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Anversa liberata

di Pseudo-Marino

Canto I

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 23.03.15 21:04

Proemio (1-5)

1L’armi del Ciel ministre e ’l pio guerriero
ch’Anversa all’Eresia ritolse io canto:
vide egli alzarsi in traditor pensiero
contra la vita sua perfido vanto,
e di montagne ardenti il piè leggiero
portar gli assalti in su l’ondoso manto,
tonar lo Scalde e, da’ tremendi orgogli
fulminando, avventar macigni e scogli.

2Sacra fiamma d’Amor, ch’ivi risplendi
ov’una per due fiati aura ti spira,
e ’n lingue accolta di celesti incendi
ne’ labbri umani il mondo anco t’ammira,
deh, sovra questi miei favilla accendi,
che i lampi estolla ove la mente aspira,
purga i pensieri, infuoca i detti, e carmi
degni del pio guerrier dammi e dell’armi.

3Se festi a lui su l’adorata Croce
inalberar la vaticana fede,
là onde ribellando il belga atroce
la trasse a terra e sottopose al piede,
ben congiunta a ragion facondia e voce
da spiegar i tuoi pregi a te si chiede.
Tuo dono è la sua gloria, ed a te dia
l’onor de’ suoi trofei la lingua mia.

4Tu, del sol de gli eroi celeste prole,
serenissimo onor d’ogni suo raggio,
prendi, Odoardo, il suo bel carro e vòle
tra’ segni de’ suo’ fatti il tuo viaggio,
né t’aspettar che la terrena mole
da sì dolce calor paventi oltraggio:
sa ella bene omai che per costume
s’imprimavera il mondo al tuo bel lume.

5E s’or non tuoni in guerra, eroe non prende
solamente dal brando o pregi suoi;
valor ch’abbatte i mostri onde s’offende
virtù, vita de’ re, forma gli eroi.
Ma pur s’a gloria tua Marte s’accende
vedratti il sangue ostil maggior de’ tuoi;
benigno intanto in queste note ascolta
la lor grandezza umilemente accolta.

Breve riassunto degli eventi bellici fino all’arrivo dell’esercito di fronte ad Anversa (6-9,2)

6Sette province e sette all’alta Anversa
quasi real corona ornan la chioma,
né con sicuro passo alla perversa
puossi accostar guerrier che non le doma:
troppo in esse ha vigor la fede avversa
a quella che da Pier fu data a Roma,
e dure et ostinate ad ogni danno
per la città d’inferno offrir si sanno.

7Quindi al nemico ardir tanti anni e tanti
espose il pio Farnese il regio petto:
domò genti e città che, ribellanti,
diero all’empio Calvin interno affetto,
spense il furor delle province erranti
nel sangue tolto lor dal proprio petto;
tolto malgrado suo, perché ’n quel core
sdegno non è cui non comandi Amore.

8Di sangue avea già per molt’anni e molti
il Farnese Alessandro asperso il brando,
rendendo i riti sacri a cui fur tolti
dall’arti sozze del Sasson nefando,
e dritto sen venia là ’ve raccolti
Anversa in grembo avea l’Anglo e l’Olando,
e per cento mammelle apria del seno
le fonti dell’eretico veleno;

9né lunge omai dall’esecrabil muro
con le falangi invitte ei si conduce,
quando riga sottil di fumo oscuroAlle porte di Anversa una tempesta di venti si abbatte sul campo (9,3-20)
fuor di cava spelonca esce alla luce,
e repente allargando il manto impuro
su la faccia del sol l’ombre conduce;
depreda al manto d’or le luci belle
e da gli occhi e dal volto i rai le svelle.

10Al trasformar dello splendor del cielo
nelle tenebre folte d’Acheronte,
s’accoglie il sangue de’ guerrieri in gielo
e di freddo sudor riga la fronte;
s’arriccia in testa inorridito il pelo,
del calor, dell’ardir s’agghiaccia il fonte,
e non conosce, disusato, il petto
della non sua temenza il nuovo affetto.

11Scorron per la caligo urli e latrati,
accrescon il terror mostri e serpenti,
vibrano in fiamme i velenosi fiati,
e nelle fiamme i gelidi serpenti,
e ’n superbo squadron, da tutti i lati,
corre a pugnar l’esercito de’ venti:
Euro, Noto, Aquilon gonfia la faccia
e con aeree note il ciel minaccia,

12scaverna il petto da prigion profonda
sbuffando sì che tutto apre e fracassa,
dirama le foreste, i rami sfronda,
le greggi insieme e le capanne ammassa,
scuote le torri, i merli abbatte e sfonda
i tetti, ogni sublime a terra lassa,
e con la lieva d’aria di diamante
par che divella i monti e ’l mondo schiante.

13Da’ venti opposti opposta via si tiene
e l’un nell’altro irato entra e s’avvolve,
e su’ prati e tra’ sassi e su l’arene
scaglia guerrier, gli volve e li rivolve.
Così rimira ad or ad or Cirene
sottosopra girar l’arida polve,
e in montagne volubili repente
alzar la tomba al peregrin dolente.

