Proemio (1-2)
1Canto l’uom ch’ebbe dal superno Amore
quelle piaghe sacrate ch’or dimostra,
il qual tra cieco e tenebroso orrore
lucida via di gir al Ciel ci mostra;
e trasse l’alme fuor col suo valore
dal vasto mar de la miseria nostra,
ed imitando il trionfante Cristo
fermò la Chiesa e fe’ di gloria acquisto.
2Te non chiam’io che canti al suon de l’armi
del crudo Marte i paventosi aspetti,
ma te Francesco d’invocar sol parmi
che la tua vita e ʼl tuo morir mi detti,
come il mondo vincesti e con quai carmi
placasti il Ciel, domasti i duri affetti;
con qual virtù tu stesso e ʼl fier nemico
superasti, e ti festi a Cristo amico.
Francesco viene redento da Dio e portato sulla strada della virtù, suo padre lo rinnega (3-16)
3Il Re che ne l’eccelso Olimpo siede
di gloria cinto, informator del mondo,
volge lo sguardo a l’uman gregge e ʼl vede
per mille suoi delitti affatto immondo.
Sceglie, per rinforzarlo ne la fede,
invittissimo eroe, saggio e facondo,
che con detti et essempi l’alma errante
renda del suo fattor felice amante.
4In Ascisi lo elegge, giro angusto
al valor, ch’ognor più s’erge e avvalora,
di lui, né vi è di lui forse il più giusto
ovunque il vago sol aluma e indora.
Questi è d’opre, d’aspetto e d’alma angusto,
ricco di quel tesor che ʼl volgo adora,
tra delizie nudrito e giovinetto
amò le pompe e seguì il van diletto.
5Ne la propria magion lo sceglie Dio
Mentre impetra perdono, e che questi erge
le luci a quel così benigno e pio
che col sangue gi sparso il mondo or terge;
e mentre ei scopre ogni delitto rio
e che di pianto ambe le guancie asperge
(o nuova meraviglia!), ode una voce
da l’imagine uscir del Re ch’è in croce
6che tai detti a l’orecchie intuona e al core:
«Francesco, esci d’errori, e l’alma fede
cadente inalza col tuo gran valore,
ché sarai poi del Ciel felice erede».
«Esco» franco ei rispose, «né timore
né l’amor qui del mondo il cor mi fiede!
Tu porgi e inspira al cor virtù che vaglia
far sì che la tua fede in alto saglia.
7Signor che in croce lacerato pendi,
per li peccati miei pietà ti chieggio,
chieggio pietà, benché sia indegno, e rendi
me degno di pietà s’erro e vaneggio.
Tu questo cor di sacre fiamme accendi,
e tu m’insegna ancor quel che far deggio
acciocché l’alma intatta sorga fuori
da l’immenso ocean de’ gravi errori».
8Così disse confuso, e fisso mira
del Re del Cielo la pietosa imago,
e in un lieto e dolente sparge e spira
pianto e sospir, e sol d’entrambi è vago;
e con ardente cor brama e desira
oprar che Cristo in Ciel ne resti pago.
Vuol che ministra in ciò sia la pietate
l’uomo già eletto a far l’alme beate.
9Poi c’ha ripieno il cor d’aura celeste,
il novello campione aborre e sprezza
queste gioie del senso a l’alma infeste:
giochi, dolci armonie, vana bellezza.
Contrito or cerca con voglie acre e meste
per penitenza inusitata asprezza,
sì pietoso e magnanimo ne l’opre
che sé scoprendo altrui riveste e copre.
10Ode ciò il genitor di lui, c’ha intenta
la mente a le ricchezze e al ben falace,
onde scior l’amoroso nodo tenta
che Natura formò caro e tenace.
Al custode de l’alme ei s’appresenta,
acciocché faccia quel ch’uom rado face:
che ʼl figlio al padre non sia figlio, e ʼl padre
non sia padre del figlio: ah indegno padre!
11Dunque di chi Natura e ʼl Ciel ti diede
ti spogli incauto, e forse che Natura
e il Ciel ti diede un empio? Un pur ch’in fede
avanza ogn’altro, un ch’avrà d’alme cura,
di Cristo imitator, che per mercede
gloria riporterà certa e sicura,
un che sarà dal fiero e crudo Pluto
ne la propria sua reggia ancor temuto.
