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La strage de gli innocenti

di Giovan Battista Marino

Libro I – Sospetto d’Erode

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 28.03.15 11:21

ARGOMENTO
L’iniquo re de le tartaree grotte
prevedendo ’l suo mal s’affligge e rode,
quindi esce fuor da la perpetua notte
Furia crudele a insospettir erode.
Egli, che nel suo cor stima interrotte
le quieti al regnar, di ciò non gode,
ma per opporsi a la crudel fortuna
i satrapi a consiglio al fin raduna.

Proemio (1-4)

1Musa non più d’amor, cantiam lo sdegno
del crudo re che mille infanti afflitti
(ahi, che non pote avidità di regno?)
fe’ del materno sen cader trafitti.
E voi, reggete voi l’infermo ingegno
nunzi di Cristo e testimoni invitti,
che deste fuor de le squarciate gole
sangue in vece di voce e di parole.

2Antonio, e tu del gran Ibero onore,
germoglio altier d’imperadori e regi,
chi non s’abbaglia al tuo sovran splendore
s’al sole istesso l’alba tua paregi?
O de’ più grandi eroi specchio e valore,
che d’invitta virtù ti glori e pregi,
non dispreggiar di sacre rime ordito
questo picciol d’onor serto fiorito.

3Né fregiar di tai fior sì degna fronte
la mia Musa devota arrossir deve,
di que’ fior che nutrisce il chiaro fonte
in cui d’acqua vital vena si beve,
fior di cui mai non spoglia il sacro monte
o di Sirio o di Borea arsura o neve,
da cui suggendo alte dolcezze ascose
formano eterno mele api ingegnose.

4Tu che con tanto pregio e gloria tanta
di Partenope bella il fren reggesti,
ch’Atene o Roma eroe di te non vanta
più degno onde memoria al mondo resti,
sì che lieta non pur celebra e canta
la mia Sirena i tuoi famosi gesti,
ma di tutto il Tirren l’onda sonora
il tuo nome immortal mormora ancora.

Satana vede la nascita di Cristo e decide di muovere guerra al progetto celeste (5-32)

5Sotto gli abissi, in mezzo al cor del mondo
nel punto universale de l’universo,
dentro la bolgia del più cupo fondo
stassi l’antico spirito perverso.
Con mordaci ritorte un groppo immondo
lo stringe di cento aspidi a traverso;
di tai legami in sempiterno il cinse
il gran campion che ’n Paradiso il vinse.

6Giudice di tormento e re di pianto,
d’inestinguibil foco ha trono e vesta,
vesta, già ricco e luminoso manto,
or di fiamme e di tenebre contesta.
Porta, e sol questo è del suo regno il vanto,
di sette corna alta corona in testa;
fan d’ogni intorno al suo diadema regio
idre verdi e ceraste orribil fregio.

7Ne gli occhi, ove mestizia alberga e morte,
luce fiammeggia torbida e vermiglia;
gli sguardi obliqui e le pupille torte
sembran comete, e lampadi le ciglia.
E da le nari e da le labra smorte
caligine e fetor vomita e figlia;
iracondi, superbi, disperati
tuoni i gemiti son, folgori i fiati.

8Che la vista pestifera e sanguigna
con l’alito crudel ch’avampa e fuma,
la pira accende orribile e maligna
che ’nconsumabilmente altrui consume.
Con amaro stridor batte e digrigna
i denti aspri di rugine e di schiuma,
e de’ membri d’acciaio entro le fiamme
fa con l’estremo suo sonar le squamme.

9Tre rigorose vergini vicine
sono assistenti a l’infernal tiranno,
e con sferze di vipere e di spine
intente sempre a stimular lo stanno.
Crespi han di serpi innanellato il crine,
ch’orrida intorno al volto ombra lor fanno.
Scettro ei sostien di ferro, e mentre regna
il suo regno e se stesso aborre e sdegna.

10Misero, e come il tuo splendor primiero
perdesti e, già di luce angel più bello,
eterno avrai dal punitor severo
a l’ingiusto fallir giusto flagello,
de’ fregi tuoi vagheggiatore altero,
de l’altrui seggio usurpator rubello,
trasformato e caduto in Flegetonte,
orgoglioso Narciso, empio Fetonte?

