seguir dispose
colei che fugge e seco il tragge insieme.
Tu dunque a lei, cui vaste, ambiziose
voglie il regnar sin a le sponde estreme
de l’Idaspe fu poco, or per costei
sprezzi l’impero e tesor, glorie e trofei?

80Dietro a le fuggitive egizie vele
d’Antonio indi i nocchier volgono il legno,
et ei seco tra via varie querele
ora d’amor rivolve et or di sdegno.
Ma colei che scoprì del suo fedeleAntonio è incerto se prendere vendetta dell’amata, alla fine decide di abbandonarsi nuovamente alla lussuria (80,5-85)
e conobbe la nave a i suoi dà segno
che cessin da la fuga, ed ecco arriva
l’agitato amator che la seguiva.

81Su ʼl legno de l’egizia Antonio asceso
di confuso color si muta in volto,
e da lo sdegno e dal rossore acceso
su la prora s’asside in sé raccolto,
e tra incerti pensier dubbio e sospeso
in un silenzio altissimo sepolto,
a la destra s’appoggia, e grave e tardo
lungi a la dona sua volge lo sguardo.

82Quindi tra sé dicea: – Che fai, che pensi,
Antonio? Ecco l’iniqua, ecco colei
che ti tradì: che indugi? Ah sì, conviensi
quella che t’involò d’Azio i trofei
crudelmente punire; infiammi i sensi
a la vendetta de gli oltraggi miei
de i danni miei l’aspra memoria. Ah dove
sei tu? che parli? o qual furor tu muove?

83Oserai tu ferir dunque, inumano,
quel molle seno un tempo a te sì caro?
Anzi d’Amor le leggi io non profano,
ella tradimmi, ond’io tradirla imparo:
sì sì dunque l’uccido. Oh core, oh mano
agghiacciate e tremate? Ahi qual preparo
mostro d’alta impietà? No no, sia estinto
lo sdegno da l’amore, Amore ha vinto -.

84Così non può da l’amoroso impaccio
liberarsi il guerrier, ma più tenace
gli annoda a l’ora indissolubil laccio
negli antichi legami il piè fugace.
Non ha sì duro, impenetrabil ghiaccio
nel Rodope nevoso il freddo trace
cha una scintilla sol di duo bei lumi
miracolo d’Amor non si consumi.

85Quindi a Tenaro poscia un tetto, un letto
raccolse ambo concordi, e ʼl primo ardore
vie più cocente a rinovàr nel petto
ch’intepidito avean ira e dolore.
E perché quivi il rimaner sospetto
rende a lor sì propinquo il vincitore
tosto partiro, e ne l’amico Faro
dal nemico furor si ricovraro.

Ottaviano consolida la vittoria facendo strage dell’esercito in rotta (86-89)

86Prosegue intanto Cesare vincente,
scorto dal ciel, de la vittoria il corso,
mentre d’Antonio la smarita gente
di capitano è priva e di soccorso.
Muoiono il Perso e l’Arabo egualmente,
l’un trafitto nel sen, l’altro nel dorso,
e con lor cade il fero trace, e insieme
de l’armata l’ardir cade e la speme.

87Quindi fuggendo ognun l’ira nemica
porge a i remi la man, la vela a i venti,
ma lice a pochi ne la spiaggia amica
di Cesare sottrarsi a l’ire ardenti.
Ben altri il ferro et altri s’affatica
le voraci evitar fiamme cocenti,
ma con orrido scempio infosca notte
gli uni e gli altri egualmente il mare inghiotte.

88I remi lacerati e i legni accesi,
l’arme sparse e i cadaveri vaganti,
le tronche membra e i dissipati arnesi
coprono le vermiglie onde fumanti.
Spoglia altri i morti, altri incatena i presi,
altri saetta i miseri notanti.
Già ne la strage spaventosa appare
sepolcro angusto a tanti regni il mare.

89L’altere insegne e le pompose veste
che colorì la porpora di Tiro,
i superbi cimier, le sopraveste
ch’ordì la Frigia e ricamò l’Assiro,
i vasi d’oro e l’armature inteste
di ricchi fregi i vincitor rapiro;
tante umane delizie in sì brev’ora
l’impeto militar strugge e divora.