14Questi dal turbo è raggirato e giunge
or a me’ l’aria e rade ora la terra;
quegli è levato a forza a volo, e lunge
su l’ali d’Aquilon trascorre ed erra;
drappel d’amici, cauto, in un congiunge
il petto e ’l fianco, e poi pian pian s’atterra;
ad altri il fiato è risospinto in seno,
e su ’l nudo terren cade e viene meno.

15Ne van sossopra in fasci, in mucchi, in monti
arnesi, armi, cavalli e cavalieri;
tuona il romor delle percosse fronti
or ne’ carri or nell’armi or ne’ destrieri.
Non si vede u’ si caggia o cui s’affronti
nel duro volteggiar de gli urti fieri,
e dall’orror del tenebroso ciglio
su la confusion nasce il periglio.

16Sotto monti di vivi altri è sepolto,
altri si scuote e s’alza, indi ricade,
altri, infranto o ferito il petto o ’l volto,
tinge col sangue suo l’ombre e le strade;
altri invidia colui che, d’armi involto,
chiaro cadeo tra le nemiche spade,
né gli è grave il morir quando il martira,
ché glorioso il suo morir non mira.

17La scura eclissi i suoi terrori accresce,
la presenza de’ mostri i suoi rinforza;
l’ira de’ venti si raddoppia, e mesce
danni a danni, urti ad urti e forza a forza.
Vano ogni ingegno, ogni pensier riesce,
ogni speme di vita i raggi ammorza,
né trovan pure (a tal gli adduce il vento)
da spiegar le lor colpe un sol momento.

18Così quando talor notturno fiato,
di Libia uscendo in porto infido giunto,
spiega l’amiche navi al cozzo irato
e le travi robuste apre in un punto,
scorre per le carene il mar turbato
minacciando al nocchier l’alterno punto,
e nel rimbombar orribile de’ flutti
a confondersi van le strida e’ lutti.

19Né sovra terra sol l’aria commossa
l’esercito di Dio preme sì forte,
ma quella ancor, caliginosa e grossa,
ch’ebbe l’orror delle caverne in sorte:
questa all’ima prigion con tanta scossa
di terremoti a forza apre le porte,
che par che mille bocche infin del fondo
spalanchi Inferno a tranghiottire il mondo.

20Esala a forza l’aria accesa e lascia
il fumo, il puzzo, il fremito e ’l terrore,
che per le vie del volto opprime e fascia
con ferree bende il sollevar del core;
e sotto il pondo di mortale ambascia
nega a’ sensi lo spirito e ’l calore,
che, percossi e svenuti, omai non ponno
se non dar gli occhi al sempiterno sonno.

Margherita, madre del Farnese, prega la Vergine di poter aiutare il figlio e scende in terra a fermare l’uragano (21-59)

21Nell’angoscia di sì crudel conflitto
le cattoliche squadre il duce avea,
ma puro sempre, saggio e sempre invitto
le luci volte al Re del Ciel tenea,
e tacito e fremente il campo afflitto
di pietà lagrimando a Dio porgea.
L’angel di lui custode i detti prende
e del suo foco innanzi a Dio gli accende.

22Ned è sol ei che prega: amor materno,
con l’ala gloriosa ove non giungi?
Tu sin nel grembo del gioire interno
non perturbi i beati, e pur li pungi?
Tu del Farnese pio l’affetto interno
a lei che ’l parturio mostri da lungi;
ciò basta a petto amante, ond’ella al piede
della madre d’iddio cader si vede.

23Adora il piè sacrato, e riverente
non osa di baciarlo e’ lumi inclina;
poi gli solleva umili, e dolcemente
move in questo parlar voce divina:
«O ne gli eterni imperi alta e potente,
di ciò che non è Dio donna e regina,
io qui piangendo innanzi a te verrei
se dar potessi il pianto a gli occhi miei;

24né però senza pianto ora ne vegno,
né men senza mio pianto: il pianto è mio,
quel che tra’ colpi del tartareo sdegno
versa il mio figlio e versa il popol pio.
Son madre, e madre amante: il tuo sostegno
chieggio al cadente esercito d’Iddio,
d’Iddio tuo figlio a te sua madre; a’ preghi
di madre, i doni suoi madre non nieghi.

25Deh, non si nieghi in Ciel celeste aita
dalla viva Pietà pietà s’impetri.
E s’avvien che fallir d’umana vita
dal campo tuo la tua bontade arretri,
sai ch’egli è terra e sai che troppo unita
seco fragilità più che di vetri;
è miseria la colpa, e dell’affetto,
della pietade è la miseria obbietto.

26Pur se di genitrice or non mi vaglia
la cura, e muoia amor terreno in Cielo,
e sia giusto il martir di chi travaglia
sotto l’incarco del ventoso gielo,
ah della Chiesa e della fé ti caglia,
del santo onor d’Iddio ti muova il zelo,
dell’onor ch’al mio figlio in su la spada
a regger desti, e non convien ch’ei cada.

