Preghiera di Farnese a Dio per la salvezza degli eretici (1-7)
1Mentre l’empio Satan apre all’Inferno
l’alma, e ’l velen di Cerbero sen toglie,
il pio Farnese innanzi al Nume eterno
chiuso in angusta cella alza le voglie.
Ivi d’amor languisce, ivi l’interno
pianto, sangue dell’anima, discioglie
soave sì che sommergendo il core
vive ov’egli ama ed ove egli è si muore.
2Muore a se stesso, ed al suo Dio rivolto
prega per la città che gli resiste:
«Signor,» dicea «con sanguinoso volto
prodigiose fiamme in ciel fur viste,
né creder vo’ che all’oste tuo sia volto
il minacciar d’impression sì triste,
ché per te pugna e per tua gloria il sangue
versa, ed o muor tra le ferite o langue.
3Ma ben cred’io che, stanco omai, s’adire
contra tanti ribelli il tuo disdegno.
Peccaro, è ver, ned al suo ben aprire
vuol alcun varco l’ostinato ingegno;
Tu, ch’ove in te s’invelenivan l’ire
porgevi il petto che s’aprio su ’l legno,
vibra il tuo foco, e la sua luce altera
l’alma disombri, e ’l peccator non pèra.
4Tue son queste città, Tu le comprasti,
Tu, Signor mio, co ’l sangue e con la morte:
s’a cui già, salendo al Ciel, lasciasti
le chiavi di là su chiuggon le porte,
sai ch’i lor petti affascinati e guasti
furon dal re della perpetua morte.
Scuopri il tuo sole, e ben vedrai ch’a volo
trarralle a sì bel lume un raggio solo.
5Signor, con fiamma ingannatrice alletta
arcier notturno il semplice augellino,
che scuote il sonno in su l’amata vetta
fra gli smeraldi del nativo pino,
e stimando quel lume aurea saetta
del nato sol nel lucido mattino
sorge per onorar que’ rai co ’l canto,
e morto o prigionier si trova intanto.
6Insidioso arcier, Calvino aprio
su la face infernal mentito lume,
e’ raggi al guardo sonnacchioso offrio
di questi augelli ancor d’inferme piume,
che, credendo tua luce il foco rio,
son nella notte dello stigio fiume,
morti non già, ché desteransi ancora
se ’l guardo tuo gli punge e gli avvalora.
7Sai che scoccando il lucido orizzonte
dalla dorata corda il primo raggio
la punta vola, e dell’opposto monte
saetta il cerro in un momento e ’l faggio.
Opposta a te costor volgon la fronte:
muova, ah muova il tuo lume aureo viaggio,
ed augelletti in placide carole
adoreran cantando il tuo gran sole».
Visione estatica del Farnese, cui l’angelo custode profetizza la vittoria e mostra l’armata celeste (8-43)
8Qui sente dileguarsi a dramma a dramma
e tutto aprirsi di dolcezza il core,
ch’ineffabilmente il petto infiamma
e gli diffonde per le vene amore,
ma non capace il sen di tanta fiamma
versa per ogni fibra alto splendore.
Già tutto è luce, e par che ’l sole involto
chiugga ne’ rai del luminoso volto.
9Nuvoletta gentil che ’n lieve fiato
omaggio caro al ciel porge la terra,
ben che l’aria inargenti al dorso alato,
pure è denso vapor ch’ondeggia ed erra;
ma se ’n lei gira ’l sol l’abisso aurato
mille colori e mille rai vi serra,
lucenti sì che ’n tanto speglio impresso
non sa finir di vagheggiar se stesso.
10Ah, che d’altro splendor serena luce,
luce del primo Sol divina accende
angel terreno il glorioso duce,
sommerso nell’ardor di cui risplende.
Questo la mente innanzi a Dio gli adduce,
questo nell’aria il suo mortal sospende,
che rara e leve e liquida lo regge
oltre al poter d’ogni nativa legge.
