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Il Boemondo, overo Antiochia difesa

di Giovan Leone Sempronio

Canto III

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 1.04.15 20:13

ARGOMENTO
Gildippe, inteso d’Odoardo il caso,
chiede al duce d’armarsi: egli ’l concede.
Pria da machina ostil Goffredo invaso,
poi da gli armati, a l’impeto non cede;
da i regi imperi al fin solo persuaso,
distrugge il forte e ’n Antiochia riede.
Corban si tien schernito e per vendetta
fiero assalto a le mura a dar s’affretta.

Gildippe si dispera per il caso di Odoardo e decide di intervenire

1Ma che pugnando ei cadde e che fu vinto
da l’invitta Clorinda e che costante
Corbano il tien fra duri lacci avvinto
già va per al città grido volante,
e così cresce al fin ch’anche s’è spinto
nel chiuso ostil d’una romita amante,
et influisce in sì remota parte
d’una Venere in sen spirti di Marte.

2È cristiana anch’essa e ritrovosse
ne le contese antiochene mura,
quand’elle fur già debellate e scosse
con bella frode e cieca notte oscura.
Perché l’Idea del Bello in terra fosse
là su nel Ciel l’architettò natura,
e con gote bianchissime e vermiglie
tutta la fabbricò di meraviglie.

3È ’l suo studio minor l’ornar se stessa,
così ella va sol di se stessa ornata,
e la beltà che l’è dal Ciel concessa
quanto men culta appar, stima più grata,
e la coltiva men quanto con essa
più crede meritar d’esserne armata,
e in brune spoglie et in funebre arnese
la mestizia del cor mostra palese.

4Con man d’avorio e con eburneo rastro
fende talvolta il biondo crin lucente,
e spargendol così di qualche nastro
in su ferro l’increspa aspro e rovente.
Poi de la fronte il tenero alabastro
d’odoroso licor spruzza sovente,
e tanti fregi al bianco sen concede
sol quanti onore et onestà richiede.

5E ciò facendo ella si stava a punto,
umida gli occhi e sospirosa il viso,
e in su l’argenteo collo il vel congiunto
or s’annodava, or le sciogliea diviso,
quando nel cor già penetrato e giunto
sentendo il suon del doloroso aviso
stupì la bella, et a l’annunzio atroce
stetter le chiome e le morì la voce.

6Ma poiché ’l duol le concedette al fine
render vita a le strida, alma a gli accenti,
da le tenere labra e coralline
questi disciolse al ciel mesti lamenti:
«Prigioniero Odoardo, et io su ’l crine
innestando mi vo vani ornamenti?
e mentre il braccio incatenato e stretto
port’ei di ferro, io porto inerme il petto?

7Per chi più mi coltivo? a chi s’abbiglia
da me la guancia? a chi ho le chiome ornate?
Se oggetto esser non pon de le sue ciglia,
nulla, nulla cur’io grazia o beltate.
Fortezza Amor m’infonde, e mi consiglia
l’aste trattando in fra le schiere armate,
girne l’amante a conquistarmi in guerra;
ite, sciocche mie pompe, itene a terra.

8Vel l’usbergo mi fia, specchio lo scudo,
ond’avrò carco il braccio, il sen guernito,
portarò d’ogni fregio il volto ignudo
o sol d’elmetto e di cimier vestito.
Almen sarà, se colà gelo o sudo,
fruttuoso il gelar, l’arder gradito.
Apparirò forse di sangue aspersa,
più grata a lui che ne gli odor sommersa.

9Giuroti, Amor, giuroti o ciel, o mondo,
così tener sempre il mio capo incolto,
se pria non ho dal vergognoso pondo
di sue catene il cavalier disciolto.
Al suo campo, a me stessa, a Boemondo
in queste mura il condurrò disciolto,
o seco avanti al suo nemico e mio
di nodo vil resterò cinta anch’io.

10Di spada ostil non temo oltraggio o danno,
pur ch’io t’apra, Odoardo, i miei dolori.
Con insoliti uffici a me saranno
mezzane l’armi a conquistar gli amori.
Troppo è crudel, troppo è mortale affanno
in picciol cor chiuder immensi ardori,
e troppo è duro et infelice stato
viver lontan dal caro oggetto amato.