27E chi non sa con qual superbia e quanto
obbrobrio, notte e dì tartarea bocca
d’eretico fellon su ’l nome santo
tuo di bestemmie e di velen trabocca?
Chi mira senz’orror, chi senza pianto
la sacrilega man che ’l ferro scocca
contra quei simulacri, onde sì vasti
monti di grazie in su la terra alzasti?

28Taccio i templi e gli altar, regi splendori,
dal foco di Calvin distrutti ed arsi,
le rapine de’ vasi e de’ tesori
ove il gran sacrificio a Dio suol farsi,
delle vergini sacre i casti fiori
disonorati a viva forza e sparsi
alla preda, alla furia et alla fame
anzi alla rabbia di sozzura infame.

29E deh, voi, voi ridite i vostri scempi,
spoglie d’eroi cui gloria eterna veste,
scudo già delle genti, onor de’ tempi
or vilipese, infrante, arse e calpeste;
sangue sacerdotal, tratto dagli empi
in sì barbare guise e sì funeste,
dite voi come incontro a Dio, guerriero
le corna di cerasta alzi Lutero.

30Or mentre a rintuzzar l’insano ardire
che ribello del Ciel sì alto estolle,
infiammasti, Regina, il ferro e l’ire
d chi nell’amor tuo fervido bolle,
e d’eretica strage al suo ferire
lo mirasti agguagliar la valle al colle;
or lo vedrai, scherno dei venti, esangue
le zolle vili abbeverar co ’l sangue?

31E potrai sostenerlo? e che diranno
gli eretici improperi? Ah, venga omai
il fin di lor superbia e dell’affanno
che stringe i tuoi fra sì penosi lai!
Le tenebrose pene a lor si danno
che la luce del Ciel non voller mai,
e ’ndegno è d’aprir gli occhi empio che vuole
esser talpa ostinata a’ rai del sole.

32Ma chi l’oscuritade alluma, e toglie
le squamme a gli occhi onde si veggia il die
per che languir tra le notturne doglie
e a morte inaudita aprir le vie?
Vinca il tuo campo, e trionfanti spoglie
dieno a gli altari tuoi le squadre pie;
s’applauda al tuo gran nome e reverente
t’adori al par del Ciel l’umana gente».

33Tacque, e le luci al suo gran Nume e figlio
la genitrice Vergine rivolse,
e con un guardo sol l’alto consiglio
delle Persone Eterne in mente accolse.
Indi, abbassando il sol del casto ciglio,
dolce ridente a Margherita il volse,
e gli vibrò nel cor (nunzio giocondo
del divino voler) raggio facondo;

34raggio che parla ove la mente ascolta
le voci senza voce e’ detti apprende.
Già la supplice donna a lei s’è volta,
l’adora e loda, e grazie umil le rende.
Indi al pronto soccorso il piè rivolta,
veloce sì ch’al paragon si rende
più lenta quella ch’i momenti sferza
del fugitivo tempo alata sferza.

35Trapassa il ciel, si libra in aria e lieve
nel campo uman delle miserie arriva,
e l’ali, in cui scintilla argentea neve,
rivolge all’antro onde quel foco usciva.
Ivi d’anni e di colpe orrido e greve
trova mago fellon ch’Inferno apriva,
e mormorando scellerati accenti
annera il giorno e spinge a guerra i venti.

36Cento demoni intorno a lui si stanno,
esecrabil corona, irati e pronti
ad eseguir le crudeltati ond’hanno
le schiere di Giesù sì duri affronti.
Qui giunge Margherita allor che ’l danno
pensan doppiar su le percosse fronti:
già s’impetran le grandini e son preste
le braccia a fulminar fiamme e tempeste.

37Giunge improvisa e rapida si piomba
nel sen della sacrilega caverna,
et ode le bestemmie onde rimbomba
dal concavo maggior la conca interna.
Al suo apparir di luce arde la tomba,
spaventa il lume i rei di colpa eterna,
caggion tormenti e mostri in ogni banda,
ed ella imperiosa entra e comanda,

38e «Quanto,» grida «o scellerato, a Cristo
pensi d’opporti, e contra il Ciel le corna
alzar vituperose e il santo acquisto
tòrre a chi di vittoria il crin s’adorna?
Lascia quell’opra! E pensi esser non visto,
empio, di là dove in eterno aggiorna?
Voi, punite il suo fallo in sin che intenda
come ’l Ciel tuona, et al suo Dio si renda».

39A gli scherni, a gli strazi, alle percosse
danno gli spirti allor l’ira e l’artiglio.
Non badò Margherita, e tosto mosse
ov’han le genti pie notte e periglio,
e con celeste man l’orrende scosse
frenò de’ venti, empieo di forza il ciglio
dell’eroe ch’è suo parto, e poi da lunge
lo desta al guardo, e con due rai lo punge.

40Alz’ei le luci e da lontan gli pare
che scuota l’ali un non so che di lume,
com’a nocchier dopo ’l naufragio appare
fiamma di porto in fra le volte spume;
tutt’or pargli ch’appressi e si rischiare
con maggior forza e più leggiadro allume,
e già gli sembra che il furor dei venti
gli orrendi colpi a poco a poco allenti.

