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La Cleopatra

di Girolamo Graziani

Canto XII

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 27.03.15 12:23

ARGOMENTO
Cleopatra d’Augusto è prigioniera,
a l’afflitta cittade e supplicante
perdona il vincitore, e in pompa altera
v’entra con l’oste invitta e trionfante.
Ottien l’egizia con real maniera
erger nobil sepolcro al morto amante;
il cadavero amato indi accompagna
a la gran tomba, e sovra lui si lagna.

Proculeio, su mandato di Ottaviano, prende in consegna Cleopatra, rassicurandola con false promesse (1-14)

1Vola intanto la fama ove attendato
cinge a l’egra città Cesare invitto,
e gli racconta il miserabil fato
de l’infelice difensor d’Egitto.
Mostra nel grave annunzio addolorato
il sembiante già lieto Augusto afflitto,
e del morto guerrier co ʼl pianto ancora
gl’infausti casi e la memoria onora.

2Poiché adempiti ha di pietà gli uffici
chiama a sé Proculeio, e gli favella:
«A te de l’alta impresa i cieli amici
serbàr, degna di te, l’opra più bella:
Cleopatra, de’ popoli nemici
sola speme, rinchiude angusta cella,
vuo’ se la rendi in mio poter cattiva
che la nostra vittoria a te s’ascriva».

3Qui soggiunge e discorre il loco e i modi
ch’egli stima opportuni al suo pensiero.
Stupido a l’or de le promesse lodi
prende la cura e parte il cavaliero,
e volge in sé con quai secure frodi
possa esequir del suo signor l’impero;
giunge al regio sepolcro e lo rigira
e la forma e le mura intento mira.

4Qual famelico lupo insidiando
ne l’atra notte o per la nebbia oscura
l’ovil circonda, et ogni via tentando
la chiusa gregia penetrar procura,
tal Proculeio intorno il piè girando
de la mole real l’eccelse mura
osserva, e di salir ne la magione
pe ʼl varco ond’ha la luce alfin dispone.

5Su la soglia riman di pronto ingegno
uom lusinghiero e scaltro, il quale a bada
la reina trattenga al suo disegno
sinch’egli inaspettato apra la strada.
Così mentre costei lo scettro e ʼl regno
chiede per sé da la natia contrada
e quei nutre il suo affetto e la sospende,
con duo servi il guerrier la mole ascende.

6Cala quindi furtivo ove sospesa
l’egizia a le lusinghe altrui dimora,
ma l’ode una donzella, et «Ohimè, presa
sei da l’empio roman» prorompe a l’ora.
De l’acerba novella al suono offesa
trema la donna, e gelida s’accora;
pur si scote e si volge, e a sé vicino
scorge de’ servi il cavalier latino.

7Dal timor, dal dolor già fatta ardita,
volta nel proprio sen ferro pungente,
poiché spirto gentil sprezza la vita
e pria al morir ch’a la viltà consente,
ma v’accorre il guerriero, onde impedita
la man da l’opra, ella riman dolente.
Con amiche parole indi l’esorta
Proculeio a la speme e la conforta.

8A che diss’ei: «De la pietà d’Augusto
sola i frutti goder nieghi, o reina,
cui da la Scizia a l’Etiopo adusto
con divoto stupore il mondo inchina?
temi forse che in lui desire ingiusto
s’annidi, e ʼl persuada a tua ruina?
ah non conosci ancor l’animo grande
che sì chiaro e famoso il grido spande?

9Uopo ei non ha che al suo potente impero
aggiunga il regno tuo nuovi tesori
che pro duchino a lui del Nilo altero
feconda messe i preziosi umori,
a lui, che tutte ha d’India e de l’Ibero
tributarie felici e gemme et ori,
et a cui ne la tomba e ne le fasce
il sol sempre soggetto o more o nasce.

10Non ha già di macigno o di diamante
Augusto intorno al core aspra difesa,
onde a la tua beltà renderlo amante
non abbia a riuscir leggiera impresa:
a i dolci sguardi, al placido sembiante
sarà del mio signor l’anima accesa,
vinta trionferai del vincitore,
ne la sorte minor fatta maggiore.

