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Il Boemondo, overo Antiochia difesa

di Giovan Leone Sempronio

Canto VII

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 3.04.15 8:54

ARGOMENTO
Il barbaro Corban fa ch’abbia morte
su gl’occhi di Ruggier l’unico figlio;
piange ei soverchio la sua dura sorte,
ma l’acheta di Pier saggio il consiglio.
Per sottrarsi il sicario a le ritorte
scopre di vasta mole alto periglio:
questa l’umide vie varca d’Oronte
e fiamme vomitando atterra il ponte.

Corbano decide di usare Orlandino per ricattare Ruggiero e ottenere le chiavi della porta Occidentale

1Or mentre irato il barbaro tiranno
mille volge fra sé dubbi pensieri,
per vendicar l’ingiurioso inganno
onde se ’n gìr già i cristiani alteri,
somministrando a l’empio cor gli vanno
nova materia i persian guerrieri,
e in atto umil, ma generoso, avante
gli adducon prigionier picciolo infante.

2«Questi» diceangli «a contrastar l’Oronte
con gli altri anch’ei da la cittade uscito,
fanciullo ancor, fu già di stare a fronte
a le nostr’armi oltre ogni fede ardito,
ma poi restò qual agnelletto al fonte
ch’abbia, bevendo, il suo pastor smarrito,
e de le schiere tue tratto in balia
qui sospirò la libertà natia».

3Che si disarmi a lui la fronte e ’l petto
Corban comanda, e che si spogli il vinto.
Co ’l finissimo usbergo il fido elmetto
gli traggon tosto e ’l prezioso cinto,
sì ch’ei riman nel vestir puro e schietto
d’un bianco vel semplicemente avvinto,
in cui s’unì da tessitrice cura
argentea trama a serica orditura.

4In biondi volumetti il crin disciolto
del bel collo gentil le nevi indora,
e vago è sì che ’l suo leggiadro volto
la stessa invidia ammirerebbe ancora.
Simili a questo è buon pittor rivolto
stuol d’Amoretti a figurar talora,
che se a lor togli la faretra e l’ali
o a lui le aggiungi, eccogli in tutto eguali.

5Se ’l vagheggia quell’empio, e ’l bel sembiante
contempla sì che n’ha le luci immote;
son tutti leggiadria gli atti e le piante,
tutti serenità gli occhi e le gote.
Pur il fellon, fra tante grazie e tante,
torna al natio rigore e si riscote,
e con la faccia minacciosa e fella
al vezzoso garzon così favella:

6«Fanciul, chi sei? Chi t’è concesso in padre
narrami omai, né mi celare il vero».
«Sono Orlandin, tra le cristiane squadre
ho sol» dic’ei «per genitor Ruggiero.
Madre non conobb’io, la fé m’è madre,
onde già per Giesù nacqui guerriero.
Per questa sol sovra l’età son forte
a trattar l’armi et a sprezzar la morte.

7Ma non cred’io che sì inuman tu sia
che ’l mio morir qual tuo gran vanto aneli,
al padre mio dunque, o signor, m’invia,
né far atti vèr me vili o crudeli.
Premio degno avrai tu d’opra sì pia,
Ruggier te ’l serba, e te ’l daranno i Cieli».
Così l’un dice, e finto insieme e scaltro
«Ma il tuo buon padre ov’è?» replica l’altro.

8Soggiunge il fanciulletto: «Ei de la porta
ch’Occidental s’appella oggi è custode».
Ciò sentendo il pagan si riconforta
a la vendetta, e ne sorride e gode,
ché baldanzoso il suo pensier già porta
a non più udita e memorabil frode:
a la fé di Ruggier prende consiglio
con la vita tentar del proprio figlio.

9Quinci a i più fidi suoi tacito impone
ch’ei sia condotto a le vicine tende,
ch’esser per vecchio stil soglion prigione
di chi in guerra talor vinto si prende,
e perché ciò ch’a lui detta e propone
l’iniquo cor già d’esequire intende,
tosto a sé chiama un caro suo scudiero
e «Vanne» dice «ove si sta Ruggiero,

10vanne e gli esponi in semplici parole,
come è tuo stile e come in te confido,
ch’ei mandi a me pria che rinasca il sole
del mar di Siria ad indorare il lido
di sua porta le chiavi, o ch’io la prole
ch’unica il Ciel gli diede or qui gli uccido.
Parti, ciò detto, e s’altro a te richiede,
nulla rispondi, e qua rivolgi il piede».

