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La Cleopatra

di Girolamo Graziani

Canto XI

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 26.03.15 14:22

ARGOMENTO
Cede la Grecia e l’Asia al vincitore,
ch’assedia la città reggia d’Egitto.
Fa con gli altri seguaci il traditore
Anafrodisio a Cesare tragitto.
Nel sepolcro real schiva il furore
d’Antonio Cleopatra, et egli afflitto
da la sua finta morte a sé da morte,
piange la bella donna il suo consorte.

Ottaviano riceve il tributo della Grecia e dell’Asia, quindi riorganizza l’esercito e si dirige verso Alessandria, dove Antonio si è trincerato con larghezza di mezzi (1-11)

1Così il regno del mare Augusto ottiene,
e tutto al suo valor cede et al fato,
e già su ʼl lido a riverir lui viene
il campo da Canidio abbandonato.
Mirò costui da le propinque arene
il navilio d’Antonio arso e fugato,
e ch’egli divenuto a sé infedele
le fugaci seguì feminee vele.

2Quinci disse tra sé: – De la sua gente
s’ei tradisce la fé, sprezza l’onore,
a che resister voglio inutilmente
contra l’impeto più del vincitore?
Biasmi la sua vil fuga ond’è perdente,
non me, ch’egli lasciò per fé l’amore,
il restare e ʼl pugnar senza speranza
è stolta pertinacia e non costanza -.

3Tal fugge il capitano, e abbandonate
cedon poscia le schiere a gl’inimici,
che gode rinovar l’onte passate
la sorte, e incrudelir ne gl’infelici.
Quindi portàr le riunite armate
nel paese vicin l’armi felici,
e di nuovo piantàr su i lidi achei
del trionfato Antonio alti trofei.

4Del formidabil campo a la fortuna
supplicante la Grecia e l’Asia cede,
che volar sin a dove ha il sol la cuna
del cesareo pennon l’aquila vede.
Ciò che di raro e di pregiato aduna,
ciò ch’a lei di famoso il ciel concede
tragge d’Augusto a la gran corte in dono
timida l’Asia ad impetrar perdono.

5Ricco di varie e di preziose spoglie
Cesare poi ritorna ove l’appella
su ʼl Tebro Agrippa, e lieta Italia accoglie
l’armi che soggiogàr l’Asia rubella.
L’oste vincente Augusto indi raccoglie
a l’apparir de la stagion novella,
e fa in Siria tragitto, ove s’arresta
per breve spazio e al guerreggiar s’appresta.

6Qui poscia, ristorato il campo invitto
da i passati disagi, il camin prende
vèr la città che reggia è de l’Egitto
e d’onde il fin de la vittoria pende.
Con le reliquie del naval conflitto
le mura d’Alessandria arma e difende
Antonio, e cautamente in forte sito
l’assalto de’ nemici aspetta ardito.

7Con severo decreto egli ha ridutti
da i remoti confin ne la cittade
provvidamente in larga copia i frutti
e le mature e necessarie biade.
Fuggon da i campi invano arsi e distrutti
gli abitator le peregrine spade,
e cercan ricoverarsi in altra parte
ove non gli molesti ira di Marte.

8Desolato l’Egitto arde e ruina,
caggion gli alti palagi inceneriti
et a le fiamme empio rigor destina
i verdi cedri e le feconde viti.
S’accampa la superba oste latina
intorno ad Alessandria e copre i liti
e de le tende numerose a l’ombra
non che l’Egitto sol l’Africa adombra.

9Stassi la chiusa assediata gente
con intrepido spirto a le difese,
e scorge da le torri il foco ardente
de le campagne e de le ville accese.
Da la rabbia nemica orribilmente
vede già spopolato il bel paese,
e divenute le delizie e gli orti
pascolo di destrier, tombe di morti.

10Lo spettacolo atroce e dispietato
svegliò nel cittadin giusto furore,
onde spesso nel vallo uscì sdegnato
tra i nemici a sfogar l’ira e ʼl dolore;
fu più volte così quivi pugnato
e f de la tenzon dubbio l’onore,
e de l’ausonia e de l’egizia plebe
rosseggiaro del par l’onde e le glebe.

