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Anversa conquistata

di Fortuniano Sanvitali

Libro III

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 4.03.15 9:25

ARGOMENTO
Al Contradico è vinto il Belga e cede.

Farnese fa seppellire i morti e ordina si tagli della legna per rifare il ponte (1-21)Fuggita indi la notte e ’l fumo, e ’l giorno
tornato co ’l mattin lucente e chiaro,
lacero d’ogni intorno il ponte apparve,
combusti i tavolati, i legni infranti,
5e disgiunte le navi, e le catene
vidersi rotte, e genti molte uccise.
Sorse nova pietà che quasi indusse
a lagrimare il pio Farnese, ond’egli
pria de la strage si querela e duole;
10comanda poi che le sbranate membra
di quei che restàr quivi uomini estinti
pongansi tutte a la gran madre in seno,
lor precedendo ciò ch’è sol dovuto
altrui dopo la morte onore estremo.
15Ma li più degni che restaro estinti
con forme onora di ciascuno al merto,
e le lodi e l’imprese egli ne conta,
et indi impone che le parti tutte
del rotto ponte sian rifatte in breve,
20e destina la selva onde recise
sian cento e cento annose querce e forti.
Dio, su preghiera di Farnese, scaccia e demoni dal bosco e consente il taglio degli alberi (22-69)Dal prudente campion non fur sì tosto
gli ordini dati per rifare il ponte
che se ’n volàr de la città di Dite
25di Stige impura i foschi abitatori
a quella antica prossima foresta
destinata a provare il ferro ispano,
ove poi s’annidaro, e d’empi corvi
vestìr le negre piume in un momento.
30Entrati a pena ad atterarla, i fabri
a’ primi colpi de le scuri avverse
dissero i mostri ivi d’Averno ascosi:
«Vinti sol dal poter c’ha forza in noi
lasciamo, non per voi, l’amiche piante,
35ché non temiamo già l’armi terrene.
Non ponno queste in noi, ma sol del Cielo
cediamo al gran voler, che di lontano
s’adopra contro a noi ne’ vostri alberghi.
Or questi abbiate in cambio infausti avvisi:
40non è per rimanere invendicata
questa gran selva, ch’usciran più legni
da l’isola cui bagna il bel Tamigi
d’altri arbori figliuoli a vendicarla».
A cotal vista, a cotal voce i fabri
45attoniti restaro, e fèr ritorno
al duce, a cui, narrato il tutto a pieno,
ei, co ’l pensiero a Dio gli occhi rivolto,
sì con affetto e mente umile il prega:
«Tu, che gli spirti che inalzaro il corno
50de la fastosa lor folle arroganza,
Tu, che pur lor da l’uomo e da sue membra
ove ad onta del Ciel cercano albergo
discacci e nel profondo atro gli immergi,
Tu del tuo santo nome a gloria eterna
55dammi, né riguardar mie gravi colpe,
che del bosco se ’n fugga ’l rio tiranno
che i tuoi fedeli distornar presume
da la grand’opra onde fia l’alma fede
ridotta al suo primier dovuto onore».
60Di strida empiendo la frondosa chiostra,
così detto, levarsi indi lo stormo,
de i foschi augelli ecco e tornarsi a Pluto,
che per dolor le labbra ambe si morse
veggendo che rifar doveasi il ponte.
65Quivi tagliati e poi condotti al fiume
gli arbori sono, e già vi è chi li fende
e chi gli adatta al loco suo primiero.
Rifatta è la Steccata e come dianzi
vi si ripon la bellicosa gente.
Gli spagnoli vincono una sanguinosa battaglia (70-241)70Poscia d’intorno a depredare i campi
manda il Farnese e la città minaccia
saccheggiar tutta e seminarvi il sale.
Stanno le donne a l’alte torri in cima
piene di tema il cor, gli occhi di pianto
75veggendo intorno a le paterne mura
in più parti divise esser gran schiere.
O quante volte con le mani, o quante
percotendosi i petti esser bramaro
già morte, o quante odiàr l’empia cagione
80che prima mosse a guerreggiare i Belgi,
poscia che da quel dì cotante morti,
tante stragi de’ suoi, tante ruine
a mirar cominciò la plebe inerme.
