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Anversa conquistata

di Fortuniano Sanvitali

Libro V

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 4.03.15 9:30

ARGOMENTO
Con ricchi doni entra in Anversa il prence.

Gli Anversani portano dei doni al Farnese: su un arazzo è raffigurata la battaglia di Lepanto (1-127)Dal musico gentil fornito il canto,
impone l’orator che sia portato
il regio don che deve fare al duce
del suo senato e del commune a nome.
5Nappi grandi e gran coppe e vasi grandi
di finissimo argento e d’or fregiati
addur fa quivi; poi spiegati sono
d’oro e di seta ricchi arazzi intesti
dal cui lavoro è la materia vinta,
10fra’ quali uno si mira in cui si scorge
dal fabro industre la battaglia espressa
a lor che ’l Trace temerario vinto
fu da i legni fedei insieme uniti.
Nel maestrevol drappo si rimira
15il mar profondo ove l’altere torri
sorser già di Corinto, emule al cielo;
quinci l’Epiro e ’l cefalenio lido,
e quindi l’azio, che a mirar d’Augusto
ebbe e d’Antonio la naval tenzone,
20quasi luogo fatale a grandi imprese,
e ’l campo loro è l’ampio sen di Teti.
D’oro tutto gonfiava intorno il mare
con la spuma d’argento e ’l ciel d’azzurro.
Mirasi d’Austria il giovinetto quivi
25splender da lunge per lucid’armi;
tali a Vener ne feo, tali a la dea
Teti Vulcano, onde n’andaro armati
il fiero Achille et il pietoso Enea.
In atto di ferir starsi lo scorgi
30or qua or là sol co ’l girar de gli occhi,
comandando a gli abeti ch’egli addotti
avea del nobil regno e di Sicilia
ferace, e di là donde il Tago bagna
con l’arene sue d’oro i Lusitani,
35di Spagna e di Liguria e d’altri regni
e soggetti et amici al rege ibero,
de’ quali era l’armata de i fedeli
tessuta, egli tenea lo scettro in mano.
Reggea di Piero i veleggianti pini
40Marco Antonio Colonna, uomo di sangue
e di valore e d’animo romano,
cui poscia il Tebro trionfante accolse.
De l’aurato Leon spiega l’insegna
il canuto Veniero; al volto questi
45crederesti Nettuno, a l’armi Marte.
Veggonsi i cavalier di Malta e quelli
che dal gran Cosmo ebber principio e legge.
Da l’altra parte, a’ fedei legni opposti,
di vermiglio color vedi solcare
50i traci pini l’acque salse, a cui
comanda il fiero Alì, carco d’orgoglio.
Ei ne la destra tien lo scettro e in capo
di più candidi lini ha picciol monte,
in cui ricca di gemme emula splende
55a la celeste risplendente luna.
D’Alessandria, d’Algier, di Natolìa,
di Negroponte e di Rodi la famosa
per la statua del sole, e di Soria,
con quei de la città ch’ancor si noma
60dal glorioso Costantino Augusto,
il numero de gli alberi a la vista
sembra gran selva che per l’onde salse,
come favoleggiaro altri d’Ortigia,
erri vagando e le gonfiate vele
65diresti esser del ciel nubi discese
per coprir l’acque. Non mai Dori in grembo
ebbe legni cotanti né sì carchi
d’uomini e d’armi, ond’al gran peso sotto
l’onde curve faceansi e muggia ’l mare,
70che dal moto de l’una e l’altra armata
squarciar si vede e far schiumoso il seno.
De i Veneti nel mar possenti e chiari
sei navi torreggianti, anzi sei rocche,
le prime sono ad attaccar la zuffa
75e de i nemici a far macello e strage,
che da le sponde orribilmente fuori
fan le bombarde fulminare a mille.
Le diresti che fossero montagne
che mandassero fuor, qual Etna suole,
80e foco e fumo e tuoni e quinci e quindi,
onde par che tritone e Glauco avampi
nel cefalenio procelloso mare.