11Come a l’ora che ʼl sol varca del pesce
nel celeste Ariete arida polve
con opposto soffiar confonde e mesce
il vento, e quinci e quindi aggira e volve,
così il timor la speme or scema or cresce,
e irresoluta il suo favor rivolve
la sorte a gli uni e a gli altri, ond’ora il campo
Antonio cede, et or d’Augusto il campo.

L’assedio è in stallo, ma Anafrodisio decide di boicottare la resistenza consegnando sé e le proprie truppe ad Ottaviano (12-22)

12E già lo stuol assalitor parea
dal lungo faticar stanco et afflitto,
e d’espugnar già disperato avea
de la cittate il difensore invitto
quando fortuna insidiosa e rea
la nuova pace invidiò d’Egitto,
e fabbro Anafrodisio elesse alfine
de la patria e d’Antonio a le ruine.

13Sazio costui di seguitar le parti
de l’assediato Antonio, e rivolgendo
ne l’animo fellon le solit’arti,
così poi risolvette, a sé dicendo:
– Mira d’Antonio omai fugati e sparti
i seguaci, e di lor ch’altri o cedendo
la pace ottien dal vincitor romano
o perde il regno e gli contrasta in vano.

14Del glorioso Augusto il nome adora
l’Asia divota, e gli s’inchina umile
l’ultim’Occaso e la remota aurora,
l’adusta Meroe e la nevosa Tile,
et Antonio non cede, et osa ancora
irritar combattendo il ferro ostile?
e spera anco con poca turba amica
vincer la numerosa oste nemica?

15Tempo fu già che tra ʼl cesareo stuolo
nel mar d’Ambracia egli pugnar dovea,
pur seguì Cleopatra, e lasciò solo
il campo suo mentre la pugna ardea;
or l’infiamma a vendetta inutil duolo
e di speme fallace il cor ricrea,
che chi de la fortuna il crin non stringe
ripigliarlo a sua voglia in van si finge.

16Ma siasi ei pertinace, et egli al fato
con temerario ardir folle contrasti,
altro vuol la tua patria, altro il tuo stato,
assai tu festi, assai per lui pugnasti;
tu nel rischio maggior l’hai seguitato,
per lui spargesti il sangue, or tanto basti,
più concesso non è, ché il ciel gli appresta
caduta irreparabile e funesta.

17Pur troppo arse d’intorno hai tu vedute
le ricche ville e le campagne amene,
e le superbe fabbriche abbattute
seppellite fra l’erbe e fra l’arene.
Oggi a le mura scosse e combattute
non riman di soccorso alcuna speme,
sì che alfine a le varie orride stragi
cederanno del ferro e de i disagi.

18E tu per conservar la regia sede
d’Egitto ad uom stranier vorrai che tutta
da le fiamme nemiche e da le prede
la tua misera patria or sia distrutta?
già violar le mogli e già si vede
ne l’oppressa città l’oste ridutta
far de’ teneri figli atroci scempi,
profanare i sepolcri, ardere i tempi,

19e fia che tu ʼl comporti? Ah no, procura
ch’Antonio ne la sua ruina estrema
la tua patria, il cui pianto egli non cura,
con eccidio commun non colga e prema?
Sinché piacque lassù già queste mura
difendesti ancor tu, né indegna tema
te da la lor difesa oggi ritira,
ma de gli dèi la formidabil ira.

20Non più a l’armi d’Augusto il ciel permette
che ripugni l’Egitto, e ne dà segno
d’alte sciagure orribili saette
scoccando ognor ne l’infelice regno.
Dunque non fia che neghittoso aspette
che scenda in te l’inevitabil sdegno,
e ch’Antonio cadendo oggi con esso
nel precipizio suo tragga te stesso.

21Tu se l’armi latine ora non puoi
ne le mura introdur da lui guardate,
tu fuggi a loro, e sia da te, da i tuoi
lasciata l’assalita egra cittate.
Priva così de i difensori poi
ch’ad Augusto si renda, e fia pietate
la tua fuga, il cui provido consiglio
torrà la patria dal vicin periglio -.

22Così discorre, e quei ch’egual desire
sa che possa eccitar trova e raguna,
e risolve con lor quinci seguire
del campo vincitor l’alta fortuna,
né già guari tardò che d’esequire
i disegni s’offerse ora opportuna,
poiché vari i pensieri e inaspettati
a i decreti del cielo aprono i fati.