41Lo sguardo ei ferma entro a quei raggi e tace,
e sollieva tacendo al Cielo il core.
Ecco vicina è già la fiamma, e face
di sé vezzosa mostra ogni splendore.
Angelico fanciul con pura face
è che ne viene, e par che l’aria indore
con sì dolce seren ch’intorno al viso
gli riconosci, o parti, il Paradiso.

42S’appressa al pio Farnese; egli le chiede:
«Chi se’, real fanciullo? onde ti parti?
qual pietà de’ miei danni è che ti diede
quel lume che sì dolce a noi comparti?».
«Signor (risponde), io con incerto piede
cerco errante signor per varie parti,
il signor mio, che son due giorni è gito,
perduti in caccia i suoi, solo e smarrito.

43Vidi le spesse tenebre ed accesi
di lume acceso a Dio la nobil lampa:
temei non forse i passi a lui contesi
fosser da chi tant’ombre in aria stampa;
opra di mago infame esser l’intesti,
che giel di timor, di rabbia avvampa
mirando nel tuo braccio il brando forte
alla sozz’Eresia portar la morte.

44Ma, deh, perdona a fanciullesco ardire:
chi ti ritien la spada o ti rallenta?
Muovesi a grand’impresa alto desire
né la può ben lasciar chi ben la tenta.
Per Cristo l’imprendesti e su ’l finire
qui languirai tra l’ombre? Ah senta, ah senta
del tuo amor, del tuo sdegno il giusto e l’empio
nel penar, nel gioir, divino esempio».

45A quel parlar l’eroe si scuote e fiso,
meravigliando, lo rimira e dice:
«Ah, che non è di fanciullesco avviso
ciò che ’l mio cor dalla tua lingua elice:
quest’atti, questa luce e questo viso
non è cosa mortal; mente felice
del Ciel ti credo. Ah, dinne, ond’io l’onore
ti porga a pien, ch’è mosso entro al mio core.

46Già n’è presago il core, ove già parmi
un non so che di sovrumano alzarsi;
e se ’n tanto martir venisti a darmi
sì potente conforto, a che celarsi?».
«Or ti caglia di ciò (risponde): all’armi,
all’armi a te, signor, convien voltarsi.
Magiche larve omai non sien ritegno
a quel che serve a Dio giusto disdegno.

47Ombre vedi e non danni, aerea imago
di martir, che spaventa ove non nuoce,
prestigi folli di ventoso mago
che per altri avvampar se stesso cuoce.
Alza pur tu la valorosa imago
di Lui che per tua gloria è morto in croce;
pregalo, e scorgerai dal santo braccio
farsi commodo tuo quel ch’era impaccio.

48Mira con quanta agevolezza ha morte
l’ire del vento fier la fiamma mia,
perché dianzi a lui che morta ha morte
gli diede un raggio sol fiammella pia.
Or fa ragion, signor, quanto più forte
con le preci infocate anima sia;
sovvengati di lui che spinse il monte
Gudrento, e nobil tempio alzogli a fronte».

49Così dicendo amor gli spira in seno
ond’unirlo con Dio tutto s’affida.
Sgorga il foco divin che l’ha ripieno
per gli occhi e per le voci, e mira e grida:
«Non ti nasconder più; dal Ciel sereno
opportuna pietà vêr noi ti guida.
No, che non è mortal quel che ti splende
nel volto e con tant’impeto m’accende.

50Svelati ond’io t’adori». Ella ripiglia:
«Quel ch’io mi sia saprai, ferma ed ascolta:
di Martin, di Calvin l’empia famiglia
novi mostri di guerra in te rivolta.
Vantisi de’ Tifei la meraviglia
folle, nel fango d’Aganippe involta:
corri ove Dio ti chiama, e nuovi onori
fien de’ trionfi tuoi mostri maggiori.

51Ma non consente il Ciel ch’assalto fiero
dell’alte mura i fondamenti abbatta.
Mal può frenarsi l’impeto a guerriero
ch’ad inimica ostinazion s’abbatta;
rabbioso vincitor non prezza impero,
s’inacerba il furor s’altri il combatta;
gente fidel v’è molta, e non è dritto
ch’ivi sia la pena ove non è delitto.

52Duro assedio la prema e l’empia fame
presti alla fede pia caro servaggio.
Molti, a guerra civil volte le brame,
minacceranno agli empi ostili oltraggio,
e quei c’hanno in orror la setta infame
porrà nel campo tuo notturno raggio:
cittadina discordia agevolmente
apre le porte a capitan prudente.

53Fien salvi i giusti, e non però saranno
de’ ribelli del Ciel men fieri i petti.
Disperata bravura, ingegno, inganno,
assalto ora co ’l ferro or co’ diletti.
Aita e sforzi in lor soccorso avranno
da’ gelati dell’Orse ultimi tetti;
turberan l’Occidente e dall’interno
torranno i mostro all’arrabbiato Inferno.