11Già del nume divin l’umane piante
devoto il mar di Galilea sostenne;
spesso de’ servi suoi l’aria volante
bacia il piè, regge il pondo in su le penne.
Forse in queste delizie il vero amante
avven che le sue glorie al corpo accenne,
onde impari a goder, mortale ancora,
quel che la terra immortalata onora.
12Ma già si vede ove gli eterei tetti
inaccessibil luce empie e circonda,
e se cosa non v’ che non alletti,
cosa non ci è che ’l guardo non confonda.
Vien men tra’ soavissimi diletti
mente cui nostra umanitade affonda,
onde il duce là su dal lume oppresso
perde le posse e non sostien se stesso,
13quando tra mille rai scopre da lunge
un raggio scintillar d’alto splendore,
ch’a lui s’indrizza in un momento e ’l giunge
con aura di dolcezza e di vigore.
Così nel Sirio ardente, ove disgiunge
dal mondo ombra del mondo ogni colore,
ara con solco d’or l’etereo campo,
seminando bel lume, acceso lampo.
14Giunto a lui si ristringe e chiude il puro
sott’un’ombra gentil d’altro sembiante,
sì che vi possa il guardo ancora impuro
fissar la luce sua men vacillante;
poi, come nube suol che ’l volto oscuro
figura in mille guise, in un istante
scuopre umana bellezza e ’l nobil viso
ha ’l sol ne gli occhi e ’n fronte il Paradiso.
15Resta Alessandro attonito, ed umile
se gli getta al bel piè tremando allora,
ma il simulacro uman d’alma gentile
lo solleva ridente e lo rincora,
e dice: «Anch’io son servo indegno e vile
di quel Signor che ’l Paradiso adora;
non ti turbar, luogo di gioia è questo,
e tuo sarà, grazia d’Amor, ben presto.
16Io son colui che l’infinito Bene
quando i tuo’ lumi all’aureo sole aperse
la cura tua fra’ lacci, onde son piene
le vie del mondo, alla mia cura offerse.
io ti guardo, io ti scorgo alle serene
luci ne’ rai della gran luce immerse,
e pur dianzi devoto io porsi a’ suoi
piedi il soave ardor de’ preghi tuoi.
17Questi impetràr ch’al fulminar del brando
vittorioso tuo non cada estinto
quant’egli è tutto il popolo nefando,
nell’ostinata sua perfidia avvinto.
N’andranno in pezzi i più nocenti, e quando
in sanguinosi gorghi al mar fia spinto
il veleno pestifero, al tuo piede
darà ’l servaggio e prenderà la fede.
18Ma ben fia d’uopo alle tue squadre altere
armar l’invitto cor d’alto ardimento:
non pur vedute machine guerriere
squarceranno allo Scalde il freddo argento,
ché dell’Abisso l’indragate schiere
rompon le sbarre all’ultimo spavento,
e con foco e con ferro ogn’altra sponda
gonfia marea di rischi i campi inonda.
19Ché quel Signor ch’all’infinita mente
congiunge solo altissimo consiglio,
vuol che ’l valor della sua eletta gente
nell’affanno s’avanzi e nel periglio.
Informe sasso al martellar frequente
alza, colosso illustre, al guardo il ciglio,
e tratto dalle fiamme a regia mensa
di nobil vite l’aureo auro dispensa.
20Onde non fia che ’l destinato segno
punga né tocchi pur dardo d’Inferno,
ben guarda i suoi dal temerario sdegno
dell’abisso e del mondo il Nume eterno.
Fia terror, fia spavento, il nuovo ingegno
delle latebre ov’arde il foco interno
quel sol torrà, ché Dio nel terreo velo
al sol dell’opre ha maturato il Cielo.
21Gli altri non già, che spargeranno ancora
nobil sudor dall’onorate fronti,
ove lavando i rai famosa aurora
ombra non temerà d’esperi monti.
E tu la fede onde Giesù s’onora
imprimerai nelle nimiche fronti,
e fregiati d’onor verranno a noi
su l’ali della gloria i vanti tuoi.