12Questo il genitor brama, onde consente
Francesco aver da lui perpetuo essiglio.
L’uom sacro, avendo in Dio fissa la mente,
scioglie dal padre il generoso figlio
che le seriche vesti di repente
getta lungi da sé con lieto ciglio:
nudo rimase, se non quanto stretto
cingeasi aspro cilicio il tergo e ʼl petto.
13E con atto magnanimo allor disse:
«Padre te non dirò, né ad uom terreno,
ma sol te che le stelle erranti e fisse
calchi ed imperi sovra al ciel sereno;
Padre, perdona al cuor, che fin qui visse
tra’ peccato e miserie, pur or pieno
d’umiltà, di dolor chiede pietade
de gli error fatti in questa verde etade».
14Di Cristo il servo tra le sacre braccia
l’accoglie e col suo manto lo ricopre,
e la rugosa e venerabil faccia
di lagrime cocenti irriga e copre
dicendo: «O figlio, in guisa tal si slaccia
l’alma da’ pensier bassi e da van’opre:
scevro da cieco amor potrai mirare
del sommo sol le luci ardenti e chiare.
15Perché l’amor de’ padri, gli agi e l’oro
vietin veder la luce eterna e bella,
l’ostan quai nubi che col fosco loro
celano i rai di luminosa stella».
Ciò detto il veglio sacro al sommo coro
lo benedice con umil favella,
ed egli a lui grazie infinite rende
e riverente anco congedo prende.
16Ratto, di breve e vil cinereo manto
copre le di cilicio avvinte membra;
d’aspra fune si cinge e ʼl freno al pianto
slega qualor sue vanità rimembra:
splende nel disusato abito santo
sì che dal Cielo amato spirto sembra.
L’umil veste a lui diede il pastor stesso
ch’al padre il tolse e in libertà l’ha messo.
Si ritira in una spelonca, dove vive di erbe e si contrista per non poter seguire l’esempio di Cristo nella sofferenza (17-33)
17Ma perché pensa il capitano eletto
ad esseguir del re l’alto mandato
che sé correger vuol l’altrui diffetto,
esser dèe sciolto e d’ogni error purgato,
rendersi brama pria puro e perfetto,
poscia ubedir al suo Signor amato,
che da le nubi sciolto ancora suole
a noi scoprir più chiara luce il sole.
18Ei lascia adunque la sua patria e i cari
amici, da’ quai ebbe onori e lode:
or deriso è da lor con detti amari,
et ei sprezzato si rallegra e gode;
e va sì a l’ombra oscura come a i chiari
raggi del sol, né teme inganni o frode,
preghi porgendo a Dio con muti accenti,
fin che vide in val d’Arno i monti algenti.
19Lieto, come lor vide, rivolgea
ambe le luci al riverito cielo.
«O che felice stanza» a lui dicea
«or m’apparecchi tra le nevi e ʼl gelo,
che gli error fuggo e l’ingiustizia rea
e le pompe fastose a’ quai mi celo,
e crede l’alma mia sol pace avere
tra i duri sassi e fra le crude fiere».
20Sceglie ne gli aspri monti un monte cinto
d’orrende balze e di perpetuo verno
ove il rigor del gelo non è vinto
mai per rotar del gran pianeta eterno.
Un marmo è in giù depresso, in fuori è spinto,
ed oscure caverne ha ne l’interno;
al giogo arbori eccelsi ergonsi al cielo
ne i freddi marmi e nel lucente gelo.
21Tra le selvaggie querce e i monti alpestri
luoco che d’uman piè segno no scopre
tra gli orsi e i lupi ed animai silvestri
in antro pien d’orror si cela e copre,
ed ivi in panni di color terrestri
ne scopre al ciel di vivo amor degn’opre;
e il mondo odiando, e sé posto in oblio,
la speme, il cor, la fé ripone in Dio.
22Dal lungo affaticar languido e stanco,
da fame oppresso e da gran sete acceso,
a un duro marmo l’affannato fianco
poggia per posa aver, ma più n’è offeso,
e ancor che afflitto e già di forze manco
da nuova afflizion brama esser preso.
Tien da la manca un teschio e al destro lato
in croce il suo Signor cotanto amato.