11Ahi, ma gli studi esercitar di Marte
a fanciulla gentil par che disdica:
qual forza, ohimè, non userà, qual arte
per farmi preda sua l’oste nemica?
Ciò non mi tenga, no, può in ogni parte
chi non teme il morir viver pudica,
e ben conviene a nobil donna ogni opra
se col velo d’Amor fia che si copra.

12S’avverrà pur che colà morta io cada,
quale al mondo et al ciel gloria più degna
ch’agonizzar sotto pagana spada
per pio guerriero onesto amor m’insegna?
Se fia poi che per me sciolto se ’n vada
dal giogo vil di servitude indegna,
qual suole in su ’l carro un trionfante,
lieta n’andrò del liberato amante.

13Ma fra cotanti, a chi farò palesi
i miei pensier? chi m’armerà guerriera?
chi cingerà di marziali arnesi
me peregrina vergine straniera?
Con quella face ond’ho i desiri accesi,
con quegli strali onde convien ch’io pèra
m’armerà, se non altri, almeno Amore:
non mancan l’armi a chi non manca il core.

14Farò ricorso al capitan sovrano
e s’egli ha pure il titolo di pio,
poiché con essi un cavalier cristiano
pugnando trar di servitù vogl’io,
scudo al braccio darà, brando alla mano,
elmo al crin, sprone al piè, lode al desio».
Parte ciò detto e scapigliata e sciolta
se ’n va dove la turba appar più folta.

Si reca da Boemondo, gli narra la propria storia e ottiene le truppe dell’amato

15Così acceso vapor suol le sue belle
spesso in cielo spiegar tremule chiome,
che, fatto stella anch’ei fra l’altre stelle,
dal crin disciolto ha di crinita il nome,
e strecciata così vèr le rubelle
genti, che poi fur soggiogate e dome,
corse a la babilonica reina
la barbara d’Assiria alta reina.

16Susurran fra di lor, mentr’ella passa,
meravigliando i cristiani eroi,
e folto stuol d’intorno a lei s’ammassa
sì che par che con gli occhi ogni un l’ingoi.
Ma non per calca o mormorio già lassa
d’oltre seguire ne’ momenti suoi,
fin che là non si trae dove adunati
in gran piazza si stanno arme ed armati.

17A la rara bellezza e peregrina
de l’improvisa incognita donzella,
stupisce Boemondo, e, a lui vicina,
muta diviene al regio aspetto anche’ella.
Non però si smarrisce, anzi l’inchina
pria con bell’atto, e poi così favella:
«Strano forse parrà ch’oggi la pompa
de’ grand’affari tuoi donna interrompa.

18Donna son io, no ’l niego no, ma donna
che in sen femineo alma viril possiede,
e che non già nel paganesmo assonna,
me ben teco ha comun sola una fede;
donna che in tua difesa odia la gonna
e in pro de’ tuoi guerrier l’armi richiede,
e che, quando l’udirgli a te non pesi,
i suoi gran casi or ti farà palesi».

19Qui tace alquanto, e riverente attende
che ’l capitano oltre seguir l’esorte,
ond’ei, che chiaro al suo parlar comprende
che nobil culla il ciel le diede in sorte,
a dir l’affida, e volentieri intende
d’onde sia, di chi nata e ciò che porte.
Et ella: «Su la Senna» indi ripiglia,
«nacqui al gallico prence unica figlia.

20Fanciulla ancor, vie più che l’ago e ’l fuso
è mia vaghezza di trattare il ferro,
né l’impugno già come dell’altre è l’uso,
conocchia vil, ma glorioso cerro,
e co ’l vigor c’ha in me natura infuso
in lotta vinco ogni garzone e atterro.
Sembro alata nel corso, ogni destriero
frenar mi vanto, e genio ho sol guerriero.

21Adulta poi, ad Odoardo in moglie
ch’ospite insieme e mio signor vivea,
seguendo in ciò le mie pudiche voglie
già destinata il genitor m’avea.
Bello egli è sì che in lui natura accoglie
d’ogni beltà, d’ogni virtù l’idea.
Studiai d’amarlo, et ei con pari amore
ebbe di me pria studioso il core.

22Eran vicini già gli alti imenei,
quand’ecco a’ tuoi servigi egli se ’n viene,
e qui correndo a i publici trofei
tronca le nozze e là mi lascia in pene.
Inferma io tosto al suo partir cadei,
e fredda il core et aride le vene
svengo così che d’ogni senso priva
mi credon morta, ancorch’io spiri e viva.