22Ned avverrà che l’empio ribellante,
perduta Anversa, il suo furore affrene,
ma nel maligno cor saldo e costante
chiamerà li brando tuo con le sue vene,
e sel vedrà di sangue atro fumante
troncar le colpe all’introdur le pene,
e la fronte di vetro in su ’l tuo scoglio
rotta n’andrà d’ogni nemico orgoglio.
23E ti vedrà nel petto suo Zelanda
su ’l ferro vincitor portar la morte,
ed ove contra Dio velen si spanda
dal drago, re della tartarea corte,
volerà ’l tuo vessillo, e in ogni banda
fiaccherà ’l collo a’ mostri il braccio forte,
e Colonia e Parigi al ciel sereno
porgeran liete il liberato seno.
24E per che più qua su tra noi t’avanze
al premio liberal forza di merto,
fioriran co ’l tuo sangue alte speranze
per lo calle del Ciel felice ed erto,
e di purpureo onor nuove sembianze
vagheggerà ne’ gigli il sole aperto,
e carco di trofei vedrenti poi
crescer la gloria a gl’immortali eroi.
25Qui troverai tuo genitore e quella
ch’alla luce del dì tue luci aprio,
e che nel latte già della mammella
latte della virtù dolce t’offrio;
e presso a lui che da Giesù s’appella
vedrai starsi Alessandro, il grande, il pio,
non lunge al padre, e presentar gli onori
in regio tempio a Dio de’ suoi tesori».
26Così parlando il suo celeste duce
dolce gli spira il sen fiamma d’amore,
che vi s’apprende ed ineffabil luce
porge divine pompe all’umil core:
«Dunque,» risponde «a tant’onor s’adduce
vil fango, anima vil d’uom peccatore?
ed io che son? che fei? Celeste è dono
quel ch’io fo, quel ch’io penso e quel ch’io sono.
27Null’ho di mio, se non le colpe, e queste
pregate voi che ’l mio Signor mi tolga,
sì che nel petto misero non reste
macchia onde ’l guardo schivo indi rivolga;
per lui la man, per lui l’ardir si deste,
e ’n sudore di sangue il cor si sciolga,
per lui la vita e l’anima si spenda,
e chi tutto mi diè tutto mi prenda».
28Sì disse, ed all’angelica bellezza
rise di luce e di letizia il volto,
pago che ’l suo ’mperfetto odia e si sprezza
nell’umane miserie il duce involto;
e volgendogli i rai dell’allegrezza
ov’è ’l gioir del Paradiso accolto,
ripiglia: «Or loda il Re del Ciel, che vuole
ch’io t’apra un raggio ancor del suo gran sole,
29sì che, per quanto lece, il Cielo ardente
ti scuopra il bel de’ luminosi onori,
onde veste la gloria eternamente
chi i ribelli di Dio ne spinse fuori,
e chi seppe nutrir nell’aurea mente
con l’umane tenèbre i suoi splendori,
onde allo scintillar de’ lumi altrui
scuotin le chiome ardenti i pensier tui.
30Vedi colà di raggi eterna armata
quell’oste che trionfa e non combatte,
e tre squadroni immensi apre e dilata
del puro ciel nelle campagne intatte.
Mira d’ogni squadron la forza alata
in tre schiere girar lucide e ratte,
cui son tamburi e trombe i dolci e santi
dell’angeliche lingue eterni canti.
31Mira colui ch’alla tremenda guerra
porse, intrepido veglio, il sacro petto,
quando il mostro terribil d’Inghilterra
la corona ingemmò d’angue d’Aletto,
e feo pianger il ciel, tremar la terra
allo scoprir dell’esecrabil letto
ove tra padre e figlia, inceste e sozze,
di sangue e di furor si fèr le nozze.
32Paolo è quegli il terzo, a cui el chiavi
sacre del Cielo il Re del Cielo offerse:
questi chiamò con dolci modi e gravi
allo smarrito ovil l’agnelle perse,
e con sacri d’amor detti soavi
unio de’ regnator le menti avverse,
e tra mill’opre gloriose il crine
diede al feretro, al Ciel l’anima al fine.
