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Vita del serafico e glorioso San Francesco

di Lucrezia Marinella

Canto III

testo e note a cura di G. Vedovotto | criteri di trascrizione
ultimo agg. 9.09.15 11:41

Francesco riceve le stigmate (1-20)

1Di bianchi gigli e di purpuree rose
spargeva il ciel la rugiadosa aurora,
quando ei da l’antro solitario pose
il nudo piè su l’erme strade fuora
et ancor fiammeggiar stelle amorose
vede a sinistra e fra sé dice allora:
«Qual beltà chiudi, o bel celeste tempio,
se un poco sei di sua bellezza essempio!»

2Poi là s’inchina riverente et ove
sorge il lucente raggio i lumi affisa:
par che mirando in lui l’alma ritrove
soave pace, ch’è di duol conquisa.
Aquila gloriosa, che non move
da Cristo i rai, da cui non è divisa;
felice salamandra che si pasce
di fiamma e in vece di morir rinasce,

3cinto d’umanità gli occhi non pieghi
dal vivo fiammeggiar del sol lucente,
ma sopra lui l’acceso spirto leghi
con più perfetto e lucido Oriente;
mandi a lui con tue lodi i giusti preghi,
nunzi felici d’elevata mente,
e con pianto e sospir da Cristo impetri
grazia e virtù che ʼl cor dilegui e spetri.

4Ma quando a mezzo il ciel sereno il sole
ferma il lume fervente e intorno scopre
i regi alberghi, ogni superba mole,
gli antri riposti e ancor le celat’opre,
il nobil uom non vede più qual suole
azzurro il ciel, ma un sol che si discopre
e un sarafino in mezzo a lo splendore
con l’ali accese di celeste ardore.

5O come lieto gode, poi che vede
forma divina di gran fiamme cinta
scoprirsi a lui, ma tosto il cor li fiede
stral di pietà, c’ha l’alma in giaccio avinta,
che scerne nel bel lume chi concede
vita felice avendo morte estinta
di lui le membra vede in croce, e in esse
del nemico furor vestigia impresse.

6Scorge come dal ciel ratto discende,
qual fulgor che tuonando arde e fiammeggia,
non lungi frena il corso a chi s’accende,
e gela e teme, mentre lo vagheggia.
Ogni sua piaga tanta luce rende:
stella non luce sì ne l’alta reggia;
e ʼl lume unito lor del frale obietto
a le mani s’unisce, a i piedi, al petto.

7Nel petto, ne le mani e nelle piante
lasciò d’ogni sua piaga impresso il segno,
com’ebbe trasformato il caro amante
nel proprio aspetto andò al celeste regno.
Indi s’udì pe ʼl ciel voce tonante
dir: «Non per por il corpo a lieve sdegno,
a prigionie, a flagelli invitto e forte,
al foco, a inusitata e strana morte,

8ma sol per mente in Cristo accesa vassi
ove è d’eterno lume il cielo adorno».
Tacque, quasi repente tuon che passi
mentre è più chiaro e luminoso il giorno;
et ei con gli occhi lagrimosi e bassi
al solitario speco fa ritorno
nel cor confuso e di stupor ripieno,
indegno d’onor tal chiamasi a pieno.

9Qual meraviglia o sassi alpestri avete
a veder del gran Re che ʼl ciel compose
l’amico essempio in quel grand’uom che miete
secondo il suo desio pene gioiose?
O fortunate pietre, ricevete
Cristo in sembianza in cui sé stesso ascose,
amor chiese le piaghe, amor le diede,
premio a l’opre sue rare, a la sua fede!

10Resta alquanto sospeso e di sé fuore,
ché imago sembra del verace Cristo
in nobil pietra incisa, a quel colore
pallido e de le piaghe al novo acquisto,
fuor che de gli occhi a quel piovoso umore
d’amor e di stupor di doglia misto.
Poi trema, arde et aggiaccia, or osa or teme
mirar quel che in lui fèr forze supreme.