11Vivi al regno et a i figli, io ti scongiuro
per Giove istesso e per gli dèi penati.
Saranno a te per Isi tua, lo giuro
del patrio Nilo i popoli donati,
né me folle stimar se del futuro
con audace presagio entro ne i fati,
che da la tua beltà, cui tutto cede,
calcata di Quirin veggo la sede».

12Così ragiona, e in simil guisa alletta
al donna a nuova speme; ella, fingendo,
a l’avverso destin cede e, costretta,
s’acheta a i detti, il suo dolor premendo.
Quinci lieto il guerrier partissi, e in fretta
al padiglion d’Augusto il piè volgendo
a lui giunto narrò come già sia
la reina del Faro in sua balia.

13Gli applaude Augusto, che ʼl trionfo aspira
de la bella onorar vinta reina,
e che in tal guisa stabilito mira
lo scettro egizio a la virtù latina.
Così del ciel l’inevitabil ira
s’armò di Cleopatra a la ruina,
e in un giorno così la donna altera
fu veduta reina e prigioniera.

14Ne la reggia è l’albergo indi apprestato
a la donna real conveniente,
e con gelosa cura è qui vietato
il modo onde s’uccida la dolente.
Tranne ciò, del suo regio antico stato
tutt’altro Augusto al suo desio consente.
Odiosa virtù, pietà superba,
che togliendo a la morte a i lacci serba!

Augusto riceve la resa della città, acconsente a una resa pacifica (15-29,4)

15Son quinci a riverire il vincitore
da i cittadini ambasciatori eletti,
de’ quai fia cura al militar furore
sottrar con le preghiere i patri tetti.
Cambise, che primiero ottien l’onore
d’alto savere e di facondi detti,
deve l’ira placar del campo invitto
e impetrar pace a la città d’Egitto.

16Questi n’andato a i padiglioni e foro
introdotti ove alberga il sommo duce,
cui ritrovàr che ricca seggia d’oro
preme e di fina porpora riluce.
Ne la fronte real splende al decoro
mista d’affabilità placida luce,
né in lui scorger si può maniera alcuna
che lo rende minor di sua fortuna.

17L’altera man, che da l’estremo Eufrate
a l’atlantico mar dà leggi al mondo,
bacian gli Egizi, e con parole ornate
così ragiona il messaggier facondo:
«Signore, al cui valor de le domate
provincie la gran mole è lieve pondo,
e degno sol cui soggiacer non sdegni
la famosa città reggia de i regni,

18l’espugnata Alessandria oggi per noi
a te ricorre, e supplicante implora
quella pietate onde a i remoti Eoi
da l’aureo Tago il nome tuo s’onora.
Già mira ella rivolte a i danni suoi
l’armi vittoriose, e già deplora
sottoposti a l’ingiurie et a i perigli,
de le fiamme e del ferro i cari figli.

19Cadranno, ove tu ʼl vuoi, gli ampi edifici
sepolti ne le proprie alte ruine,
arderan la città le fiamme ultrici,
tutta ingombra di stragi e di rapine,
de l’egizie vedrai spoglie infelici
l’altere insuperbir tende latine,
e de’ nostri tesor con larga mano
far ricca pompa il vincitor romano,

20ma tu dunque, signor, tu che domasti
il nemico Oriente e ʼl mezzo giorno,
che sì nobil trofeo d’Antonio alzasti
che non può fargli il tempo oltraggio e scorno,
hai d’aggiunger bisogno a quei gran fasti
ond’è il tuo nome immoralmente adorno
de le nostre ruine il flebil vanto?
il trionfo crudel del nostro pianto?

21Né dica alcun che non desio d’onore
ma sol per vendicar l’ingiurie andate
ti spinge a desolar giusto rigore
le pertinaci mura et ostinate,
ché l’esercito tuo co ʼl suo valore
ha le nostre ricchezze oggi acquistate,
che son de’ vincitori a le fatiche
dovuto guiderdon spoglie nemiche.