23Se desia il corpo restaurar già lasso
varca sentieri faticosi ed erti,
varca il ghiaccio e le nevi, e a lento passo
coglie e mangia erbe nate in tai diserti.
Ove uscir vede fuor da un vivo sasso
chiaro ruscel con moti vari e incerti
estingue di sua sete i gravi ardori,
ma non già sì che in tutto si ristori.
24Poi con veloci passi a l’antro riede
benché sia pe ʼl digiun languido e frale,
ché il vigoroso cor la pronta fede
rinforza i membri e li dona agil ale.
Duro gli par, ché non discerne e vede
la sembianza di quel diva e mortale
ch’a lui ferì già il generoso petto
col dolce suon del venerabil detto.
25Giunto a l’orrido speco il guardo volse
a la sua imago amata, e fiso mira
le sue piaghe sanguigne e sì sen dolse
che piange amaro e fervido sospira.
E come al teschio uman gli occhi rivolse
pensa qual fu, qual è, né più respira,
ma nel pallor del volto chiaro mostra
pietà e dolor de la miseria nostra.
26Poscia disse ammirato: «U’ son le belle
fattezze e l’oro de le crespe chiome?
Ove la fiamme de l’ardenti stelle,
scorte de’ sciocchi, morte ha spente e dome?
Dunque fumo, fetor, polve son quelle
superbie che sprezzàr già mille Rome!
Di tai bellezze, ohimè, rimaso è solo
l’orrido teschio sopra il terren suolo».
27Su i freddi marmi le ginocchie piega
del giovenil falir pentito e mesto.
«D’averti fatto il cor lasso non nega
a gli occhi altrui spettacolo funesto»;
sì disse, e con ardente affetto prega
l’uom morto al mondo e in Cristo acceso e desto;
e a lui fa noti i suoi taciti errori
che ʼl pensier vede e prova gli altrui cori:
28«Deh, perché avere, o Signor mio, non posso
simile a i gran demerti anco il dolore?
Deh, perché d’aspra passion percosso
non è, se già peccò nocente il core?
Te pien di dolor veggio e d’alma scosso
chiamarmi al Ciel colmo di vero amore,
e segnarmi la via mentre che langue
la sacra spoglia col bramato sangue;
29e col sangue e col pianto il segni, et io
dal segnato sentier mi fuggo. Ahi stolto,
e perché piangi? Per me piangi, e pio
pur mi ti scopri, nel pallor del volto
mostri che il ben si gode, o Signor mio,
per via di pene dal peccato sciolto.
Deh, perché temo il mio corporeo velo
discior in pianto, s’è gradito al Cielo?
30E tu pur miri del gran Re de’ regi,
il qual lasciò per noi felice impero,
il corpo esangue di cui sono i fregi
disprezzo e scherno, e pur trionfa altero;
et io temo lasciar del mondo i pregi
e di lagar col sangue ampio sentiero?».
Ne l’essempio di duol le luci fisse
tenendo, tacque poi che questo disse.
31Escon da i mesti rai fiumi e torrenti
quai sorgono dal cor ch’in pianto scioglie;
ma come ei non piangesse in tali accenti
la flebil voce e languida discioglie:
«Spargete, o luci, lagrime dolenti,
né siate parche in adempir mie voglie:
non può picciola stilla esser bastante
di scovrirvi al mio Dio nel ben costante.
32Quel che lavar il vasto mar non puote
come poi resterà candido e terso
da picciol lagrimetta che le gote
a pena bagna, non che il cor perverso?
Piangi contrito, sì che l’alte rote
piglin piacer d’un peccator converso,
ché bello apparirai di pianto adorno
al Re che i cieli gira al polo intorno».
33Poi spande in maggior copia tepide onde
et aure ardenti il combattuto petto;
con voci lamentevoli e profonde
s’ange e si duol d’ogni minor difetto,
onde pietoso il proprio antro risponde
con chiaro suon a ogni suo flebil detto;
e sé stesso accusando pietà chiede
al suo Signor, da cui spera mercede.
Plutone decide di intervenire per fermare Francesco, il demone Apalo lo tenta in vari modi ma sempre invano (34-47)
34Ratto fuggendo, il sole intanto ascose
ne l’onda mauritana il suo bel lume.