11Quando a quei segni sacrosanti gira
gli occhi, colmo di tema il saggio ingegno
col manto li ricopre e altrove mira,
ch’a mirarli lo sguardo stima indegno.
«Non merta un peccator ch’al Cielo è in ira,
carco d’error, di mille inferni degno,
aver le piaghe che scopron nel Cielo
Cristo tra’ santi et il ver noi pio zelo.

12Un reo che merta che tu irato aventi
su l’empio capo il fulmine omicida,
che la terra l’assorbi e fiamme ardenti
l’ardino e cl mondo del su’ obbrobrio rida
avrà tai doni? E pur tu li consenti
ad uom che cl vizio reo nel petto annida,
ch’indegno è ancor che li ferisci il core
col dolce stral del tuo divino amore?».

13Così disse dolente e poi si tacque,
ma parla in atti il lagrimoso aspetto;
solve il cor ammirato in tepide acque,
ma non la doglia al tormentato petto.
Doglia ha non già perché quel che a Dio piacque
a lui non piaccia, piace e ne ha diletto,
ma sé stima sì vil che si confonde
come il gran Dio tal dono in esso infonde.

14E benché ardesse sì ch’avida messe
in campo aprico accesa arda assai meno,
men il solfo appo il foco, sì compresse
le fiamme sante avea dentro al suo seno;
or duplicato è il foco e son sì spesse
le nove fiamme di che tutto è pieno,
e ne gli occhi e ne gli atti e nel sembiante
segni ne scopre d’infiammato amante.

15Felice vita in Cristo eterna godi
lungi da te, pur giunto a carne et osse:
ne le tue palme appar quasi de’ chiodi
i capi e fuori punti ripercosse;
ne i sacri piedi ne gl’istessi modi
sembrano ferri, appaion le percosse;
versi il sangue pe ʼl lato e ʼl cor tu mostri
zelante e pien di duol per gli error nostri:

16Che Dio sia in te, ché tu sei in Dio translato
fan chiaro vision che ‘l ciel scoperse:
scoprì guerrier di celesti armi ornato
che con la croce in sogno a te s’offerse.
Ei volea dir ch’esser tu dei cangiato
in Cristo e aver le piaghe ch’ei sofferse;
poi di Dio un servo di tua bocca vide
uscir la croce amica a l’alme fide.

17Varcò, rapito in estasi, un tuo figlio
le vie del ciel superne e mirò in quelle
mille seggi, e fra loro un di vermiglio
rubin contesto e di lucenti stelle,
per cui stupor lo prese e alzando il ciglio
chiese in tai voci a l’alme elette e belle:
«Di chi è, di chi fu questo ch’io veggio
via più d’ogn’altro adorno e nobil seggio?».

18Sì dir pareagli attonito e confuso,
quando un dolce e grazioso aspetto
un de gli spirti in luce aurea rinchiuso
rise e rispose al desio detto:
«Questo voto starà, fin che qui suso
l’umil Francesco ascenda a Dio diletto,
posseduto non è; ben fu, si serba
a lui poi che cadde mente superba.

19Cadde superba allor, quando simile
a l’eterno motor farsi volea,
mentre aspirò scoprirsi il più gentile,
dal ciel precipitò fra pena rea.
Nel centro oscuro or disprezzato e vile
biastema il cielo e ʼl fine ove attendea,
fra rumor di catene in pianti e ʼn doglie
sfoga il dolor de la fallaci voglie.

20E fosti da Giovanni Angel già visto
dal lucido Oriente alzarti al cielo
con quelle piaghe che ʼl vivente Cristo
soffrì per noi, pien d’amoroso zelo;
et uom che di te al mondo avea previsto
che calcar dei gli onori e ʼl Dio di Delo,
al tuo venir in terra stendea il manto
che ʼl terren non toccasse il tuo piè santo.