Non però sano ancor, ma colmo il seno
85di speme in mezzo a strage, a ferro, a foco,
nove frodi e nov’armi Anversa appresta,
e da i lontani e da i vicini lidi
nocchieri e navi al suo soccorso aduna
a Lillo, che da lei tien scevro il ponte,
90et escon dal suo sen di buia notte
co ’l silenzio altri legni armati e carchi
di nitro e negra pece e zolfo e ferro,
in cui Vulcan si cela e vi s’adopra
con la sua forza lentamente accesi.
95Veniano questi a ritrovare il ponte
per anco a i collegati legni aprirlo,
che dal mare attendeano il primo effetto;
ma non arte o consiglio o forza valse,
ché come avvicinar l’armata scorge
100il provido Farnese a le sue sponde,
pon l’oste in ordinanza e la dispone
sovra i ripari ed egli a tutti avante
duce e soldato appare, e co ’l consiglio
e con l’opre dà leggi, e core a i cori
105aggiunge con l’essempio suo guerriero.
Intanto, ov’han de l’argine minore
gran disio d’atterrar gli alti ripari,
corrono i Belgi, e seco Inglesi e Scotti,
con ferri e fiamme, le difese ispane
110assagliono, ma in van, ché ferro e fiamme
trovano pronti a le difese, a i danni.
Non però cessa il belgico furore
contra l’Ispano, e ’l coraggioso Ispano
d’oprargli ardito contra; e quinci e quindi
115s’ode il suono mortal, si vede il fumo
de le bombarde, e mille uccisi a un tratto,
spettacolo crudele, il suol coprire,
sì che dir ben si può che ’n dura guisa
mugge Dite, arde il Ciel, Morte ferisce.
120Ma poi, veduto rotto ogni riparo,
sdrusciti i legni ancor cedea ’l Fiammingo,
quando apparir di machine e di fochi
si veggon ne lo Scalde armate navi.
Speme al Belga apportàr, tema a l’Ibero,
125non però teme il duce, anzi comanda
con intrepida fronte a’ suoi ch’arditi
saglian le barche a discoprir gli inganni.
Non sì tosto parlò ch’avendo al core
l’usato ardir, del fiume in grembo a l’onde
130molti soldati a ritrovar se ’n vanno
di subito i nemici infesti legni.
Con gli uncini gli afferrano e sì tosto
fu l’arrivo e ’l pigliar che in dubbio stassi
se al moversi più core od al far preda
135mostrassero, et ispiando in uno istante
le più secrete parti a l’esca il foco
trovàr vicino, e sì vicino al danno
quanto essi furo a spegnerlo allor presti,
opera memoranda. Altri con funi
140n’adduce a terra e fa scopiarli a vuoto.
Così, deluso in questa parte, il Belga
se ’n corre là dove la pugna ferve,
su ’l Contradico argine lungo e forte,
con fascine, con palli e con terreno
145costrutto dal Farnese a forza d’armi
per cui lo Scalde inchinò ’l fasto e l’acque.
Quivi fassi la pugna; i primi spenti
si veggono cadere, altri contende
e discaccia il nimico, altri gli cede.
150Si mischiano le navi, ond’amor cieco
di Marte infiamma l’adirate menti,
altri ne cade giù da i gran ripari,
altri da l’alte sponde de gli abeti
precipitando entro lo stagno affonda.
155S’un altro vi sottentra et esso ancora
vien da i cavi metalli offeso o spento.
Non punto si rimane o si ritira
da la pugna il Fiammingo, audace fatto,
ma co ’l Germano unito e con l’Inglese
160a tutto suo poter l’oste nimica
assale, ed ella arditamente aspetta,
quantunque inferiore, e qui sostenta.
Volgono quivi le lor prore i Belgi
e per aprire l’argine più grande
165fanno sforzo, onde più libero il varco
abbia l’armata e a la città s’approdi.
Gli si oppone l’Ispano, che gli aventa
mille globi di ferro e turba l’opra
già incominciata, e de i nemici scempio
170ei fa crudele in sanguinosa mostra.
I Belgi (orribil mostro da mirarsi)
de gli estinti riparo anco si fanno,
sol per farsi ne l’argine la strada,
e così unire ambidue i laghi insieme
175senza che possa de l’ispane schiere
impedirlo il valor. L’invitto prence,
prodigo de la vita, ove lo chiama
l’onore istesso o di sua gente il danno,
ciò inteso elegge de’ soldati il nervo
180con cui rissolve di cacciarne il Belga.