Antonio tenta una sortita all’alba con cui risolvere la guerra, compie gesti meravigliosi ma è tradito da Anafrodisio e deve ritirarsi (23-31,4)

23Con repentina uscita Antonio altero
risolve d’assalir l’oste nemica:
«Di morte illustre o di felice impero
vi prepara l’onor breve fatica.
Quella non temerò, ma questo io spero
se ʼl cor v’infiammerà la gloria antica.
Andiam, ch’io vi precorro», in queste voci
accende a la tenzon l’alme feroci.

24Tremolante le luci e sciolta il crine
già la rosea d’amor stella languia,
e lagrime odorate e cristalline
da’ begli occhi spargea mentre moria;
con l’aurette soavi e mattutine
da l’indic’ocean già l’alba uscia,
e già fean biondeggiar l’ultim’Eoo
soffiando aliti d’oro Eto e Piroo,

25quand’a tergo lasciati i muri amici,
di magnanimo sdegno Antonio ardente,
co’ seguaci guerrier de gl’inimici
ne l’odiato vallo entrò repente.
Ben adempièr le guardie i loro uffici
et «A l’armi» gridaro, «Armi» altamente,
ma prima che ciascun l’armi prendesse
Antonio i primi e sonnacchiosi oppresse.

26Da la destra di lui cade Torquato
e dal fianco mancin l’anima spande,
la via nel collo di Pompeo svenato
il ferro omicidial s’apre a duo bande,
dal suo destriero infranto e calpestato
geme Clodio il superbo, Alcone il grande:
costui d’un urto e quei d’un colpo atterra,
et ambi nel morir mordon la terra.

27Fiede nel tergo il fuggitivo Oronte,
dal cui petto vermiglio esce la spada,
che poi calando a Teodosio in fronte
si fa tra un ciglio e l’altro ampia la strada.
Cavalli e cavallier getta in un monte
e le schiere più folte apre e dirada,
già tra lo stuol ch’estinto a piè gli langue
sembra scoglio di ferro in mar di sangue.

28Seminato di corpi e d’armi sparte
il combattuto vallo omai parea,
e l’orrida tenzone il fero Marte
con incerto favor dubbio scorrea
quand’il fellone, il qual seguito ad arte
co’ suoi ne la battaglia Antonio avea,
ricoverò con le fugaci schiere
del vincitor nemico a le bandiere.

29Né fra le stragi Antonio e i rischi involto
de l’egizia perfidia unqua s’accorse
sin che alfin rivolgendo adietro il volto
ne l’esercito ostil solo si scorse.
Non tigre a cui dal cacciator sia tolto
il picciol figlio, non cinghial cui morse
mastin brittanno, e non leon piagato
pareggiano il furor d’Antonio irato.

30Quinci ei grida: «Ecco là chi stabilio
le speranze d’Ottavio! A che permetto
che si rida il fellon del danno mio?
ché non gli fiedo e non gli squarcio il petto?
Mi paghi il traditor co ʼl sangue il fio
de l’infame sua fuga, a che più aspetto?
Già gli sbrano le membra, e già gli svello
da l’esecrabil seno il cor ribello».

31Tace, e stringe la spada e ʼl destrier punge,
e correr vuole infra ʼl nemico stuolo
contra il fellon, che teme anco da lunge
benché fra cento schiere Antonio solo.
Ma lo ritien quel che già il cor gli pungePer via della gelosia incolpa Cleopatra del tradimento e ritorna furioso in città per prendere la sua vendetta (31,5-35)
inquieto pensier con maggior duolo,
mentre in rabbia converte et in furore
amara gelosia l’antico amore:

32«De l’altrui frodi esecutor primiero
tu a l’insegne nemiche ir fai tragitto,
non de l’indegna tua fuga il pensiero
ma de l’empia e infedel donna d’Egitto.
Ella superba et avida d’impero
sdegna l’amante suo rotto e sconfitto,
e l’umil sua fortuna oggi aborrita
in tal guisa al suo amor Cesare invita.

33Ma soffrirò che de’ novelli amplessi
il tradimento suo sia il prezzo ingiusto?
Soffrirò di mirar ch’ella s’appresi
a lusingar del vincitore il giusto?
io gli amorosi lor lieti successi
vagheggerò, d’aspre catene onusto?
vedrò ne le lor gioie i danni miei
e le vergogne mie ne’ lor trofei?