Tornato al mondo nasconde le proprie piaghe e riprende a predicare, infliggendosi punizioni sempre maggiori (21-44)

21O con quanta fatica i membri lassi
move per ber le fresche e gelid’onde!
Su gli erti monti e a faticosi passi
coglie l’erbette su nevose sponde.
Esso desia lasciar gli alpestri sassi,
spelonche opache e valli ime e profonde,
ond’ei le mani in rozza tela accoglie
e copre i piè di non usate spoglie;

22e seco ne riporta al suo ritorno
del suo dolce Gesù l’effigie impressa
non in vil pietra né in vago auro adorno,
ma nel suo cor, ne la persona istessa.
Ma come debbia pensa notte e giorno
celar la tanta grazia a lui concessa:
il dono è grande, in nota parte è posto,
spiato è già: come il terrà nascosto?

23Celato non tener, ma spiega al vento
del tuo gran capitan l’eccelsa insegna,
valoroso campione, onde spavento
pigli la parte che ʼl tuo Cristo sdegna;
indi crescerà forza et ardimento
del cielo amica a la tua schiera degna
sotto sì invitta insegna che sol mossa
trema l’Inferno, Pindo, Olimpo et Ossa.

24Ma Cristo scopre a la più incredul mente
il raro, degno e altissimo secreto,
mentre Francesco dona a corpo algente
spirto e ch’a le tempeste fa divieto;
mentre trae fuor per l’altrui sete ardente
dal sasso l’acque e ʼl mesto rende lieto,
di quei segni in virtù ch’incendio pio
l’impresse e insieme il cor l’arse e ferio.

25Da le stimmate sante è sì impedito
il corpo essangue che più gir non puote,
ma il vero amor che l’arde il petto ardito
stimula il nobil cor con simil note:
«Dunque indarno starai fin che fornito
sia ʼl viver tuo, né a genti farai note
le giuste pene e i premi che ʼl Re eterno
nel Ciel promette a l’alme e ne l’Inferno?

26Starai tu neghittoso? E quel che prima
Cristo ti commandò non curi, e sprezzi
le tante grazie con ch’ei ti sublima
a conseguir quel ben che tanto apprezzi?».
Poi portar fassi, né disagi stima,
per castella e città: con gridi e vezzi
Cristo invita a seguir, per le cui voci
molti lasciàr l’inganni e gli atti atrociS | attroci.

27Senza opra dar a sacro santi versi
gli occulti sensi intese e del suo Cristo
l’incomprensibil voglie, e come versi
il tesor di sue grazie al mal commisto;
de l’uom la mente et i voler diversi
comprese, e chi ʼl Ciel e ne fa acquisto:
quasi carro d’Elia sopra le stelle
s’alzò, Dio contemplando e l’alme belle.

28Giunt’è a tal purità che non contrasta
de lo spirto al voler la carne stanca,
né resistendo a la sua voglia casta
ne l’umane miserie si rinfrasca:
s’egli s’inalza ella se può sovrasta;
se non può, cerca almen, né in ciò già manca;
dolce gara tra lor si vede accesa,
emuli illustri in placida contesa.

29Or nova doglia acerba ange e tormenta
al corpo attenuato e nervi et ossa:
parte non è più in lui ch’esser non senta
da gravissime pene acre percossa;
né la virtù magnanima s’allenta
ne l’opre usate, anzi ognor cresce in possa.
Ma che può grave doglia in corpo afflitto
in cui lo spirto sia pronto et invitto?

30Quanto più acuto morbo il batte e fiede
tanto più s’avvalora il petto forte;
quel che già fu sì vago ora si vede
pallido essangue, imagine di morte,
anzi imago di Cristo, in cui la fede
s’avigorisce e gode l’alta corte;
par mentre il duol li cresce cresca insieme
de la mente il vigor, del cor la speme;

31e piangendo dicea: «Cresci il dolore,
luce della mia mente, al senso grave:
poco è questo mio affanno appo l’errore
ch’ora ingiusto commette e commesso have,
sveglia dal sonno il neghittoso core
con doglia acerba; ché poi fia soave,
se cancellato avrà gli empi diffetti
fatti con l’opre, col pensier, co i detti».