54Con questi a’ fianchi dell’occhiuta Cura
staran su’ forti e fermeran gli assalti;
questi faran la via, là dove indura
il ghiaccio aquilonar più freddi smalti;
questi co ’l fiel de l’invida sozzura
attoscheranno il senno a’ cor più alti,
moveran le tempeste, onde il tesoro
d’india non porga a’ tuoi guerrier ristoro.

55In angustie sì grandi e tanto acerbe
tua magnanimità non si rallenti.
Andrai là ’ve ’l Tago e ’l Beti infondon l’erbe
per vie di cui non han contezza i venti;
quivi l’invide voglie e le superbe
affrenerai dell’ingannate menti;
trionferai d’ogni nimico e fregi
si faran della gloria i tuoi gran pregi.

56E se non m’impedisse alto disio
di non torti di man l’onor dell’opra,
tutto ti mostrerei l’assedio pio
come il formò l’Eternità là sopra.
Fia tuo se tu no ’l vedi, e benché Dio
consenta al mio voler ch’io te lo scopra,
il meglio è ritenerlo, e splenda poi
il disegno del Ciel ne’ color tuoi.

57Resta che i mostri ond’hai notte ed orrore
nell’Inferno respinga, e ’l dì ti renda».
Ciò detto, il cocchio del celeste ardore
avventa in alto, sì che ’l sole accenda.
Ei vola come stral che tracio core,
vago di gloria, in su la corda tenda;
ecco è già dileguato il fosco velo,
e le chiome di rai riprende il cielo.

58Raddoppia l’aureo sol la luce pura
e ride il giorno in nuovi raggi involto.
Prende la santa donna altra figura
e discuopre al figliuol materno volto;
ei ci affissa la vista allor, sicura
di chi da tante tenebre l’ha tolto,
e se gli lancia al collo; ella dissolve
l’aereo corpo e verso ’l ciel si volve.

59Rest’ei deluso, e grida: «A che mi lassi,
madre, e m’inganni con mentita imago?
Ferma, deh ferma i fugitivi passi;
d’un momento di ben qual cor fia pago?
Mi stampi in sen la gioia e pur la cassi,
un sol mi dai, mi togli un sol più vago».
Sent’ella i detti ma non sente al petto
dell’altrui tenerezza umano affetto.

Il Farnese assicura il campo e concede tre giorni di tregua ai soldati (60-64)

60Nulla udio, nulla vide il mesto campo
di quel ch’o fece Margherita o disse,
solo sentio mancar l’urto e l’inciampo
che gli venia dalle ventose risse.
Ma quando il sole aperse il chiaro lampo
parve che ’l fonte della vita aprisse:
tal secca un raggio la bramata gioia
ogni altro mar di tempestosa noia.

61Torna in se stesso il duce, e del suo folle
pensier si pente, e n’ha vergogna e duolo.
Intanto amor, che ’n mezzo al cor gli bolle,
lo chiama al caro suo languido stuolo:
va, riconosce il campo, e intorno estolle
la regia fronte, e manda il guardo a volo;
cerca ogni squadra, e non ritira il piede
fin ch’i suoi salvi ad un ad un non vede.

62Ma perché molti ancor dalle percosse
crude o ferite hanno le membra o ’nferme,
fa nel luogo medesmo aprir le fosse
e le trincere alzar commode e ferme.
«Si riposi il guerrier sin che alle posse
infiacchite il vigor si riconferme»:
in tal guisa comanda, e ’n sì soave
modo de’ cori altrui prende la chiave.

63Due giorni e tre qui ristorasse il campo
a suo grand’agio, in sen d’un’aurea pace,
poi, quando all’orizzonte il primo lampo
accende in su ’l mattin l’eterea face,
al sonno ogni ritegno et ogni inciampo
con terribile suon tromba disface;
fugge ei tremando, e i bellicosi canti
traggon dal vallo i cavalieri e i fanti.

64Scherzan l’aurette a gli stendardi intorno
e rischiara la croce i rai del sole.
Lascian gli augelli il salutar del giorno
per rivolgere a Lei canti e carole.
Ride l’aria tranquilla e ’l prato adorno
porge al piè militar gigli e viole.
Son già dove lo Scalde a destra prende
et onusto d’argenti al mar discende.

Descrizione di Anversa (65-79,4)

65Tra le rive piccarde e le normande
trov’egli al suo natal tenera culla,
poi cresce e si dilata, e cupo e grande
si beve i fiumi e nomi illustri annulla.
Parte Brabanza e Fiandra, e ’n varie bande
fra l’isole passeggia e si trastulla;
poi corre all’oceàn superbo e pare
che giunga a tòr lo scettro all’onde amare.

66Ma pria che porti al mar l’urto sonante,
fra gli argini fiamminghi erra e serpeggia:
tocca il forte Odenardo e ’n torno a Gante
per Lisa e Lieve insuperbito ondeggia,
irriga Dendermonda, indi in Brabante
Maline or guata, ora Brusel vagheggia,
e ’n mezzo d’esse incurva a destra il dorso,
grave dal pondo, e ’n parte arresta il corso.

