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Il Boemondo, overo Antiochia difesa

di Giovan Leone Sempronio

Canto I

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 1.04.15 20:06

ARGOMENTO
Vassene in Antiochia Idraspe il fiero,
e che si renda al suo gran re pretende;
Boemondo gentil, che n’ha l’impero,
co i suoi guerrieri di tanto ardir s’offende.
Parte irato, orgoglioso il messaggiero
e l’armi perse a la battaglia accende.
Marcia schierato il campo e su l’Oronte
pianta le tende a l’alte mura a fronte.

Boemondo, presa la città, fa riposare i crociati

1L’armi di Cristo e la città difesa
da pio guerriero incontra i Persi io canto,
grande non men che gloriosa impresa
tra quante in Asia ebber di sacre il vanto,
senza di cui né conquistata e presa
Gerusalem, né liberato il Santo
Sepolcro fora, e tanta gente in vano
raccolto avrebbe in Chiaramonte Urbano.

2O figlio no di sotterranee fonti
ma piovuto dal ciel sacro Permesso,
al cui limpido umor purgar le fonti
e l’alme in terra è d’infiammar concesso,
mentr’oggi anch’io su gli eliconi monti
epici allori a le mie chiome intesso,
tu il cor m’accendi, onde m’ascolti il mondo,
d’ordin primier, benché d’onor secondo.

3Forse avverrà che con diletto egli oda
ciò che pria fèr gli orientali eroi,
e de i primi trionfi anch’oggi goda
s’a gli ultimi già dier gli applausi suoi.
Così ancor di chiarezza il sol si loda
là nel bel sen de i ricchi lidi eoi,
né da gli uomin però l’alba s’aborre,
che s’ha luce minor, pure il precorre.

4Grande Odoardo, a cui dal Ciel fu dato
arte, senno, valor, coraggio e ingegno,
e sai co ’l brando trionfare armato
et inerme trattar placido regno,
voto d’ossequioso animo grato
accogli il don ch’a consacrarti io vegno:
per te visse mia Musa e per te canta,
si deve il frutto a chi nudrì la pianta.

5Vedrai, signor, se del benigno ciglio
volgi un guardo talor su le mie carte,
fatto ne l’Asia il tuo ceruleo giglio
fior d’Apollo non men che fior di Marte.
Chi sa ch’un giorno universal consiglio
non ti destini in quella santa parte,
e che per le tue man non abbia al fine
il Perso e l’Ottoman nove ruine?

Boemondo, presa la città, fa riposare i crociati

6La notte amica a i cristiani allori
già s’apprestava a ceder vinta al giorno,
et al mancar de’ suoi nativi orrori
gli orror di morte ell’accrescea d’intorno,
già scorrean festeggiando i vincitori
e n’aveano i pagan tormento e scorno,
e già l’alta Antiochia in guerra oppressa
era trono fedel, tomba a se stessa.

7Boemondo ne gode, e poiché tutti
ha già de la città trascorsi i muri,
e co i principi suoi mirati i frutti
de le vittorie lor fatti maturi,
nel dì seguente, i sacri eroi ridutti
in alberghi fortissimi e sicuri,
a l’essercito stanco e faticoso
fa il bramato goder dolce riposo.

Corbano, figlio del re di Persia, marcia con un enorme esercito in soccorso di Cassano, quando viene a conoscenza della resa manda un messo a richiedere la città

8Di Persia in tanto il regnator sovrano
da cui l’impero di Soria fu vinto,
e ch’Antiochia in don diede a Cassano,
a lui di sangue e più d’amore avinto,
in suo soccorso il prencipe Corbano
con tutta l’Asia avea qui mosso e spinto,
Corban l’unico erede, il caro figlio,
che con regio valor ha regio il ciglio.

9Cieche selve, alti monti, opache valli
con passi velocissimi divora, e sembra
a lui per quegli alpestri calli
un secolo ogni giorno, un lustro ogn’ora.
Sospira i troppo lunghi ampi intervalli,
desio di guerreggiar sì l’innamora,
e vorrebbe improviso (alto guerriero!)
aver alato il piè come il pensiero.

10Già varcato ha l’Eufrate, e già cotanto
egli s’è tratto a la città vicino
quanto sarien ben dieci leghe o quanto
d’una notte o d’un dì fora il camino,
ma vari messaggier, sparsi di pianto,
gli narrano di lei l’aspro destino,
e come è il terzo dì ch’ella cadeo
de i cristiani eroi preda e trofeo.

11Figli di nobil ira, aspri lamenti
a sì dura ei discioglie e ria novella,
et a l’ufficio lor gli spirti ardenti
del suo regio valor tutti rappella:
«Dunque avverrà che tra i codardi e i lenti
altri m’additi?» egli co’ suoi favella,
«e si dirà che solo fabro io fui
co ’l mio tardar de le vittorie altrui?