23Mi piangono i parenti e i fidi amici,
m’accompagnan piangendo anche a la tomba,
e facendo vèr me gli ultimi uffici
pietoso carme infino al ciel rimbomba.
Già già su le gelate ossa infelici
un grave marmo si travolve e piomba,
e in bianca veste e virginale accinta
già sepolta rest’io prima ch’estinta.

24Et ecco in ben poch’ore, ecco mi desto,
e mi ritrovo a cieco avello in braccio,
inorridita a sì gran caso io resto,
e lungo tratto ammutolisco e taccio.
Con più d’un grido al fine alto e funesto
rompo e stridendo a la favella il laccio,
et imploro pietade e chieggio aita
a i chiusi rai de la dubbiosa vita.

25Ahi, ma in van mi querelo e in van mi scoto,
ché già stanca è la man, già il labro è roco,
onde, ergendo a le stelle il cor devoto,
il re del Cielo in mio soccorso invoco,
e con l’alma fedele a lui fo voto
s’esco già mai da sì funesto loco,
visitar genuflessa e riverente
il suo Santo Sepolcro in Oriente.

26La mia nudrice il debil piede e lasso
move su l’urna ov’io mi giaccio in tanto,
e su ’l funebre mio gelido sasso
versa da le pupille un mar di pianto.
Io raddoppio le strida ed ella il passo
sospende in aria, indi l’arresta alquanto,
e da pietade e da terror commossa,
modo ricerca ond’aiutar mi possa.

27V’accorre Arrigo e da quel fosco orrore
viva mi trae dove m’avea sepolta,
né ben la può capir dentro al suo core
tanta allegrezza egli ha ne l’alma accolta,
ma su ’l volto senil la sgorga fuore
in dolci e liete lagrime disciolta;
poi m’abbraccia, mi bacia e per diletto
mille mi stringe e mille volte al petto.

28E poich’intende il sacro voto ond’io
da le stelle impetrai vita e mercede,
loda il pensier religioso e pio
che gli salvò la già perduta erede,
e dar volendo il suo diritto a Dio
già pronto move ad esequirlo il piede,
e con pochi suoi servi indi s’invia,
canuto peregrin, meco in Soria.

29Lontani omai da le natie contrade
ne l’Asia già si fa da noi passaggio,
né lunghi calli o disastrose strade
ritardan l’intrapreso alto viaggio.
Qui al fin giungiamo, e qui le vostre spade
giungono anch’esse, e dal mortal servaggio
del paganesmo perfido e crudele
tentan sottrarvi ogn’anima fedele.

30Ma in quella notte in cui pugnando aveste
di quest’ampia città degni trofei,
qui con maniere dolorose e meste
trovai l’amante e ’l genitor perdei:
l’uno a morte guidàr d’armi funeste
aspre percosse, iniqui colpi e rei,
e l’altro a gli occhi appresentommi Amore
qual già scolpito io me ’l serbava al core.

31Odoardo è costui, quel che fu vinto
dal persian ne la primiera uscita,
ma non fia già che lungamente avvinto
colà si stia s’è qui Gildippe udita.
Io io (che tal mi nomo), io scarco e scinto
te ’l condurrò, liberatrice ardita,
se pur ami, signor, se pur t’aggrada
in pro di lui darmi destriero e spada.

32Né de le mie fatiche altro più degno
premio chiegg’io che ’l cavaliero istesso,
pur che mi sia di guiderdone in segno
de le nozze di lui l’onor concesso.
Andronne, pugnarò, dal nodo indegno
il sotrarò ch’ivi lo tiene oppresso,
e giusto è ben ch’io sola a ciò mi volga
s’una donna l’avvinse, altra lo sciolga».

33Qui si tacque Gildippe, e ’l capitano
con meraviglia e con pietà l’udio,
poi, con volto dolcissimo et umano,
sì le rispose ufficioso e pio:
«Non ricorri (diss’ei), vergine, in vano:
approvo il tuo pensier, lodo il desio,
e le genti che in guerra il cavaliero
reggea t’assegno, e te ne do l’impero».

34Applaudon gli altri duci, e festeggiando
han d’armarla fra lor gara e diletto:
quei lo scudo le dona e questi il brando,
quei l’usbergo le dà, questi l’elmetto,
chi robusta le va l’asta apprestando,Goffredo manda a richiedere qualche squadra per puntellare le difese del forte fuori città, Bo-emondo gli manda i guastatori, che scavano un fossato
chi le conduce un buon destriero eletto,
e mentr’ella a ciascun grazie ne rende,
tempo opportuno a la grand’opra attende.

