Francesco tenta di convertire il sultano d’Egitto al cristianesimo, ma non riesce nell’impresa (1-23)
1L’alta fortezza pien d’ardente affetto
brama imitar de’ martiri beati:
vuol por per Cristo il generoso petto
le membra al ferro, al foco, a’ strazi amati,
e riportar del suo martirio eletto
famosa palma a i bei cerchi stellati
e confermar la fé ch’oppressa langue
con morte acerba e con l’effuso sangue.
2Dal desio lusingato in Siria pose
l’avido piè, spargendo di salute
seme celeste, et a periglio espose
l’invitto seno albergo di virtute.
Superò sete, freddi, alpi noiose,
lunghi viaggi, febbri e doglie acute
per venir solo, e non lo cerca in vano,
di Babilonia al perfido sovrano.
3Soffre duri tormenti, offre la vita,
il magnanimo petto a cruda morte;
combattuta virtù divien più ardita,
stimulata fortezza è ognor più forte.
Oh alma generosa al Ciel gradita,
a cui son tue virtù fidate scorte,
prodigo del tuo sangue l’ora brami
che ʼl mondo ti tormenti e ʼl Ciel ti chiami!
4Si compiace e sostien le pene, e spera
intrepido costante aver quant’ode:
ode editto crudel, legge severa
contra i fedeli, onde il suo cor ne gode;
né molto andò che da barbara schiera
preso fu senza oprar inganni o frode:
oh come ne gioisce or consolato
del regno eterno il comprensor beato!
5Senza pietà crudo e sdegnato stuolo
l’opprime ingiustamente, urta e percote;
non si retira, porge a i strazi, al duolo
le membra afflitte e le palenti gote;
lacero è sì che farsi il verde suolo
in vermiglio color veder si puote;
soffre lieto, ché fermo spera e crede
aver di cruda morte in Ciel mercede.
6L’empia schiera crudel allaccia e annoda
le braccia e collo a lui d’aspre ritorte;
ma ne i tormenti ognor più avien che goda
in aspettando accerbi strazi e morte.
Pianto ei non versa né a lagnarsi snoda
la dolce lingua con parole accorte;
sol manda lodi a Dio: chi potrà a pieno
dir l’eccelse tue lodi, o invitto seno?
7Io non potrò, ché ancor fisar non oso
nel sol de l’opre sue miei ciechi lumi:
richiede alto soggetto e sì famoso
d’alta eloquenza più correnti fiumi.
Tu sol mi detta, o spirto glorioso,
di tua chiara virtù gli accesi lumi
e fa, mentre ch’io canto, accenda i cori
cinti di freddo giaccio in vivi ardori.
8Condur la sciocca e cruda gente il vuole
a l’eccelso lor re, che far ne deggia
come l’usanza sua barbara suole
a chi son del gran Dio ne l’umil greggia.
Ecco lo scorge, ché pietà n’ha il Sole,
con mille oltraggi a la sublime reggia,
ove di pompa altera e d’or riluce
de l’iniqua Babel l’infido duce,
9il qual con ciglio grave e dir severo
lo mira e dice: «Che ti scorge e guida,
giovane incauto, dove spirto fero
anzi il fin di tua vita il fil recida?
Fraude a far vien a questo reggio impero
o giungi spia, scorto da gente infida?
Il vero scopri, e non temer, ch’io giuro
che da me premi avrai: vivi sicuro».
10«Cristo mi consigliò, mi guida e scorse»
rispose «né a turbar giungo il tuo regno,
ma lo spirto tuo che giace in forse
di sua salute a sollevarlo vegno,
acciò che adori l’uom e Dio che porse
vita a chi affisse Lui su ʼl duro legno.
Se Colui riverisci sarai sciolto
dal fermo laccio in che ʼl Demon t’ha colto.
11E nel fonte salubre, sacro e santo
informa lo tuo spirto egro e giacente;
di fé, di speme e carità, che tanto
adornan l’uom, s’infregi la tua mente,
e teco il popol tuo con umil canto
invochi Cristo e in esso sia credente.