11Questi da l’ombre morte a l’aria viva,
invido pur di nostro stato umano,
le luci ove per dritto in giù s’apriva
cavernoso spiraglio alzò lontano,
e proprio là ne la famosa riva
ove i cristalli suoi rompe il Giordano
cose vide e comprese, onde nel petto
rinovando dolor crebbe sospetto.

12Membra l’alta cagion de’ gran conflitti,
esca ch’accese in Ciel tante faville;
volge fra sé gli oracoli e gli editti
e di sacri indovini e di Sibille,
osserva poi vaticinati e scritti
mille prodigi inusitati e mille.
E mentre pensa e teme e si ricorda
l’andate cose a le presenti accorda.

13Vede da Dio mandato in Galilea
nunzio celeste a verginella umile,
che la ’nchina e saluta, e come a dea
le reca i gigli de l’eterno aprile.
Vede nel ventre de la vecchia ebrea,
feconda in sua sterilità senile,
adorar palpitando il gran concetto,
prima santo che nato, un pargoletto.

14Vede d’Atlante i ghiacci adamantini
sciorsi in rivi di nettare e d’argento,
e verdeggiar di Scizia i gioghi alpini
e i diserti di Libia in un momento.
Vede l’elci e le querce e gli orni e i pini
sudar di mele, e stillar manna il vento,
fiorir d’Engaddo a mezzo verno i dumi,
correr balsamo i fonti e latte i fiumi.

15Vede de la felice e santa notte
le tacit’ombre e i tenebrosi orrori
da le voci del Ciel percosse e rotte,
e vinti da gli angelici splendori.
Vede per selve e per selvagge grotte
correr bifolchi poi, correr pastori
portando lieti al gran Messia venuto
de’ rozzi doni il semplice tributo.

16Vede aprir l’uscio a triplicato sole
la reggia oriental, che si disserra.
Scardinata cader vede la mole
sacra a la bella dea ch’odia la guerra;
gl’idoli e i simulacri ove si cole
sua deità, precipitati a terra,
e la terra tremarne e scoppiar quanti
v’ha d’illecito amor nefandi amanti.

17Vede dal ciel con peregrino raggio
spiccarsi ancor miracolosa stella
che verso Bettelem dritto al viaggio
segnando va folgoreggiante e bella,
e, quasi precursor divin messaggio,
fidata scorta e luminosa ancella
tragge di là da gli odorati Eoi
l’inclito stuol de’ tre presaghi eroi.

18A i nuovi mostri, a i non pensati mali
l’aversario del ben gli occhi converte,
né men ch’a morte a se stesso mortali
già le piaghe antevede espresse e certe.
Scotesi, e per volar dibatte l’ali,
che ’n guisa ha pur di due gran vele aperte,
ma ’l duro fren che l’incatena e fascia
da l’eterna prigion partir nol lascia.

19Poiché da’ bassi effetti egli raccolse
l’alto tenor de le cagion superne,
tinte di sangue e di venen travolse
quasi bragia infernal l’empie lucerne.
S’ascose il viso entro le branche e sciolse
ruggito che ’ntronò l’atre caverne,
e de la coda, onde se stesso attorse,
la cima per furor tutta si morse.

20Così freme fra sé; ma d’altra parte
stassi intra due, non ben ancor sicuro.
Studia il gran libro e de l’antiche carte
interpretar s’ingegna il senso oscuro.
Sa, né sa però come e con qual arte,
l’alto natal del gran parto futuro
d’ogni vil macchia inviolato e bianco
dover uscir di verginello fianco.

