ARGOMENTO
L’indico mostro il varco apre primiero
per l’Oriente, e poi fa strana tenzone:
uccide Ugon, sbaraglia ogni guerriero,
ma Cloridano a i mali il fine impone.
Con agguerrito egregio magistero
l’assedio stringe il persian campione,
e dopo lauta mensa a narrar prega
la regina i suoi danni, ella no ’l niega.
Mentre Corbano ordina l’assalto, Boemondo si accorge della sparizione di Baldovino
1Corbano ancor già d’altra parte udito
per varie lingue il mesto annunzio avea,
e d’esser novamente anche schernito
con suo dolor, con suo rossor vedea.
«Su dunque, su, per un prigion rapito
mille faccianne,» a i suoi guerrier dicea,
«e in vece sia cento nemiche squadre
mandiamo in Persia al mio signore e padre».
2Bruno il crin, bruno il pel, bruno il sembiante
preme, ciò detto, un corridor destriero,
c’ha i lampi a gli occhi e i folgori a le piante,
per folte piume e ricche barde altero,
e l’oste sua seco si tragge avante,
vasta così che sembra un mondo intero,
e già scende dal colle e già con essa
giunge nel piano, e l’alta ripa appressa.
3Ma Boemondo in su l’eccelse mura
d’una gran torre ad osservarlo ascende,
e ciò che dal pagan farsi procura
a i movimenti suoi chiaro comprende.
Brama il passo impedirgli, e cui la cura
ei debba darne, irresoluto, prende:
quinci e quindi si volve, al fin dispone
in fra i più degni incaricarne Ugone.
4E ch’ei mova gl’impon de le sue genti
l’ardite schiere assalitor guerriero,
e de l’impetuose acque correnti
al popolo infedel vieti il sentiero.
Co i lor cavalli poi vuol ch’assistenti
gli sian Guelfo, Dudon, Guasco e Ruggiero,
i duo Roberti e Baldovino il forte,
vago de’ gradi e sprezzator di morte.
5Ma gli occhi intorno egli più volte aggira
e più volte di lui chiede e richiede,
e si duol che fra gli altri ivi no ’l mira,
poiché placarlo in cotal guisa crede.
Detto gli è poi che spinto ei fu da l’ira
a trar, fuggendo, in verso Edessa il piede,
e che partito è già notturno, e tutti
i Bolognesi suoi seco ha condutti.
6Per vana e leggerissima cagione,
d’un’orfana fanciulla, e prigion era
perder gl’incresce un così gran campione
che in pro commune a tante squadre impera,
ma la partenza sua stimolo e sprone
è di Rinaldo a l’anima guerriera,
e «V’è ben altri ancor pronto» gli dice
«a sostener di Baldovin la vice.
7Oggi ancor io, quando pur ciò t’aggrade,
il corso a secondar d’opra sì bella
colà n’andrò, né già da l’altrui spade
varia è la mia, ma sa ferire anch’ella».
Ed ei: «Va pur, dove in sì verde etade
desio di gloria a guerreggiar t’appella,
e mentre un sì bel campo a te s’appresta
l’orme del tuo gran zio siegui e calpesta».
8S’inchina a l’or del capitano a i detti
lieto de’ novi e conceduti onori,
e fuor de la città movon gli eletti
la mano e ’l piede a gli anelati allori.
Brillando van ne i generosi petti
de la battaglia impazienti i cori,
e tal sete di gloria avvien che gli arda
ch’ogni prestezza a i lor desiri è tarda.
Cloridano ferma un elefante lanciato all’assalto oltre il fiume morendo
9Quella parte del ciel già il sole ingombra
che fra l’Orso e l’Occaso alta s’estolle,
e già raccolta in se medesma è l’ombra
che lunga al pian si diffondea dal colle.
L’arbore solo il proprio tronco adombra,
ma non le sue vicine aride zolle,
ché, fatto adulto e d’egual luce adorno,
se stesso libra in su le sfere il giorno.
10Movonsi i Franchi ad un istesso punto
e i Persian vèr l’arenosa sponda,
e già ciascun su quella riva è giunto
dove meno esser suol l’acqua profonda.