Lascia quest’ampio impero, odia e disdegna
l’inutil pompe e quella regia insegna;
12ama Dio, ch’Ei pria t’ama acciò che l’ami,
s’ami Dio, te anco in Dio rivolgi e pieghi;
ma quando che del mondo i piacer brami
del reo serpe infernal d’esser non nieghi».
Ode ammirato il re, par che disami
il mondo e ʼl cor in Cristo unisca e leghi.
Segue Francesco e del suo Dio rar’opre
svela, e in tai voci l’alma essenza scopre:
13«Luce è Dio; Sua luce l’alma scorge
nel Cielo, ov’esse poi felici rende;
l’essere a Sé sol per Se stesso porge,
e intendendo Se stesso ogn’opra intende;
e l’uom di fede ornato vede e scorge
quel che per sé l’ingegno non comprende:
una essenza esser Dio, ma in tre persone
distinta, d’ogni ben prima cagione.
14Questi d’opre fattor uniche e chiare
è il bel che godon l’alme a l’alta chiostra.
Primo principio, ultimi fin di rare
opre, vera ragione e speme nostra;
operator primier, nel qual appare
quanta beltà ch’indora, imperla e inostra
de l’alba il biondo crin, quanto splendore
mostra Appollo ne i raggi uscendo fuore.
15Questi è il mio vero Dio, ch’informa e move
il cielo e ʼl mondo, e lo governa e regge;
questi si offerse a morte, a pene nove
per dar vita e salvar noi, fragil gregge.
Ma gli idoli che adori imperan ove
fremon l’alme dannate e dan lor legge;
di poter, di saper son privi gli empi,
vano è il lor culto e falsi son lor tempi.
16Meraviglia ho di te, gran re, ché pregi
l’opere del Demonio, idoli vani;
ne la fronte real pur par che spregi
d’ogni falace Dio riti profani.
Cosa indegna di te, tu i doni egregi
offri et incensi porgi e pregi insani
a dèi che ʼl centro reggono, e non sai
che sono le lor glorie e pene e guai.
17Se a me non presti fede, allor sia acceso
foco che l’alte fiamme al ciel raggiri;
io nel mezzo l’andrò: s’arso et offeso
sarò, pe ʼl mio peccar avrò i martiri;
ma se n’uscirò fuori intatto e illeso
voglio che tu con lagrime e sospiri
sacri il cor, l’opre et i pensieri a Cristo,
lasci l’Inferno e del Ciel facci acquisto».
18Ciò detto tacque, e a confermar s’appresta
sue voci, acciò che l’alma al Ciel egli erga.
Maraviglioso il re stupido resta
del valor, del saper ch’in esso alberga.
Che seco resti il prega; ei non s’arresta
e l’invito rifiuta, e che ʼl re terga
lo spirto in Cristo pare e ʼl desio volga
dal mondo e d’ogni error s’affligga e dolga.
19E se non che ʼl nemico il bel desio
conturba e dal ben far ratto lo stoglie
questo era forse il dì ch’al vero Dio
consacrava il soldan l’alma e le voglie.
Timor de’ suoi lo preme e ʼl fa restio
nel bene, e ʼl buon pensier dal cor gli scioglie,
onde molt’oro a lui presenta e ʼl prega
che seco il rechi poi che di star nega.
20E gliel porse cortese; ei quel tesoro
rifiutò, disprezzò qual terra vile:
non regna in nobil cor mai sete d’oro,
cor qual è il suo magnanimo e gentile;
sol d’alme ha sete, e per salute loro
piange e prega il suo re con voce umile:
dolce li saria por la vita e tòrre
un’alma al centro e quella in Ciel riporre.
21Prende congedo, ch’in lui non discerne
di viva caritade il cor acceso,
ma sol celato ne le parti interne
pensier superbo, a vil regnar inteso,
vago d’onori e di ricchezze esterne,
da timor mille combattuto e offeso,
ma sconsolato e afflitto per che effetto
non ebbe quel desio ch’ardeagli il petto.