21Onde creder non vuol del gran mistero
la meraviglia a i chiari ingegni ascosa.
Come possa il suo fiore avere intero
sì che vergine sia donna ch’è sposa,
e poi che ’l vero Dio divenga uom vero
strana gli sembra e non possibil cosa;
che lo spirto s’incarni e che vestita
gir di spoglia mortal deggia la vita;

22che l’incompreso et invisibil lume
si riveli a pastor mentre che nasce;
che l’infinito onnipotente nume
fatto pria prigionier di poche fasce;
che latte bea con pueril costume,
chi di celeste nettare si pasce;
che ’n rozza stalla, in vil capanna assiso
stia chi trono ha di stelle il Paradiso;

23che ’l sommo Sol s’offuschi in picciol velo
e che ’l verbo divin balbo vagisca;
che del foco il fattor tremi di gelo
e che il riso de gli angeli languisca;
che serva sia la maestà del Cielo
e che l’immensità s’impicciolisca;
che la gloria a soffrir venga gli affanni
e che l’eternità soggiaccia a gli anni;

24et oltre poi, ch’umiliato e fatto
al taglio ubidiente ancor se stesso,
del gran legislator sopponga al patto
dal marmoreo coltel piagato anch’esso,
e ’l redentore immacolato intatto
del marchio sia de’ peccatori impresso.
Questo la mente ancor dubbia gl’involve
né ben de’ suoi gran dubbi il nodo ei solve.

25Mentre a machine nove alza l’ingegno
l’ombra del fosco cor stampa nel viso;
del viso l’ombra in quell’oscuro regno
è d’interna mestizia espresso avviso.
Come suol di letizia aperto segno
essere in cielo il lampo, in terra il riso,
da queste cure stimulato e stretto
un disperato ohimè svelse dal petto.

26«Ohimè,» muggiando «ohimè» dicea «qual veggio
d’insoliti portenti alto concorso?
che fia questo? Ah, l’intendo, ah per mio peggio
m’avanza ancor l’angelico discorso.
Che non poss’io tòrre a natura il seggio
e mutare a le stelle ordine e corso
perché tanti del ciel sinistri auspici
divenisser per me lieti e felici?

27Che può più farmi omai chi la celeste
reggia mi tolse e i regni miei lucenti?
Bastar doveagli almen per sempre in queste
confinarmi d’orror case dolenti,
abitator d’ombre infelici e meste,
tormentator de le perdute genti,
ove per fin di sì malvaggia sorte
non m’è concessa pur speme di morte.

28Volse a le forme sue semplici e prime
natura sovra alzar corporea e bassa,
e de’ membri del Ciel capo sublime
far di limo terrestre indegna massa.
I’ nol soffersi, e d’Aquilon le cime
salsi, ove d’angel mai volo non passa;
e se quindi il mio stuol vinto cadeo
il tentar l’alte imprese è pur trofeo.

29Ma che, non sazio ancor, voglia e pretenda
gli antichi alberghi miei spopolar d’alme?
che ’n sé con modo indissolubil prenda,
per farmi ira maggior, l’umane salme?
che poscia vincitor sotterra scenda
ricco di ricche e gloriose palme?
che vibrando qua giù le fulgid’armi
ne le miserie ancor venga a turbarmi?

30Ah non se’ tu la creatura bella,
principe già de’ fulguranti amori,
del matutino ciel la prima stella,
la prima luce de gli alati cori,
che, come suol la candida facella
scintillar fra le lampadi minori,
così ricco di lumi alti celesti
fra la plebe de gli angeli splendesti?

31Lasso, ma che mi val fuor di speranza
a lo stato primier volger la mente
se con l’amara e misera membranza
raddoppia il ben passato il mal presente?
Tempo è d’opporsi al fatto, e la possanza
del nemico fiaccar troppo insolente.
Se l’Inferno si lagna il Ciel non goda,
se la forza non val vaglia la froda.

32Ma qual forza tem’io? Già non perdei
con l’antico candor l’alta natura.
Armisi il mondo e ’l Ciel; de’ cenni miei
gli elementi e le stelle avran paura.
Son qual fui, fia che può, come potrei
se non curo fattor curar fattura?
S’armi Dio: che farà? Vo’ quella guerra
che non mi lece in ciel movergli in terra».

Satana rifiuta l’aiuto delle tre Furie e preferisce rivolgersi alla Crudeltà, che esce dalla sua reggia e riceve gli ordini (33-48)

33Lodaro i detti e sollevàr la fronte
le tre forici e rigide sorelle,
e tutte in lui di Stige e d’Acheronte
rotàr le serpi e scosser le facelle.
«Eccoci» disser «preste, eccoci pronte
d’ogni tua voglia esecutrici ancelle,
sommo signor di questo orribil chiostro,
tuo sia l’imporre e l’ubidir sia nostro.