Sta dal pagano il cristian disgiunto
quanto del fiume si dilata l’onda,
e aspira ognun di lor, già d’armi carco,
questi a impedir, quegli a tentarne il varco.
11In più lochi si ferma et in più parti
vietar il passo a i Saracin destina,
e i moti lor tutti osservando e l’arti,
lungo la riva ogni fedel camina.
Quinci e quindi scorrendo erranti e sparti
vanno i cavalli e de i pedon vicina
in un grosso squadron stassi ogni schiera,
che vincer l’opra in guisa tal si spera.
12Ma il supremo dei Persi alto campione
che, dove accenna, ivi ferir non brama,
lasciando i fanti a fronteggiare Ugone
non insolita frode ordisce e trama,
e in altra parte, ove varcar dispone,
prima i corsieri, indi i camelli ei chiama,
et a tentar vuol che le vada avante
quanto profonda è l’acqua un elefante.
13E tutti no, ma ne richiede un solo,
perché s’avien ch’ei pur vi resti absorto,
non corra rischio ancor tutto lo stuolo
rimanervi di lor sommerso e morto.
Arimedon, che da l’estremo duolo
tratti d’India gli avea, poic’ha già scorto
che ’l gran prence Corban ciò gli comanda
sceglie il più vasto e verso il fiume il manda.
14Ed ecco omai l’onde tranquille e chiare
fende la belva, et un guerriero estolle
che la raffrena a suo talento e pare
un picciol arboscel sopra un gran colle.
Tutta ella pria fuori de l’acque appare
ma il dorso poscia in mezzo al fiume ha molle,
e cresce sì ch’a pena salva e viva
può trar se stessa in su l’opposta riva.
15Dudone a l’or, ch’ivi si trova appunto
dove il vivo colosso il piè raggira,
poiché solcar le rapid’onde giunto
in su l’arena a lento passo il mira,
colà si spinge, et infiammato e punto
il generoso cor di nobil ira,
sdegna che vada una sì rozza fera
de’ primi vanti in fra di loro altera.
16Seco si move ad investirla unita
con l’armi in man l’avventuriera gente,
per lei ferir, per lei privar di vita
ch’osò prima varcar l’ampio torrente,
ma in van scende sovr’essa ogni ferita,
ch’o la fugge, o la sprezza o non la sente,
così la pelle sua rigida e dura
da i ferri altrui privilegiò natura.
17Lunga stagion, quasi animata torre
che salde fondamenta abbia sotterra,
ferma a i colpi si sta, poscia se ’n corre
in mezzo a l’armi, et a i nemici in guerra,
e mentre impetuosa erra e trascorre
con la forza de l’urto altri n’atterra,
e da l’avorio de gli acuti denti
altri ne manda esanimati e spenti.
18Con la vasta proboscide ritorta
molti di loro anche ne trae di sella,
e dove giunge ivi superba apporta
a i combattenti eroi strage novella.
Già su ’l gran dorso ella sostiene e porta
una selva di lancie e di quadrella,
già fatta è scopo a mille colpi e mille,
né pur di sangue ancor versa due stille.
19Or mentre in fra di lor si riaccende
vie più sempre la pugna e si rinova,
generoso campione ecco intraprende
chiara non men che memorabil prova:
lascia le staffe e dal destrier discende
e là corre volando ove si trova
l’immensa e viva machina di Marte,
che tante schiere ha dissipate e sparte,
20e seco dice: – Or soffrirò che vada
trionfando di noi belva sì ria?
Ho destra anch’io nata a le spade e spada
che insoliti trofei brama e desia.
Pur che per le mie man morta ella cada
il precipizio suo morte mi dia:
vinta mi vinca pur, sol de’ perigli
non già de gli agi i veri onor son figli -.
21In questo dir pria leva al ciel la fronte,
poi sotto il ventre intrepido si caccia,
e dove dura è men la pelle a l’onte
ivi il ferro fatal caccia e ricaccia.
Cad’ella uccisa, e cader sembra un monte,
e l’uccisor preme cadendo e schiaccia:
lieto ei si muor sotto il gran peso avvolto,
e nel trionfo suo resta sepolto.