12No, non fia vero; ho core anch’io che sprezza
di morte il ceffo, e che di palme ha brama.
Vincerò chi già vinse e la chiarezza
ripurgarò de la macchiata fama.
A domar la cristiana empia alterezza
dignità persiana oggi ne chiama,
et al campo europeo ne persuade
l’ira a intimar de l’asiane spade.

13Ma non stim’io che di sì nobil oste
a privato campion venga commesso:
sian le nostre minaccie a loro esposte
da voi colleghi, andrò s’è d’uopo io stesso.
Bellicose spiegar degne proposte
sovente a i maggior principi è concesso,
e i più gravi portar publici sensi
anche a gran re, s’egli è guerrier, conviensi.

14Traggasi dunque al vincitor cristiano
alcun di noi ne la città tradita,
dica che da Soria vada lontano,
se pur brama il perdon, cara ha la vita;
dica che n’ubbidisca, e s’egli insano
partir ricusa e i nostri sdegni irrita,
guerra gl’intimi e gli protesti al fine
lungo assedio non men ch’empie ruine».

15Così propone, e co ’l natio coraggio
fra gli altri Idraspe offrirsi a lui si sente,
Idraspe il gran signor cui rende omaggio
sotto il tartaro ciel serica gente.
«Io tuo legato andronne, io tuo messaggio,
in servigio commun fatto eloquente,
e in tua virtù facondo insieme e forte
saprò dir sì come so dar la morte».

16Applaude il capitan lieto a i suoi detti,
che primiero accettò l’alta richiesta;
d’un’orda i duci in suoi compagni eletti,
quei con gran pompa al dipartir s’appresta.
Portan cento scudier, cento valletti
livrea di gemme e di fin’or contesta,
et al corteggio suo vien che rimbombe
rauca armonia di numerose trombe.

17Già il suo maggior forier posto in su ’l dorso
a lieve corridor batte il sentiero;
molle il crin di sudor, di spuma il morso,
in sembianza d’augel vola il destriero:
lungo tratto di terra ha già trascorso,
del cuoio e de l’acciar mosso a l’impero,
e sì lo sforza l’un, l’altro lo punge
che in ben poch’ore in Antiochia ei giunge.

18Grida la guardia a lo stranier chi fia,
onde vegna, ove vada e ciò che porte.
«Forier (risponde) il mio signor m’invia,
messaggio eletto a sì famosa corte».
Udito a l’or ch’amico egli venìa,
come stile è di guerra, apron le porte;
egli entra, e narra lor come se ’n varca
poco indi lunge il tartaro monarca.

Boemondo convoca il consiglio, si decide di resistere

19Chiamar repente a general consesso
gli sparsi eroi de gli oricalchi al suono
fa Boemondo, a la cui man concesso
fu già da lor quel novo regno in dono.
Da i gran Guiscardi originò se stesso,
ch’ebber su i Bruti e sovra i Dauni il trono,
principe invitto e ch’ogni duce eccede
di pietà, di valor, di zel, di fede.

20Pria guerniti di stocco e di zagaglia
appaion fulminando i duo Roberti,
ned è ben noto ancor chi più prevaglia
sì gareggiano in lor le glorie e i merti;
ambo saggi di lingua, ambo in battaglia
forti di mano, ambo ne l’arme esperti,
et ambo alteri, ambo temuti e grandi,
l’uno a i Belgi pon fren, l’altro a i Normandi.

21Cinto de l’armi onde se stessi ei doma
viensene poscia il tolosan Raimondo;
fresco vigore ha con canuta chioma,
e con omeri curvi animo biondo;
de’ suoi molt’anni a la sì grave soma
giunge de l’elmo e de l’usbergo il pondo;
civil prudenza a marzial valore
porta congiunta, e a gran saper gran core.

22Ugon, del re fratello, augusto il ciglio
gira non men che maestoso il piede,
Ugone il grande, che de l’aureo giglio
può per legge di sangue essere erede.
Dopo questo appressar l’ultimo figlio
del monarca brittanico si vede,
a cui serve Albione, a cui son ligi
i freddi abitator del gran Tamigi.

23Siegue Goffredo, il generoso duce,
che di Lorena al bel paese impera;
fortezza militare in lui riluce,
di mille palme e mille spoglie altera.
I gran germani suoi seco conduce,
Eustazio e Baldovin, coppia guerriera,
ma l’un coglie talor d’amore i mirti,
l’altro ha troppo d’onor fervidi spirti.