33Due Pietri a Dio lo presentàr dei suoi,
ch’alla pietra angolar co ’l petto altero
forte scudo si fèr, là giù tra voi,
che ruppe al brando ostil l’orgoglio fero;
e tre Ranucci ed un Prudenzo poi,
ch’unito al braccio del fratel guerriero
gl’inimici del Ciel disfece, ed ora,
come vedi, colà son giunti ancora.
34Ma dove quel gran lume alto s’estolle
via più vicino all’infinita luce,
ivi incendio d’amor fervido bolle
sì che sguardo mortal non vi s’adduce:
là tanti troni il Ciel sublime estolle
quante ogni sol nascente ore conduce,
e coronate d’or fiammeggian quivi
le tempie reverite a’ vecchi divi.
35E v’è ’l Leon che nel diserto addita
quel grande ch’al Giordan le genti asperge,
e dalle colpe al pentimento invita
chi nel limo palustre il cor sommerge,
e mostra Lui che dell’eterna vita
nell’acque sacre il morto mondo immerge
e, qual dall’onde eoe rinato giorno,
tutto di mille rai ne ’l tragge adorno.
36E ’n concorde union congiunto ha quello
che svela il fin del sacrificio antico,
de’ figli d’Abraam sacro vitello,
immenso onor di popol sì nemico;
e ’n vece sua, dell’innocente agnello
scuopre all’alme pentite il sangue amico,
porpora liberale onde s’onora
doglioso cor di chi la trasse ancora.
37Con essi è ’l vostro uman, che dell’amante
celeste a coi l’umanità scoprio,
cui dell’eterno Padre il ver sembiante
sua Deitade e sua Persona unio,
sì ch’ambe le nature un solo istante
vede in una persona, ed uomo e Dio,
ineffabile nodo, in grembo a quella
che si feo Paradiso in dirsi ancella.
38Sovra è l’augel che ’l guardo altero affisa
là nel profondo dell’immensa luce,
e la pupilla vi ritien sì fisa
che nell’intimo sen d’Iddio l’induce;
indi le meraviglie alte divisa
ond’ei nel verbo e ’l verbo in lui riluce,
e quel che d’ambi spira e d’ambi il core
in se medesmo accende unico amore.
39Lor fanno occhi lincei dentro e d’intorno
misterïosa e lucida corona,
ed in volar, c’ha gita e non ritorno,
sublime in sei grand’ali han la persona;
or di Dedalo il vol, d’Argo lo scorno
sotterri nelle tenebre Elicona,
anzi nel sonno, onde lo finge oppresso,
con le menzogne sue chiugga se stesso.
40E di sì dolce affetto empion le menti
che fatti i labbri omai corde sonore
spargono in soavissimi concenti
fiumi di lodi eterne al lor signore;
cui tutte poi le gloriose genti
rendon con pari affetto eguale onore,
e ripercosse dalle voci sciolte
fanno l’eco d’Iddio l’empiree volte.
41E i tre ne sono e i quattro accesi amanti
ch’al trono eccelso ov’è ’l gran Nume assiso,
pien di sublime reverenza, avanti
il guardo eternamente han fiso.
Questi mostran co’ raggi a gli altri i santi
imperi del Signor del Paradiso,
tanto beati più quanto la fiamma
d’amor con maggior empito gl’infiamma.
42V’è l’altissimo trono ove si posa,
figlia e madre del sol, la santa Aurora,
del Sol divino umana madre, e sposa
di chi l’adombra e del suo onor l’onora.
Il sole è fatto a lei veste pomposa
e corona di stelle il crin le ’nfiora,
e la candida luna al sol non cede,
ché prende i rai dal virginal suo piede.
43Chiuso in sua luce è Dio, quel Dio fecondo
che ’n se stesso e quant’ei fece intende.