22Glorioso morire! Io, se le rime
tanto potran, ben ne l’altrui memoria
da quell’oblio che tutte l’altre opprime
spero sottrar così onorata istoria.
Ma d’una sì famosa opra sublime
gentile Italia, a te si dèe la gloria:
egli in te nacque, o generosa, o bella
d’eroi nodrice, e Cloridan s’appella.
23Spinge, ma in vano, ogni guerrier se stesso
a dargli aita in su quell’ore estreme,
et han del grande e flebile successo
dolore, invidia e meraviglia insieme.
Restar anch’ei dal nobil pondo oppresso
voluto avria, ch’or lui soggioga e preme,
Dudon, non ch’altri, e mentre morto il mira
un sì bel fine a i propri dì sospira.
Corbano ordina di scavare un canale per deviare l’Oronte, Idraspe non attende e guada il fiume attaccando una furiosa zuffa
24Poiché condotta la gran belva a morte
miran le perse squadre, ardon di sdegno,
e dal solo furor guidate e scorte
sprezzano già d’ogni ragione il segno.
Poi del guado a tentar corron la sorte,
senza consiglio alcun, senza ritegno,
ma mentre audace in vèr l’opposta arena
movono il piede, il gran Corban le affrena,
25e «Troppo» ei dice lor «troppo sonante
vassene il fiume, e di tropp’acque altero:
dove a pena varcò vasto elefante
come varcar potrà picciol destriero?
Per vostra mano egli in più rami avante
resti diviso, e in cotal guisa io spero,
senza temer ch’altri vi resti absorto,
sicuro aver su l’altra riva il porto.
26Dal gran seno di lui giace non lunge
contumace del sol, valle profonda,
e cotanto terren sol la disgiunge
quanto correr potria tratto di fronda:
là dunque vada ognun di voi» soggiunge,
«ne la superior tumida sponda,
e perché nel vallon l’acqua discenda
con un gran taglio a diramar si prenda».
27Del sovran duce ad esequir gli accenti
non ch’ogni guastator ratto si parte
ma insiem con essi al gran disegno intenti
anche i maggiori eroi traggonsi ad arte.
Di Cerere i più rustici stromenti
prendono a gara, e lascian quei di Marte,
e fendendo il terren par ch’ogni fante
del rustico lavor seco si vante.
28Con piè, con mani ubbidienti e pronte
la folta turba a stuolo a stuol si muove,
arde l’opra, e ne l’opra arde ogni fronte,
e gran sudor gronda da loro e piove.
Lo sviscerar da le radici un monte
forse fur già men faticose prove
quando, lacero il fianco, aperto il petto,
diede il gran’Ato al greco mar ricetto.
29Ma del soverchio indugio impaziente
aspira Idraspe ad azion più bella,
e, bramoso d’onor, di fama ardente,
lascia l’arcion, precipita di sella,
e perch’omai gli dian l’asta pungente
e ’l grave scudo ambi i valletti appella,
poi, volto a’ suoi, sovr’ogni stile ardito,
«Oggi a gloria immortal» dice «v’invito.
30Chi trofei non vulgari ama e desia
me siegua, e meco intrepido ne vegna.
Quanto più dura è de gli onor la via
di generoso piè tanto è più degna».
A por lo scudo in acqua indi s’invia
verso la riva onde varcar disegna,
e mentre in esso ei se medesmo adatta
l’asta in vece di remo agita e tratta.
31Con l’esempio di lui dubbio non have
d’esporsi ogni altro a la medesim’arte,
né alcun fra tanti sbigottisce o pave
condur se stesso in vèr l’opposta parte.
Fatti gli stessi ordigni or targa or nave,
servono insieme ora Nettuno or Marte,
né questa è a l’uso lor opra diforme
così ad ambi gli uffici atte han le forme.
32Concavi son, ma semplici e leggieri
gli scudi lor, qual si conviene a fante,
et alti sì che i portator guerrieri
ricoprono dal crin sino a le piante.
Questi di cuoio fèr saggi ingegneri,
sì che scudo ciascun sembra al sembiante,
ma poi si scopre in guisa tal commesso
che l’artificio suo porta in se stesso.