67Qui gigante crudel, montagna viva,
di Scizia giunge e signoria procaccia;
torre pianta superba in su la riva
e la terra spaventa e ’l ciel minaccia.
Senza fé, senza leggi, ovunque arriva
ville, cittadi, imperi a terra caccia;
rapisce, arde, saccheggia e su la morte
dell’empia tirannia fonda la sorte.

68Druon l’orrendo ha nome, e ’l sommo impero
de’ vizi suoi tien l’ingordigia avara;
questa d’unghie rapaci arma il sentiero,
il fiume e ’l mar questa inantenna ed ara.
Non d’aquila si vanti il volo altiero
schivar dell’esattor la rabbia amara:
l’augel si cerca, il pesce, il fior, la fronda
s’auro o se gemma altrui porti o nasconda.

69E s’alcun mai dall’insaziabil mente
di compartir sue merci impetri onore,
abbia d’Argo costui le luci e intente
le tenga sì che non sottentri errore:
destra che parta un pel men ch’ugualmente
repente è fatta rea dal suo furore,
di propria man la taglia e la fa porre,
corona infame, all’esecrabil torre.

70Quindi ebbe nome Anversa, e retta poi
da governo più giusto e più cortese,
crebbe di gente e dilatando i suoi
termini in su lo Scalde li distese.
Poscia dall’ombre esperie a’ lumi eoi
trasse le merci a sé d’ogni paese:
su queste alzò la gloria e ricco e fermo
fu di Brabanza in un tesoro e schermo.

71E come ride oliva allor ch’adorno
si mira il piè dalla crescente prole,
così rise ella in rimirarsi intorno
villaggi e terre alzar le fronti al sole;
e perch’i gran navigi un sol ritorno
d’alta marea condurre a lei non suole,
piantò due forti in su le rive e pose
castello in parte ove il nocchier si pose.

72Errò con gli altri idolatrando anch’ella,
nella sua fanciullezza; indi gli aperse
lo sguardo il grande Eligio, e luce bella
in tre giri di rai gli discoperse.
Ma tenebroso orror di ria procella
gli giunse al ciglio e ’l suo valor sommerse,
finché Norberto venne, ed ei repente
raccese i vivi rai del dì lucente.

73Ma poi che gli anni andàr per lunghi giri
Lutero aperse all’eresia le porte,
e Calvin lusinghier volse i desiri
de’ petti erranti ad abbracciar la morte.
Anversa, mal costante, ora a’ deliri
folle si volse or resse animo forte,
ma sdegno industrioso unisce al fine
co’ precipizi suoi l’altrui ruine.

74Svelta fu sua fermezza, e ’l caso fiero
svelse il conforto in un medesmo punto
da ogni mente, ove è co’ rai del vero
del servaggio d’Iddio l’onor congiunto.
Se la fibra maggior sangue sincero
non porge all’altre,il corpo a morte è giunto:
da lei traggono e sangue e gli alimenti
tutte del corpo belgico le genti.

75Amor, dolor, pietà mosse il desio
del gran Farnese a ristorarle i danni,
né prendea l’armi s’ella opposta a Dio
non indurava il cor ne’ propri inganni,
ma empio sarebbe ei s’al foco rio
lasciasse dilatar gli accesi vanni:
chi può danno impedir non è men reo
se no ’l corre a vietar, di lui che ’l feo.

76Veder che si condanni e vilipenda
nella santa sua fé Cristo e la Chiesa,
che di sua deità la sacra benda
del pan sia guasta, conculcata, accesa,
che ’n grado di trionfo alto si prenda
inventar contra’ santi infanda offesa,
che s’alzi a contrasta co ’l Cielo eterno
torre di Belzebù, rocca d’Inferno.

77Saggio il nocchier ch’al durare del mare,
allor che più s’indraga ira di venti,
gitta le merci preziose e rare
onde il navile in un salvi le genti.
Lo segue pur chi a tòr le morti amare
nelle putride membra incarna i denti,
e provido pastor la morte elegge
d’agnella infetta onde conservi il gregge.

78Ben con la voce del cortese affetto
alla dolce salute egli l’invita:
manda chi delle stelle ogni diletto,
chi degli abissi ogni martir gli addita;
ciò che fa barbicar nel vero un petto,
ciò che fa ritornar virtù fuggita
tenta e ritenta, e poi che ’n van succede
rivolge il ferro all’empie mura e ’l piede.

79E non lunge dal guardo se gli porge
dell’alte moli il fasto torreggiante,
che gli occhi a meraviglia e l’alma porge
alla pietà della ribella errante.
Già si mira Ostremil, Callò si scorge,Farnese appronta il campo di fronte alla città (79,5-84)
e di già Beveren si para innante:
questa elegge il gran duce, e qui riposa
de’ gloriosi eroi l’oste famosa.

80Qui dispon le sue genti, e qui rinforza
le cortine e le lune e’ baluardi,
e tutto quel che la nemica forza
si prenda a vile e cautamente il guardi.
La polve a Mels e ’l piombo e ciò che ammorza
l’ore co ’l ferro e spossa i più gagliardi
Nembrotti di Calvin manda, e comparte
tutte in Callò le machine di Marte.