Quindi il sembiante suo da lui secondo
al par di lui con l’esser suo risplende;
e, d’una sola volontà giocondo,
Amor che spiran ambi, ambi gli accende:
questi son uno, a se medesmo uguale,
infinito invisibile imortale.
44Adora or tu nume sì grande, e rendi
grazie alla grazia sua per grazie tante,
e nell’amor divin te stesso accendi
non a bastanza mai fervido amante:
scuoter la iuba afro leone intendi,
e se stesso avviar nel bosco errante».
Ei si prostra e l’adora, ed in un punto
al suo pondo mortal si trova aggiunto.
Farnese si riscuote e prepara il campo per gli uffici liturgici (44-52)
45E qual apre le luci e si risente
scotendo il sonno e ’l sogno altri talora
che gli beò la disiosa mente
di caro simulacro in su l’aurora,
si duol dello spiraglio onde Oriente
saetta il chiuso varco e ’l letto indora,
tale il buon duce si riscuote e duole
che ’l suo gioir sì rapido sen vole.
46Ma riprende se stesso e si rimette
ben tosto umiliato innanzi a Dio,
e discorrendo ogni pensier riflette
in quel che di là su vidde et udio.
E poi ch’alquanto in guisa tal si stette,
ritorna ove l’attende il popol pio,
che ben gli legge entro al sereno volto
che da’ lumi celesti or or s’è tolto.
47Ivi ode i sommi sacerdoti intanto
gravi ed in vista lieta a sé venire,
e co’ grandi ch’a lui trovansi accanto
affretta il piè per incontrarli a gire.
Già parole di gioia in ogni canto
dalle cortesi lingue odonsi uscire,
e si conclude al fin che, dove giunto
fia il seguente mattin, fia ’l tutto in punto.
48Ode ch’al suo mortal vital sostegno
sol una volta il giorno il campo diede
tre soli interi; ed a colui ch’è degno
di legar l’alme e scior si pose al piede,
spiegò distinto ogni suo fallo indegno
e lagrimoso ne chiedeo mercede.
Ei lo prosciolse in lieve pena e, quella
pagata, omai rendeo l’anima bella.
49O d’immensa pietade immenso dono,
che quel ch’in terra è sciolto in Ciel si sciolga,
e della lingua onnipotente suono
nelle rugiade i fulmini rivolga,
sacramento cortese, onde il perdono
dalla benigna man d’Iddio si tolga,
egli lo forma, et è dimostro poi
dal suo german più vivamente a noi.
50Quel giorno d’opre sante il guerrier forte
mirò fregiarsi a meraviglia il mondo,
e ’l campo suo, che ’n lui le luci ha porte,
rendea se stesso a suo poter più mondo.
Portò dinanzi a Dio celeste corte
i gemiti e l’amor del cor profondo,
onde tutto l’accende empireo zelo
che mostra in terra il militar del Cielo.
51E mentre l’alma umilemente appresta
per lo mattin seguente all’opra santa,
con piè veloce e con succinta vesta
ogni ministro pio suo tempio ammanta,
e ’ngegnosa non men la man che presta
vedi per l’opra in diligenza tanta
quanta a’ suo’ nascimenti usar mai suole
nell’aggiustarsi entro a que’ punti il sole.
52Chi terge vaso onde bel fior si vante,
chi terge vaso ove fiammeggi stella,
stella mortal che nobile sembiante
mostri qua giù di luce altra più bella,
chi per lo pavimento il piede errante
volge, a purgarlo in questa parte e ’n quella,
chi, per aprirla a’ lumi, ascender vuole
fin suso a’ tetti a tòr l’entrata al sole.
Descrizione degli arazzi di Anversa (53-70)
53E veste intanto l’onorate mura
industre man di belgico lavoro,
e le parie colonne a gli occhi fura
serico onor di gemme ornato e d’oro.
Ivi schernio dotto pittor natura
ugualmente con l’arte e co ’l tesoro:
ella vi mira, e dubbia anco s’appressa,
e stende il braccio a disgannar se stessa.