34Provasti in Ciel ne la magnanim’opra
ciò che sa far con le compagne Aletto.
Né perch’oggi quaggiù t’accoglia e copra
ombroso albergo e ferrugineo tetto
men superbir dei tu, ché se la sopra
al Monarca tonante eri soggetto
qui siedi re, che libero et intero
hai de la terra e de l’abisso impero.

35Se valer potrà nulla industria o senno,
virtù d’erbe e di pietre o suon di carmi,
inganno, ira et amor, che spesso fenno
correr gli uomini al sangue, a trattar l’armi,
tu ci vedrai, col che ti piaccia, a un cenno
trar le stelle dal ciel, l’ombre da i marmi,
por sossopra la terra e ’l mar profondo
crollar, spiantar da le radici il mondo».

36Risponde il fiero: «O miei sostegni, o fidi
de la mia speme e del mio regno appoggi,
ben le vostr’arti e ’l valor vostro io vidi
chiaro là su ne gli stellanti poggi,
ma, perché molto in tutte io mi confidi,
uopo d’una però mi sia sol oggi:
Crudeltà chiedo sola, e sol costei
può trar di dubbio i gran sospetti miei».

37Era costei de le tre dee del male
suora ben degna, e fera oltre le fere,
e sen gìa d’or in or battendo l’ale
a riveder quelle mal nate schiere,
vaga di rinforzar l’esca immortale
al foco onde bollian l’anime nere,
nel più secreto baratro profondo
del sempre tristo e lagrimoso mondo.

38Ulularo tre volte i cavi spechi,
tre volte rimbombàr l’ombre profonde,
e fin ne’ gorghi più riposti e ciechi
tonàr del gran Cocito i sassi e l’onde.
Udì quel grido, e i suoi dritt’occhi in biechi
torse colei da le tartaree sponde,
e per risposta al formidabil nome
fe’ sibilar le serpentine chiome.

39Cosa non ha la region di morte
più de la sua terribile et oscura:
stan sempre a i gridi altrui chiuse le porte
scabre, e di selce adamantina e dura;
son di ferro le basi e son di forte
diaspro impenetrabile le mura,
e di sangue macchiate e tutte sozze
son di teste recise e membra mozze.

40V’ha la Vendetta su la soglia, e ’n mano
spada brandisce insanguinata ignuda.
Havvi lo sdegno, e col Furor insano
e la Guerra e la Strage anela e suda.
Con le minaccie sue fremer lontano
s’ode la Rabbia impetuosa e cruda.
E nel mezzo si vede in vista accerba
la gran falce rotar Morte superba.

41Per le pareti abominandi ordigni
onde talor sono i mortali offesi,
de la fiera magion fregi sanguigni
in vece v’ha di cortinaggi appesi.
Rote, ceppi, catene, aste, macigni,
chiodi, spade, securi et altri arnesi
tutti nel sangue orribilmente intrisi
di fratelli svenati e padri uccisi.

42In mensa detestabile e funesta
l’ingorde Arpie con la vorace Fame
e l’inumano Erisitton di questa
cibano ad or ad or l’avide brame.
E con Tantalo e Progne i cibi appresta
Attreo feroce e Licaone infame.
Medusa entro ’l suo teschio a la crudele
porta in sangue stemprato a bere il fele.

43Le spaventosi Eumenidi sorelle
son sempre seco, e sempre in man le ferve
furial face; intorno ha Iezabelle,
Scilla, Circe, Medea ministre e serve.
Son de l’iniqua corte empie donzelle
le Parche inessorabili e proterve,
da le cui man fur le sue vesti ordite
di negre fila di recise vite.

44Circonda il tetto intorno intorno un bosco
c’ha sol d’infauste piante ombre nocenti;
ogni erba è peste et ogni fiore è tosco,
sospir son l’aure e lacrime i torrenti.
Pascon quivi per entro a l’aer fosco
Minotauri e Ciclopi orridi armenti
di draghi e tigri, e van per tutto a schiere
Sfinge, iene, ceraste, idre e Chimere.