35Ma il capitan, poiché d’uscire armata
ha d’Antiochia a suo voler concesso
a l’intrepida donna, et ammirata
tanta virtù nel men lodevol sesso,
tutta scorrendo la città guardata
a più gravi pensier volge se stesso,
e lunge ancor, mentre per quelle ei gira,
di su le mura un messaggier rimira.

36Quando il popol fedel pose primiero
l’assedio altrui, ch’or per altrui sostiene,
forte i cristian tra ’l monte e lei già fèro,
che gran tratto di giro in sé contiene.
Pria l’ebbe in cura il tolosan guerriero
ed or Goffredo in sua custodia il tiene:
quindi si parte e per ascosa via
viensene Eustazio ov’il german l’invia.

37Era già presso omai quando dal crine
l’elmo si scioglie e si sprigiona il volto,
e con dolci maniere e peregrine
dal sommo duce è prontamente accolto.
De l’infeste al suo regno armi vicine
molto egli chiede al cavaliero, e molto
quei gli risponde, e così poi gl’espone
ciò che gl’impose il suo fratel Buglione:

38«Benché sublime eroe muro migliore
non abbia mai del proprio petto in guerra,
e scudo faccia a sé sol del suo core
più che de i mucchi altissimi di terra,
s’egli alza pur contra l’ostil furore
argini e ponti, il suo pensier non erra,
et armandosi ognor contra l’aperta
forza de l’ire altrui lode ne merta,

39onde il mio buon Goffredo, a cui gli studi,
fin da fanciullo ancor piacquer di Marte,
e che là dove più si geli o sudi
pria n’imparò l’esperienza e l’arte,
contra i nemici ingiuriosi e crudi
vorria pur oggi esercitarla in parte,
e sempre novi intorno e sempre vari
architettando va schermi e ripari.

40Là dunque a i piè de l’occupato colle
s’a cotal opra un stuol le fia concesso,
rompendo il sen de le più dure zolle
d’una gran fossa ei vallerà se stesso,
così non fia ch’impetuoso e folle
danno gli apporte il Persian sì spesso,
ma si starà su le pendici in vano
le nostre genti a saettar lontano».

41Nel provido di lui sano consiglio
così buona di guerra arte ritrova
che pago in sé ne resta e pria col ciglio,
poi con la voce il capitan l’approva.
«Sempre» egli dice «ov’è maggior periglio
anche schermo maggior là si ritrova:
questo di Marte insegnano le scole,
ragione il detta e disciplina il vuole.

42Dal suo ingegno non men che da la spada
vittoria insieme e sicurezza io spero,
e perché possa far ciò che gl’aggrada
non solo un stuol ma più dono al suo impero».
L’accommiata ciò detto, e quella strada
che primiera calcò, prende il guerriero,
e fatto di due squadre e duce e scorta
quant’egli ottenne a chi ’l mandò riporta.

43Chiamansi i guastatori, e ubbidiente
turba se ’n viene in varie torme unita,
che non cura sudor, peso non sente,
ne le fatiche sue lieve e spedita.
Per soverchio trattar marra e bipenne
porta ne l’aspre man pelle incallita,
e sprezzando di par l’arsura e ’l ghiaccio
arsiccio ha il tergo e nerboruto il braccio.

44Giunti costoro a le radici estreme,
sbarban le piante ond’egli è pieno,
e con ferro villan movono insieme
del monte oriental strage al terreno.
Cede a i gran colpi la gran madre e geme,
lacera il fianco e sviscerata il seno,
e squarciata in più brani una profonda
piaga apre già con duplicata sponda.

45Per impedir lo smisurato foro
gettano i Persian nembi di pietre,
e gl’incalzan sgridando, e sovra loro
stancano gli archi e vòtan le faretre,
ma da l’incominciato alto lavoro
non è però che pur un sol s’arretre,
e quantunque di strai pioggia li copra,
vi lasciano la vita anzi che l’opra.