33Doppi son di struttura, e s’altri il guata
con tanto studio è ogni un di lor congiunto
che s’allunga, s’abbrevia e si dilata
e si ristringe ad un istesso punto,
onde fu poi da l’uom l’arte inventata
di quello stil ch’oggi in più parti è giunto
di fabricar molto men aspre e gravi
di grosse pelli e duri cuoi le navi.
34Primiero Idraspe in su la sponda il piede
ferma, e a l’ufficio lor l’armi ripiglia:
quella che nave fu targa se ’n riede,
ma pur anche a l’aspetto ambe somiglia.
Qui crudo assalto incominciar si vede
onde poscia divien l’acqua vermiglia,
e in chiaro agon la marzial fortuna
popoli invita, a cimentarsi aduna.
35Targhe con targhe in fra di lor commesse,
di muro in guisa, et aste ad aste unite
han le tartare schiere, onde se stesse
caute schermir pon da l’altrui ferite.
Stringonsi insieme e se ne van con esse
a la battaglia, oltre ogni fede ardite.
Cozzano impetuosi, e già de’ Franchi
prendon con gli urti ad investire i fianchi.
36Ma ricevon l’incontro e fulminando
anch’essi van con generoso ardire.
Ciascun di sangue inebriare il brando
cerca, e ’l nemico stuol ferendo aprire.
Del guerreggiar han fra lor poste in bando
le leggi, e ’l corso sol seguon de l’ire,
e con sì gran confusion si pugna
che non sai dir s’ella sia strage o pugna.
37Ma l’indomito Idraspe i suoi rincora,
e «Questo» grida «è de la gloria il calle,
qui convien che si vinca o che si mora,
il ferro a fronte abbiam, l’acqua a le spalle».
Compiuto intanto era il gran taglio e fuoraCompiuto il taglio del canale, passa anche la cavalleria: scompiglio tra i crociati
del proprio letto ad inondar la valle
se ’n giva il fiume, onde varcar per esso
è già sicuro a ogni destrier concesso.
38Ben cento squadre di cavalli e cento
spingonsi in acqua ad ubbidir gli sproni,
e portano a i fedeli alto spavento
non men ch’aita a i tartari campioni.
Mille e mille cimier scherzano al vento,
squarciano il ciel di mille trombe i suoni,
et a toccar le contrastate arene
con suoi più fidi il gran Corban già viene.
39Varcano poscia gli elefanti e vanno,
urtati in guerra, a riurtar co ’l dorso,
ma movon tosto i duo Roberti e danno
quinci opportuno a i cristian soccorso.
Lentan le briglie e de i pagani in danno
Guasco, Guelfo, Dudon scagliansi al corso,
e ’l buon Ruggiero, a cui gir sempre a lato
suole Orlandino, il figlioletto amato.
40Guidò costui già su le franche arene,
gravida il seno, a cimentarsi armata
in campo ostil la bella sposa Irene,
ch’era a gli amor vie più ch’a l’armi nata;
ma del suo casto ventre entro le vene
da un’asta marzial giacque piagata,
e agonizzante al dolce sposo in braccio
gettò lo spirto e si disciolse in ghiaccio.
41Stemprato in pianto il cavaliere amante
su l’aperta pendea larga ferita,
e mirando su l’orlo al sen pregnante
d’una picciola man brillar due dita.
Squarciò la cicatrice e ’l caro infante,
mesto raccoglitor, trasse a la vita:
strana foggia di parto, intempestivi
ai colpi altrui nascer da i morti i vivi.
42In guisa tal nacque il bambino et ebbe
in padre un ferro et una piaga in madre.
Diresti de le grazie il latte ei bebbe
sì vaghe il Ciel gli diè membra leggiadre.
Culla gli fu rigido scudo, e crebbe
co ’l brando in man fra le paterne squadre,
e, cinto il sen di marziali arnesi,
tant’anni or ha sol quanti l’anno ha mesi.
43Porta con molle e tenerello aspetto
su bionda zazzeretta elmo guerriero,
regge con ricco fren picciol ginetto
di pel dorato e di legnaggio ibero,
cinge di bianco e lieve usbergo il petto
et ha bianco il vestir, bianco il cimiero,
vario in ciò sol dal pargoletto Alcide,
che i serpi l’un, gli uomini l’altro ancide.