24Di Poggio il buon pastore indi si mira,
con lunghi manti e bianca chioma e folta.
Pio ministro già fu, ma nobil ira
or ha nel sen contrai pagani accolta;
pietà dal volto e zel da gli occhi spira,
e ne l’opre di Marte anch’ei rivolta;
ha la sacra tiara in lucid’elmo,
il gran rettor de l’anime Guglielmo.

25Ecco Tancredi, il domator guerriero,
cui fanciullo allattàr l’onde tirrene,
e con Rinaldo, il giovinetto altero,
Guelfo gran duce estense ecco se ’n viene.
Ecco Latin, che de l’argivo impero
l’astuzia sol, non già il valor ritiene;
ecco Gualtier, cui por ne l’Asia diede
primiero il Ciel con le sue genti il piede.

26Muovono insiem con un sol nome in sorte
duo Stefani, un d’Ambuosa, un di Carnuti.
Gernando appar, cui la norvegia corte
porge onor, rende ossequi, offre tributi;
seco è Ruggier di Balnavilla, il forte
Ruggier, ch’anch’ei temuto è fra i temuti,
e Guadescalco, a cui con fiere guise
l’ungaro sdegno i suoi Tedeschi uccise.

27Entra di Consa il conduttier Dudone,
a cui guidar gli avventurier fu dato.
Succede Alcasto, il rigido campione,
c’ha stuol d’Elvezi a sua difesa armato.
S’inoltrano di par l’italo Ottone,
il fier Rambaldo, che in Guascogna è nato,
i duo Gherardi e i duo famosi Guidi,
al franco re cari non men che fidi.

28In fra i più chiari ancor Sforza sen viene,
co’ duo germani suoi che su le sponde
nacquer di quel Tesin che le sue vene
Insubria bella ad irrigar difonde,
et Obizo gentil, che le serene
respirò de l’Etruria aure gioconde,
e quel ch’ognor di gagliardia contrasta
con Tomaso di Feria, Arrigo d’Asta.

29Il conte Isuardo, di Dien nomato,
Ubaldo il lusinghier, Carlo il sagace,
Rosmondo, che in retaggio ebbe il ducato
già di Lincastro e il tien reggendo in pace,
e con Riccardo poi dal principato
Ramuso il suo fratel, Gallo l’audace,
Camil, Getonio et Engerlan son visti
traggersi uniti a un punto istesso e misti.

30Giungon ultimi poi ma coraggiosi
Guasco, anch’essi Gerniero et Eberardo,
e, nemico de gli agi e de’ riposi,
va baldanzoso il prencipe Odoardo:
con sembianti soavi e maestosi
mostra feroce il cor, dolce lo sguardo,
e spirando d’onor lampi e faville
ha volto di Patròclo, alma d’Achille.

31Nato di Gallia entro il feroce regno
Pietro vi giunge, il buon romito al fine;
candido il core egli ha, puro l’ingegno,
ma ruvido l’aspetto, inculto il crine;
tien ne la destra aspro di nodi un legno,
porta a l’ignudo sen spoglie ferine,
cinge il fianco di fune e giù dal mento
si fa larga cader pioggia d’argento.

32Poiché raccolti a l’assemblea di guerra
ha i campioni di Dio tromba canora,
nel tempio là ch’a lui fu sacro in terra,
che vicario di Cristo il mondo adora,
e ch’oggi (ahi l’uom così vaneggia ed erra!)
è vil meschita a chi Macone onora,
posto nel mezzo a sì gentil corona
s’è Boemondo, e così lor ragiona:

33«Eroi di Cristo, il cui temuto nome
vanta Europa, Asia teme, Affrica ammira,
ecco abbiam vinto, ecco già prese e dome
l’empio pagan le sue città sospira,
et ecco già su le vittrici chiome
di trionfale allor serto s’aggira;
ma fulmin reo con le sue fiamme ardenti
par che dal nostro crin scuotere il tenti.

34A noi messaggio un re venir si vede
e note ancor l’inchieste sue non sono;
pur, se da lui questa città si chiede,
questa ch’a me già concedeste in dono,
a un cenno sol ne trarrò lunge il piede,
quando a voi piaccia, e cederogli il trono.
Ma in ciò si dèe, vie più che l’util mio,
l’onor vostro cercar, l’onor di Dio.

35Dubbio non è che le nostr’armi han solo
al corso lor Gerusalem per meta,
ella è il porto, ella il centro et ella il polo,
e in vano altrove il nostro cor s’accheta.
Là dobbiam noi batter le penne a volo,
e superar ciò che ’l camin ne vieta,
a ciò m’astringe il giuramento, e noto
desio di gloria et obligo di voto.

36Ma raro avien ch’altri già mai sia giunto
senza i debiti mezzi al fin bramato,
e tal cred’io questa cittade a punto
il Ciel benigno or conquistar n’ha dato,
né ce la diè perch’a l’istesso punto
la ridoniamo al paganesmo ingrato,
e quando ella si ceda, ah non per questo
il Perso cessarà d’esserne infesto.