22Esser non deve a nostro fallo ascritto
se ricusammo essere a te soggetti,
ch’ove manca il voler non è dilitto,
e pur noi fummo a ripugnar costretti,
poiché le rocche e le città d’Egitto
munite avea co’ suoi guerrieri eletti
Antonio, e non potea trovarsi alcuno
da sottrarsi da lui modo opportuno.

23Ben vedesti, signor, quando s’offerse
la fortuna benigna a i nostri voti
che tosto il varco a la tua gloria aperse
Anafrodisio, e gli altri a te divoti.
Di ciò ch’a forza la città sofferse
dunque giusto non è ch’altri la noti:
involontario errore o non riceve
nome di colpa o pur la colpa è lieve.

24E quando pur, ch’io no ʼl concedo, avesse
la città provocato il tuo disdegno,
onde a ragion per tuo voler cadesse
de l’ira militar ludibrio e segno,
né men devrieno esser da te concesse
le delizie e i tesor del nostro regno
in preda a i tuoi guerrier, ch’indi arricchiti
diverriano più molli e meno arditi.

25Fra i piaceri e fra i lussi effeminate
le vincitrici bellicose schiere
de l’oppressa da lor vinta cittate
sdegneranno seguir le tue bandiere.
De’ ricchi arredi e le mura aurate
vorranno il dolce acquisto indi godere,
aborriran fra rischi e dure notti
soffrir lungo digiun, sonni interrotti.

26Meglio sarà che tu, signor, conceda
al nostro error, s’è pure errore in noi,
il bramato perdon, né lasci in preda
la città supplicante a i guerrier tuoi.
Quinci il gran Nilo, ove per te si veda,
conserva la reggia e i figli suoi,
lieto celebrerà da sette foci
la tua immensa pietà con sette voci.

27Risorgano da l’erbe e da l’arene
gli abbattuti palagi e i sacri tempi,
e di nuovo con lor le piagge amene
siano di tua clemenza illustri esempi.
Le campagne d’Egitto orride scene
di funesti sin or tragici eventi
mutino omai sembianza, e a i lidi nostri
il seren de la pace il ciel dimostri».

28Qui fine al suo parlar Cambise impose,
et inchinò con gli altri il sommo duce,
che brevemente a i preghi suoi rispose,
acceso in volto di celeste luce:
«Tacciasi omai de le passate cose
ciò che l’Egitto in sua difesa adduce.
Siasi grazia o giustizia, io più non chiedo,
e ʼl perdon supplicato a voi concedo».

29Così disse, e a gli Egizi un lieto pianto
per dolcezza da gli occhi a l’or cadette.
Bacia d’Augusto indi le mani e ʼl manto
Cambise, e fido omaggio a lui promette.
Da la luce del sol percossa intantoAugusto celebra il proprio trionfo ad Alessandria (29,5-44)
ne l’atlantico mar l’onda riflette
il vicin raggio, e al portator del lume
apparecchia nel sen letto di spume.

30Quinci, tolto gli egizi ambasciatori
congedo, a la città fanno ritorno,
dove tosto che ʼl sol gli aurei splendori
comparta al mondo e riconduca il giorno,
risoluto ha d’entrar co’ vincitori
in pompa trionfal Cesare adorno;
i più ricchi e superbi arredi a gara
l’esercito latin dunque prepara.

31Destata già la sonnacchiosa aurora,
il geloso Titone abbandonato,
dietro la scorta de la placid’òra
risorge a riveder Cefalo amato;
la bella dea con armonia canora
accompagna d’augei corteggio alato,
quasi chieggan da lei con dolci accenti
ch’apra l’uscio del cielo a i rai nascenti,

32quando, tosto ch’apparve il sol ne l’Orto
dal riposo invitando a la fatica,
al par del nuovo dì Cesare sorto
i duci ragunò de l’oste amica.
Già la cittate a i lieti gridi e ʼl porto
suona, e del mar vicin la spiaggia aprica,
mentre con regia, sontuosa festa
il vincitor la nobil pompa appresta.