46Con targhe al braccio in lor soccorso intanto
stuol di scelti guerrier Goffredo invia,
e ogni un di questo a ogni un di quelli a canto
vuol che custode e schermidor gli stia.
Esporsi a l’or con memorabil vanto
a la tempesta ingiuriosa e ria
gli apprestati guerrier miransi a gara,
e mentr’opera l’un, l’altro il ripara.

Corbano fa staccare un’immensa roccia dal monte, col quale schiaccia i crociati all’opera in-torno al fossato

47Ciò mirando, Corban freme di sdegno,
e se medesmo a fiera strage irrita
e «Al mio nemico io cederò d’ingegno,
dunque,» dic’ei «né ’l priverò di vita?
Ah, mi terrei di questa spada indegno
s’or non fosse per me l’opra impedita:
giusto pensier di rigida vendetta
m’inspira il fato e l’onor mio mi detta».

48Là ’ve più nudo al ciel s’alza l’Oronte
sublime a l’occhio et inaccesso al piede,
del giogo eccelso in su l’altera fronte
pender scoscesa roccia in giù si vede,
ch’unita è sol da l’un de’ lati al monte
e di grandezza ogni grandezza eccede:
questa il crudel sovra le teste altere
travolver vuol de le nemiche schiere.

49A gara intorno alla sassosa balza
co’ piè ciascuno e con le man s’appicca,
chi con la ronca e col martel la scalza
e chi con lo scalpel scheggie ne spicca,
chi pianta i coni e chi le mazze inalza,
e chi vibra piccon, pali conficca,
e chi la preme al fin, chi la percuote,
chi la crolla, chi l’urta e chi la scuote.

50Altri di scure e di bipenne armati
mille gettano al suol pini cadenti,
e fra lor l’un su l’altro accavallati
poderosi ne fan vasti strumenti.
Altri appoggiano a lei l’un di que’ lati,
altri se ’n vanno a premer l’altro intenti,
e sì gravi ciascun pesi raddoppia
che già traballa e già tracolla e scoppia.

51Cad’ella, e nel cader lieto e festante
alzano i Persian grido a le stelle.
Chi potria dir quante ruine e quante
seco se ’n porti in queste parti e in quelle?
Sterpi, zolle, macigni, arbori e piante
tronca, rompe, dirupa, abbatte e svelle,
e così ratto ogni fedel n’è colto
che ferito riman, morto e sepolto.

52Così di scogli smisurati e duri
ruinoso talor nembo trabocca,
cui vomitò da i cupi fondi oscuri
l’antro infernal de la sicania bocca,
che bifolchi, pastor, greggi e tuguri
uccide, intimorisce, urta e dirocca,
e fa tutto d’orror sparso e di gelo
tremarne il lito e rimbombarne il cielo.

53Oh che duri spettacoli e funesti
s’offrono a gli occhi, ed oh che fieri oggetti:
colà tronche le braccia e qui vedresti
schiantati i capi e lacerati i petti.
Altri languenti, altri sanguigni e pesti,
altri a spirar l’ultimo fiato astretti,
e, orribile a ridirlo, in ogni parte
sciolte cervella, ossa spezzate e sparte.

54Con passi velocissimi e spediti
ben v’accorre Goffredo, e furibondo
vassene per sottrar gli egri e i feriti
che giaccion là sotto il marmoreo pondo,
ma scendon già i nemici inferociti
con rabbia tal cui non ha pari il mondo,
sì ch’astretto a schivar nove ruine,
ond’egli uscì là si ritragge al fine.

55Vagheggiar l’alta strage e far dimora
godon quegl’empi in su lo stuolo esangue,
e v’è fra lor chi prende gioia ancora
da le ferite altrui suggersi il sangue.
Con fiere man, perché più ratto ei mora,
va doppiando tal un piaghe a chi langue,
e vibrando vèr lui frassino o cerro
chi dal sasso scampò donano al ferro.

Quindi dà l’assalto al muro, ma viene fermato dal coraggio di Goffredo e Eustazio fino alla notte

56Paghi d’incrudelir contra gli estinti
e di turbar le sue ragioni a morte,
muovon se stessi a nova pugna accinti,
mentre han già per lo crin stretta la sorte,
e, i difensori suoi fugati e vinti,
ben tosto conquistar sperano il forte,
e, scossa al fin quella frontiera e presa,
agevolar de la città l’impresa.