11Vassene il fido messo a l’ora punto
che sta nel mondo agonizzando il giorno,
e, ubbidiente, ad uno stesso punto
giunge, espone, si parte e fa ritorno.
Ma il cavalier, che già trafitto e puntoRuggiero è contrastato, alla fine decide di non tradire il campo
perciò si sente, e n’ha tormento e scorno,
nutrendo va duo fieri veltri al core,
cavalleresca fé, paterno amore.

12A trar da morte il figlio, ad esser pio
con le viscere sue questi l’astringe,
ma co ’l suo capitan, ma co ’l suo Dio
a mostrarsi leal quella lo spinge.
Né così dubbie le proposte ordìo
al re teban l’impenetrabil Sfinge
sì com’incerti i grand’enigmi sui
natura e fedeltà dettano a lui.

13«Sì dunque a te disumanò la guerra
(Natura gli dicea), l’anima e ’l core
ch’a pro del figlio tuo nulla si serra
ombra in lor di pietà, stilla d’amore?
A qualunque animal ch’alberga in terra
preme de i parti suoi cura e timore,
e tu sol, d’ogni fera assai più fero,
il sangue tuo disprezzerai, Ruggiero?

14Sveglia, ah sveglia te stesso, e ti rammenta
d’esser uom, d’esser padre e d’esser vivo.
A dar l’usato umor non è già lenta
la pianta al ramo suo, la fonte al rivo.
Su su, nel campo ostil le chiavi avventa
pria che ’l fanciul resti di vita privo,
né più il corso allungar d’opra sì degna,
obligo natural così t’insegna.

15Se così poco oggi te ’n cale o nulla,
da le viscere tue perché il traesti?
per qual cagion, se ne l’età fanciulla
pur ritor glie ’l volei, l’esser gli desti?
e se bramavi la materna culla
cangiarsi in tomba, a che nutrire il festi?
quando fu mai più gran perfidia udita,
a chi vita ti diè toglier la vita?

16Non ti lusinghi no bellica fama,
mondana fé, cavalleresco onore,
questi son sol di chi talor non ama
veni rispetti, il tutto vince amore.
Senti il caro fanciul come ti chiama,
mira, mira, o crudel, come si more,
e tu, che trar da gli altrui colpi il puoi
libero e vivo, o disuman, no ’l vuoi».

17Da l’altra parte, di rigore armato,
debito di guerrier sì gli ragiona:
«Dunque sì poco a le tue chiome è grato
fregio immortal di marzial corona
che d’un affetto vil resti ingannato
ch’a traviar dal vero onor ti sprona?
Pensa, pensa a chi servi, e dove e quando,
con chi guerreggi, e per chi cingi il brando.

18Se per Giesù ti fora lieve or ora
correr, pugnando, ogni mortal periglio,
qual vuol ragion che poi ti dolga ancora
per la stessa cagion perdere il figlio?
Forse diman fia che di febre ei mora,
s’oggi di ferro egli non chiude il ciglio,
e quando vivo ancor resti a’ tuoi prieghi
chi sa ch’a miglior fin la vita impieghi?

19Son mollezze di padre e di marito
questi che di natura oblighi or credi,
né bellicoso cor deve avvilito
piangere i figli e sospirar gli eredi.
Ah sì sì, resti il tuo, resti ferito
e semivivo pur giaccia a i tuoi piedi,
che non altro il nutricasti in fasce
che per morir: more ciascun che nasce.

20A che condur per così lunga strada
d’Europa in Asia il fanciulletto altiero
e poi lasciar che guerreggiando ei vada
e porti al molle crin l’elmo e ’l cimiero?
Non sai che quanto è sol lunga una spada
tanto lunge la morte è da un guerriero,
e che di stelle immortalmente è cinto
quei che qua giù per Dio morendo è vinto?».

21Da tai percosse il misero si sente
combattuto il pensier, spinto l’ingegno,
et alternando entro la dubbia mente
quinci va la pietà, quindi lo sdegno.
Or vuole et or disvuole et or si pente,
or di coraggio or di timor dà segno,
e con doglia or aperta et or secreta
s’agita, si dibatte e s’inquieta.