Cadean da’ monti l’ombre e notte pose
termine a l’opre, e ʼl neghittoso nume
sparge d’almo sopor l’alme noiose,
chetava al vago augel le levi piume;
lusingava ancor lui, ma farsi donno
non può de’ sensi desti il molle sonno.
35Ma chi precipitò dal cielo e affrena
gli spirti nel tartareo regno,
vede il sant’uomo ma con sì intensa pena
che spira per furor fiamma di sdegno:
mugge, e rimbomba al gran muggir la piena
spelonca; di dolor, d’invidia pregno
disegna oprar lusinghe e inganni
e far ch’in proprio pro sien gli altrui danni.
36Lo sguardo pien d’orror rivolse in giro
e mirò le soggette genti averne;
sciolse la voce e risonar s’udiro
al superbo parlar l’atre caverne:
«Se c’è ch’osi di voi l’aspro martiro
d’allegerir a le mie parti interne,
mio egual sarà nel regno, e certo giuro
torgli il dolor che soffre acerbo e duro.
37Or se c’è alcun che di tal rischio stimi
condegno il premio si dimostri e il dica,
acciò che poi con lodi alzi e sublimi
l’intrepido voler, l’anima amica».
Apalo sorse, un de’ maggior fra l’imi,
ch’al periglio s’offerse e a la fatica,
e con audace suon si gloria e vanta
vittoria riportar de l’alma santa.
38Poi dal profondo centro a l’aura sorge,
e prende d’uom matur grave sembianza;
involto il mento e il capo a lui si scorge
in bianca chioma che la neve avanza.
Scopresi a quel ch’a Cristo i preghi porge
già pien d’amor, di fede e di speranza,
e chiamollo con suon severo e tardo,
ond’ei sospeso a lui volge lo sguardo,
39e disse: «O padre, i’ non credea che in questo
monte colmo di orror, di nevi onusto,
fosse uom sì degno in cui si vede desto
chiaro valor nel suo sembiante augusto.
Fuggi da me che dal secol molesto
fuggito son, son peccator ingiusto;
fuggi, se sei qual credo a Dio diletto,
un’infernal Megera, un’empia Aletto».
40Soggiunse l’empio: «Amor, pietà mi spinse
di te che vivi in lagrime e sospiri,
ami l’inopia incauto; ah chi dipinse
bella la povertà, dolci i martiri?
Io vissi in vanitadi e qui m’avinse
amor poco temp’è de i santi giri,
et io son sì caro al Cielo in sì pochi anni
che non invidio Pier, Paulo o Giovanni.
41Or tu, che giovinezza sparge a pena
de’ primi fiori il delicato viso,
involi gli antri a i lupi e in parte piena
stai di terror da gli uomini diviso.
Torna a la patria, e quivi dolce mena
vita gradita tra le gioie e ʼl riso;
dopo tanto piacer a l’antro riedi:
certo è l’avuto, incerto il ben che credi».
42Così dicendo li soffiò nel volto
lo spirto suo, quasi sulfurea face,
e con livido dente il cor gli ha colto,
serpe nemico di pudica pace.
Li acconsentì, ma tosto a Dio rivolto
per emenda se stesso in pianto sface
e si fa de la Croce il sacro e degno
da l’alme elette riverito segno.
43Ei fugge, ma poi torna e in mille larve
di nuovo i sensi afflitti anco lusinga;
con promettergli onor terreno parve
mostrargli il ben che ogn’alma a bramar stringa.
Or di donzella in bel sembiante apparve
che in color d’onestà s’infiammi e tinga:
men di lei bella vaga aurora sorge
mentre scarco di nebbia il ciel si scorge,
44onde il senso alettato a l’alma porta
sì vaghi oggetti che si piega alquanto.
Ei pentito s’attrista e si conforta;
slega la fune, sveste il rozzo manto;
e dove fuori ha fredda neve scorta
le membra immerge vi dimora tanto
che ʼl disio spegne e vincitor ritorna
del nemico, e di novo onor s’adorna.
45Gelato ogni pensier ripiglia ardente
le già interrotte preci il petto forte.
Il nemico cercò darti possente
colpo d’eterna e miserabil morte,
ma schernito da te fuggì repente
onde il Dator del ben da l’alte porte
dolce ti mira, vincitor guerriero,
difensor di sua fede e del suo impero.