57Quindi ciascuno a fabbricar si prende
asini, corvi, gru, torri e montoni,
altri incurva, altri vibra ed altri accende
falariche, magliuoli e scorpioni;
chi solleva, chi abbassa e chi sospende
le sambuche, l’esostre e i tellennoni,
e chi tesse infrangibili et occulte
plutei, muscoli, gatti e catapulte.

58Ma Corban no ’l consente, e in uso tale
sì gran machine oprar vieta e diniega,
e le baliste sol, gli archi e le scale
ad espugnarla, a superarla impiega.
Quinci turba d’arcier prima l’assale,
ch’a mille dardi al cielo ali dispiega;
succedon quindi i frombatori, e fassi
già cieca l’aria al grandinar de’ sassi.

59Una folta testuggine commessa
d’intrecciate fra lor targhe e pavesi,
han già i pagani, e se ne van con essa
da gli altrui colpi al grand’assalto illesi.
Ben il fedel di rovesciar non cessa
zolfi ardenti, alte moli e gravi pesi,
e perch’ella si rompa e si consumi
va gettando su lei zolle e bitumi,

60ma per fiamma non mai né per tempesta
l’oste nemica il suo gran corso allenta,
né per incontro di pugnar s’arresta,
né grido la rattiene o la spaventa.
Questi le scale in su le braccia appresta,
quegli le mani in su le mura avventa,
e già più d’uno a gli alti merli appresso
di scaglione in scaglion porta se stesso.

61Là dove più mortal mira l’offesa,
ivi accorre animoso il gran Buglione,
e, tutto core a la commun difesa,
Eustazio anch’egli a lato a lui si pone.
Or qui da lor più fieramente accesa
rinovando si va l’aspra tenzone,
e ardon sì che per gli aerei campi
sembrano i due german gemini lampi.

62Chiunque primo è di salire ardito
gettano obliquo e resupino a terra,
e travolto riman, morto e ferito
da gli urti lor chi pria le mura afferra,
e rotando ciascun lieve e spedito
brando che ne’ suoi colpi unqua non erra,
incapaci di tema e di spavento
si fan battaglia a cento dardi e cento.

63Quante affinàr mortifere saette
su le sonore e tempestose incudi,
dure di tempra e di veleno infette
gl’incalliti a i sudor Calibi ignudi
tutte a gli scudi lor volan dirette
sì che sembran faretre anzi che scudi,
o d’aste pur caliginosi e foschi
e fronzuti d’acciar piccioli boschi.

64Gemino stral d’acuto ferro armato
vibra intanto fra gli altri arco pagano
che, siasi pur elezione o fato,
a lor si drizza e non si drizza in vano:
n’ha il manco braccio il pio Buglion piagato,
e colto Eustazio è ne la destra mano,
onde convien che privo al fin se ’n vada
come di scudo l’un, l’altro di spada.

65Prendendo di se stessi ira e stupore,
guardansi a l’ora i duo germani in faccia,
ma tosto ancor dal generoso core
invitta intrepidezza ambi discaccia.
Difeso a un punto istesso e difensore,
presso il fianco di quel questo si caccia,
né impresa mai di più bei pregi altera
altrui dettò sagacità guerriera.

66Non sai ben dir chi più lodar si deggia,
così alternan fra loro arti e vicende.
In duo sembianti un sol desio lampeggia,
e con due corpi un sol guerrier contende.
Con la mano non sua questi guerreggia,
e co ’l braccio non suo quei si difende,
e così pur, benché la targa a l’uno
e ’l brando a l’altro manchi, ambo ha ciascuno.

67Or mentre insieme avviticchiata e stretta
l’invitta coppia a la difesa aspira,
e per far sovra lei strage e vendetta
vie più feroce il Persian si mira,
già stanco il dì vèr l’ocean s’affretta,
già bruno il ciel su i poli suoi s’aggira,
e muta al mondo esce la notte e cieca,
scampo opportuno a gli assaliti arreca.

68Parte il campo infedele e fa ritorno
là ’ve primiero egli piantò le tende,
e vèr l’usato suo fido soggiorno
Corbano anch’ei su ’l vasto monte ascende,
e che rinasca redivivo il giorno
di seno al mar, dov’ei morì, s’attende,
per poter poi nel pian scender da l’alto
co ’l nuovo lume a rinovar l’assalto.