22Spirto celeste al fin l’infiamma e ’l guida
a generosamente esser fedele,
sì che in tai voci egli prorompe e grida:
«Lungi, lungi, o sospir, lungi, o querele!
Servasi a Cristo, e ’l mio figliuol s’uccida
per l’empie man del barbaro crudele.
Restarò senza prole e senza erede,
ma non senza l’onor, senza la fede.

23Prima vuo’ poter dire: “un figlio ebb’io
che fu gran paragon del mio valore”,
ch’a la futura etade il figlio mio
“ebbi” dica “vivendo un genitore
che per esser vèr me provido e pio
a se stesso e al suo re fu traditore,
e che diè morte per soverchia brama
di mia salute a la sua propria fama”.

24Padre son io, non madre, e questa spada
mi cingerei che m’ha la mano armata
e che sì spesso al vero onor m’è strada
s’a me d’un figlio mio fosse men grata.
Sì sì, fellon, cada pur egli, ah cada
qual vittima innocente a Dio svenata,
ch’estinto lui qui poi t’aspetto, o forte
uccisor de’ fanciulli, a queste porte».

25Così risolve, e perché giusto ei crede
farlo anche noto al capitan sovrano,
tosto rivolge a Boemondo il piede
per l’oscuro sentier tacito e piano,
e da le guarde adito a lui richiede
per grave affar, né già il richiede in vano,
ch’a sé lo chiama e ne le regie soglie,
ben ch’ei riposi, il suo signor l’accoglie.

26«Ruggier, che porti?» indi gli dice «e quale,
or che spenta nel mar langue ogni luce,
accidente gravissimo e mortale
con sollecita cura or qui t’adduce?
Forse notturno la tua porta assale
de la gente di Persia il sommo duce?».
Ed ei: «La porta no, ma ben la vita
del mio caro fanciul viemmi assalita.

27Anzi, a prezzo di lei dal rio fellone
vien la tua fama e la mia fé tentata»,
e qui con breve dir tutta gli espone
del nemico scudier l’empia ambasciata.
Poscia ripiglia: «Io per sì gran cagione
ebbi, no ’l vo’ negar, l’alma turbata;
lunga il senso, egli è ver, guerra mi feo,
ma la ragion ne riportò trofeo.

28Già fermo ho nel mio cor pria che la porta
a pro del regno tuo perder la prole.
Cavalleresca gloria a ciò m’esorta,
debito il chiede, elezione il vuole.
E benché in guisa tal sepolta e morta
resti la stirpe mia, nulla me ’n duole;
questo non sol, ma mille figli miei
per la fé, per l’onor, per Dio darei.

29L’abbraccia Boemondo, e gli favella
grave non men che placido nel volto:
«Uom generoso, io la mortal novella
con ira insieme e con pietade ascolto.
Arte mi par troppo spietata e fella
che ’l figlio a te per tal cagion sia tolto,
e, con tua gloria, il persian tiranno
d’estrema ferità biasmo e condanno.

30Ma se la prole tua perder t’eleggi,
al mio servigio è con ragion devuto,
anzi devuto al Ciel, che a Dio guerreggi,
e sei, più ch’a natura, a lui tenuto.
L’umane a un punto e le divine leggi
questo chiedon da te giusto tributo:
morrà il fanciullo e si dirà: Ruggiero
assai miglior che padre è cavaliero.

31Benché ned ei morrà, né di pietade
sarà sì privo il barbaro arrogante
che ’l ferro altier de le pagane spade
di sangue pueril tinger si vante:
ciò minacciando, ei vuol provar se cade
dal sentier di virtù l’alma incostante,
ma se immobil vedralla al gran periglio
lode a te ne darà, vita al tuo figlio.

32Va’ dunque e spera, e ’l mio regale onore
custodisci geloso e la tua fede».
Così l’un parla, e tutto fiamma il core
a la custodia sua l’altro se ’n riede.
Già ne l’alma di lui manca il timore
e la speranza in vece sua succede,
e pargli già ch’ei nel suo sen lo stringa,
amoroso desio tanto il lusinga.