54E certo con tal forza alletta i sensi
ne’ finti volti il serico pennello
che moto e vita e spirto aver ti pensi
ciò ch’è sì graziosa opra di quello;
ma per che fermo e tacito conviensi
star là dove s’adora il sacro agnello,
se non battono il ciglio o forman detto
reverenza l’appelli e non difetto.
55Ferma l’un de gli arazzi il guardo errante
ne’ monti arsicci ond’Israel sen gia,
fuor del servaggio reo con piè ballante
ma l’egizio furor già lo seguia,
e quivi il giunse u’ l’Eritreo spumante
a’ deserti d’Arabia il lido unia,
e morto è già se notte ombra tenace
non somministra a fugitiva pace.
56Ov’è, misera gente, ov’è ’l tuo scampo
contr’oste sì sdegnata e sì feroce?
Qui del mar, qui del monte il duro inciampo
ti stringon già nella tremenda foce.
Ah, che l’alba non porge il primo lampo
quando il celeste duce ode la voce
della salvezza già promessa, e sorge
ed allo scettro suo la destra porge.
57E volta al mar l’onnipotente stelo,
ed ei, miracol nuovo, in due si fende,
e quinci e quindi il cristallino gielo
in poggi di diamante all’aria ascende;
lascia ampia strada, e dall’adusto cielo
arido vento sugge il fango e ’ncende,
sì che ’n breve momento il campo tutto
calca el vie de’ pesci a piede asciutto.
58Ratta a seguirlo, il non usato calle
preme e l’incalza omai l’oste d’Egitto,
quando spezzonsi i carri, empie la valle
di morte il campo timido ed afflitto.
La fuga il volto, ove fur pria le spalle,
volta, e fugge dal cor l’ardire invitto.
Già sono a mezzo il corso e ’l mar repente
rende i fermi cristalli onda fremente,
59e ne’ gorghi volubili tran ghiotte
armate selve e cavalieri e fanti,
che nel concorso impetuose e rotte
fracassan l’onde ancor, boschi natanti.
Vedi spume innalzar, vedi la notte
e i pasti giù delle balene erranti,
ma non tolgon la via salda e sicura
al gran Mosè l’incristallite mura.
60Nella vicina seta il guardo imprende
a mirar piazza ch’è del ciel disegno:
cento cubiti lungo un lato stende
e l’altro ha ne’ cinquanta il suo ritegno;
colonna d’ogni intorno all’aria ascende,
onde ha pendente bisso alto sostegno,
bronzo ha la base,e nobile ornamento
la rende illustre di scolpito argento.
61Del fecondo Isdraelle i figli armati
nel servaggio d’Iddio non saldi ancora,
gli ergon d’intorno i padiglioni aurati,
ed ella guarda il campo ed ei l’onora.
Cinge la siepe serica i beati
vasi, onde ’l Cielo i sacrifizi adora,
e l’arca asconde u’ sotto all’ali d’oro
coprono i Cherubin sacro tesoro.
62Là, tra l’arca celeste e ’l velo appeso,
sta la mensa che mensa altra figura,
et indi scaccia il candelabro acceso
con le stelle di foco ogn’ombra oscura.
V’è l’aureo altare, ove l’incendio appreso
nelle sabee ricchezze il lume fura,
e cela il cielo e d’ogni intorno pende
ricchezza vaga alle famose tende.
63Sorge dinanzi ad esso altero fonte
cui fanno e letto e sponda ai bronzi cavi,
onde non tolga aridità di monte
che ’l ministro del Ciel la man non lavi;
e di saldo metallo in su la fronte
porge altro altare a Dio vittime gravi,
e si placa all’odor del fumo errante
dello sdegnato Nume ira tonante.
64Cinge la fronte al sacerdote santo
co ’l gran nome d’Iddio ricca tiara,
cuopre gli omeri sacri altero manto
cui lume nabateo veste e rischiara,
e dalle spalle all’un e l’altro canto
chi furo i figli d’Isdrael s’impara,
e ’n cinque e sette gemme i nomi stessi
son quasi al cor del gran ministro impressi.