45Di Diomede i destrier, di Fereo i cani
e di Terodamante havvi i leoni,
di Busiri gli altari empi e profani,
di Silla le severe aspre prigioni,
i letti di procuste orrendi e strani,
le mense immonde e rie de’ Lestrigoni,
e del crudo Sciron, del fiero Scini
gl’infami scogli e dispietati pini.

46Quanti mai seppe imaginar flagelli
l’implacabil Mezzenzio o Gerione,
Oco, Ezzelino, Falari e con quelli
il sempre formidabile Nerone
v’ha tutti; havvi le fiamme, havvi i coltelli
di Nabucco et Acabbe e Faraone.
Tale à l’albergo, e quinci esce veloce
la quarta Furia a la terribil voce.

47A costei la sua mente aperse a pena
l’imperador de la tremenda corte
ch’ella di Dite, in men che non balena,
abbandonò le ruginose porte;
e la faccia del ciel pura e serena
tutta macchiando di pallor di morte,
sol con la vista avvenenati al suolo
fe’ piombar gli augelletti a mezzo ’l volo.

48Tosto che fuor de la vorago oscura
venne quel mostro a vomitar l’Inferno,
parvero i fiori intorno e la verdura
sentir forza di peste, ira di verno.
Potria col ciglio instupidir Natura,
inorridire il bel pianeta eterno,
irrigidir le stelle e gli elementi
se non gliel ricoprissero i serpenti.

La Crudeltà si reca in sonno da Erode e gli mostra il pericolo che la nascita di Cristo rappresenta per il suo regno (49-59)

49Già de l’ombrose sue riposte cave,
de la notte compagno, aprendo l’ali
lente, e con grato furto il Sonno grave
togliea la luce a i pigri occhi mortali;
e con dolce tirannide e soave
sparse le tempie altrui d’acque letali,
i tranquilli riposi e lusinghieri
s’isignorian de’ sensi e de’ pensieri,

50quando le negre piume agili e preste
spiega l’Erinne, e ’n Bettelem ne viene,
ché ’n Bettelem lo scettro, a le moleste
cure involato, il re crudel sostiene.
E qual già con facelle empie e funeste
di Tebe apparve a le sanguigne cene,
ricerca e spia de la magion reale
con sollecito piè camere e sale.

51La reggia allor del buon David reggea
ligio d’Augusto Erode, uom già canuto,
non legittimo re ma d’idumea
stirpe, e del regno occupator temuto.
Già ’l diadema real de la Giudea
la progenie di Giuda avea perduto,
e del giogo servil gli aspri rigori
sostenendo piangea gli antichi onori.

52Scorso l’albergo tutto a le secrete
ritirate sen va del gran palagio,
là dove in placidissima quiete
tra molli piume il re posa a grand’agio.
Non vuole a lui qual proprio uscì di Lete
mostrarsi il mostro perfido e malvagio,
ma dispon cangiar faccia e girla avante
fatta pallida imago, ombra vagante.

53Ciò che di Furia avea spoglia in un tratto,
e di forma mortal si vela e cinge;
Giusippo a l’aria, al volto, a ciascun atto
quale e quanto ei fu simula e finge.
Al re dal sonno oppresso e sovra fatto
s’accosta, e ’l cor con fredda man gli stringe;
poi la voce mentita e mentitrice
scioglie tra ’l sonno e la vigilia e dice:

54«Mal accorto tu dormi, e qual nocchiero
che per l’Egeo di nembi oscuri e densi
cinto, a l’onda superba, al vento fiero,
obliato il timon, pigro non pensi.
Te ne stai neghittoso e ’l cor guerriero
ne l’ozio immergi e nel riposo i sensi,
e non curi e non sai ciò che vicino
ti minacci di reo forte destino.

55Sai che de’ reggi ebrei dal ceppo antico,
quasi d’arido stel frutto insperato,
ammirabil fanciul, benché mendico,
là tra le bestie e ’l fine pur dianzi è nato.
Del novo germe, a te fatal nemico,
troppo amico si mostra il vulgo ingrato:
gli applaude, il segue, e già con chiara fama
tuo successor, suo regnatore il chiama.