22Ma più che non poté drizzar al Cielo
del saracin la traviata mente,
ché d’ignoranza il denso e fosco velo
vietò che ʼl Sol non vide eterno e ardente.
Piange quell’alma per cui spesso un telo
di pietà lo trafigge acro e pungente,
e del martir la doglia a questa mista
lo tormenta a vicenda e lo contrista.
23Non mesto sì da cruda guerra riede,
capitan generoso, alma guerriera,
che d’ottener avesse avuto fede
di sanguinosa pugna spoglia altera
e che ʼl forte nemico suo le prede
credute porti a la vittoria intiera,
spira fiamme di sdegno, ha stretto e involto
da doglia il core e di vergogna il volto.
Ritorna in patria e continua la propria predicazione e afflizione (24-44,4)
24Parte, e lascia i confini ovunque regge
l’infedel Saladin di fede incerto.
Per penitenza far sentiero elegge
lungi da genti incognito e deserto,
ove fido pastor non guida gregge,
di folte spine e sassi aspri coperto.
Lunga è la via, ferventi i raggi ha il sole;
segue ei però, ne già posar si vuole.
25Stanco è sì che su quella a pena puote
spinosa alpestre e malagevol via
movere il piè ch’ad or ad or percote
i duri sassi; e tal dolor desia.
Sangue stillano i piè, gli occhi e le gote
pianti e sudor, né tanta pena ria
sente, tanto al suo Cristo ha volto il core
che ʼl dur camin parer fa dolce amore.
26Benché languente e mesto spesso arrivi
a le cittadi o a popolate ville
ristor non prende, ma sovente quivi
scoprir vuol d’alto amor vive faville.
Corron le genti come il Po da i rivi
per udir dal sant’uom voci tranquille:
ei leva gli occhi al ciel, quasi che goda;
poscia insegna, riprende, biasma e loda,
27essorta, invita, inanima e conforta
a seguir povertà, che nel gran seno
tesoro immenso chiude, umile scorta
de l’alma errante verso il ciel sereno.
Anima ingorda d’oro, accolta e assorta
nel mar de’ vizi, a l’alme empio veneno,
indarno spiega l’ali, indarno aspira
salir, palustre augello, u’ ʼl bel si mira.
28Piega al suo dir ogn’alma iniqua e tetra
con le dotte e dolcissime parole;
i freddi e duri petti solve e spetra
come martello il vetro o neve il sole.
Ogn’alma a Dio nemica ora n’impetra
pietà piangendo, e si lamenta e duole;
e lavando il suo error come rubella
scopresi a Dio quasi sorgente stella.
29Lo imitator di Cristo indi ripiglia
quell’aspra via difficile e noiosa;
spesso, mentre il sentier calca, le ciglia
fisa nel ciel, in luce a gli occhi ascosa;
i passi affrena, né più ad uom somiglia,
ma incisa pietra che su ʼl terren posa;
poi seguendo il camin giunge a l’usato,
dopo molto soffrir, ricetto amaro.
30Ecco, o diletti figli il Padre caro,
che tra caligin densa il sol n’addita!
Ecco che per soffrir martiro amaro
offerse a mille morti la sua vita!
E benché al suo voler fu il ciel avaro,
ché li negò ch’a lui fesse salita,
non però perse questa nobil alma
del bramato martir la cara palma.
31Giunto col dir, col venerabil volto
il padre pio di vero amor ripieno,
consola i figli et è da loro accolto
con cor giocondo e col ciglio sereno;
s’alcun di lor da Dio punto s’è tolto
l’ammonisce e riprende, di duol pieno,
e dolce insegna poi come conviensi
orar, Cristo seguir, frenar i sensi,
32e rende ogn’alma lor quasi in vil parte
candida perla preziosa e bella,
onde li cresce il gaudio e da lui parte
strano martir che l’ange e lo flagella.