44Gode Ruggier, ch’altra delizia e cura
non ha di lui, del bellicoso figlio,
e guidarlo in battaglia ivi procura
dove sempre minor vede il periglio.
Così conduce in campo e gli assicura
ad arrotar ne i cacciator l’artiglio
generoso leone, agili e lievi,
i non comati ancor teneri allievi.
45Molti il padre n’atterra e di sua mano
molt’altri ancora il fanciullin n’abbatte,
e sovra lor scende ogni ferro in vano,
c’han l’armi ancor da gli altrui colpi intatte.
Quinci il popol fede, quindi il pagano
con intrepido cor pugna e combatte,
e sempre più, qual agitata fiamma,
la battaglia crudel ferve e s’infiamma.
46Premendo intanto a i lor destrieri i fianchi
già si rendeano i cristiani a i Persi,
e già gli avventurier, laceri e stanchi,
entro il proprio sudor stavansi immersi;
cedean già gli altri, e i Franchi istessi, i Franchi
dal nemico furor givan dispersi;
ma Ugon gli affrena, e coraggioso e forteUgone ferma l’onda nemica ma è ucciso a tradimento da Idraspe
mostra ch’a regio cor bella è la morte.
47Ad ambe man la grave spada alzando,
da l’elmetto a l’arcion fende un guerriero,
indi rivolto a un gran rovescio il brando
da l’arcione a le cigne apre un destriero;
e più direi se da ogni fede in bando
non s’accostasse a la menzogna il vero,
ma poich’eccede ogni credenza, e faccia
egli ha di sasso, il vero ancor si taccia.
48Mentre così tra le persiane genti
ferro fulminator rota e raggira
senza sapere a qual vie più s’aventi,
duo gran diluvi di nemici ei mira,
e, quasi lupo che diversi armenti
oda in duo valli, e fame il prema ed ira,
duolsi che sia da l’un l’altro disgiunto,
ché vorrebbe assalir tutti in un punto.
49Quand’ecco a lui, che irresoluto pende,
Idraspe s’appresenta, il rio guerriero,
ond’ei la spada al tartaro distende
che combatteva in fra i pedon sì fiero,
e d’un colpo crudel l’elmo gli offende
ove un’idra et un aspe ha per cimiero,
indi trascorre e più non pensa o cura
a chi già diè l’aspra percossa e dura.
50Ma il percosso campion freme di sdegno
e ’l siegue, e vuol con lui fiera battaglia,
e piombo par cui per l’aereo regno
balearica fionda avventa e scaglia.
Arde correndo, e solo scopo e segno
il grande Ugon fa de la sua zagaglia,
e glie l’affigge ove tra piastra e piastra
più d’una fibbia il grave usbergo incastra.
51Cade il degno german del franco Augusto,
e al Ciel, che già glie ’l diè, lo spirto rende.
Trionfa Idraspe in su ’l nemico busto,
ch’esangue ancor con nove piaghe offende,
indi lo scudo, ond’ei se ’n giva onusto,
getta, e ’l destrier del morto duce ascende,
c’ha tempestata a gigli d’or la sella,
e per velocità Lampo s’appella.
52E in testimon d’aver ucciso e vinto
eroe sì grande, a nissun altro il dorso
premere ei giura, e, a cruda strage accinto,
già gli rallenta in fra i nemici il morso.
Ma i Franchi, poi che ’l lor signore estintoBoemondo fa ritirare le truppe
miran, vèr la città volgono il corso,
che Boemondo, ch’a ciò far gl’invita,
vuol ad uopo miglior serbargli in vita.
53Non li siegue Corban, né vuol l’impresa
a i dubbi eventi avventurar di Marte,
che l’esito di lei troppo gli pesa
e troppo ben del guerreggiar sa l’arte.
«Ricovrin pur ne la città difesa
le lor schiere» dic’ei «lacere e sparte,
né vada già la mia vittoria avanti
se l’onde ancor non han varcate i fanti».