Gli Ottomanni superbi et ostinati
nel proprio danno fan coraggio e fronte
85e con suoi legni ad incontrare i pini
van de i cristiani e s’avitichian seco,
e feriscon feriti, e questi e quelli
miransi non fuggir periglio o morte,
ché l’esser vinto ne la morte è morte.
90Ma veggonsi fra tutti i capitani
risplendenti per l’or ma più splendenti
per l’opre illustri, e, con l’essempio loro,
far i soldati gloriose prove
con l’avventar di mille fochi e ferri
95per cui vedesi il mar vermiglio e roggio.
Armata sovrastar mirasi in mezzo
de la zuffa naval Bellona irata
con l’asta in mano e con lo scudo in braccio,
che gli uomini trasforma in vivi marmi.
100La Discordia, il Furore e Marte istesso
vibran le spade contro a i Turchi, ond’essi
mostran le spalle, a poco a poco vinti
e dissipati, a i vincitor cristiani,
che di loro qui fan scempio crudele.
105Riconosce se stesso il grande eroe,
lume maggior de la farnesia prole:
a due triremi de’ nemici a fronte
vedesi far meravigliose prove
con quella mano a le vittorie nata.
110La più superba ei ne profonda in seno
di Nettuno spumoso, e l’altra al fine,
doppo lungo schermirsi, a lui s’arrende.
Morti veggonsi tutti o fatti schiavi
gli Sciti e i Traci, tranne sol l’astuto
115Occhialì, che le vele inarborando
si sottragge a la pugna, ignobil fuga.
Così, ottenuta la vittoria i nostri,
mirasi il regio ibero et il Colonna
e ’l veneto campion gir trionfanti
120più di sangue infedel che d’oro carchi,
le spade ignude ancor tenere in mano,
e del Metauro il prencipe famoso
di cui copriva sopravesta ricca
l’armi lucenti ricamate a ghiande
125star ivi co ’l Farnese a paro a paro.
Loda il principe i doni e quelli accetta
e quanto deve ne ringrazia i Belgi.
In città la gente esulta per la pace ottenuta (128-151)Essi, tolto da lui umil congiedo,
fanno dal campo a la città ritorno,
130carchi di vari doni ch’ugualmente
sì fu Alessandro liberale e prode.
Intanto divisando insieme vanno
de le belle virtù che nel sen chiuse
il vincitor Farnese. Questi loda
135il senno e quel la valorosa destra,
altri la gran pietate, altri la fede
di lui gran duce; havvi chi innalza al cielo
quel magnanimo core a cui già fora
poco di Creso la ricchezza immensa,
140tant’ebbe larga nel donar la mano,
la man ch’ancora avria scossa Babelle
da’ fondamenti et il ferace Egitto.
Giunti ne la città gli ambasciatori
al senato et al popolo spiegaro
145la benigna risposta che a lor fece
cortesemente in accetargli il prence.
Anversa, udito il suon de la bramata
nova di tanta pace apportatrice,
segno ne fa co ’l suon di cento squille
150e di cento bombarde e de’ gran fochi
che a le stelle facean perder la luce.
Farnese entra nella città, trova vari apparati celebrativi: un arco di trionfo, vari obelischi, un ciclo di statue (152-255)De la celeste vergine il bel crine
Febo infiammava co’ suoi raggi quando
entrò ne la cittate il duce armato.
155Era il giorno fra noi festivo e sacro
nel quale Erode a l’impudica ebrea
fe’ ’l nobil don de la sacrata testa,
di lui che diè battesmo al suo Signore
del famoso Giordano a le chiar’onde,
160giorno al mondo felice e lieto a Roma,
in cui già nacque il glorioso duce,
dopo molt’anni a farla illustre e bella.
Liquido argento corse il Tebro et ebbe
l’arena d’oro e sudàr mèle et ambra
165gli arbori al fiume intorno le cui sponde
di smeraldi vestìrsi e di giacinti.
Rise il cielo e si fe’ tranquillo il mare
e videsi fiorir la propria culla
dove il regio fanciul prendeva il sonno,
170e dier gli augelli e dier gli armenti segno
di gran letizia, e d’Alessandro il volto
per vagheggiar fermàrsi l’onde e i venti.