33Ma il capitan, che con occhiuta cura
di se stesso e de’ suoi siede al governo,
e che ben sa quanto poter natura
diede a tenero affetto in cor paterno,
del voler di Ruggier non s’assicura,
ché troppo impenetrabile è l’interno,
e l’umano pensier, sempre ondeggiante,
ne l’incostanze sue solo è costante.

34Quinci, lasciando il suo real soggiorno
in vèr la porta occidental s’invia,
e con Tancredi e con Goffredo intorno
gli andamenti di lui penetra e spia.
Ma già vicino era il natal del giorno
né rumor d’armi o suon d’acciar s’udia,
sì ch’egli omai de la sua fé già certo
torna a la reggia e glien dà lode e merto.

Corbano fa giustiziare Orlandino di fronte alle mura, Ruggiero recupera il figlio e i suoi compagni catturano l’assassino

35Per tuffarsi nel sen de l’onda egea
sparsa a pena così di qualche stella,
e men bruna de l’altre, in ciel correa
la cieca de la notte ultima ancella,
quando Corban, che non ancor vedea
le chieste chiavi, un suo guerriero appella,
e, come ei sia vie più d’ogni altro audace,
de la sua crudeltà ministro il face.

36Bruttissimo è fra quanti in guerra armati
venner di Persia in su la spiaggia assira:
acuto il capo e gli omeri curvati,
e bieco il guardo e zoppo il piè raggira,
le cicatrici sue porta in più lati
la parte onde si fiuta e si respira,
e con sembianza orrida insieme ed empia
rara la barba egli ha, calve le tempia.

37Or a costui ch’egli se ’n vada impone
là dove stassi il prigioniero infante,
indi col molle e tenero garzone
ratto vèr la città volga le piante,
e pria che sorga in ciel nova stagione
al muro occidental traggasi avante,
e, là ’ve da Ruggiero è custodito,
ivi a morte il fanciul lasci ferito.

38Duro origlier, qual de i guerrieri è l’uso,
del proprio braccio il miserel si fea,
e, ’l gemino splendor spento e racchiuso
de’ suoi begli occhi, un Amorin parea.
L’empio svegliollo, e quei s’alzò confuso
dal nudo suolo, ov’egli a l’or giacea,
e a l’alta voce e al minaccioso aspetto
gelida tremò l’alma nel petto.

39Volea gridar, ma il traditor l’affida
con falso e mendacissimo conforto:
«Non fia ver ch’io t’offenda o ch’io t’uccida,
ma vita insieme e libertà ti porto:
sarotti al genitor sicura guida
e salvo or or ricondurotti in porto».
Così gli dice il menzognero, e seco
colà s’invia mentr’anche il mondo è cieco.

40Un misto di speranza e di timore
gli combatte il pensier, l’alma gli fiede,
e quindi l’allegria, quinci il dolore
l’agitan sì che move dubbio il piede.
Quasi presago di sua morte, il core
non bene inteso un non so che prevede,
e par torel che non comprende il rio
colpo del maglio, e pur vi va restio.

41S’eran già tratti a la cittade appresso
quanto sol la gran fossa oltre si stende,
quando il fellon, con dispietato eccesso,
a lui si scaglia e per la strozza il prende.
Ben per sottrar da l’empie man se stesso
duolsi, prega, si scote e si difende,
ma poiché indarno ogn’altra aita ei tenta
un grido al ciel per suo soccorso avventa.

42Ma il cavalier, ch’attentamente ascolta
se pur gli sia l’unica prole uccisa,
la voce il picciol nato a pena ha sciolta
ch’al primo suon di lei tosto il ravvisa,
et «Ohimè» grida «al caro figlio è tolta
l’alma e la vita, e la mia fé derisa»,
e con poca sua gente a cielo oscuro
non esce no, precipita dal muro.

43Pur va con vano e troppo tardo aiuto
ad investir nel temerario perso,
ch’ei già gli avea rigido ferro acuto
più volte e più nel bianco seno immerso;
ma quando è colà giunto, e che veduto
l’ha poi giacer tutto di sangue asperso,
«Ah, figlio … » ei dice, e più seguir non pote,
ché gl’interrompe il gran dolor le note

44«Ah, figlio,» indi ripiglia «e pur ti veggio
di barbaro ladron preda infelice?
ed è vero? e non sogno? e non vaneggio?
né vibra il Ciel la sua saetta ultrice?
né di mia man la propria spada io scheggio
se punir chi t’uccide a lei non lice?».
E qui se ’l bacia e se lo stringe al petto,
tanto può nel suo cor forza d’affetto.