Da l’altra ripa, ove Strabuche siede,
movessi l’oste amica, e quivi accorre
e le sue accoppia del buon duce a l’armi,
che avanti a tutti allor si spinge e dice:
185«In voi, ne le man vostre, Itali e Ispani,
la pugna e Marte e la vittoria è posta»,
et in questo assalendo apre e fracassa
i nemici ostinati: tal si vede
il fulmine spezzar le nubi a forza.
190Pur i nemici allor cedono alquanto,
e mostrando di fuor minore ardire
parea che fatto avessero pensiero
d’abbandonar la perigliosa impresa,
quando corrono tutti in un momento
195e con le guance di pallor dipinte
si restringono insieme e con gli scudi
fansi un forte coperchio, e ’l tutto in vano,
ché ’l formidabil duce a i loro assalti
non già si ferma, anzi animoso contra
200lor spinge l’armi ov’ei più densi stanno.
La pugna si radoppia e d’ogni parte
la marzial tempesta ognor crescendo
atterra i gran ripari, i corpi uccide.
Co i Germani, i Fiamminghi impauriti
205prendean la fugga allor s’alto soccorso
d’Angli, di Scotti, d’Ollandesi e Franchi
non s’opponeva. Quivi inoridisce
fra’ nemici la pugna, che rassembra
il mar cruccioso per crudel tempesta
210qualora sottosopra Affrico volge
l’acqua e fa girne in fino al cielo i flutti,
e percosso da l’onde il lito geme.
L’insidiose fiamme in una parte
ne l’altra l’impeto fan le spade e l’aste,
215quinci piovon gran sassi e quindi s’ode
fulminar la bombarda che l’insegne
rotte da lei son con li scudi, e atterra
molti, e sì denso fumo il cielo imbruna
che non si vede u’ la vittoria penda.
220Pur si combatte in sanguinosa pugna
e d’ogni parte son molti gli estinti.
Ma l’italiche spade e l’aste ispane
fan tanti scempi, dan ferite e morti
che appar de gli Anversani un gran macello,
225e, non sazi di questo, entro le navi
già dissipate e rotte entran gli Iberi,
già si veggono i Belgi oprare i remi
a lor fuga e salute, e chi ne l’acque,
oppresso da timor, si getta e muore,
230altri n’uccide in crudel guisa il foco.
Il foco, che assalendo quei vascelli
arder ne sembra arida selva antica,
la palude risplende, e già se ’n vanno
i Belgi in preda al ferro, al foco, a l’onde.
235Così fugati quei d’Anversa, e spenti
i collegati e le lor navi accese,
e l’Italo e l’Ispano impatroniti
di novo pur de l’argine conteso
spiegano al ciel le vincitrici insegne,
240e di spoglie e d’onor ogni soldato
carco a le tende sue lieto ritorna.
Farnese rende grazie a Dio e prende riposo (242-261)Quivi altri narra i propri casi et altri
gli altrui fatti racconta e loda insieme
de i Fiamminghi ’l valor, ancorché vinti.
245Vari fochi dipoi, bellici suoni,
testimoni di gioia e di vittoria,
risonar feano la sovrana lode
del prence, che fu contro a gli Anversani
qual contro a’ Greci l’animoso Ettorre.
250Vincitore, il Farnese, e prode e pio
erger qui fa l’altar cui sempre ha in uso
di condur seco ovunque ’l campo scorge.
Divoto si ritrasse co’ suoi duci
a render grazie al Re del Ciel, che fosse
255stato propizio in sì crudel conflitto.
Compiuti i sacri detti, il sacerdote
benedisse ciascun, quinci n’andaro
tutti co ’l capitano al padiglione,
ove lasciàrlo, d’allegrezza pieno,
260dopo tante fatiche a dar quiete
al cor, riposo al corpo, a gli occhi il sonno.
Aldegonda tenta un’ultima sortita con una nave poderosa ma fallisce (262-368)Anversa, udito il caso e già deposta
ogni speme d’aita e di vittoria,
addolorata si dispera e piagne,
265e di pianto e di strida empie ogni tetto.
Quasi novo Annibal tra gente afflitta
lieto stassi Aldegonda nel sembiante,
et indi fa che tosto in acqua è messa
nave che non di nave in mezzo a l’onde
270ma d’altissima rocca ebbe sembianza.