32E piglia un’aspra fune; indi percote
le deboli osse sue tremanti e lasse.
Al mondo, a Cristo fa sue voglie note,
ardenti sì, non moderate e basse;
insegna altrui e invita con devote
sembianze, acciò che ogn’uom il vizio lasse,
affliger, macerar la carne e i cori
accender di celesti e divi ardori.

33Dolor non è ch’ei stimi duolo a pieno,
onde s’affligge e gli occhi in pianto sface;
e benché scioglia al pianto largo il freno
non mai tant’è però che si dia pace:
né il Gange o ʼl Nil potrian scemar nel seno
l’ardor che sì l’avvampa almo e vivace:
col suo Signor è affiso in croce e langue,
arde d’amor per l’alme e versa il sangue.

34Il sangue versa in lagrime converso,
piange l’altrui miserie e l’alme ingrate;
«Non vo’» dicea «da l’onde ch’ora verso,
ancor che sien da grande affetto nate;
ti movi a dar perdono a l’universo,
ma te sol vinca la natia pietate.
Mira ne le tue mani i merti nostri
che ci rapiro da gli oscuri chiostri».

35Indi tra sé co i suoi dolor dicea:
«Dolci mie gioie, non già amare doglie,
affligetemi pur!»; e ciò chiedea
questi in Dio fiso con ardenti voglie.
Ecco crescon le doglie, e pena rea
l’affanna che di vita quasi il toglie;
ma giont’è a segno tal che prova et have
crudo martir d’ogni martir più grave.

36Santa Roma purpurea, che sedesti
spettatrice di morte a i crudi aspetti,
allor tu il manto candido tingesti
col sacro sangue de’ martiri eletti,
mentre irritar serpe crudel vedesti
contra i costanti e verginali petti,
e restar vinto mentre i puri sangui
versar que’ vincitor da’ corpi essangui.

37Et ancor che mirasti orrendi e fieri
spettacoli di morte, oggetti atroci,
uom però non vedesti ch’anni intieri
provasse gran dolor, pene feroci,
benché soffrisser ferri e volti altieri,
crati, flagelli e minacciose voci,
tosto dier fine e vincitrici l’alme
saliro al Ciel con gloriose palme.

38Ma questi quattro lustri ha il sol portato
nel Cancro ardente il luminoso volto
e venti volte ha già dal campo amato
le bionde spiche il metitor raccolto
che si pasce di pianto e che sprezzato
e morto al mondo, et or si mostra volto
ne l’effigie di Cristo e in pene amare
gode quanto maggiori, a lui più care.

39Egli ha in due lunghe cave gli occhi accolti,
pallido e scarno il venerabil viso;
sorgon le vene e de’ suoi piedi sciolti
magro è così ch’ogn’osso par diviso;
e le viscere sue tra gli ossi molti
nel cavo ventre di veder ti è aviso,
e tal magrezza a gli occhi altrui dipinge
come l’ossa Natura annoda e stringe.

40Somiglia a quel ch’è sol bontà infinita,
ch’egro fu posto e sanguinoso in croce
ove di morte trasse eterna vita,
dolce piacer di rio dolor che nuoce.
Questi tacendo chiama, prega e invita
a la morte, al martirio ad alta voce,
e mostra ch’egli in corpo afflitto cela
beltà che sola al suo signor rivela.

41Sì fiso è in Dio ch’ovunque gli occhi gira
Cristo pargli veder su ʼl legno estinto;
se parla di lui parla, se sospira
per lui sospira e seco in croce è avvinto.
Quando co i lumi il crocifisso mira,
a pianger da pietà tenera è spinto;
poi dice: «Ché t’affliggi, se tu sai
ch’a lui se’ caro quant’altro uom fu mai?