Ogni modo, ogni via pur tenta, ogn’arte
ch’ogni mente al gran Dio si mostri ancella;
piange e geme, ché pargli poco acquisto
appo il gran merto fatto abbia il suo Cristo.
33Privo d’uman desio, d’amor acceso
e d’alta carità nutre e sostiene
con ambrosia celeste il core illeso,
già del Ciel cittadino, ove è sua spene:
a gli Angeli simil, non gli è conteso
il cercar quelle parti alme e serene
e ritrovar tra mille lumi ardenti
del Cielo il Re, che lega e scioglie i venti.
34Sovente quando notte il mondo annera
e a presto gira i lumi e a pigro moto,
va fra boschi selvaggi ove empia fera
non isgomenta il cor puro e devoto,
o in chiesa o in altro luoco ove egli spera
farsi occulto a le genti, a Cristo noto
e come a lui presente il prega e chiede
a i miser peccator grazia e mercede.
35Se si retira in selva alto risuona
l’aere d’intorno, suonan gli antri oscuri:
ivi i pianti amarissimi sprigiona
per chi son, per chi fur, per gli venturi;
e gridando dicea: «Signor, perdona
a quei per quai spargesti i sangui puri
e non voler che i nostri gravi errori
perdin l’acquisto de’ tuoi gran dolori».
36Vien sovente il nemico in mezzo a tante
lagrime e caldi preghi a fargli offesa;
egli è qual rocca che da squadra errante
combattuta esser può, non vinta e presa;
e soffre aspre battaglia l’uom costante:
scaccia i demon, fa forte a sé difesa,
chere indi pace per l’umane genti
con chiare voci al Re de gli elementi.
37O chiarità infinita, o intenso amore!
Innocente s’affligge e geme e langue,
arde per noi, s’ange il pietoso core
simile a chi per lui giù sparse il sangue;
e fin che dura il tenebroso orrore
si va aggirando pallido et esangue.
Movon gli atti a pietà le belve e i sassi
et anco il ciel, ch’a ciò stupido stassi.
38Ei fu veduto orando alzarsi al cielo,
in bianca nube accolto, sì lucente
che a mezzo giorno il sol senza alcun velo
è men puro, men chiaro e meno ardente;
e fiameggiar per gli occhi il santo zelo
di ch’egli ha pieno il cor per noi dolente;
con braccia aperte, quasi eccelsa croce,
lodar il suo signor con umil voce.
39Vide ei allor nel Ciel l’alme felici
goder perpetuo giorno, e vide ancora
de’ cari imitator i vari uffici,
et udì in grave suon voce canora
uscir in lode sua da spirti amici,
ch’ognun devoto il santo nome adora,
e vide a sé sacrati tempi alzarsi,
voti, odorati incensi, appesi et arsi;
40e depor le corone, e scettri e fregi
l’altere genti, e prender per suo amore
vil vesti, colme di quei chiari pregi
che Cristo dona a ben pentito core.
Vide a le donne rifiutar gli egregi
onori e di bellezze il primo fiore,
e di cilicio ornate erger le belle
luci nel cielo a vagheggiar le stelle.
41Né insuperbisse, benché alto secreto
a lui discopra spirto eterno e santo;
anzi s’umilia e ʼl nome prende lieto
di minor padre, a lui superbo vanto.
Onor non cura e nutre amor secreto
vèr la greggia da Cristo amata tanto;
s’affligge ognor l’afflitte membra, e prone
offre a fatiche, e a pesi aspri l’espone.
42Con gli affannati egli s’affanna e duole
al pianto, al sospirar sospira e piagne;
con gli allegri s’allegra, e così vuole
che ʼl suo voler gli affetti altrui compagne.
Uom deriso da ognuno onora e cole,
e seco ogni suo aver comparte e fragne;
cura gl’infermi et anco par s’appaghe
colmo d’amor fasciar fetenti piaghe.