81Seco ritien color cui regge il morso
dell’esperto Robai l’accorto impero,
e là dove lo calde incurva il dorso
cui s’appoggia d’Anversa il petto altero,
con Pierernesto di Masfelte è corso
dell’avanzo del campo ogni guerriero,
e si posa colà dove la riva
da Convestine al maggior dicco arriva.

82Son costoro in Brabanza, e quasi a fronte
hanno in riva di Fiandra il sommo duce:
tra essi è ’l fiume, in cui tremende e pronte
rocche notanti il buon Robai conduce.
mira già Pierernesto in su la fronte
delle trinciere sue batter la luce
dell’aureo sole, e pria che muora il giorno
ne vedrà ’l campo pio forte et adorno.

83E intanto a quelle fronti, onde i sudori
scorron ad irrigar l’opre nascenti,
stan le milizie intorno e nuovi ardori
vanno somministrando a’ cor ferventi.
Si sprigiona il terren da’ cupi orrori,
tolgono a’ boschi l’ombra acciai taglienti,
s’alza la terra in su la terra, e gode
così dando al suo Dio servaggio e lode.

84Nella cittade intanto arma la gente
con repentino impero il nuovo ardore
di Filippo Marnice, e vuol repente
punir co ’l sangue l’inimico errore.
«Troppo, troppo» dice ei «si mostra ardente
costui, troppo alza il debile valore!
Non soffrirò, non già, ch’assalto duro
conquassi, Anversa mia, tuo regio muro».

Aldegonda con una sortita cerca di sorprendere il campo cattolico ma è sconfitto (85-107)

85Conte egli è d’Aldegonda, uom prode e forte,
d’ardente cor, di provido disegno;
non prezza vita e non disprezza morte;
nel variar de’ casi alto d’ingegno,
regge il senato. Et ecco apre le porte
alla cittade insieme et allo sdegno,
e se ne va con rapida prestezza
superbo ad assaltar l’altrui fierezza.

86Ma trovar Pierernesto indarno crede
con gente o disarmata o non curante,
anzi armar la città non pria si vede
ch’uom fedel l’ali impenna alle sue piante;
per incognite vie rigira il piede,
ed al Masfilte è già condotto innante.
Gli apre il pensiero ostile e con invito
dolce muove a battaglia il duce ardito,

87che vuol dal vallo suo cavar le schiere
et all’oste avversaria opporsi in campo,
sì ch’ei porger non possa alle trinciere
od a’ forti nascosti alcuno inciampo.
Già spiegate i buon duci han le bandiere,
corron già, qual per l’aria acceso lampo,
alle bandiere i combattenti, e forza
a’ combattenti l’ordine rinforza.

88Attende, armato già, ch’omai ne vegna
l’oste nemica, e per l’acquosa via
fido messaggio e ciò ch’ei far disegna
in chiusa carta al pio Farnese invia.
La bravura nimica omai disdegna,
ascrive la tardanza a codardia,
ma già si vede in turbinato velo
l’arena alzarsi a ’ncenerare il cielo.

89All’apparir del polveroso nembo
manda il guerrier di Cristo ardita schiera
che riconosca e quanta e quale in grembo
se gli possa celar gente guerriera.
Ne va la squadra pia né tocca il lembo
della fronde o del fior tant’è leggiera,
e s’appressa e rimira e par che porte
le minacce del ferro e della morte.

90Giovanni il Giusti è ’l duce, e l’avvalora
gran cor, gran forza e giovinetta etade,
canuto senno, amor di lei ch’onora
di vita non mortal l’invitte spade.
Manda il nemico ad assalirlo allora,
ma ei finge la fuga e ’l campo rade,
e, scaltro, a tutta briglia il passo allunga
finché la gente ostil da’ suoi disgiunga.

91Già vede il suo vantaggio e ’l corso affrena,
manda gli avvisi al suo signore, e volta
la valorosa faccia e, volto appena,
scocca da carabin grandine folta.
Giunge la palla ardente all’empia vena
e la fracassa e vi riman sepolta.
Pur si risponde a’ colpi, e d’ogni parte
formidabil si mostra il fiero Marte.

92Le ferite e il dolore arman lo sdegno,
e s’infiamma lo sdegno a la vendetta,
onde a carcar ed a colpir l’ingegno
la mano e l’occhio volgesi a la fretta.
Volan le piaghe entro alle palle al segno,
che nelle prime piaghe le ricetta;
entra il furore onde si parte il sangue,
e ’n mezzo al ferro e ’l foco il cor non langue.

93Si lascia il carabin già caldo e ’nsieme
s’avviluppa la zuffa e si ristringe.
Urta il nemico il suo nemico e preme
la pistola co ’l ferro e ’l foco spinge.
Un rugge d’ira e di dolore un geme,
un di pallor, di sangue altro si tinge.
Già s’impugna la spada e con più certo
segno di buon guerrier si scorge il merto.