54E pria che mora il bel diurno lume,
d’essi il passaggio a i duci lor commette,
e perch’a simil uso han per costume
in su i carri portar lievi barchette,
gettano quelle i Persian nel fiume
in duo lunghissim’ordini ristrette,
e con funi d’intorno e con catene
le ferman poi su l’une e l’altre arene.
55Or mentre alzato è sovra d’esse un ponte
stabil vie più d’ogni più stabil arco,
e mentre hanno su quello agili e pronte
le persiane schiere adito e varco,
tien Boemondo intrepida la fronte
di sì gran danni al troppo grave incarco,
e con pietoso e placido sermone
se stesso e gli altri a consolar si pone:
56«Pugnaste, generosi (egli dicea)
ne la lunga de l’acque alta contesa,
quant’obligo di guerra a l’or chiedea,
quanto soffria necessità d’impresa,
ma perché vie più molto a me premea
che da voi fosse la città difesa,
qual è di capitan legge e costume
da i rischi io qui vi richiamai del fiume.
57Venner de le mie trombe a i primi accenti
le vostre schiere ubbidienti e preste,
ma se cedeste a le pagane genti,
non di valor, di numero cedeste.
Miste al sangue n’andàr l’onde correnti
e ’l fiume sì, non già l’ardir perdeste,
né il qui ritrarvi a voi scemò la gloria,
ch’un cedere opportuno anche è vittoria.
58Perdemmo, è vero, un principe sovrano,
che del sangue real nato è di Francia,
un ch’invitto di cor, forte di mano,
ogn’altro vinse in oprar spada e lancia,
pur non perciò d’inutil pianto e vano
qui dobbiam noi sempre inondar la guancia,
ché, s’egli è morto in non profana guerra,
trionfa in Ciel chi per Dio pugna in terra.
59Ben mi duol che restasse appo i nemici
la spoglia che vestì spirto sì bello,
che le darei, dopo i pietosi uffici,
il giusto onor del meritato avello,
ma poiché ciò n’è diniegato, amici,
cediamo al Ciel, ch’è di lui fatto ostello.
Novo non è ch’un cavalier talora
sia vinto in guerra o che prigion vi mora».
Ruggiero annuncia la perdita del figlio Orlandino, chiede di poterlo andare a recuperare: Boemondo nega il permesso
60Ma qui trattosi avante il buon Ruggiero
dice, torbido il volto, umido il ciglio:
«Ben è, signor, novello caso e fiero
che in guerra un genitor perda il suo figlio».
Nascere a l’or tra ogni cristian guerriero
udissi un pietosissimo bisbiglio,
ed ei seguì: «Come saper tu dei,
io del mio sen le viscere perdei.
61Meco Orlandino, il figliuolin diletto
venne del fiume a contrastar la riva,
e se co ’l picciol ferro il pargoletto
altri là n’uccideva, altri feriva
dical chi ’l vide; or mentre unito e stretto
con gli altri anch’ei vèr la città veniva,
non so ben dir se me ’l rapì tra via
altrui fierezza o negligenza mia.
62Ma come il piede entro le mura io posi
e, qual solea, più non me ’l vidi appresso,
poco men ch’io non caddi a i dolorosi
e duri affanni, ond’ebbi il core oppresso.
Ma non ne andranno i Persian fastosi
se quindi uscire or m’è da te concesso:
deh, lasciam’ir tra le nemiche squadre,
se non come guerrier pur come padre».
63Sente del caso suo giusta pietade,
e così gli risponde il capitano:
«O morto ei fu da le pagane spade,
o prigionier sta de’ nemici in mano:
se morto, e qual ragion ti persuade
girten fra lor a ricercarlo in vano?
e se prigione, inopportuno parmi
il procacciargli or libertà con l’armi.
64S’ei dunque viva, o s’ei fosse ucciso
pria si cerchi da noi certa novella,
ch’a l’or potrem con vie più saggio avviso
trarlo da l’oste ingiuriosa e fella».
Resta Ruggier con lagrimevol viso,
sì gli ange il sen la gran repulsa anch’ella;
pur convien ch’egli taccia, e nel suo core
cede a legge d’onor legge d’amore.