33Così appunto lo stuol de i naviganti
che lasciò de la patria il dolce nido
e fra i nembi e fra i turbini sonanti
scorse lunga stagione il mare infido
quando già vinte le procelle erranti
rivede al fine il conosciuto lido,
con le voci saluta alte e festive
i cari amici e le bramate rive.

34Vengono prima, in ordine distinte,
tolte al nemico stuol varie bandiere,
ove de’ duci e de le genti estinte
descritte si vedean l’imprese altere.
Qui l’opre e le memorie eran dipinte
de le già rotte e debellate schiere,
e qui dopo l’insegne eran portate
aste, spade, cimier, scudi e celate.

35Ornamenti caldei, seriche veste,
i tesori de’ Lidi e de’ Fenici
seguiano, e d’eritree gemme conteste
spoglie di Persi e d’Arabi Felici.
Qui di cuoio ferin le sopraveste
de gli Armeni, de i Medi e de’ Cilici,
le ricchezze son qui de l’Etiopo,
le delizie d’Assiria e di Canopo.

36I tiranni di Libia e d’Asia i regi
passano a coppia a coppia incatenati
in lunga schiera, e per maggior dispregi
son d’oro le catene, i ceppi aurato.
Quanti o di sangue o di valore egregi
avea il nemico esercito ammirati,
per sua gloria maggior quivi distinti
da la plebe traea Cesare avvinti.

37Giungon gli ambasciatori, e dietro a loro
vengon quei che divoti ampio tributo
traean de l’Oriente o d’armo o d’oro
da i vinti regni al vincitor dovuto.
In ordinanza segue appo costoro
il glorioso esercito temuto,
et altrui rappresenta in vario oggetto
apparato d’orrore e di diletto.

38De’ popoli feroci e minaccianti
nati al sangue, ai disagi et a le prede,
miran gli Egizi attoniti i sembianti,
onde la fama a la presenza cede.
Vanno in più squadre i cavalieri inanti,
segue distinta la milizia a piede,
ammira ognun de le romane schiere
fregi, imprese, colori, armi e bandiere.

39Ultime de la pompa alfin seguia
il nobil carro ov’era Augusto assiso.
Argeo, che pareggiar natura ardia,
con l’arte di figure avealo inciso.
A la tromba fatal qui si scopria
moversi il mondo tutto in sé diviso,
l’Europa Augusto e quivi ubbidiente
guida Antonio il merigge e l’Oriente.

40Traggon ne l’azio sen l’onte e gli sdegni
a la pugna naval l’armi latine.
Già vede urtarsi et assalirsi i legni
e le stragi e gl’incendi e le rapine.
Vedi porporeggiar gli ondosi regni
mentre de la tenzon dubbioso è il fine.
Ciò che dal ferro e che da l’onda fugge
l’avida fiamma incenerisce e strugge.

41Ecco poi ch’abbandona il suo fedele
timida Cleopatra, ond’egli insieme
a l’esercito suo fatto infedele
del regno e de l’onor lascia la speme.
Antonio segue le fugaci vele
mentre Augusto i suoi legni altrove preme,
e ne consegue alfin chiara vittoria.
Questa impressa nel carro era l’istoria.

42Mobili torri et animati monti
la gran mole traien quattro elefanti,
nati là dove il Nilo ha le sue fonti
da l’emule del mare acque stagnanti.
Gli irsuti dorsi e l’elevate fronti
ricama, e coprian barde sonanti
di mille funi seriche e di mille
cadenti fiocchi e tremolanti squille.

43Sovra il carro real sorge la sede,
e d’adamanti e di piropi aspersa,
ove Augusto riposa, e d’onde vede
la curiosa turba in lui conversa.
Da gli omeri lo copre insino al piede
di preziosi fregi e d’or conspersa
con industria gentil sidonia vesta,
da man fenice di fin oro intesta.