34Ah non godrà de la sciagura mia
la scelerata donna ingannatrice.
In van co ʼl nuovo amante ella desia
traggere a scorno mio vita felice:
preverrò i suoi disegni, e cadrà pria,
lacera il sen da la mia destra ultrice,
ch’ella prigion mi scherna e che sia tocca
da la destra d’Ottavio e da la bocca».

35Sì parla, e da la rabbia indi agitato
parte, e ʼl destrier precipitoso gira
verso le mura, avendo già lasciato
il fren del suo voler libero a l’ira.
Già da l’interne sue furie portato
di qua, di là nella città s’aggira,
e Cleopatra accusa e in torva faccia
sanguinosa vendetta a lei minaccia.

Cleopatra finge di essersi uccisa, Antonio sapendola morta si apre il fianco (36-55)

36Qual se da l’Appennin gonfio torrente
scende improviso e le campagne inonda,
e le selve e le gregge orribilmente
svelle e rapisce, e i seminati affonda,
sovra il colle vicin mira dolente
il timido pastor la torbid’onda,
né sa dove si volga e in altro canto
vede nuotar le sue speranze intanto,

37tale a l’aspra novella essangue e muta
resta la donna, e tacito timore
sospettosa la rende e irresoluta,
e con vari pensier le agita il core.
Stimolata è la mente e combattuta
da la tema, dal duolo e da l’amore;
fuggir l’impeto prima alfin risolve
et al regio sepolcro il piè rivolve.

38Superbissima mole edificata
quasi rocca sublime i Tolomei
per lor sepolcro avieno, effigiata
de le vittorie lor, de’ lor trofei.
L’Etiopia colà scorsa e predata,
qui gli Assiri domati, ivi i Caldei,
ciò che di grande oprato avean con l’armi
scolpito si vedea ne i ricchi carmi.

39I’ ricovra l’egizia, indi l’accorta
Irene invia dove il cruccioso amante
freme a i suoi danni, et essa afflitta e smorta
quale il tempo chiedea gli giunge inante,
poi flebile dice: «E pur, signore, è morta,
è morta, ahi che non ho voce bastante
al duro annunzio, ahi Cleopatra, ahi cara,
è morta Cleopatra, ahi morte amara.

40S’uccise la tua cara, ahi la tua bella
donna, è spento il tuo sol, la nostra spene».
Così parla, e così la ria novella
dipinge al cavalier l’astuta Irene.
Egli tremò, perdé moto e favella,
sudò la fronte et agghiacciàr le vene,
l’anima non fuggì dal mesto core
ché l’ali le tarpò l’alto dolore.

41Più non chiede, non pensa e più non mira,
ma presta a gli altrui detti intera fede,
poiché in esso il discorso adombra l’ira,
a cui la meraviglia e ʼl dolor cede.
Qual rotto il fren per vie scoscese gira
indomito destrier libero il piede,
tale il furor de la ragion l’impero
schernito in sua balia tragge il guerriero.

42Da la rabbia fatal quindi sospinto
del palagio real le più remote
stanze penetra, e già disciolto e scinto
l’usbergo e ʼl brando, al suo fedele Erote
frettoloso li porge. «E pur m’hai vinto,
Cleopatra?» gridando il ciel percote,
«m’hai vinto, e cederà di spirto invitto
guerrier romano a femina d’Egitto?

43Tu nascesti reina, e tu co ʼl sangue
l’animo regio ereditasti insieme;
qual vivesti moristi, in te non langue
de l’antico valor l’inclito seme.
Non ti piango io ma ben t’invidio esangue
or che delusa hai la nemica speme
d’esporti altrui fra le sue spoglie opime
del superbo Tarpeo su l’alte cime.

44Et io rimango? e forse Antonio fia
preda d’Ottavio? e ʼl Tebro, il Tebro istesso
che mi vede partir la monarchia
e dominare e trionfar con esso
fa spettator de la vergogna mia?
et alfin mi vedrà vinto e depresso
fra i priogniero egizi accrescer gloria
del trionfo d’Ottavio a la memoria?