Poscia giunto d’Anversa ove confina
il gran contado, al cielo eretto appare
175un superbo arco de gli antichi in guisa
che innalzò Roma a i magni imperatori
Traian, Tiberio e Costantino.
Eranvi le vittorie efigiate,
trofei superbi, simulacri veri,
180d’ogni guerra naval, de le campestri
fatte dal capitano in vari tempi,
in belle forme dottamente espresse,
e si legean da l’una e l’altra parte
de l’arco trionfal questi due carmi:
185Al fondator de la quiete nostra
al vincitor Farnese Anversa estolle.
Fermato quivi egli è dal clero prima
e poscia dal senato alteramente
accolto: ei loro il giuramento presta,
190e lo riceve d’osservare i patti
a vicenda, nel darsi al rege ibero
convenuti tra lor. Vergine mano
gli dà le chiavi e nova fede in pegno,
indi segue il camin verso le mura
195dov’egli accolto è con letizia immensa.
Rinascer ad Anversa allora parve
che ’l prence introvvi e lo mostrò palese
con suoni e canti e publiche carole.
Qual mira l’oceàno il navigante
200doppo ch’Orion crudo alzando i flutti
lo conturba e ne fa l’acque maggiori,
se Febo sgombra co’ suoi raggi d’oro
de la notte le tenebre, del vento
e del mar l’ira acqueta, tal il volto
205di tutta la città muta sembiante
a l’apparir del glorioso eroe,
cui scopre ognuno ne la fronte il core.
Poco lontano da la porta eretto
gran piramide aveano gli Anversani
210dov’era sopraimposta la fenice
già moribonda fra gli odor sabei,
e quando irraggia in lei ardente il sole
ne l’auree fiamme arde il purpureo augello
e con l’alto suo rogo ei si rinova.
215Così dal raggio del sereno aspetto
del clemente Farnese il popol tutto
rinascere dimostra a miglior vita
di pace e di governo. D’ogn’intorno
scorrer per l’ampie sue dritte contrade
220veggonsi a prova l’allegrezza e ’l gioco.
Quivi mirasi ancora il dio Nettuno,
presa novella forma, andar scorrendo
sopra un delfin l’insolite contrade,
in man tenendo il forte suo tridente,
225mostrando aperto che egli sempre fora
obediente al gran monarca ibero.
Altri Amaltea co ’l corno pien vi forma
del già vinto Acheloo segno felice
che fia di frutti ognor ferace Anversa,
230et altri d’uve carco il padre Bacco
versante in molta copia il suo liquore,
predice con augurio e lieto e certo
che la Grecia e l’Italia e Francia e Spagna
raccorle tutte a la città dovranno.
235Così Anversa discopre i vari affetti
col gaudio universale in tante forme
per tanto prence che l’illustra e regge.
Scorgi di fidia man, di bronzo eletto
in su la maggior piazza i gran pianeti
240che dal cielo parean quivi discesi
ad ammirare, ad onorare il duce,
giorno fatale ad Alessandro in cui
entrò in Anversa e vestì l’alma altera
e gloriosa de le membra sue.
245Mille eroi gli facean corona e cinto,
tenea lo scettro in mano e giù pendea
dal collo al capitan l’aureo monile
che l’ardito Giason a i Colchi tolse
quand’ei passò con altri a i fasi flutti.
250Di gemme ch’India e l’eritrea contrada
produce il regal manto avea guernito,
et egualmente il suo destrier famoso,
onor del Mincio, di tai fregi adorno
e di gemme diviso a’ riguardanti
255meraviglia e diletto insieme porge.
Altri apparati celebrativi: una statua del gigante Druone e una colonna istoriata con le imprese di Farnese in Fiandra e dei suoi avi (256-378)Ove in Anversa s’erge un gran palazzo
di marmi eletti e di superbe travi
su lo Scalde inalzata era una mole
anticamente, in cui tenea l’albergo
260(tra i Belgi è voce e tiensi oggi per vero)
il gigante Druone, uomo spietato
senza fé, senza onore e senza legge,
dispreggiator di Dio, nuovo Procuste,
e più di Cacco rio, fiero, inumano.