44Così Cesare passa, e riverente
la peregrina pompa il vulgo ammira,
qui di teneri fior pioggia cadente
soavissim’odor placida spira.
Di grati suoni a l’armonia ridente
ivi ogni mesto cor lieto respira,
vari di varie spoglie opimi e carchi
gli obelischi sorgean, le statue e gli archi.

Augusto concede di celebrare i funerali di Antonio (45-50)

45Tal giunge e posa entro la regia sede
Augusto, indi l’egizia al corpo amato
di dar qual si conviene a lui richiede
sontuoso sepolcro et onorato.
Nuove promesse aggiugne, e le concede
tutto ciò che desia, cortese e grato
il vincitore, onde il femineo ingegno
nuova gloria si finga e nuovo regno.

46De i ricchi marmi che Numidia serba
i fabbri industri il gran sepolcro ornaro,
e con memoria a lui dolce et acerba
le fortune d’Antonio effigiaro.
Compita la funesta opra superba,
l’estinto cavalier quindi portaro
a la tomba prefissa, e nobil schiera
d’amici accompagnò la pompa altera.

47Gli segue Cleopatra afflitta, e gira
torbido il guardo e flebile il sembiante,
tal però che se incauto altri la mira
n’arde pria che s’avvegga esser amante.
Fra l’ombre de la morte il volto spira
raggio d’aura vitale e fiammeggiante
d’amor, di gioia, e i cori altrui può quanto
il suo riso invaghire anco il suo pianto.

48Sparsa con ordin vago era la vesta
conformi al suo dolor di fosche bende,
ma tanto bella pur quanto che mesta
fra le tenebre ancor l’anime accende.
non è seno ove Amor non ferva a questa
nuova fiamma ch’abbrucia e non risplende,
né v’è gelido cor che no navvampi
de’ suoi placidi sguardi a i chiari lampi.

49Come talor dal velo esce repente
di fosche nubi il fulmine rinchiuso
e di fiamme spargendo ampio torrente
per li campi del ciel scorre diffuso,
così appunto fra l’ombre il guardo ardente
di negro manto imprigionato e chiuso
esce improviso, e inaspettati ardori
del seguace drapel scocca ne’ cori.

50La negligenza aggiunge grazia al volto
e quanto d’adornar l’arte trascura
il crin, che quinci e quindi erra disciolto,
tanto accresce i suoi pregi in lui natura.
Nel funebre risplende abito incolto
più vaga sua beltà quanto più pura:
tal sarebbe ammirato e riverito
co ʼl manto de la notte il sol vestito.

Lamento di Cleopatra sul feretro di Antonio, quindi cerca di lasciarsi sopraffare dal dolore fino alla morte, ma Ottaviano la ferma (51-65)

51Pervenuta al feretro ove riposa
la vita sua ne l’altrui corpo estinta,
nel bel volto costei, benché dogliosa,
d’un color dolce di pietà dipinta
prima timida il guardo alzar non osa
nel cadavero amato, indi sospinta
d’un interno furore in lui s’affisse,
e sospirando alfin proruppe e disse:

52«Qual ti ritrovo, ahi lassa, e qual ti veggio,
Antonio, oh del mio cor parte più cara?
A l’albergo reale, a l’aureo seggio
freddo marmo succede, angusta bara?
Oh mutate sembianze, et a me peggio
d’una perpetua notte oh vista amara,
crude luci il mirate? oh degne a cui
il sol luce non sia co’ raggi sui.

53Ma s’a l’alma gentil luci spietate
di chi il sangue per voi prodigo sparse
del nostro amore a la memoria ingrate
siete di poche stille avare e scarse,
supplirà la mia man ciò che negate,
et in vece di lagrime consparse
le sue piaghe vedrete al caldo rio
che nel seno aprirò del sangue mio.