45Ah non fia ver, non chiuda il viver mio
splendido e glorioso indegno fine.
Son vinto, al ciel sì piacque, a che viv’io?
forse per contemplar le mie ruine?
Quella ond’io solo un tempo ebbi desio
di viver per amarla è morta al fine,
svenami, Erote: inutilmente io vivo
or che di lei per cui vivea son privo»,

46disse, e così ne le sue cure immerso
da l’altrui destra il colpo estremo attende.
Stupido intanto Erote e in sé converso
tra gl’incerti pensier vario contende.
Qual di Zeffiro e d’Euro al fiato avverso
i volubili flutti il mar sospende,
tal dubbio sta mentre gli scote il core
fede, vergogna, ubbidienza, amore.

47Quinci parla tra sé: – Tu servo ingrato
sarai del tuo signor dunque omicida?
o schernirai chi ne l’estremo stato
la sua fortuna a la tua fé confida?
vuoi ch’ucciso ei rimanga o abbandonato?
sarà la man spietata o pure infida?
che fai, misero Erote et infelice,
deh, che s’aborri l’un, l’altro non lice?

48Farò quel che ʼl destino o ʼl mio desire
mi detta, io morirò; la morte mia
sì m’aprirà con generoso ardire
dal carcere noioso ampia la via.
Fia ch’ad onta di morte il mio morire
d’una fama immortal vita mi sia.
A che tardar? Su m’offra il ferro infausto
a la vita d’Antonio alto olocausto -.

49Ne l’intimo del cor, poich’ebbe detto
in questa guisa, e tai ragion discorse,
ancor fumante e rosso al proprio petto
del sangue de’ nemici il ferro tòrse,
e perch’altri credea che desse effetto
al commando di lui non puote opporse
alcuno al colpo e trattener la spada,
che dal petto a le spalle aprì la strada.

50Esce per ʼl doppio varco il ferro e ʼl sangue
e ʼl sen gli bagna e ʼl tergo un doppio rivo,
quindi lo spirto infievolisce e langue
e di senso e di vita ei resta privo.
Tale Erote moristi, e pure esangue
ti vedrà il mondo eternamente vivo,
vivesti ignoto e servo, amica sorte
e gloria e libertà ti diede in morte.

51Del servo estinto il cavalier sospeso
ammira l’opra, e poiché lo stupore
onde immobil restando ei fu sospeso
al discorso diè luogo et al dolore,
proruppe alfin, di nobil ira acceso:
«Cos’, Erote, precorri il tuo signore?
e così del morir la via m’insegni
e con orme di sangue a me la segni?».

52Qui tacque, e ʼl ferro tiepido e stillante
trasse del suo fedel dal petto e disse:
«Non tardi ad osservar sorte incostante
le vicende che ʼl cielo a lei prefisse.
Quel ferro onde gli dèi vollero innante
che ʼl sentier de la gloria a me s’aprisse
m’apra il varco a la morte e mi discioglia
dal sen lo spirto e l’amorosa doglia.

53Tu, de la mia diletta alma bennata,
che forse qui d’intorno or ti raggiri,
e con qualche pietà cortese e grata
le mie querele ascolti e ʼl pianto miri,
raccogli o me, che troveran beata
in te la morte istessa i miei desiri.
Teco già vissi, et è ragione ancora,
o mia morte vital, che teco io mora».

54Tacque ciò detto, e poi nel lato manco
il ferro immerse, che dal destro uscìo;
sgorgò da l’uno e l’altro aperto fianco
qual da gemino fonte il sangue un rio.
Lo sguardo intorbidì, tutto d’un bianco
pallor s’aperse il volto, il piè languio.
Da l’angoscia mortal quindi anelante
sovra il letto vicin cadde tremante.

55Per le piume sanguigne ei si raggira
dal suo furor, dal suo dolor portato,
ne le gelide vene avvampa l’ira
e grida ne l’indugio essacerbato:
«Ahi pigra morte, Antonio ancor respira?
che del morir gli vieta il fin bramato?
Uccidetemi voi, ch’a l’odiosa
mia vita è troppo ogni pietà dannosa».

Gli giunge notizia che l’amata non è morta, si fa portare da lei e spira tra le sue braccia (56-72)

56Mentre così languia trascorre intanto
del nuovo e miserabile accidente
per la città smarrita in ogni canto
e giunge a Cleopatra il suo repente.
Il soverchio dolor s’indura in pianto
e la necessità ne l’egra mente
rinforzando il vigor nel suo periglio
porge quel che può dar pronto consiglio.