46Questi dal Cielo al nobil petto aventa
di pietade e d’amor fiammelle ardenti,
e celeste virtù che non s’alenta
per miserie, disagi o per tormenti;
e dolce pace a l’alma solo intenta,
benché sia in terra, a’ suoi bei rai lucenti,
e voglie crea nel generoso seno
che l’ergon, vivo, sovra il ciel sereno.
47Né ardì o tentò più l’infernal tiranno
di fargli oltraggio poscia ch’ebbe scorto
l’invitta voglia superar l’inganno
e scemar nel suo petto alto conforto.
E il nobil uom tra povertade e affanno,
e disagi e flagelli, in pianto assorto
vive ed imita il sacro crocifisso
c’ha nel pietoso petto impresso e fisso.
Dopo sei anni di vita da eremita torna in città, convince alcuni a seguirlo e decide, di dettare una regola (48-56)
48Già per sei segni avea portato il sole
il suo splendore, che chiaro il giorno adduce,
che quivi era romito; ora tai parole
move verso l’eterna e diva luce:
«Se de’ peccati miei l’immensa mole
è già caduta e in nulla si riduce,
se grato t’è il mio cor, mostrar ti piaccia,
ché tra speme e timor arde et agghiaccia».
49Tacque, ed un dolce sonno a lui spargea
ne gli occhi e ne le membra un grato oblio;
ecco un sogno dal Ciel ratto scendea
per temprargli del cor caldo desio,
et a la mente di veder parea,
cinto di fiamme in voce e in viso pio
un vago giovinetto, che li disse:
«Caro se’ al Ciel quant’altro viva o visse.
50A tante tue fatiche eguale il merto
avrai da chi fa il sol chiaro ed illustre.
Sempre per ʼl tuo valor t’è ʼl Ciel aperto,
de’ numi averni o vincitor industre,
poi che tu per sentier solingo et erto
t’alzi e ti togli a valle ima e pallustre».
Ciò detto sparve e risalì a le belle
parti del Cielo, a ricalcar le stelle.
51Destossi, e poi che Dio far noto volse
de la sua mente gli alti arcani ignoti,
il chiaro eroe gli passi indi rivolse
vèr la lasciata patria a i sentier noti,
ove pieno di zelo si racolse
per far gli uomini erranti a Dio devoti,
ché ʼl detto suo nel cor vivo gli alberga
che la cadente fede inalzi ed erga.
52Poi che l’uom venerabile fu giunto
a la città, stupido ogn’uom lo mira,
che non è qual solea, ma sì consunto
che ʼl pallor del suo volto morte spira.
Molti c’han di pietade il cor compunto
dicon: «Qual frenesia lo volge e gira?»;
e avien ch’altri lo lodi, altri lo spregi,
ma non ponno in sagg’alma ignobil fregi.
53Tacendo invita, e ʼl taciturno invito
mosse sagge alme, ch’a Dio poi s’uniro,
ch’ebbero dal santissimo romito
la cara Croce, e panni aspri vestiro;
e per far noto Cristo in ogni lito,
d’uniti ch’eran poi si disuniro.
Costor con vivi detti in mille parti
vinsero del demon l’ingegno e l’arti.
54Di Cristo il divo nunzio, poiché sparse
tra densa cecità celeste ardore,
di veder i compagni amati n’arse
avida voglia l’amoroso core.
Oh meraviglia!, ma che non può farse
quando vuol un che adori il vero Amore?
Né molto andò su per gli ignoti liti
che vide i desiati insieme uniti.
55O come si rallegra, come mira
i desiati aspetti, e che lieto ode
i bramati saluti, e ch’in lor gira
gli avidi lumi, o quanto egli ne gode!
Riedon poscia in Ascisi, et ei ch’aspira
ch’ogn’uomo Cristo adori e li dia lode,
desia dar legge e norma a chi vuol seco
salir al Ciel fuggendo il mondo cieco.
56Poi con un parte e in selve oscure e sole
giunge, e là con digiun sta in antro ascoso.
Due venti volte avea portato il sole
luce, e tante la notte almo riposo,
che a sé l’altro chiamò, dolce qual suole;
che scrivesse l’impose: egli gioioso
scrive et egli a lui detta, e spirto eterno
dettando a lui ne vien dal Ciel superno.