37Fatto perciò più temerario e forte
di Palestina ei ne torrà l’ingresso,
e, se mai di Sion su l’alte porte
il buon campo fedel porta se stesso,
colà verranne a minacciargli morte,
a battagliarlo, a desiarlo oppresso,
et a rapirgli (ahi vani sian gli auguri!)
i frutti suoi quando più fian maturi.

38Fra quante in Oriente il sol vagheggia
questa di sito e di splendor prevale,
con la real Gerusalem gareggia,
tranne il Sepolcro sol, nulla ineguale;
qui pria di Dio si radunò la greggia
ch’a la religion diede il natale,
qui ebbe il primo latte, ebbe qui culla
la nostra fede, e qui vagì fanciulla.

39Qui pose poi, di sacro zelo ardente,
il prence de gli Apostoli la sede,
ch’ossequioso il mondo e riverente
oggi adorar nel Vatican si vede;
e s’al popol di Dio la prima gente
di Nazareno il titolo già diede,
in queste mura, e ciò vi basti, in queste
il nome voi di cristiani aveste».

40Tacque ciò detto e col suo dir commosse
ne gli ascoltanti un mormorio sonoro
qual soglion fra di lor rotte e percosse
far ne gli estivi dì le spiche d’oro,
o qual talor frondi agitate e scosse
al più lieve soffiar d’Austro e di Coro,
e un confuso formar breve bisbiglio
s’ode prima fra lor, balbo il consiglio.

41S’apron poscia i pareri, e la difesa
già per voti communi è stabilita.
Vogliono i pii guerrier pria che l’impresa
quando fia d’uopo abbandonar la vita;
co i petti lor la primitiva Chiesa
braman tener da l’arme altrui munita,
e questa a qual si sia dura proposta
giurano irretrattabile risposta.

Idraspe intima di lasciare la città e abbandonare la Siria, Boemondo non acconsente, congeda il messaggero con un ricco dono

42Arriva intanto et incontrato viene
da tutti Idraspe in placidi sembianti,
ma con ciglia vèr lor poco serene,
al senato europeo trattosi avanti,
s’inoltra altero, indi s’asside e tiene
fissi gli sguardi in essi e minaccianti,
e questa a fulminar prende con arte
in stil di Palla orazion di Marte:

43«Principi, e tu di lor gran capitano,
che qui gli hai tratti ov’il destin li serra,
e che l’avara ambiziosa mano
stimate il mondo intier pugno di terra,
il guerreggiar da i regni suoi lontano
in clima altrui, scola non è di guerra;
forastiera vittoria in breve muro
non trova ospizio a i suoi trofei sicuro.

44Tentar conquiste in region remote
è un condannarsi a trionfal prigione:
non proseguir, non ritirar si pote,
né s’han le proprie e men l’altrui corone.
Per vari casi a tutti omai son note
l’alte peripezie d’estrano agone:
spesso d’assedio il vincitor recinto
trae ne’ trionfi suoi vita da vinto.

45Pazza temerità, sciocchi pensieri,
inutili trofei, vane rapine
espugnar le città, furar gl’imperi
né forza aver da sostenerli al fine.
Di soccorsi prestissimi stranieri
dove son le levate a voi vicine?
Prevale a fuga vil nobil ritorno,
gloria è il partir, l’esser cacciato è scorno.

46Dunque in grembo a la Siria in quella guisa
città soggetta al Persian s’offende?
così resta da voi la gente uccisa
che tributaria a un sì gran re si rende?
Ben è dal mondo region divisa
quella ove nulla il grido suo s’intende,
e voi, ch’udite a vostro danno armate
tante genti di lui, voi l’irritate?

47Ei quell’istesso è pur, quel ch’al suo piede
del greco imperador scabel si feo,
quel di cui Licia e Laodicea fur piede,
quel che di due Cilicie ebbe il trofeo,
quel cui Pamfilia oggi ubbidir si vede,
quel che Soria già soggiogar poteo,
e quel che, vinto al fin di propria mano,
l’impero antiochen diede a Cassano.

48Qui voi vedrete ad espugnarvi unite
poche non già né mercenarie schiere,
ma ben innumerabili e infinite
tratte a prezzo d’onor squadre guerriere.
E che scampo già mai le vostre vite
da mani avran sì bellicose e fiere?
Sette regi siam noi, ne l’arme chiari,
quasi sette pianeti a voi contrari.

49Deh, rompendo sì lunghe empie dimore,
il temerario piè quinci traete,
a la vostra alterigia, al vostro errore
supplicate perdon, pietà chiedete.
Qual nel nemico umanità maggiore,
mal saggi eroi, desiderar sapete
se potendo ferir vien che c’esorte
a chieder pace et a fuggir la morte?