94Giovanni allor co ’l formidabil brando,
d’ira infocato, al capitan si lancia.
S’apre la strada il ferro alto rotando,
e cade omai su la nemica guancia:
Dimnoraso è colpito e traballando
dà tempo al ferro, e ’n petto e ne la pancia
è già trafitto; ei manca, e ’l suo dolore
è di veder ch’invendicato muore.

95Muore, e nel suo morir si muor l’ardire
de’ servi di Calvin, che fu sì ardente.
Cresce il furor, s’inveleniscon l’ire
della diletta a Dio guerriera gente.
Apre le fonti al sangue ed al martire
ed alle morti il vincitor fremente;
già sconfitto è ’l nemico e già conduce
Giovanni i suoi vittoriosi al duce,

96che lo raccoglie lieto et all’offese
genti impon che si dia premio e ristoro.
I capitani appella e le contese
della pugna avvenir divisa loro:
tremila co ’l Marnice in campo intese
usciti (e non voll’ei più di costoro
ch’assediata città non ben di fuori
espone a guerra incerta i difensori);

97ma romper egli e sbigottir disegna
della nemica audacia ogni pensiero,
vuol geminar sotto ciascuna insegna
(chiuso in piccolo spazio) ogni guerriero,
ché non scorga il nemico, allor ch’ei vegna,
di quanti è ’l campo de’ fedeli altero.
Stimi pari il congresso e veggia poi
se debellato in un momento e’ suoi.

98E dove più perfette il volto ardito
innalzan le trinciere al sole aperto,
pianta il cannon tremendo, e di fiorito
cerro al nemico sguardo il tien coperto:
sembra che sia ritegno, e ’l margo unito
stringa dove è più labile e più erto.
poi dispone il presidio e come lampo
discende a fulminar di Marte in campo.

99Seco ha i famosi in guerra Ercoli, il conte
Bevilacqua e ’l Torello e quel d’Enino,
due Franceschi, un dal Poggio et un dal Monte,
e Biagio il Capizucchi e ’l Barberino,
ed altri assai, l’opre di cui son conte
fin dove gira il sol l’aureo cammino.
le trinciere ha da tergo e già distende
le forti squadre e i combattenti accende.

100Già sono affronte i campi, e risonante
al ferro, al sangue i combattenti invita
fiato che sbrana l’aria e minacciante
trae lo sdegno e ’l furor da tromba ardita.
Tuona il moschetto omai, foco volante
ne porta i piombi ad annullar la vita.
Quinci e quindi esce un turbo, e la tempesta
scirme le carni e l’ossa affronta e pesta.

101Fur da principio forti insin ch’Inferno
lo sdegno e l’ardimento in essi accese,
ma poi che lor si tolse e ’l suo governo
rivolse altrove a ministrar l’offese
cadde l’ardir che da principio esterno
quasi balen fugace in lor s’apprese,
sì che nel gran periglio ora s’ammorza
ne l’infelice cor l’ira e la forza.

102In questo trepidar, dirada e scioglie
Pierernesto le schiere in larghi giri,
e quasi centro in cerchio, i mesti accoglie
sotto il certo colpir di spessi tiri.
Cade l’empio e fra ’l sangue e fra le doglie
l’anima porge a gli ultimi sospiri,
e forza è di cader, ché non concede
scampo il gran cerchio a fugitivo piede.

103In sì misero stato ancor non langue
nel petto il core al fervido Marnice,
che tinto dell’altrui, del proprio sangue,
se glorioso muor non è infelice.
«Veggami pur sotto la spada esangue
morir trafitto il vincitore,» ei dice
«non mi vedrà codardo», e in questo punto
a scampo suo Druon l’orrendo è giunto.

104Non fu permesso prima (a miglior sorte
così forse, o Filippo, il Ciel ti serba);
Druon gl’involve in nube il petto forte
e delle piaghe il duol gli disacerba.
per aria il toglie al campo della morte
e ratto il porta alla città superba,
e nel suo albergo in molli piume il posa
e lo consegna alla dolente sposa.

105Impone intanto il vincitor cortese
che volontario il vinto a lui si renda:
pietà lo stringe a perdonar l’offese,
fugge la gloria ove fierezza scenda.
Lassa il nemico il ferro e le contese,
cattolica pietà tutto si prenda;
crede se stesso a lei: chi non confida
in chi nel sen d’Iddio la mente annida?

106Preda è ’l cannone ostile e si conduce
entro a’ ripari e su le ruote è posto.
Ove se’, Tanchellin, tu ch’alla luce
te ne venisti altier dal centro ascosto?
ove sono i tuoi vanti? a tal s’adduce
chi le speranze nell’Inferno ha posto
(ed, oh, non fosser molti!)? Intanto ei vede
ch’all’amico soccorso indarno riede.

107Son prigionieri i vinti e fan ritorno
lieti della vittoria i vincitori,
ma Pierernesto impon ch’al nuovo giorno
se ne rendino a Dio publici onori,
ché ’l sol, già volto a Calpe il viso adorno,
porta all’opposto mondo i primi albori,
e della terra pia l’ombre segrete
qua su pongon ne gli occhi alta quiete.