57Messaggiero fedel, quinci gl’invia
Diomede, che, giunto ove sen giace
il ferito guerrier, scopre che sia
de la morta reina il suon mendace.
Rinvigorita al virtù natia,
ne l’esangue latin spirto vivace
infuse, ond’ei l’egizio intento mira
con occhio più tranquillo, indi sospira.

58Con languido parlare alfin soggiunge:
«Dunque non è perduto il mio tesoro?
tu vivi, Cleopatra, e da te lunge
da te dunque mio sol, mia vita, io moro?
chi mi divide il cor? chi mi disgiunge
da la beltà, da l’idolo ch’adoro?
Su portatemi a lei, che dolce almeno
la morte proverò nel suo bel seno».

59Tacque, e i servi pietosi il nobil peso
su catenate man tosto posaro,
e giunti al gran sepolcro ivi sospeso
a rozza fune il cavalier lasciaro.
Così quel che ʼl fredd’Istro e ʼl Gange acceso
quei che l’Atlante e ʼl Caucaso inchinaro
giace miseramente, e da vil fune
pende e misura sol le sue fortune.

60Pe ʼl varco ond’al sepolcro il sol dà luce
intanto Cleopatra egra e smarrita
al canape sospeso il caro duce
ne la mole a introdur l’ancelle aita.
Il sostiene, il riceve, indi l’adduce
su ʼl letto, e in rimirar l’ampia ferita
che ʼl seno e ʼl tergo apria dal duolo atroce
oppressa in un ohimè rompe la voce.

61Non disse più, ma fe’ ritorno al core
l’interrotta favella, e trasse intanto
da l’interno del sen l’alto dolore
ne le torbide luci amaro il pianti.
Come poscia infiammolla il suo furore,
squarciò i superbi fregi e ʼl ricco manti,
indi le mani ingiuriose mosse
a lacerar le chiome, e ʼl sen percosse.

62Poi segue, e piagne: «Antonio, Antonio or dunque
sono i diletti, ohimè, sono i trofei
che ne promise Amor? tanto funesti
sono i teneri già lieti imenei?
a che, Parca crudel, non recidesti
già lo stame vital de’ giorni miei
s’esser doveva in sì spietata guisa
due volte dal mio cor l’alma divisa?

63Ahi dove son le fide armate schiere
che intorno ti cingean del campo amico?
ove sono gli arredi e le bandiere,
ove le spoglie tolte a l’inimico?
Ma lassa, ohimè, de le tue pompe altere
i lagrimosi vanti a che ridico?
a che del tuo poter, de la tua gloria
l’infelice rinovo aspra memoria?

64Pur tu da le procelle al porto arrivi,
bersaglio o resto a l’inimico orgoglio,
misera, et andrò dunque infra i cattivi
nel trionfo d’Ottavio in Campidoglio?
meco di libertà, di regno privi
inaspriranno i figli il mio cordoglio?
e vedrò la real stirpe d’Egitto
mendicar dal latin povero vitto?

65E tu mi lasci, Antonio? e soffrirai
ch’a sì acerbi dolor sola rimagna?
Teco vissi e godei, teco regnai,
ne le sciagure e ne i piacer compagna,
or che tu da me parti, ohimè, vorrai
ch’io resti e fra i ceppi indarno io piagna
la morte tua, la servitù de i figli?
Ah crudel se ʼl permetti e se ʼl consigli».

66Qui dà fine al parlar, rinova il pianto,
che le vieta narrare i suoi martiri,
e di nuovo stracciando il crine e ʼl manto
empie il ciel di singulti e di sospiri.
De gli occhi gravi Antonio innalza intanto
indi serena i nubilosi giri,
e con la voce debile e tremante
così ragiona a la dogliosa amante:

67«Se gradisti, o mia cara, unqua il mio amore,
per quei dolci riposi ond’io contento
vissi nel tuo bel sen, tempra il dolore,
ché le mie pene accresce il tuo lamento.
A le querele tue fassi maggiore
quasi fiamma a nuov’esca il mio tormento;
cessa, cessa o mio ben, poiché in me stesso
de le lagrime tue provo il riflesso.