50Che pretendete in Asia? e qual consiglio
ad infestar le sue città v’affretta?
a che cercar con publico periglio
regno lontan che nulla a voi s’aspetta?
qual cecità così v’adombra il ciglio?
e di pietà qual vano zel v’alletta?
qual sacra terra è questa? e quai son quelli
del vostro Dio chimerizzati avelli?

51Ne gli aiuti del Ciel forse sperate?
alti, ma qual forza hanno le stelle in guerra?
Vario è quel Marte che su sfere aurate
lampeggia in ciel da quel che fère in terra.
Forse vi salverà quel ch’adorate
nume immortal che giacque anch’ei sotterra?
Vano sperar, folle pensiero e rio:
a buon guerrier la sola spada è Dio.

52Ma pur s’indugia? e non ancor il volo,
non che ’l corso si drizza al patrio lido?
Se tornate veloci al vostro polo
io di franchigia e di pietà v’affido,
ma se non ubbidite, a stuolo a stuolo
a battaglia mortal tutti vi sfido:
un sepolcro in Giudea cercando vanno
le vostre genti, et un sepolcro avranno».

53Così l’empio protesta, e i suoi protesti
non sono a i cristian punto improvisi,
ché già sapeano i Persiani innesti
star da gli antiochen nulla divisi.
Ma Boemondo in maestosi gesti
tien gli occhi in lui pria gravemente affisi,
indi a l’altier, che ’l suo parlare attende,
saggia risposta in guisa tal ne rende:

54«Udimmo, o sire, alteramente espressi
rigidi sensi in dispettosi accenti,
e s’hai trascorso in troppo duri eccessi
il condoniamo a i tartari talenti.
Noi così intanto, placidi e rimessi,
qual de la nostra Europa usan le genti,
rispondiamo ch’Antiochia oggi è di Cristo,
a noi spetta la guerra, a lui l’acquisto.

55E che vogliam co ’l proprio sangue ancora
difender lei da le pagane spade,
ch’o per noi si trionfi o che si mora,
tutto a ciascun vien ch’egualmente aggrade.
Periglio non ci tien, mal non ci accora,
e in noi timore e codardia non cade:
torna, e riporta al tuo signor supremo
che s’ei non vien noi contra lui verremo».

56Siegue le sue parole una confusa
voce, che in alto suon guerra richiede,
pace s’aborre e patto si ricusa,
grazia si sdegna e non si vuol mercede;
ond’ei, che l’alma a sostener mal usa
ha le ricuse, ingiuria il suol co ’l piede,
e, bestemmiando il ciel, strage funesta
novellamente a i danni lor protesta.

57Così l’un prende e gli altri dan commiato,
ma pur l’uso gentil serban fra loro
che si suol co’ messaggi, e grandinato
di ricchissime gemme un cinto d’oro
se gli vidde ben tosto in don recato,
mostruoso in materia et in lavoro.
Se ’l prende Idraspe, e dispettoso in volto
già già se n’ha l’altero fianco avvolto.

58«Parto,» poi dice «e lieto a i re ritorno,
ché, se non altro, io con quest’aureo cinto
spero condur al mio gran carro un giorno
un vostro eroe trionfalmente avvinto,
o qui correndo a queste mura intorno
trar di mia mano un cavalliero estinto,
e, novo Achille, un alto prezzo imporre
su ’l corpo esangue a un cristiano Ettorre».

59Sorride Boemondo al folle vanto,
né gli fa più d’accompagnarlo onore,
e li soggiunge: «Or vanne al campo intanto
dei campion europei forte uccisore,
che l’Oronte vedrai vario dal Xanto,
morto l’Achille e l’Ettor vincitore».
Salta il fier su la sella e inviperito
al mover del corsier mordesi un dito.

Boemondo è eletto capitano delle forze crociate, fortifica la città e manda la flotta a recupera-re viveri

60Ma il sacro stuol, cui trionfar concesse
quel Dio che ’l tutto fece e ’l tutto regge,
chi già de la città prencipe elesse
de la difesa, or capitano elegge.
Corron ossequiose a lui sommesse
indi le genti a chieder norma e legge,
et a giurargli ubbidienza e fede
movon le schiere riverenti il piede.

61Ei tutti accoglie e, santamente umile,
di tanto onor dà giuste lodi al Cielo,
e con volto giolivo, atto gentile
in pro de’ suoi fedeli arde di zelo.
Ciascun poi chiama e, qual di guerra è stile,
de’ suoi pensieri apre a i più grandi il velo,
e ’l vario sito a contemplar si pone
de la città che sostener dispone.