265Questi di membra a li Ciclopi eguale
di ferrea mazza la gran destra armava,
quivi attendea su ’l fiume i passeggieri
a cui prima chiedea de’ loro arnesi
parte maggior, ma se non era tale
270gli troncava la destra e ne fea tosto
spietatamente sozzo dono al fiume,
quando a Dio piacque da la cruda legge
ch’egli stesso inventò punito venne.
Improviso campion qui sopragiunse
275che, con lui azzuffato, al primo colpo
troncò la destra sua, sacrolla al fiume,
onde il nome e l’insegna Anversa ottenne.
S’erge in cruccioso e minacciante aspetto
da dotta mano fabricato al vivo
280sembiante l’imanissimo gigante,
spetacol memorando e d’orror pieno.
Stavasi incontro al gran colosso eretta
una colonna d’ogn’intorno adorna
di bei rilievi altrui rappresentanti
285del duce vincitore i gran trofei,
conquistati già prima in varie imprese.
Eravi in cima del famoso eroe
la statoa qual solean di vincitore
romano antico armato erger sovente
290i soggiogati o i popoli soggetti;
di vermiglia pretesta era coperto,
di corone diverse avea le tempie
cinte d’intorno, e sedea la Vittoria
in mezzo a i legni et a le genti prese.
295Simile a questa il peregrino vede
le due colonne sovra il Tebro alzate
dal buon Traiano e d’Antonino il Pio.
Ella a ciocciola è fatta e con grand’arte
a punto appar di efigiato argento;
300mirasi ei qui fra cento duci eletto
duce de gli altri e capitan supremo,
successor de l’austriaco guerriero
che del monarca ibero era germano.
Prima Alessandro romper scorgi i Galli
305venuti a impadronirsi di quei lidi,
cui bagna spesso il Reno e de lo Scalde
l’acqua che per lo mare or cala or cresce.
Vedesi poi e strage e scempio e morte
apportare a Mastrich la pertinace
310che sentir fece i suoi mortali affanni
a i terrieri, a i soldati e dentro e fuore
fra mille Fabio qui si vede estinto,
Fabio, cui pianse il suo Farnese antico,
e da lui non lontan ferito è Carlo,
315il suo cugin, de’ Sanvitali miei
lume ognor vivo, ancorché spento giaccia.
Da Mastriche Bolduch, che in su la Mosa
le torri innalza pure accorta fatta
s’arrende al prence, arrendesi Tornai,
320ma in modo disegual, ché senza oprare
armi quella s’accorda e questa allora
che doppo mille generose prove
scorge mancare i difensori e ’l vitto.
Quivi con egual sorte in suo potere
325ottener Breda miri che ancor prima
rivoltò contro al re l’audace fronte;
ma che le valse? Fu costretta al fine
provar del vincitor giusto nemica
l’ira, di lui l’alta pietà sprezzata.
330Così volle da prima anche provarla
Oudenardo, ma poi fattasi cauta
forse a le spese altrui e co ’l periglio
istesso patteggiò co ’l pio Farnese.
Lira scorgesi qui prender per frode
335da i farnesiani accortamente usata
che allora cagionò forse che Iprino
su l’Ipra fiume posto ond’ebbe il nome,
da duro assedio astretto umil cedesse
il quale in grazia l’uman duce accolse.
340Bruggia, vedendo il senno andar del pari
co ’l valor suo, la qual per l’oceàno
stende lo sguardo più d’ogn’altra terra,
è grande e populosa, tranne Gante,
ch’abiti il biondo industrioso belga,
345e dal Tenera fiume la divisa
Termonda forte al prencipe si diero.
Gante l’altera, poderosa e grande,
quanto più grande più d’ogn’altra ancora
ostinata e nemica al fin s’arrende.
350Ciò similmente far vedi a Bruscelle:
quest’è bagnata da la Sona e sopra
s’inalza alquanto su per umil colle;
Nimega sottomette il capo al giogo,
la Dela ondosa la divide e bagna.