65E di puro iacinto estrema vesta
di purpureo color tutto lo copre,
solo aperta nel sommo, onde la testa
per lo mezzo passando al ciel si scopre,
e di granati pomi al piede intesta
la buccia d’or mille rubin ricopre,
e pur è simulacro e suonan mille
tra’ pomi alternamente appese squille.
66Scorgi che dotta man di bronzo forte
dell’angue micidial forma il sembiante,
sì ch’un girar di ciglio e l’empia morte
scaccia e l’error del popolo incostante.
potea celeste man cangiar la sorte,
tòrre o ’l veleno o ’l serpe in uno istante,
ma svela in guisa tal la data legge
onde vieta i sembianti ei che gli elegge.
67Nel panno opposto alzar indi alle stelle
quella, che sola a se medesma esempio,
mole che l’altre o sante o ricche o belle
rendeo povere e vili, il sacro tempio.
Tempio che mille volte alme rubelle,
ahi, profanàr, di popolo tropp’empio,
e ’nceneriro al fin, ma nuova poi
tornò fenice e si posò tra noi.
68D’eccelso ingegno rende ogni lavoro
con prezioso onor ricco e lucente,
e di marmi e di bronzi e di tesoro
nelle mura sublimi arte eccellente,
e co ’l sol gareggiando i rai dell’oro
dimostran di ferir marmo splendente,
sì che tutto è beltà, tutto è vaghezza,
e ciò che mira l’occhio il core apprezza.
69Di Cherubini e palme e mille alteri
simulacri dipinto apparvi il muro,
entro vi preme il dorso a tauri fieri
chiuso in concavo bronzo un mar sicuro;
spruzza i cristalli teneri e leggieri
tra Cherubini e tori un fonte puro.
Tal d’imagini varie il tempio adorno
vuol Dio che splenda e si vagheggi intorno.
70Sì nascosta non v’è che non si mostri
pietra, cinta d’onor di gemme e d’oro;
mano industre non è che non dimostri
quanto s’innalza belgico lavoro.
Godon le mura infra le sete e gli ostri,
credendo sceso il Paradiso in loro,
e dello sfarzo onde ’l suo Dio s’onora
qua giù, godon là su gli Angeli ancora.
I cristiani entrano in città (?) e officiano una messa (71-85)
71Ma già fornito il lucido viaggio
ch’al mondo opposto a noi porta suo giorno,
scopria l’alba vezzosa il primo raggio
dell’amorose violette adorno,
e gli augelletti al tremolar del faggio
gian carolando a gli smeraldi intorno,
e raddoppiando i rai su l’orizzonte
chinava il sole al sommo Sol la fronte,
72quando da mille torri alto sonante
de gli aerei metalli il tuon giù piomba,
e nelle cure sue presto e vegliante
ogni guerrier d’Iddio chiama la tromba.
S’empie ’l ciel di letizia in uno istante,
di gioia in ogni speco Eco rimbomba,
non sì però che di milizia arreste
gli ordini punto il militar celeste,
73ché ben partito il tempo e ’l luogo e l’opra
ha tra l’invitta gente il saggio duce,
sì che non può ’l nemico, ove lo scuopra,
quella pace turbar ch’allarme adduce.
Ma vie più forte il Regnator di sopra
difende ’l campo suo con la sua luce,
né potria ritardarlo un punto d’ora
tutto lo sforzo dell’Inferno ancora.
74Ogni borgo, ogni terra, ogni cittade
cui non toglie Calvin raggio di vero,
mira ch’armata gente il campo rade
e sfida l’aure al corso il piè leggero.
I templi, gli oratori e le contrade
empie devoto il popolo guerriero;
angusto a tanta gente ogni gran tetto,
ed a fervor sì grande angusto è ’l petto.