62In braccio a la Soria l’altera fronte
alza Antiochia, e dove nasce il lume
ombra le fa con le sue terga il monte,
e dove more i piè le bacia il fiume:
l’uno e l’altro di lor chiamasi Oronte,
ricco di frondi l’un, l’altro di spume.
Ha con salubre ciel fertil terreno,
sta in sen de’ colli, e tien duo colli in seno.

63Nel maggior d’essi appar rocca eminente,
franca così da ogni nemica offesa
che non sai se difesa è da la gente
o se la gente è pur da lei difesa.
Dal lato poi dov’il meriggio ardente
a i fiati d’Austro ha la sua face accesa,
in lungo braccio si distende e giace
entro opaca vallea campo ferace,

64il mar, che da l’Europa Asia disgiunge
e ’l grande Egeo da l’Aquilon vagheggia,
l’Egeo, che dal suo sen poch’ore è lunge
e che di Siria in su i confini ondeggia.
Forte è di sito e nove forze aggiunge
contra ciascun ch’a i danni suoi guerreggia,
da l’arte militar fatto sicuro,
folto di torri insuperabil muro.

65Ad ogni torre i suoi guerrier destina
et ogni porta al proprio eroe concede;
fa i fianchi risarcir d’ogni ruina,
vettovaglie introduce, armi provede.
Ciò che può prevedere mente indovina
col suo saggio pensier tutto prevede;
scorre le mura e i men sicuri siti
de le schiere miglior tutti ha muniti.

66Poi lettre e messi al re de’ Greci invia,
ad affrettar le patteggiate genti
quando già pria passàr d’Argo in Soria
i cristiani a l’alta impresa intenti;
et or che intorno oste sì vasta e ria
a le ruine lor sgorga a torrenti,
per essi il prega et a serbar l’invita
i sacri patti e la promessa aita.

67Indi l’armata che costeggia e rade
del Mar di Siria i prossimi confini,
e che sa ben che vane son le spade
qualor gli aratri a sé non han vicini,
provido impon ch’a procacciar le biade
dia le vele a gli abeti, il volo a i pini,
e tutto rechi a lui ciò che nel seno
de le campagne sue miete il Niceno.

Ritornato Idraspe, Corbano muove l’esercito e si accampa fuori Antiochia

68Giunto a Corban l’invitto Idraspe intanto,
«Guerra, guerra» gl’intuona «Arm, arme.» grida;
«Di schermirsi non solo ei si dà vanto
il cristian, ma par che te derida.
Tal franchezza in lui vidi, ardir cotanto
contra chiunque a guerreggiar lo sfida
ch’un Etna d’ira entro il mio sen raccolsi
e d’esser messaggier spesso mi dolsi.

69Antiochia non sol render ricusa,
né più de l’Asia esser infesto a i regni,
ma i tuoi perdoni e le tue grazie abusa,
beffeggia l’armi tue, sprezza i tuoi sdegni,
crede in suo danno ogni tua spada ottusa,
gl’imperi tuoi stima d’ossequio indegni;
non tem’egli l’assedio, anzi l’affretta:
verrà se tardi, e se tu vai t’aspetta».

70A queste voci ogni pagan s’accende,
e guerra e strage a i cristian minaccia.
Chi terge l’armi e chi su ’l carro ascende,
chi cinge il brando e chi lo scudo imbraccia;
questi impenna lo stral, quei l’arco tende,
questi barda il destrier, quei l’elmo allaccia;
chi di piastre si veste e chi di maglia,
chi la fromba sostien, chi la zagaglia.

71Altri dan voce a i bronzi et altri fanno
tremar pennoni et ondeggiar cimieri,
e ricopron d’armati, ovunque vanno,
con le larghe campagne i colli interi.
ma li rattien quel sommo duce, ond’hanno
norma le guerre e regola i guerrieri,
e vuol che tutti inverso i muri oppressi
con ordin militar movan se stessi.

72Pria manda ad esplorar pochi cavalli
se sia di quelle vie la fé sincera,
e che d’agevolar tentino i calli
più disastrosi i guastadori impera.
Poi con gli usati e debiti intervalli
de i più forti campion spinge ogni schiera.
Parton già tutte, e son l’insegne loro
su grand’aste d’argento aquile d’oro.

73Lungo a narrar di region diverse
centurie innumerabili, infinite,
con strettissimo laccio a l’armi perse
di vassallaggio e d’amicizia unite;
non so se tante il temerario Serse
ne la greca ne trasse alta Anfitrite,
quand’egli il mar incatenò co i ponti
e veleggiò le viscere de’ monti.

74Ecco vien la vanguarda, e fra i primieri
da la Media maggior guida Arideno
ottomila fortissimi guerrieri
nati di Tauro e di Casbino in seno.
Cavalli han questi indomiti e leggieri,
che più che de lo sprone uopo han del freno,
al cui gran corso, al cui grand’urto in guerra
cede ogni forza, ogni valor s’atterra.