43Nel nobil volto d’umiltà gli onori
appaion chiari e ʼl generoso petto
nutre almo foco di celesti ardori,
e di vil povertà gioia e diletto.
S’alza con l’alma a gli celesti cori,
scevro d’ogni terren cupido affetto;
ivi pe i peccator perdono impetra
con larghi pianti al Regnator de l’etra.
44Or s’inalza e salisse a l’alte sfere,
or s’abbassa e s’umilia al caro amico,
e con santa umiltà, non con maniere
superbe, anco s’inchina al reo nemico.
Ecco ritornar brama a rivedereSi ritira sulla Verna e riceve in visione un Angelo (44,5-63)
d’Alvernia il monte solitario e aprico,
e ʼl cor a Dio, se ha preso iniquo manto,
vuol co i prieghi amicar, lavar col pianto.
45Per gir dunque abbandona i suoi guerrieri
che già di lucid’arme il petto e i crini
cinsero, invitti a seguitar i veri
segni, ch’ei già spiegò sacri e divini.
Di lor un seco accolse e per sentieri
aspri andò come i monti ebbe vicini:
lieto fu sì null’uom, cred’io, che veda
la cara patria a cui d’essilio rieda.
46Tra sé dicea: «Ne’ dirupati sassi
de’ monti amici ha pace intiero albergo.
Qui contemplando al ciel sicuro vassi
lasciando il mondo, gli ozi e gli agi a tergo,
qui vita lieta in sicurezza fassi,
qui piansi et or di pianto il viso aspergo,
qui volge gli occhi pio l’eterno amore
a i miei sospiri, al pianto, al mesto core».
47Così dicendo a gran fatica sale
del monte Averno i sassi aspri e gelati
(dolce fatica!): alcun riposo eguale
non provaron que’ piè santi e beati.
Giunge a l’antico speco, né li cale
ch’ivi sien fiere e serpi entro celati:
lieti mirolli con ridenti ciglia;
essi escon riverenti: o meraviglia!
48Orsi, leoni irati, aspidi diri
al lui venir lasciano il tosco e l’ira;
ognun volgendo gli occhi in dolci giri
mostra placido il cor, pace desira.
L’orme di lui con avidi desiri
liba ciascun, tra sé l’adora e ʼl mira.
Forte difesa è il cor puro e perfetto
più che ferratoS | ferato usbergo al nudo petto.
49Poi dice a quel che guidò seco: «Altrove
trovar commoda stanza a te potrai:
meglio lungi da me salirai dove
spiega l’eterno sol celesti rai».
Parte il compagno, et egli i passi move
per l’antro di dolor colmo e di guai;
ignoto qui a le genti e noto a Cristo
vince sé stesso e fa del Cielo acquisto.
50Nobil desir ne la celeste reggia
inalza il chiaro e fervido intelletto,
ove di vivo amor luce e fiammeggia
l’ornamento del ciel puro e perfetto;
e mentre egli lo mira e lo vagheggia
sente dolcezza e insolito diletto,
onde si strugge e liquefà, qual suole
giaccio ferito da non certo sole.
51E il corpo resta quasi immobil pondo,
pallido di poter, di moto privo:
par che lo spirto a stato più giocondo
salito sia, del viver nostro schivo,
ma varca il ciel, benché nel basso mondo
ancor sia unito al corpo fral, ma divo:
liba or, quasi ape da novelli fiori,
piene dolcezze de’ perfetti amori.
52Dice: «Come in sé riede, ah vero bene,
eterno in Dio si gode, e glorioso
nudo d’ogni travaglio e de le pene
di che pieno è il rio secolo noioso!».
Così dicendo, pien di viva spene
gli occhi rivolge al pelican pietoso,
che per giovar s’offerse a morte atroce
fra i rami asceso de l’immensa croce.