54Io troncherò con generoso ardire,
mal grado de la Parca, il fil vitale,
vuo’ provocar, se posso, e prevenire
de l’odiosa vita il dì fatale.
Misera, ma che tento? al mio desire
a darmi morte il mio dolor non vale?
Ah ben de’ miei dolor degna sarei
s’io tollerar potessi i dolor miei.

55Anzi pur soffrirolli; al mio dolore
sarebbe de la vita il fin soave,
che se la tema è del morir peggiore
fra le morti il mio core uso non pave;
tale è il mio duol che per mio duol maggiore
da le proprie miserie uscir m’è grave,
eccessivo dolor nel pianto ha pace
e s’indura a gli affanni e sen compiace.

56E bene, ohimè, dovunque il guardo io giro
s’offre a me solo alta cagion di lutto:
da l’incendio nemico io là sospiro
l’ereditario impero arder già tutto,
qua dal piede latin calcato io miro
il gran solio de gli avi omai distrutto,
e del patrio diadema alfin già priva
me di barbara turba esser cattiva.

57Pur mirerei de la nemica sorte
il sembiante crudel con lieto ciglio
e soffrirei de la paterna corte
prigioniera infelice il duro esiglio
ove non me privasse invida morte
ne l’estinto amator d’ogni consiglio,
e non fesse con perdita maggiore
de le perdite mie lieve il dolore.

58Ma se auro destin non mi concede
che mi doni il mio Antonio i baci usati,
pur sia da i suoi labbri io gli deprede,
onde vinca il desio l’ira de’ fati.
De’ baci miei l’ambiziose prede
ad Amor condonate, o labbri amati,
poiché legge d’Amor permette a noi
rapir ciò che donar non lice a voi.

59Et oh se pur mentr’io vi suggo almeno
mista co’ baci miei l’anima uscisse,
quanto lieta morrei congiunta al seno
di lui che sempre unito a me già visse!
Oh me beata e avventurosa a pieno
se in braccio al mio diletto a me s’aprisse
felicissima bara, oh dolce bara,
del trono e de la vita a me più cara».

60Volea forse più dir l’addolorata
dona giacendo al gran feretro a canto,
ma stringendo a la sua la faccia amata
l’interruppero insieme i baci e ʼl pianto.
Gli altri uffici i ministri e l’onorata
pompa funebre celebraro intanto,
e ʼl cadavero illustre e riverito
ne la tomba fatal fu sepellito.

61Lascia il sepolcro, e in esso ogni sua speme
l’afflitta Cleopatra, e ʼl camin prende
al regio albergo, e qui de le sue pene
l’aspro cordoglio a disfogare intende.
L’importuno dolor dentro le vene
perturba intanto, e intorno al core accende
il sangue, et accresciuto a poco a poco
le viscere consuma il nuovo foco.

62De l’incendio novel che infiamma il petto
e già gli spirti insidioso assale
ben s’avvede l’egizia, e con diletto
sente forza acquistar l’avido male:
spera così con fortunato effetto
abbandonando alfin l’aura vitale,
egualmente magnanima e costante,
fuggir la servitù, seguir l’amante.

63Cauta dunque il suo mal finge maggiore
e disperata il nutre e lo fomenta,
fastidisce ogni cibo e dentro il core
l’odiosa cagione accrescer tenta,
ma scopre il suo disegno, e al suo signore
il sagace custode il rappresenta,
e narra che la febre ond’ella ardea
solo dal suo voler l’esca traea.

64Ne’ pargoletti figli Augusto irato
l’arti materne vendicar protesta,
e così de la morte il disperato
desio precipitoso in essa arresta.
Qual de’ piccioli figli il canto usato
fingendo il cacciator deluso resta
schermo d’augei che dentro i lacci tesi
ingannati dal suon restano presi

65Tale al nome de’ figli a l’or sospesa
riman l’egra reina, indi riprende
il cibo, e quella fiamma ond’era accesa
a suo mal grado alfine estinta rende.
Oh di sorte nemica ultima offesa
ch’a la misera donna anco contende
la morte istessa, e ciò ch’a tutti lice
vieta per maggior pene a l’infelice!