Si reca a Roma a proporre la propria regola al Papa, che la accetta, e lo incarica di predicare: molti decidono di seguire la sua strada (57-79)
57L’ordine scritto, i solitari orrori
lasciando, vèr la patria i passi volse.
Giunto, i suoi ragunò; ch’a novi albori
sieno apprestati commandò, e si tolse
da loro, che desia co i primi fiori
che sparge l’alba, poi che in Ciel li colse,
girne al magno pontefice, ché approvi
sua legge scritta, acciò che a l’alme giovi.
58Fuori ancor non porgea lucente il giorno
de l’immenso ocean la chiama d’oro,
né fra’ bei rami l’augeletto adorno
lodava de l’aurora il bel tesoro,
quando il saggio uom a i suoi fece ritorno,
ch’erano insieme uniti; indi con loro
Ascisi lascia e la via prende in fretta
che da Flaminio fu Flaminia detta.
59Per Fuligno egli passa, illustre e antica
cittade; ecco a sinistra apparir vede
Spoleto, parte posto ne l’aprica
pianura e parte sopra un colle siede;
pur da sinistra, ch’è di nevi amica
de i gran monti Appenini al duro piede,
Terni si scopre; a destra, dopo molto,
Narni al cucume d’alto monte accolto.
60Poi giunge al Lazio, ove Saturno mesto
s’occultò pe ʼl timor del figlio Giove:
qui diè principio l’aurea età, l’onesto
viver dando e i costumi e leggi nove;
ivi la città vede, il corso presto
doppia e tien sempre gli occhi fisi dove
sorgon l’eccelse torri e l’alte mura
ch’adornan la gran Roma e fan sicura.
61«Gloriosa città, ch’inalzi al cielo
d’incenso are fumanti, e moli e tempi,
e ne la prisca età senza alcun velo
d’armi additasti non più visti essempi!».
Sì dicendo d’amor colmo e di zelo
giunge a le mura (Dio tue voglie adempi);
per la porta Flaminia entra e devoto
visita tempio e prossimo e remoto.
62Poi guidar fassi ove di gemme e d’oro
adorno splende quel che lega e scioglie
tutte l’alme terrene e che ʼl tesoro
de le grazie del Ciel dona a sue voglie;
l’ornan varie corone e sovra loro
s’alza la croce e seggio aureo l’accoglie;
mostra grave il sembiante e insieme addita
che da Cristo dipende e gloria e vita.
63Egli a tal maestà che scopre in terra
de l’altezze del Ciel non poca parte
a baciargli il piè sacro umil s’atterra,
che preme ogn’empio che da Dio si parte.
Poi con suon grave e chiaro a lui disserra
quel che contengon le descritte carte.
«Questa legge è troppo aspra a l’uomo» dice
il pastor santo, e al suo voler disdice.
64Pensando poi che ciò ch’ei chiede è giusto,
ché son note evangeliche, non nega
né l’assicura, ma con ciglio augusto:
«Pensarem» disse. «Vanne, e Cristo prega
che al nostro ingegno d’ignoranza onusto
qual il suo voler sia disveli e spiega».
Ei parte umil; poi fu li manifesto
in sogno ch’egli avrà quant’avea chiesto.
65Et al grave pontefice parea
che la magion di Dio maggior cadesse,
e por Francesco a la caduta rea
gli omeri santi e quella in piè reggesse.
Da questo il Padre Santo prevedea
ch’in breve l’uom divino esser dovesse
e colonna e sostegno a la cadente
legge del Re che ricomprò la gente.
66Co i suoi compagni il dì seguente riede
del crocifisso Dio l’ardente amante:
dinanzi al buon pastor prega e richiede
quel che chieduto avea fermo e costante.
Il duce quanto vuol tanto concede,
di più dona indulgenze e grazie tante,
e vuol ch’ovunque a lui piaccia dichiari
del perfetto Evangelo i detti rari.
67Lieto Francesco gli occhi al ciel rivolse,
umil, dimesso nel sereno aspetto,
e dal cor voci tacite disciolse
grazie rendendo al suo Signor diletto,
ed anco al pio Pastor; poi da lui tolse
licenza e torna al suo novel ricetto.
Ponsi in via l’altro giorno e in tre dì giunge
in Ascisi e là, come amor lo punge,
68tre tempi a Cristo inalza; indi devoto
la fede estole il nobile campione
e fa co’ santi detti al mondo noto
quante sien care al ciel l’opere buone,
e mostra a l’uom di fe’, di senno vòto
quante avrà del ben far palme e corone.