42Ch’è meraviglia s’al celeste ardore,
che i monti eccelsi spezza e il giaccio accende,
già che son neve e c’ho di neve il core,
mi liquefacio e l’onda al piè mi scende?
Felice me, poi che un tuo raggio, Amore,
m’illumina la mente e in me risplende,
e s’io mi sfaccio come giaccio suole
a i caldi rai del temperato sole!»

43Così soggiunse, e preghi al sommo bene
invia piangendo l’uom pudico e degno.
Dir lo vorrei, ma meglio è ch’io m’affrene,
ché no i saprò, ché non ho ardir né ingegno;
pria direi con qual canto le serene,
parti girando dal celeste regno,
insegnin Dio lodar, e con quai tempre
l’opre del lor rettor lodino sempre.

44Luce che l’alme accendi e ʼl cielo adorni
di caste voglie e di chiaro splendore,
sì di lui ardi il cor ch’a i tuoi soggiorni
vibra le fiamme di perfetto amore;
ei te desia qual cervo a i caldi giorni
di tersa fonte il fresco e dolce umore
o qual desia tra l’onde irate e felle
combattuto nocchier le chiare stelle.

Muore invocando il perdono di Dio (45-55)

45De la sua morte il destinato giorno,
che preditto e previsto s’avea inanti,
giunge aspettato; il manto egli d’intorno
si spoglia e in terra stende i membri santi,
e di pura umiltà si mostra adorno
l’uom semivivo ne i divin sembianti.
Nudo il Signor morì: vuol questi ancora
che nudo il corpo e in gran miseria mora.

46Chiama a sé i figli amati, e ʼn dolce suono
essorta ognuno a star costante e forte
contra ogni aversità, ch’avrà per dono
de le fatiche sue l’eterea corte;
ma sente l’alma che vèr l’alto trono
l’ali dispiega e ch’è vicino a morte:
tacque, e col segno di che ornossi il petto
lor benedice pien di caldo affetto;

47e un crocifisso abbraccia, e ʼl bacia e stringe,
lo mira, e dice poi languido e pio:
«L’ora è giunta, Signor, che morte spinge
lo spirto ingiusto fuor del corpo mio,
e l’infernal nemico, ohimè, s’accinge
per divorarlo, e ʼn ansia per desio
gli orribil suoi muggiti d’udir parmi,
ché temo ch’Angel buon per me non s’armi.

48Libera l’alma mia, Signor che puoi,
dal reo serpe infernal, da i morsi ingiusti:
difendi, favorisci, aiuta i tuoi
che con prezzi comprasti eccelsi e giusti;
fede in me accresci, a me perdona, e poi,
acciò ch’io saglia a li tuoi seggi augusti,
a l’orrende mie pene omai ti piaccia
por fine e da lo spirto il corpo slaccia.

49De la salute mia principio degno,
Regina in Ciel de l’anime più belle,
che adorna splendi nel celeste regno
di chiaro sol, di gloria d’aure stelle,
concedi, poi che lascio il mondo indegno,
ch’esco da turbolente, atre procelle,
pace a l’alma mia affannata, che fu stolta,
cieca al ben, Argo al mal, nel loto avolta.

50E prego te, Signor, che ʼl mio cor empio
miri con occhi di pietoso amante
tu ch’innocente a morte a darci essempio
t’offristi per mio amor forte e costante,
ch’accogli omai nel tuo celeste tempio
l’alma che lascia il corpo e ʼl mondo errante».
Qui tace, ché parlar oltre non puote,
ma di pianto ne sparge ambe le gote.

51Poi da la sacra bocca uscì un fulgore
ch’illustrò l’umil cella e l’aere nero,
e in mezzo del chiarissimo splendore
era stella ch’al ciel prese sentiero.
Vanne beata e del tuo gran valore
degno premio ricevi al sommo impero,
e appaga il tuo desio nel divo aspetto
del Re ch’amasti con sì ardente affetto.