68O gran donna real, com’a te pare
non misera e infelice è la mia sorte:
fur le tue braccia in vita a me sì care,
fra le tue care braccia io spiro in morte.
Qual può tra i suoi maggior Roma vantare
che sia di gloria eguale a me consorte?
chi fia ch’agguagli tra i latini eroi
le filippiche palme, i lauri eoi?

69Sta prefisso a ciascuno il dì fatale
e irreparabil fugge il tempo alato,
ma con l’opre acquistar fama immortale
son glorie onde virtù supera il fato.
A i pregi de la vita aggiungo eguale
de la morte l’onor, né trionfato
altri ha di me, che si può dir ch’oppresso
abbia il valor d’Antonio Antonio istesso.

70Vivi dunque pur tu, che parte sei
de la mia vita, e per cui sol desio
che non avesser fine i giorni miei
per adorarti sempre, idolo mio.
A bastanza godemmo, i miei trofei
non fia che mai consumi invid’oblio.
Quai piacer non provammo? Ah che non lice
lungamente quaggiù viver felice!

71I nostri figli è di nudrir tua cura
e impetrar lor dal vincitore il regno,
che questi, or che la morte a te mi fura,
ti lascio del mio amor reliquia e pegno.
Ma quando ancor per tua fatal sciagura
serbi Cesare in te l’antico sdegno,
rimembra chi tu sei, fa che si dica
ch’Antonio con ragion t’elesse amica».

72Queste a fatica esprime ultime note,
ché penetra le vene un freddo gelo,
offusca gli occhi, di splendor gli scote
con tenebre mortali orrido velo.
Pallidi i labbri e concave le gote
rauche le fauci e divien irto il pelo.
«Antonio, Antonio, e tu moristi alfine
e di tanti piacer fu questo il fine?».

Cleopatra tenta di uccidersi ma sviene (73-79)

73Quale in mirar la saettata prole
da la sacra infallibile faretra
restò colei che ingiuriò del sole
la bella genitrice immobil pietra,
tal priva a l’or di moto e di parole
mirando il suo fedel l’egizia impetra,
e fissa in lui con gli occhi avida sugge
da le ferite sue l’alma che fugge.

74Poi dice: «E m’abbandonasti? e in questa guisa
le promesse m’osservi, infido amante?
tu da me lungi, io son da te divisa?
Oh vani giuramenti, oh se incostante
vuoi che in me prigioniera, in me derisa
de’ nostri scorni il vincitor si vante?
Ben ti servii, ben t’ubbidii nel resto,
perdona or tu s’io ti ripugno in questo.

75Troppo fosti in te crudo, e troppo in vano
or sei pietoso in chi pietà non prezza.
Se m’amasti amerai che la mia mano
sdegni i nodi servili, a scettri avvezza.
Fuor che la morte ogni consiglio è vano,
non può né de’, non vuo’ che la bellezza
qual siasi appo il latin m’impetri aita,
che suo dono e te morto odio la vita.

76Morrò; voi del mio amor, de la mia sorte,
infelici reliquie, infausti pegni,
miseri figli, io dunque espongo in morte
de l’inimica Ottavia a i feri sdegni?
chi fia ch’aita e che favor v’apporte
per ottener gli ereditari regni?
Ma che pro, Cleopatra? ancor aspiri
d’innoltrar nel futuro i tuoi desiri?

77Cura tu la tua sorte, il ciel proveggia
a la speme de’ figli, o che prometta
o che nieghi d’Egitto a lor la reggia,
al fato, non a te, l’opra s’aspetta.
In van tu vivi ove morir si deggia;
a che indugiar? Forse la vita alletta
de la morte l’orror; se vòi salute
devi eleggere o morte o servitute.

78La morte eleggo. Intanto voi cessate,
lagrime vane, inutili querele.
A dio mura, a dio sole, a dio; restate,
figli, figli io vi lascio, oh me crudele.
Vi lascio, e fra l’elisie ombre beate
già ti sieguo e t’abbraccio o mio fedele.
Tu scorgi il ferro e prendi tu la mia
anima, che già sciolta a te s’invia».

79Tacque, e al ferro stendea la destra audace
spinta dal suo furor quando improviso,
al dolore, a l’orror poco capace,
il cor disviene, impallidisce il viso.
L’ancelle a l’or lo spirito fugace
che già seguia quel de l’amante ucciso
chiamàr con vari uffici al freddo seno;
oh di gloria mortal lieve baleno!