355Il Cesi nato ove Scoltenna innonda
i bellicosi modonesi campi.
Vedi che in Herental entra con arte
e con ingegno e forza la mantiene
al suo gran re, da cui ben ha mercede
360dovuta al merto suo. Miri Maline
per assedio cader con altre molte
città, che tutte la colonna mostra
in onor del Farnese invitto eretta.
Poi ne la base si vedeano impressi
365i trofei de gli antichi eroi che usciro
del gran sangue Farnese al Cielo amico.
È qui Pietro su l’Arno, e presso a lui
vien Nicolò, del picciol Ren riparo,
cui seguono Guido e Peppo e duo Ranucci:
370de gli Orvietani duce l’uno a forza
tolse a’ sanesi il da lor preso Chiusi,
fa l’altro poi la nobile vendetta
contro a’ Todini del suo Assensio ucciso.
Ma fra tutti di tre corone splende
375Paolo, il successor di Pietro, a cui
non fu in Roma giamai primo o secondo.
Ha seco i suoi nipoti, che del regno
gli diero aita a sostenere il peso.
Farnese ringrazia Dio e prende saggi provvedimenti (379-426)Mentre che stassi a rimirare intenta
380le farnesiane militari imprese
la varia gente, il pio devoto duce
vassene al tempio a render grazie a Dio,
prima caggion de le vittorie sue.
De la madre di Cristo al maggior tempio ,
385che di serici drappi e di pitture
vedeasi istoriato intorno intorno,
dove con gli Anversani e i duci suoi
vittoriosi il capitano entrato
ingenocchiossi et adorò devoto
390l’imagin di Maria a cui sacrata
è la pomposa ricca chiesa, eguale
d’oro, di marmi e di figure elette
a qualunque s’inalza oggi su ’l Tebro
ne la cittate in cui vicario or siede
395di Cristo, il quinto Paolo, al sommo grado,
d’alta provvidenza a noi donato.
Quivi con music’arte in varie note
de’ sacerdoti triplicati cori
di sacre laudi fan sonare il tempio,
400il cui pietoso dir passa le stelle.
I prieghi che inalzati erano a Dio
poiché cessati furo, il capitano
fassi condurre a la magion reale
dove altro Numa in maestate assiso
405le giuste leggi a i vinti egli prescrive.
Ad esso ancor de la diurna luce
cotanto avanza ch’egli vien condotto
a rimirare le vestigia grandi
del superbo castello, che già in freno
410Anversa tenne, or stassi in sua difesa.
Di pentagono in forma ei fu costrutto
con arte molta; i Terrazzani istessi
lo ruvinaro e l’adeguaro al suolo;
ordina il gran Farnese ch’ei rifatto
415sia più che prima assai bello e forte,
sembiante a cui oggi vediamo quello
che per riparo de la sempre fida
città s’inalza su la destra sponda
del fiume, a cui fanno ombra i bei giacinti,
420opra del serenissimo Ranuccio,
ch’or tien di Parma il giusto scettro antico,
a l’avo in pace, al padre in guerra eguale,
di gemino valore e specchio e sole,
novo terror al formidabil Trace,
425vera stirpe del Ciel, figlio di Marte.
Il poeta congeda il poema e chiede al destinatario di serbarlo al tempo edace (426-440)Questa fatica mia viva sicura
da l’invidia e dal tempo a lei nemici
a la grand’ombra de i gran Gigli vostri,
almo Odoardo, a cui lasciaron gli avi
430i fregi d’ostro, il venerabil manto,
ond’ognor vive e via più bello in Roma
l’almo splendor di quei celesti padri
che dier gran lume a la romana Chiesa,
e quinci ammira e riverisce il nome
436Farnese il Tebro, e ’l peregrin l’addita
fra l’altre meraviglie che rinchiude
nel sen de le sue mura e conta e vanta
le lodi, e i merti e l’animo reale
del saggio e liberal, sacro Odoardo
440cinto di gloria il sen, d’ostro la chioma.