A lui ramenta il fine acerbo e tetro
l’oscura tomba e l’orrido feretro,
69e le varie miserie e l’armi infeste
quai sovrastan, ricorda ed odi e morti.
Dicea gridando poi: «Che vaglion queste
richezze e tuoi contenti vani e corti?
Drizz’uom nel fango immerso a la celeste
patria l’anima tua da i sentier torti
e chiedi ivi perdono a quell’immenso
raggio d’amore in sacre fiamme accenso.
70Con digiuni, flagelli e pianti amari
continue preci chiedi a’ santi aita,
cancella i gravi error, gli affetti avari,
dispergi alma nel ben dubbia e smarita;
ne i peccati concetto a te sì cari,
figlio de l’ira, indegno de la vita,
nascesti, e quel che ti creò da poi
ti ricomprò spargendo i tesor suoi.
71Or chi sarà che neghi il sangue e l’alma
per amor del suo duce a morte offrire,
s’ei carne prese e poi la nobil salma
per noi già porse a crudo, aspro martire?
Versa, Signor, tua grazia pura et alma
Sopra quei cor che te desian gradire!
Magnanima virtù vinca il cor lento
di chi è a guadagno vil fiso ed intento.
72Che val a soggiogar paesi e regi
tributari sopporsi e far che ʼl mondo
tremi a un suo minacciar e ne’ suoi pregi
in terra egual non sia né ancor secondo,
e ʼl nome adorno d’onorati fregi
voli per l’alto ciel chiaro e giocondo
se morte al fin l’uccide e in poca terra
le pompe il corpo, i fasti e ʼl valor serra?
73A che solcar li perigliosi mari
e gir lontano tra nemiche genti?
A che servir in van prencipi avari
s’hai poi del ben servir pene e tormenti?
E tu, prencipe ingiusto, i casi amari
vedi del tuo vicino, odi i lamenti
né a lui porgi soccorso e aspiri indegno
scettro giungere a scettro e regno a regno?
74Poi c’hai l’ingorde et insaziabil brame
del sangue d’innocenti e sazie e piene,
vedi per tuo difetto, ohimè, di fame
perir la madre e ʼl caro figlio in pene;
servo al demon tiranno, al mondo infame,
ministro ingiusto del terreno bene,
non vedi che ti trovi in tempo corto
fanciul, giovane, vecchio, infermo e morto?
75Tal sei qual anzi al vento incerta face
ch’a un suo debil soffiar rimane estinta,
o qual purpurea rosa al sol vivace
che cade al suo cader pallida e vinta.
Poi la gloria è fals’ombra, ecco fugace
che, nata a pena, è in nulla risospinta.
Cade ogni ferma base: un re ch’in guerra
crebbe, in pace sprezzato cade a terra».
76Molte a tai voci aggiunse, ché celeste
spirto fervente spira al saggio petto,
piene di tal virtù ch’avrebbon deste
l’anime estinte entro a lo stigio tetto:
chetan ne gli altrui cor gravi tempeste
di vendetta, di sdegno e di dispetto;
il superbo s’umilia e l’umil s’erge
sopra l’Olimpo e in luce l’alma imerge.
77Di Cristo il nunzio illustre i sacri detti
con miracoli eccelsi confirmava,
mentre a sue voci i più ostinati petti
cedean volgendo in santa ogni opra prava,
che gli egri sana, ch’ode il sordo e astretti
fuggon gli spirti a la tartarea cava.
Che più? La terra al suo voler si piega
e ʼl Cielo stesso di far ciò non nega.
78Del nuovo eroe già il grido alto rimbomba
per cittadi vicine e per remote;
come questi è di Dio canora tromba
che per l’udito il cor fère e percote
e che con dolce dir, quasi colomba
l’uom vivo inalza a le superne rote.
Tal fama molti invita: a lor non preme
lasciar gli alberghi e i cari padri insieme.
Tra questi anche Chiara, mentre Francesco fonda un monastero, si ammala e viene curato da un medico di Trieste (80-90)
79Al re lasciar lo scetro, e ʼl suo bel regno
par che non caglia e l’alte sue ricchezze.