75Seco altretanti e forse più ne trasse
dal vasto d’Atropatia ultimo piano
prodotti in riva al sagittario Arasse
Danebrun, che di loro è capitano.
Le forze in pugna infievolite o lasse
non han già mai de l’invincibil mano,
ma in freddo sen, che incommodi non sente,
chiudon fervido spirto, anima ardente.

76Sieguon dopo costor quei ch’a l’assiro
Tigri calcàr l’altere sponde e belle,
dove Ninive fu, che co ’l suo giro
non men che con gli error vinse Babelle,
e ne le cui pianure agio sortiro,
gli aspetti contemplar pria de le stelle.
Son due falangi, et Ordelasso impero
tien sovra d’esse, uom dispettoso e fiero.

77Triplicati son quei che Galafronte
conduce in sella a sua difesa armati;
di Susa in sen ch’a la provincia impone
nome di Susiana indi adunati,
cui le lunghe de i monti alte corone
del più freddo Aquilon togliono i fiati,
sì che, gravida ognor d’aride zolle,
di liquido bitume avampa e bolle.

78A i susiani eroi sieguono i Parti,
temuta nazion, popolo audace,
che combattendo intorno erranti e sparti
han con immobil cor pianta fugace.
Sembran le fughe lor fughe, e son arti,
et ha faccia di vil quel ch’è sagace.
Sei gran truppe son queste, e a Demofonte
servono in campo ubbidienti e pronte.

79Di schiere formidabili ripiena
si tragge poi la gran battaglia avanti;
precorre ogn’altro e seco armati mena
l’inculto Arimedon stuol d’elefanti,
che de l’estrema orientale arena,
animati colossi e torreggianti,
a le gran terga lor stiman leggiere
non che le rocche anche le squadre intere.

80I padri del terror, carri falcati,
e i camelli fortissimi e gibbuti,
perché non siano entro i nemici aguati
da improviso terror scossi e battuti
s’inoltran poi da folto stuol armati
in guardia fedelissima tenuti,
e se son per que’ lunghi aspri sentieri
Arsace et Odoacro i condottieri.

81Siegue musica schiera, et altri tiene
ricurvi al tergo e concavi metalli,
timpani et oricalchi altri sostiene,
altri corni, trombon, sistri e taballi.
E dietro a questa un ordine se ’n viene
di regi e superbissimi cavalli,
che spargon da le labbra un mar di spume
e s’innestan su ’l crin selve di piume.

82La gran guarda real poscia succede,
riguardevol per arme e per guerrieri,
che, come è l’uso suo, fida precede
al successor del persiano impero.
Ondeggiarle d’intorno indi si vede
un diluvio di paggi e di scudieri,
et al fianco gli sta, bella e superba,
donna ne gli atti e nel sembiante acerba.

83La vergine Clorinda ella si noma,
nata del brando e non de l’ago a l’opre;
dal lucid’elmo, onde se stesso ei doma,
il bel volto crudel spesso discopre,
ma l’argento del sen, l’or de la chioma
sotto rigido acciar chiude e ricopre,
et ha spoglia più vaga e cor più fiero
de la tigre che porta in su ’l cimiero.

84Tutto, fuor che la fronte, armato intanto,
porta Corbano un gran diadema in testa,
di folte perle ha grandinato il manto
e di diamanti rigida la vesta,
e qual gli antichi eroi Cillaro e Xanto,
tal egli in campo ad un sol cenno arresta
bardato di barbarico ornamento
destrier che morde l’or, calca l’argento.

85Appo lui vulgo vile e bassa plebe
son i re più potenti, e collegati
sette or seco ne trae, qual sotto Tebe
già Polinice al grand’assedio armati.
Da l’asperse di gel scitiche glebe
ove innondano sol fiumi ghiacciati,
con nove milla arcier primo se ’n varca
Gostavo il fier, ch’è lor natio monarca.

86Fin dal Cataio poi, d’ordin secondo,
cento di cento eroi turme orgogliose
move Idraspe, il gran Can, ch’a Boemondo
l’alta proposta in Antiochia espose.
Gente eletta son tutti, e ’l grave pondo
ciascun de l’elmo il nero crin suppose,
e portan alta oltre ogni stile e larga
e lieve sì ma impenetrabil targa.

87Vien terzo Soliman, quel Solimano
che resse un tempo e dominò Nicea,
e cui due volte il popolo cristiano
poi vinto in guerra e debellato avea,
re che già ricoperto il colle e ’l piano
con poderoso esercito tenea,
et or mesto guerrier, povero duce,
d’immenso stuol poche reliquie adduce.