Boemondo impone si elegga un successore di Ugone: viene eletto Clotarco
65Ma siegue Boemondo, e che fra loro
duce novel quindi s’elegga impone,
che l’insegna spiegar de’ gigli d’oro
possa, qual già la dispiegava Ugone,
e, pur che tanto onor cada in coloro
che Franchi sono e ch’al real campione
nacquer soggetti e vissero devoti,
lascia nel resto poi liberi i voti.
66Stringersi i Franchi al gran consiglio intenti
in più d’un folto circolo si vede,
altri di loro ad esplorar le menti
se ’n parte, ed altro onde partì se ’n riede,
e fatto un suon di non distinti accenti,
chi va, chi vien, chi niega e chi concede,
qual a punto esser suol, quando adunati
sono i latini o i veneti senati.
67Era fra loro, al morto eroe già caro,
Clotarco detto un cavalier francese,
non per fascie reali altero e chiaro
ma ben per chiare e più ch’egregie imprese.
Là ne l’alta cittade il generaro
che dal re de le fere il nome prese
ricchi parenti, ov’han l’istessa foce
l’Arari tardo e ’l Rodano veloce.
68Tengono tutti in costui sol rivolta
ogni fronte, ogni core, ogni pensiero,
e sonar mezzo un mormorio s’ascolta
in suo favor, che poi diviene intero.
Più d’una lingua è ad acclamar disciolta
l’elezion d’un così pio guerriero,
e di più voci a l’onorato incarco
un concorde voler chiama Clotarco.
69Qui l’acclamato eroe gettasi a’ piedi
del sommo duce, ed ei l’abbraccia e gode,
ne godon gli altri anch’essi, e ’l buon Tancredi
sovra ciascun glie ne dà gloria e lode.
Da un nuvol d’armi incoronato il vedi
e di festive trombe un tuon se gli ode
canta l’applauso, e de le franche schiere
corrono ad inchinarlo elmi e bandiere.
Corbano dispone le truppe intorno al muro, quindi invita a mensa i generali, e invita la madre di Erminia a descrivere la città e i suoi punti deboli
70Ma il gran prince pagan, poiché varcato
dal colle ha già se stesso a la pianura,
prende di stretto assedio in ogni lato
a incoronar le contrastate mura,
e, in ordin militar quivi attendato,
schierar ben tosto il campo suo procura,
onde scacciarne i cristiani e l’ossa
poi vendicar del gran Cassano ei possa.
71Tutti di gente ei va sbarrando i calli
e ricinta mirar gode ogni parte;
quinci i fanti dispon, quindi i cavalli,
qual soffre il sito e qual di guerra è l’arte,
e con sì brevi e piccioli intervalli
d’intorno a la città l’oste comparte,
ch’ella altrui par, de i geometri a l’uso,
da linea circolar punto racchiuso.
72Tal cacciator che fuggitiva belva
in gran foresta conquistar s’accinge,
quanto più si difende e si rinselva
tanto più audace incontra lei si spinge,
e de la cieca e guerreggiata selva
tutto di veltri il fosco sen ricinge,
né varco lascia in fra l’ombrose piante
ov’ei non ponga il rauco stuol latrante.
73Poiché d’armi già cinto ha il vario sito
de la città, ch’è carcere a se stessa,
a lauta mensa et a real convito
vuol la reina e seco Erminia anch’essa.
Ambe egli chiama, et al cortese invito
già ciascuna di lor giunge e s’appressa,
e in vèr la regia tenda a i cenni suoi
traggonsi ancora i più sublimi eroi.
74Su porporino e serico origliere,
come di Persia è stil, siede ciascuno,
ma sovra ogni altro assidonsi primiere
l’eccelse donne, e non se ’n duole alcuno.
Entro il gran padiglion torchi e lumiere
vincon la notte e l’aer tosco e bruno,
sì che chiara ella par qual esser suole
estivo dì quand’è più vivo il sole.
75Cento d’eguale età paggi e donzelle
già portan già su l’apprestata mensa
entro stoviglie inargentate e belle
ciò che la terra e ciò che ’l mar dispensa.