75Ogni sesso, ogni età percote il seno
e delle colpe sue mercé desia;
i sospiri alle labbra il cor ripieno
di pentimento e ’l pianto a gli occhi invia.
Alma non v’è cui tolto ogni veleno
dal bollor delle lagrime non sia,
gode ’l Ciel, godon gli Angeli a vederle,
e presentano a Dio liquide perle.
76E già nel maggior tempio il bianco onore
dell’api a gareggiar co ’l dì nascente,
porge le chiome al lucido splendore
del tremolante crin del foco ardente,
e reggendo alta fiamma il bel candore
sembra la via del latte in ciel lucente;
ma questa ha le sue stelle in fronte, e quella
quanto l’ha più lontan tanto è men bella.
77Lucente d’oro e di reliquie santo
alza la nobil fronte il sacro altare,
e tra vasi e tra lumi il ricco manto
che lo circonda infra le gemme appare;
spiega in tre cerchi un cerchio altero vanto
di fiamme ricche et odorose e chiare,
ove s’adori Lui che tutti a noi
donò se medesmo i pregi suoi.
78Ecco già nulla manca e ’l tempio altero
fiammeggia di ricchissimi ornamenti,
quando giunge divoto il pio guerriero
in mezzo a’ grandi suoi; con l’altre genti
l’accoglie lui che ’l successor di Piero
manda con dolci, affettuosi accenti;
indi s’inchina a Dio rivolto, e intanto
rimbomba ’l tempio di celeste canto.
79Poscia di seta e d’or le sacre vesti
devoto prende, ed all’altare inchino,
frange gl’intoppi, se co’ piè mal desti
incespò mai nel suo mortal cammino.
Indi prega per sé grazie celesti,
indi prega per noi favor divino;
legge i santi misteri, annunzia quelle
che diero i quattro eroi sante novelle.
80Segreta i sommi arcani al cor rivela
la lingua, e trae dal Cielo il suo Signore,
e con man reverente alto lo svela,
quasi Atlante di Dio, per ch’ei s’adore,
ma di pane e di vin sembianza il vela
(non perda umana vista al suo splendore),
indi sen ciba, e prega e co ’l gran segno
celeste dà commiato al popol degno.
81Commiato sì dal sacrificio santo,
ma non dalla gran cena, anzi, rivolto
mira che genuflesso attende e ’ntanto
chiede mercé con l’inchinato volto.
Rimbomba ’l tempio d’ammirabil canto
che d’angeli terrestri il coro ha sciolto,
e con destra devota alla gran mensa
alla gran gente il pan del Ciel dispensa.
82Poi su gli omeri sacri una aureo velo
e leve e lungo e prezioso prende;
indi s’accosta al Regnator del Cielo
che ’n vaso d’oro a meraviglia splende,
e con man reverente e caldo zelo
lo prende e copre con l’aurate bende,
e in mezzo a due gran sacerdoti accolto
volge alle genti il venerabil volto.
83Si muove innanzi la sembianza in croce,
di sangue un tempo or di rubini avvolta,
del medesmo Signor che morte atroce
soffrendo in vita nostra morte ha volta.
Segue co’ lumi il clero e ’n chiara voce
cantar gli encomi del suo Dio s’ascolta;
indi sotto gran ciel di seta e d’oro
gira la santa chiesa il pio tesoro.
84Solo e scoperto il crin lo segue il duce,
lui seguon gli altri in ordinata schiera.
Di gemme, d’or, di fiamme il tempio luce,
arde ogni cor di fiamma altra più vera.
Indi all’eccelso altar si riconduce
ove s’accoglie in triplicata sfera,
ma del suo servo in su la man felice
Dio stesso prima il popol benedice.
85Sott’arco ei ’l posa, ove pregiati onori
di perle, di diamanti e di rubini
ripercotendo i lucidi tesori
raddoppian tra le fiamme i rai divini.
E co ’l fervor de gl’infiammati cori
porgon devote preci i petti inchini,
dì e notte a vicenda, in sin che ’l giorno
terzo rammenti a l’alba il suo ritorno.