88Quarto è il re di Cambaia, e da le rive
tre legion de l’indo fiume ha tratte,
incivil nazion, turba che vive
a cielo aperto e cibasi di latte.
Colore in faccia ha di mature olive,
e sol con archi in man nuda combatte;
Almansorre s’appella, uom brutto e sozzo,
del ciel aborto e di natura abbozzo.

89Quel che quinto si move è Zoroastro,
a cui vassallo è di Siam l’impero,
re che le membra ha di gigante e vasto
mostra, come l’aspetto, anche il pensiero.
Al suo chiaro valor vano contrasto
fan l’altrui man così ne l’armi è fiero,
e porta sol picciolo stocco a lato,
ch’assai nel resto e di se stesso armato.

90L’audace Albumazar sesti si mira
trar dal Pegù diece coorti in guerra,
regno che fertilissimo s’ammira
tante messi nel sen racchiude e serra.
A i gran conflitti ognor ciascun raggira
occhio che ne’ bersagli unqua non erra,
e in danno altrui le nerborute destre
arman di lunghi pili e di balestre.

91Con venti mila fanti usi a la fionda
settimo il re di Taprobana appare,
isola immensa e spiaggia ognor feconda
di bei tesor, di perle uniche e rare,
il cui florido sen cinge e circonda
con le gran braccia sue l’indico mare;
Arconte impera a lei, che palma e spada
superbo innesta ovunque in guerra ei vada.

92Quanti poscia in Pancaia ebber la cuna,
che dal greco Perseo Perside è detta,
e quante ancor Mesopotamia aduna
tra i duo gran fiumi onde si sta ristretta,
seguendo van la marzial fortuna
qui dove onor gli trae, gloria gli alletta.
Son mille truppe et han per duce loro
parte Dragoleon, parte Armidoro.

93Tante n’invia Paraponiso anch’ella,
ch’isola par, sì fu da l’acque avvinta;
e turba ancor di ben armati in sella
da i monti ond’essa è coronata e cinta
quella che del Cabul regno s’appella
e si chiamò già Drangiana, ha spinta:
queste regge Belfier, quelle Ferrante,
di preda l’un, l’altro di fama amante.

94Sieguono i carriaggi, e le bagaglie
vengon primiere e n’è custode Orete.
Ha in guardia Salmoneo le vettovaglie
e l’Asia tutta a lui vendemmia e miete.
Squadra l’un trae cinta di piastre e maglie
da le spiaggie d’Erì floride e liete,
l’altro del ricco margiano suolo
d’indomiti destrier guida uno stuolo.

95Ultima appar la retroguarda, e gente
in sé contien ch’è più d’ogn’altra esperta,
e ch’invitta ad ognor né mai perdente
assai più val dove è la pugna aperta.
Per patria han questi sotto cielo ardente
la Carmania maggiore e la diserta;
tre mila Uggier ne guida e duplicati
Dauno ne regge in su l’arcione armati.

96Raccolti là di Gedrosïa nel seno
cinque mila son quei che ’l clima infido
nutrisce a pena, et arido il terreno
han per troppo calor, povero il lido.
Altretanti l’ircan suolo inameno
anch’ei n’invia, dov’han le tigri il nido,
e vanno uniti insiem sotto il commando
gli uni di Clodoveo, gli altri d’Ormando.

97Da le doppie de l’India ultime spiagge,
che ’l Gange co ’l piè d’or corre e diparte,
diviso in tre squadroni ordina e tragge
il feroce Manfion popol di Marte.
Mostran ruvido sen, membra selvagge
e pugnan co ’l valor più che con l’arte,
et han destrier appo di cui son lenti
e zoppicando van fulmini e venti.

98Anch’essi a liberar l’altere mura
movon Flammauro al fin, Codro et Erfice,
che la triplice Arabia ebbero in cura,
la Petrea, la deserta e la Felice.
Crin lungo han questi e pelle arsiccia e dura,
picciolo aspetto e rigida cervice,
provan se stessi al caldo insieme e al gelo,
né tetto li ricopre altro ce ’l cielo.

99Tali or seco in Soria popoli aduna
del monarca de’ Persi il sommo duce,
c’han disgiunto il natal, varia la cuna,
diversa l’ombra et inegual la luce.
Servono tutti a la real fortuna
di lui, che uniti a guerreggiar gli adduce,
né curano incontrar morte o periglio
ov’ei l’imponga a un sol girar di ciglio.

100Giunto non molto a la città lontano
su l’ora ch’arde in ciel più d’una lampa,
a la vista di lei l’empio pagano
di novo sdegno entro il suo core avvampa,
e in su ’l colle vicin, notturno e piano,
dal lato oriental se stesso accampa,
ché spavento maggior col novo giorno
crede in tal guisa altrui recar d’intorno.