Campeggia intorno, in queste parti e in quelle,
schiera di vasi luminosa e densa,
splendon idrie d’elettro e coppe d’oro,
di Mentore famoso alto lavoro.
76Vantisi pur de’ ricchi suoi conviti
la barbara del Nil bella reina,
scelga da lesbie e generose viti
uva rubineggiante e porporina,
e, perché raro altro signor l’imiti,
perla vi stempri orientale e fina,
ma ceda al fin, ché qui maggior si spande
lussuria di lautissime vivande.
77Qui paste preziosissime e soavi
rendon pago in un punto il labro e ’l ciglio,
qui sparge i dolci suoi dorati favi
biondo licor ch’a greco tralce è figlio,
qui ne’ cristalli rilucenti e cavi
brilla spumoso il nettare vermiglio,
e qui con guise inusitate e nove
fa l’arte del condir l’ultime prove.
78Sazio de’ cibi il natural desio,
e rimossa ogni mensa era d’intorno,
quand’ecco aurato nappo a l’or s’offrio,
tutto di fiori e di corone adorno.
Corbano il liba, et al crinito dio
ond’ha vita la luce, anima il giorno,
devoto il sacra, e mentre il sole adora
un lieto fine a le sue guerre implora.
79Ne liban poi le regie donne anch’elle
con quella d’almi eroi degna corona;
s’alzan festive risa indi a le stelle
e d’alti applausi il padiglion risuona.
Lievi trescando in queste parti e in quelle
quindi Cerere va, quinci Bellona,
e Bacco armato e Marte d’armi ignudo,
questi la tazza tien, quegli lo scudo.
80Trecciato il crin di sempre verde alloro,
il biondo Cretideo viensene intanto,
e con voce d’argento e cetra d’oro
ben mostra altrui ch’egli sol nacque al canto.
Questi di bello insieme e di canoro
in sé congiunge il duplicato vanto,
e novo Apollo or è che sciolga, or rote
con saggia lingua armoniose note.
81Canta quai sian l’intelligenze elette
del primo cielo a raggirar la mole,
canta le vie ch’obliquamente rette
rendon chiara la luna, oscuro il sole,
come nascan là su lampi e saette,
come il mar cresca e come il vento vole,
come la notte or sia veloce or tarda
e come il giorno ora s’agghiacci or arda.
82Siegue cantando a disvelar gli oscuri
e gran princìpi onde ciascun deriva,
con qual virtù rigidi ferri e duri
pietra a sé trae, che d’ogni senso è priva,
qual forza a un punto e doni vita e furi
a regio augel sì che morendo ei viva,
e qual vaglia a salvar gelido nembo
squammoso serpe a vaste fiamme in grembo.
83Conchiude poi quanto sia largo il mondo
e lungo il giro in cui se stesso ei serra,
quant’abbian l’acque il letto lor profondo
e quanto cupo il centro suo la terra,
e ciò che più di mesto o di giocondo
natura fe’, che nel crear non erra,
tutto dispiega, e così dolce canta
ch’affascinando i cor l’anime incanta.
84Fine al fin posto al musico concento
il gentil citaredo il piè ritira,
e di novo fra lor tresca il contento
e l’applauso e ’l piacer scherza e s’aggira.
Ma il rio Corbano, a la vendetta intento,
in fra gli scherzi anche a i trionfi aspira,
e qual già fosse de l’oppresse mura
la sorpresa fatal saper procura.
85Quinci, rivolto a lei ch’alta reina
fu d’Antiochia e vi regnò felice,
«Non t’incresca narrar l’empi ruina
di te, de’ tuoi, de la città;» le dice,
«dimmi com’ella fu preda e rapida
de l’oste ingiuriosa e vincitrice,
e tutti spiega a me gli occulti nodi
che già v’ordìr le cristiane frodi».
86E di caso sì flebile non solo
di Persia il sommo principe la prega,
ma di que’ forti eroi tutto lo stuolo
a ciò l’astringe, ond’ella al fin si piega,
e, già il tenace fren sciolto a quel duolo
che la gelida lingua avvolge e lega,
e breve triegua a i suoi sospir concessa,
in atto di parlar compon se stessa.