L’animo invitto di vittorie pregno
fugge l’ambizione e l’alterezze;
altri abbandona il desiato pegno
e di consorte l’uniche bellezze.
Per bearsi ciascun corre veloce
sotto il vessillo de l’immensa Croce.
80Fra gli altri lasciò pompe, agi e tesoro,
sprezzò bellezza vagheggiata e cara,
vergine casta che col core onoro,
di nome, di virtù, di stirpe Chiara;
questa troncò la vaga chioma d’oro,
spogliossi veste preziosa e rara,
involse il nobil capo in rozze spoglie,
offerse e sacrò a Dio l’alma e le voglie.
81Poi con duro cilicio affligge e opprime
le ancor crescenti e pargolette membra;
vuol rozzi e bigi panni il cor sublime
vestir, ché spesso il duce suo rimembra;
piglia la Croce e Dio nel petto imprime,
già trasformata in esso altrui rassembra;
le lagrime poi versa e paga intanto
d’ogni picciola colpa un mar di pianto,
82e piange sì che tra le nevi intatte
del volto impallidito le cocenti
acque scendendo avean tai strade fatte
quai soglion nel terren rivi correnti,
e sembran tai quai nel candor di latte
sarieno di rubin bei fregi ardenti.
Poi cela sue virtù tra strette mura
e pone in Dio servir suo studio e cura.
83Vede il gran capitan ch’inalza il segno
de la salute, che ʼl suo essempio santo
fa che molti col cor sicuro e degno
piglin la Croce, l’aspra fune e il manto;
vede lasciar gli onori e ʼl mondo indegno
a’ molti, et i piaceri e ʼl riso e ʼl canto
e seguir sé: dà perciò a Cristo lode
e con fervente amor s’allegra e gode.
84Povero monastero inalza e umile,
conforme al gran voler che in esso regna,
in cui vuol menar vita aspra e simile
a chi segnò del Ciel la via sì degna.
Se a coloro ch’a lui già s’uniro vile
sembra tal vita e di lor stessi indegna,
il pio Francesco addolorato langue,
sbigottito nel cor, nel volto essangue.
85Il nobil cor di tanta luce abbonda
che per gli occhi, per gli atti e pe ʼl sembiante
sparge rai colmi di virtù profonda,
virtù che l’alma a Dio fa fida amante,
qual dolce umor che cupo vaso asconda
ch’al troppo ardor s’inalzi alto e spumante
onde del chiuso varco uscendo fuori
spegnendo va d’intorno i caldi ardori.
86E spegne anco ne i cor profani et empi
lascive voglie e desir falsi e ingiusti;
questi s’ergono al ciel, sacrati tempi
di bontà, di valor, di fede onusti;
inanima con santi e puri essempi
a pigliar di Gesù li segni augusti
e, i piaceri sprezzando, a Cristo offrire
la vita in sacrificio con martire.
87Del lungo pianto suo l’onde correnti
avean de gli occhi quasi il lume estinto;
ma come ciò non curi in tali accenti
scopre il core a soffrir disagi accinto:
«Peran tai lumi, se fur que’ possenti
di aver lo spirto quasi al centro spinto;
scorte de l’alma infide or non più al petto
vanità porterete, o rio diletto!»
88Ma de gli amici al pio voler, ch’ognora
l’instan perché ei non perda il senso degno,
cede: cercan troncando ogni dimora
uom ch’a sanar il santo non sia indegno;
e tal ei fu qual chi Trieste onora,
di profondo saper, d’eccelso ingegno,
Boncio il magno Leon, ch’ovunque stende
la sua medica man salvo ognun rende.
89Visto questi il periglio si consiglia
arder l’arterie de le tempie, e ha speme
di farlo sano: il ferro ardente piglia;
Francesco il mira, il benedice e teme;
quei lo tocca, ei no ʼl sente: oh meraviglia!,
segno evidente di virtù supreme
e destrezza anco di ben dotta mano
fu che non diè dolor crudel e strano.
90Sano ecco il Santo riede, né mai posa
tutta la gente a penitenza invita;
camina il giorno e ancor la notte ombrosa
per un’alma acquistar persa e smarita.
In bontà ognor s’avanza e l’amorosa
Mente prova in orar gioia infinita,
e con vari tormenti affligge quello
senso che in lui non s’erge empio e rubello.