Boemondo ordina che nottetempo si abbandoni il forte e lo si distrugga: Goffredo, a malin-cuore, esegue

69Con dubbia mente e con sospeso ciglio
veduto intanto il gran conflitto avea,
e perché irreparabile il periglio
di nova pugna entro il suo cor credea,
a vie più sano e provido consiglio
quindi se stesso il capitan volgea,
ché ben sa che fra l’armi e fra le prede
ciò che perder si teme anzi si cede.

70Pensa che a fronte il Persian gli tiene
un poderoso esercito infinito,
e che tutta impegar non gli conviene
la propria gente in così picciol sito.
Gli sovvien de gli estinti e gli sovviene
l’uno e l’altro german starsi ferito,
e pur in lor s’appoggia e quelli soli
son di sua speme e di sua gloria i poli.

71Poi chiama un suo scudiero, uom saggio e scorto,
e «Vanne» dice «al difensor Buglione,
e pria ch’al mondo il sol sorga da l’Orto
a più chiara portar bella stagione,
digli che ’l forte a diroccar l’esorto,
senza nova aspettar dubbia tenzone.
Dì ch’io ne ’l priego e nel consiglio, e quando
pur ritroso si stia dì ch’io ’l comando».

72Parte il messaggio e per sua bocca a pena
la gran proposta il buon Goffredo intende
che la nativa sua fronte serena
turba, e seco se ’n duole e se n’offende.
«Dunque» dicea «su la guerriera arena
certo di palma il Persian contende?
o ne le forze pur de la mia mano
poco o nulla confida il capitano?

73No no, non è fatato il popol perso,
può perder, può ferirsi e può morire;
in sé confuso e di voler diverso,
terga da ceder ha, piè da fuggire.
Et io, benché piagato e tutto asperso
del proprio sangue, ho pur l’usato ardire,
ch’a più gran pugna et a più fiero agone
ostil ferita al coraggioso è sprone.

74Pugnarò, vincerò, viva sicuro
de la mia fede il mio signore e duce;
per Dio, per lui, pria che l’impresa io giuro
sotto ferro mortal perder la luce;
muro farò del proprio petto al muro
se qui di novo il campo ostil s’adduce,
né Boemondo con gl’imperi sui
credo m’astringa a ceder vinto altrui».

75«T’astringe» ei gli risponde «et ubbidito
convien che sia con riverente omaggio».
Ristette a l’ora, e ciò Goffredo udito,
ripresse alquanto il suo natio coraggio,
e quanto già fu ne’ suoi vanti ardito
tanto or ne l’opre e ne’ consigli è saggio,
e che si spiani il forte e che repente
si geti al suolo ai suoi guerrier consente,

76e, fin che giace anche sotterra il sole
nel cupo sen de l’ocean sepolto,
che sudi intorno a la grand’opra ei vuole
di guastatori immenso stuolo e folto.
Cade de l’alta e smisurata mole
il vasto giro in polvere disciolto.
Ahi vicende terrene, e ciò che in guerra
più giorni fèro, una sol notte atterra.

77Compiuta era già l’opra, e la sua gente,
mentr’ancor l’aria è per grand’ombre oscura,
già ritraea Goffredo, e lietamente
l’accogliea Boemondo entro le mura,
quand’ecco il ciel s’inalba e l’OrienteCorbano, furibondo, all’alba convoca i capitani
veste una luce cristallina e pura,
onde con alto e bellicoso carme
«Arm, arme,» grida il Persiano «Arm, arme».

78Ma poiché diroccato il forte ei scorge
e deluso così Corban si mira,
vie più feroce entro il suo cor risorge
per sì grave cagion la rabbia e l’ira.
Soccorso un alto muro in van gli porge
e in vano il piè ne la città ritira,
che «Se del mondo ei fosse ancor nel centro,
io pur» dic’egli «il giungerò là dentro.

79Sì mi beffa il nemico? e in questa guisa
de gli eserciti miei gioco si prende?
Proverà, proverà d’alma derisa
serio il furor, s’ei con gli scherzi offende».
Così racchiuso il vantator divisa
ne la tenda maggior de l’altre tende,
e, torvo il guardo e minaccioso il ciglio,
i sette regi suoi chiama a consiglio.

80Dopo lunga assemblea qui stabilito
han poi costor ciò che più far conviene,
e perché inespugnabile quel sito
oriental da tutti lor si tiene,
stiman saggio pensier, sano partito
scendere ancor su le vicine arene,
e ’l sen premendo a l’un e l’altro Oronte,
varcare il fiume e non lasciare il monte.