52Poggia felice a le celesti sfere,
anima benedetta, ove il tuo Cristo
t’attende cinto d’angeliche schiere,
lieto e gioioso di cotanto acquisto,
poiché da pugne perigliose e fere
n’uscisti vincitor del mondo tristo,
poi che l’opre e la via scoperto n’hai
che guida l’alme fuor d’eterni guai.

53O meraviglia al corpo sacro e santo
ch’era già bruna pelle e nudat’ossa,
cresce morbida carne, bianca tanto
quanto falda di neve ancor non mossa.
Son neri i chiodi, quai del carnal manto
composti fur, del lato la percossa
è tal qual sotto a rugiadoso cielo
purpurea rosa ancor giunta al suo stelo.

54Chi potria dir a pien gli alti dolori,
l’amaro pianto, i flebili lamenti
che fanno i figli, i quai con degni onori
ornano il corpo e con devoti accenti
pregano requie a l’alma e novi fiori
li offrono poi con voglie pure e ardenti?
Preparan mille faci a lui d’intorno
per poi seguirlo al suo sepolcro adorno.

55Dopo i sospir, le voci e ʼl largo pianto
che i figli orbati fèro al padre degno,
il corpo alzaro, altri rapiro intanto
lauri d’amor, d’onor, di lodi in segno;
l’accompagnàr con inni e dolce canto
finché dier degna tomba al nobil pegno,
benché a Francesco santo, a cui l’alm’ergo,
tomba sia l’universo e ʼl ciel albergo.

Il narratore apostrofa il lettore ad apprendere l’esempio di Francesco (56-61)

56Da questo illustre essempio, o voi mortali,
apprendete virtù, ch’al Ciel vi guidi:
fuggite i vani amor, vizi infernali,
né lasciate che in voi peccato annidi.
Ma pochi oggi ne son che i sensi frali
tentin di macerar; pur vedo e vidi
di nostra stirpe te, che i sensi opprimi
e i pensier fermi in Cristo almi e sublimi.

57Tu per seguirlo il mondo pien d’affanni
odiando, indi con voglie accese e deste,
l’opre et il cor spogliando i vaghi panni
sacrasti al Re de la magion celeste.
O saggio che dal mar colmo de’ danni
salvo fuggisti e da le Scille infeste,
e d’angelico spirto il nome poi
prendesti e ch’ami il Ciel mostrasti a noi!

58Ancor ci scorgo quella bella e casta
Diamantina gentil, di bontà essempio,
che tanto a l’altre donne ella sovrasta
quanto a la terra il luminoso tempio:
co i nemici de l’alme essa contrasta,
di lor ne fa meraviglioso scempio;
mostra in giovane età maturo ingegno
o s’altro in donna è via più chiaro e degno.

59Lume beato, che risplendi e luci
con cinque chiari lumi in gloria accolto,
di Cristo illustre essempio, ché riduci
l’anime in Ciel lungi dal mondo stolto,
volgi a l’Ispani e a’ Franchi l’alme luci
e del lor guerreggiar con lieto volto
prega Dio che dia fine e in pace seggia
omai questa di Cristo inferma greggia;

60et impetra al Re che regge e move
con picciol cenno l’universo tutto,
grazia, ché l’egra spoglia mia ritrove
ristoro e volga in lungo riso il lutto;
per sua pietade e per tu’ amor mi giove,
io per te goda di tua grazia il frutto,
che se ciò fia canterò sì ch’adietro
lasciarò certo il bel saffico metro.

61E prega ch’esser noi possiam tra quelle
schiere d’anime elette in Paradiso
e fra vaga armonia, fra chiare stelle
miriamo in gloria il gran Rettor assiso;
e di colei che sopra l’altre belle
bellissima risplende, il nobil viso
possiamo vagheggiar e i chiari fregi
che Cristo a te donò sublimi e regi.