Curva prora e tagliente in prima vedi
su dal fiume elevata, ha più d’un tetto
e molte gabbie. A la superna antenna
s’incurvan cento vele a’ venti esposte,
275e di gran travi ha triplicato il fianco
e di gran querce ha le gran coste ordite;
aspersa è di tenace e negra pece,
per cui di penetrare il vasto seno
tentano e ’ndarno s’affatican l’acque.
280D’uomini armati e di bombarde cento
e gravida e possente è la gran nave.
Di legni a questo eguali e così lunghi
tessuto forse era quel nobil pino
che primo ruppe ad Anfitrite il seno,
285in cui passaro i generosi eroi
e vêr Colco drizzàr l’audace volo
al grande acquisto de l’aurato vello.
Ma per quetare il popolo smarrito
e imprimergli nel sen qualche speranza
290di fine imporre a’ lor gravosi mali,
il provido Aldegonda, il belga scaltro,
sì gran pino di Guerra il Fine appella,
né sortì ’l nome invan, benché contrario
avesse effetto al belgico pensiero.
295Ecco ne vien la smisurata mole
con cento e più navigli intorno intorno,
che uniti sembran quivi il marin gregge
a la balena a canto in grembo a Teti.
Geme lo Scalde sotto al grave incarco
300de la machina vasta e torreggiante,
escon dal fondo timidette ninfe
e miran stupefatte il mostro a pena
che fan ritorno a i loro acquosi alberghi,
e fatto noto al fiume quale e quanto
305fosse l’immane legno, egli da l’onde
trasse il capo, ed il sen d’alga coperto,
ceruleo ammanto avea; vista la nave,
da stupor, da timor tutto commosso,
s’immerse ne i suoi liquidi cristalli.
310Ma ’l pio Farnese rimirolla intento,
e conosciuto il reo dissegno ond’ella
venia per apportargli et onta e danno,
tacitamente il Re del Cielo invoca,
che gli desse alto senno e forza tale
315onde il dissegno ostil vano restasse.
Da cento bocche fulminando tuona
ne l’avverso ripar la ferra palla,
che resiste e risponde a l’alto pino
in guisa tal che d’approdarsi ei tenta
320al suolo indarno, onde bersaglio fassi
a’ spessi colpi de i metalli infesti.
Come cortina o baloardo immoto
sta per l’arte maestra il forte legno
di colobrine a i tiri e non si spezza,
325ma le palle ritien tutte nel fianco
che gli fan rintonare il ventre cavo,
c’ha pur le travi in varie parti offese,
cui mentre a resarcire i fabri stanno,
gli esperti fabri che ei nel sen rinchiude,
330ecco l’acqua mancante a poco a poco,
chi ’l crederebbe?, per voler del Cielo
immobil rende d’improviso il pino.
Ei sembra in mezzo a l’acque Atlante in monte
converso, o qual vediam scoscesa rupe
335ch’aggia ne l’oceàn l’alte radici
né per ira di venti o di fortuna
combattuta si piega o si contorce.
Veduto tale sforzo irrito e vano,
dieronsi i Belgi a ricondur le salme
340e gli arnesi rinchiusi entro al gran pino,
e con essi fuggendo a la cittate
le reliquie salvaro et i corredi,
furtivi avanzi di lor speme vana.
Ciò conosciuto, il duce e con stupore
345de l’oste sua e con suprema gioia,
mosse a trovare il legno, e con lui tutte
le più riposte parti anco a spiarne.
Tosto vi è chi v’ascende sopra et indi
cala di lui a le più basse parti
350e più secrete, né vi trova dentro
altro che polve e funi, ché i Fiamminghi
de i metalli diversi e de l’altr’armi
la copia grande avean ridotta in salvo
con picciole barchette entro le mura.
355Vuol il Farnese che si sfascie il legno,
onde gli arbori eccelsi e le gran vele
sono e le sarte e i forti remi scelti
dal nudo pino. Indi è condotto al campo,
memorando trofeo d’alta vittoria
360ottenuta dal senno e da la mano
d’Alessandro, ognor massimo et invitto,
a cui s’inchina la fortuna e Marte,
sì come a quel che li raffrena e scioglie
a suo voler sol co ’l girar lo sguardo;
365lo sguardo imperioso e in un cortese
onde affida e tremar ne l’altrui petto
fa l’alme, e spesso l’avalora e acende
di gloria militar, di nobil vanto.