53Contempla ogni sua piaga e d’ogni piaga
prova il dolor nel cor ch’ei già sentio;
mentre con dolce stral fère et impiaga
il generoso seno, affetto pio
versa da gli occhi, che la terra allaga,
a sé d’intorno un lagrimoso rio,
l’aria infiammando con sospiri ardenti
scioglie dal cor questi pietosi accenti:
54«Piaghe felici che con larga vena
d’alme peccanti il prezzo fuor versate!
Segni sacrati, a Dio bramata pena,
ch’uccidendo e infermando anco sanate,
piaghe mortali, di che l’alma è piena,
vero Rettor del Ciel, sol per pietate
ferisci questo petto e quel dolore
fa ch’ora provi il desioso core!
55Fiedi pur questo petto, enorme nido
d’ogni scelerità, beltà del cielo,
orecchie porgi al mio doglioso grido
che già tanto t’offese, ch’io nol celo.
Volgi a l’amaro pianto il guardo fido
che lava il manto e affligge il carnal velo,
et abbi omai pietà del pianto sparso
d’alma ferita, di cor egro et arso;
56anzi d’un’alma ch’è sommersa e involta
nel fango vil, nel vasto mar d’errori
senza fren di ragion, libera e sciolta,
già tutta in preda a’ giovenil furori
che desia temeraria, cieca e stolta,
fuggir ingiusta i meritati ardori,
ch’osa chieder pietà mentre la voce
move a impetrarla, ancor t’offende e noce».
57Tacque, e nel cor, ch’è pur di Cristo il tempio,
forma e dipinge il signor nostro essangue
pregar il Padre, e del pietoso essempio
sudar la bianca faccia il vivo sangue.
Poi figura che ʼl volgo crudo et empio
guida a’ tiranni il salutifero angue
flagellato, percosso, stanco e lasso
anco portar la croce al duro passo.
58Mira trafitto e sopra il legno alzato
de la nostra salute il dator vero
e vede il sacro volto esser cangiato,
fatto dal gran martir pallido e nero;
e pargli a punto allor che ʼl manco lato
gli apra col crudo ferro empio guerriero,
et ivi un rio ne sorga puro e mondo
che l’alme lavi e che ralumi il mondo.
59Scorrer di sangue rivo, anzi torrente,
pe ʼl monte dirupato (ahi, duol molesto!),
cader porpurea pioggia giù sovente
da la fronte su ʼl legno acro e funesto
vede, e mutarsi in notte il dì lucente
mentre al suo fin attende estremo e mesto.
Pensa al suo cor dolente e intorno preso
dal mortal gelo e d’alto amor acceso.
60E di sé fuori è solo attento e fiso
al suo languente e tormentato Cristo:
vede i rai che fan lieto il Paradiso
versar il pianto al sangue unito e misto;
sente il dolor che gli ebbe il cor diviso
vedendo del suo sangue il poco acquisto,
e seco compatisse e quelle doglie
ch’ei provò per altrui nel petto accoglie;
61e pensa come dopo pene tante,
ignominie, percosse, oltraggi e scherni,
morte gelata in pallido sembiante
de l’eterno Signor nel cor s’interni,
com’ei l’accoglia, quasi ardente amante,
e come poi risaglia a i regni eterni;
stupido pensa come fosse ardita
morte a dar morte a vita che dà vita.
62Ardi tra fredde nevi, ardi d’amore
mentre contempli in croce il Re superno,
benedetto serafico, e nel core
le spine provi, e chiodi e laccio e scherno;
senti anco quasi l’ultimo dolore
di che ʼl Ciel ne gode, pianse l’Inferno;
meravigli che morte uccida o veli
l’autor di vita e lo splendor de’ cieli.
63Ma intanto la beltà che in cielo avviva
le stelle e ch’è del mondo anima e vita
scendeva a Teti, e da le grotte usciva
notte di nero vel cinta e vestita,
allor ardente il nobil uomo apriva
a i lamenti, a i dolor via più spedita,
e prega e mercé chiede, e grazie rende
tutta la notte, né mai posa prende.