56O qua’ machine volge, o quai disegna
moti sediziosi! Il foco ha in seno,
il ferro in man, già d’occultar s’ingegna
ne le regie vivande anco il veneno;
né v’ha pur un che l’ire a fren ritegna
del rio trattato, o che tel scopra almeno.
Or va’ poi tu, con l’armi e con le leggi
popolo sì fellon difendi e reggi.

57Quell’io che già per stabilirti in mano
de la verga reale il nobil peso,
posi in non cale, e vita e sangue, in vano
dunque il sangue e la vita ho sparso e speso?
Per più lieve cagion contro il germano
proprio e i propri tuoi figli han l’armi preso:
or giaci, o frate, ad altre cure intento
nel maggior uopo irresoluto e lento?

58Su su, perché ti stia? qual ti ritarda
o viltate o follia? Destati, desta,
sorgi, misero, omai, scuotiti e guarda
quale spada ti pende in su la testa.
Sveglia il tuo spirto addormentato, ond’arda
di regio sdegno, e l’ire e l’armi appresta.
Teco di ferro e sangue ombra fraterna
invisibile m’avrai ministra eterna».

59Così gli parla, e poi l’anfesibene
de le schiume di Cerbero nodrita,
ch’al manco braccio avviluppata tiene
venenosa e fischiante al cor gl’irrita,
e gli spira in un soffio entro le vene
fiamma ch’aviva ogni virtù sopita.
Ciò fatto entra nel buio e si nasconde
tra l’ombre più secrete e più profonde.

Erode, tormentato dal sospetto, decide di convocare i maggiorenti del regno (60-66)

60Rompesi il sonno, e di sudor le membra
sparso, dal letto infausto il re si scaglia,
che, benché ricco e morbido, gli sembra
siepe di spine e campo di battaglia.
Ciò che d’aver veduto gli rimembra
e ciò ch’udì ne la memoria intaglia.
Pien d’affanno e d’angoscia a vòto sfida,
imperversa, minaccia, et armi grida.

61Come se largamente pascolo accresce
d’esca a la fiamma, o mantice l’alluma,
ferve concavo rame e mentre mesce
il bollo col vapor mormora e fuma,
gonfiasi l’onda insuperbita et esce
sul giro estremo, e si convolve e spuma,
versasi al fine intorno e nocer tenta
a quel medesmo ardor che la fomenta,

62così confuso e stupido quand’ode
novo sollevator sorger nel regno,
sentesi l’alma il dispietato Erode
già di timor gelata arder di sdegno.
Tarlo d’ingiuria impaziente il rode,
né trova loco a l’inquieto ingegno,
e de la notte, ov’altri posa e tace,
quasi guerra importuna, odia la pace.

63Già per mille profetici presagi
questo dubbio nel cor gli entrò da prima;
poi da che vide i tributari Magi
nel suo regno passar da strano clima,
a rodergli pensier crudi e malvagi
ritornò di timor tacita lima.
Or che i sospetti in lui desta e rinova
il fantasma infernal, posa non trova.

64Tosto che spunti in Oriente il giorno,
che l’aria ancora è nubilosa e nera,
vuol che s’aduni entro ’l real soggiorno
de’ consiglieri principi la schiera.
Va de’ sergenti e de gli araldi intorno
la sollevata turba messagiera,
et a capi e ministri in ogni banda
rapporta altrui chi manda e che comanda.

65Di che paventi, Erode? e quale acceso
hai di sangue nel cor fiero desire?
Umana forma il Re de’ regi ha preso
non per signoreggiar ma per servire,
non a furarti il regno in terra è sceso
ma te de’ regni suoi brama arricchire.
Vano e folle timor ch’abbia colui
che ’l suo ne dona ad usurpar altrui.

66Già per regnar, per guerreggiar non nasce
fanciullo ignudo e poverel negletto,
cui donna imbelle ancor di latte pasce
in breve culla, in pochi panni stretto.
I guerrier son pastor, l’armi le fasce,
il palagio real rustico tetto,
pianti le trombe, i suoi destrier son due
pigri animali, un asinello, un bue.