Orlandino spira tra le braccia del padre

45Raggiunto intanto, e in duri lacci avvolto
aveano i suoi guerrier l’empio fellone,
e gelo il core e tutto fiamma il volto
al duce lor lo conducean prigione,
ma il caro figlio entro il suo sen raccolto
ei pria curar, poi vendicar dispone,
e ’l piè volgendo a la guardata porta
ne la città su le sue braccia il porta.

46E poiché ben difeso e custodito
in cieca torre il feritor si mira,
sotto fisica man pone il ferito,
che ferro pio ne le sue piaghe aggira.
Gli corre intorno, il fiero caso udito,
il popol tutto, e n’ha pietade ed ira,
e in sì funesto e flebile successo
in pianto stilla ogni campion se stesso.

47Balsami preziosi, erbe e radici
poscia v’infonde il genitor dolente,
né v’è pur un che sì pietosi uffici
nieghi esequir, tanto dolor ne sente,
ma poco o nulla val cura d’amici,
ché già si strugge il figliuolin languente,
e già, lasciato il cor, lo spirto viene
fin su le labbra e gela il corpo e sviene.

48Gridi e querele in lagrimevol guisa
s’alzano a l’ora; ognun singhiozza e geme.
Solo il fanciul con gli occhi a Dio s’affisa,
e, in lui fidando, il suo morir non teme.
E queste fur de l’anima recisa
gli estremi sensi e le parole estreme,
parole che sì pie Giesù gli detta,
quai converriansi a vecchia età perfetta:

49«Padre, io me ’n vo, mi s’apre il Ciel. Tu resta,
resta e tempra quel duol che ’l sen t’accora.
L’ultima grazia che ti chieggio è questa:
benedicimi almen pria ch’i’ mi mora,
né fia tua destra a l’uccisor molesta,
io gli perdon, tu gli perdona ancora.
Nemico ei m’era, e in che fallisce ed erra
nemico che ’l nemico uccida in guerra?».

50Così se ’n passa in un soave riso
il bambinello al genitore in braccio,
e rider sembra anch’esso il Paradiso
che sciolto or l’ha dal suo terreno impaccio.
Rest’egli a l’or, quasi bel fior succiso,
cui tronchi ’l ferro o pur aduggi il ghiaccio,
fa il duol maggior la tenerella etade
e spira, morto ancor, grazia e beltade.

Lamento di Ruggiero e conforto di Pier l’Eremita; Orlandino viene sepolto

51Il buon Ruggier non pria rimira estinto
giacer, trofeo di morte, il fanciulletto,
ch’immobil stassi, ammutolito e vinto
dal gran martir c’ha nel suo cor ristretto,
pur da giusto dolor al fine è spinto
in questi accenti ad isfogar l’affetto,
e cedendo a natura infuria e stride
qual già per Ila il lagrimoso Alcide:

52«O de la prima gioventù» dicea,
defraudato mio figlio, eccoti esangue!
Quest’alma sol de le tue piaghe è rea,
io sol, sol io t’impoverii di sangue.
Per me quel tuo bel sen, che pria parea
un fior vermiglio, impallidito or langue,
e tu per me da crudo acciar trafitto
sei mio dolore insieme e mio delitto.

53Ahi, ma che parlo? e qual fu il fallo mio?
e qual commise in ciò colpa il mio core?
Error non fei, se ’l serbar fede a Dio
e al duce suo non dèe chiamarsi errore;
ma pure errai, mentr’il mio cor soffrio
armarti ancor de gli anni tuoi su ’l fiore.
Punto infelice e sventurato quando
l’elmo imposi a la fronte e al fianco il brando!

54Ah ben poteva a l’or tòrmiti il fato
che tu vagivi ancor lattante in cuna,
s’esser poi mi dovevi oggi involato
da l’empie man di marzial fortuna!
Crudelissimo Ciel, perché vietato
qui, dove l’oste ogni suo sforzo aduna,
m’è sotto d’una barbara ferita
spender con lui, o almen per lui, la vita?

55Corpicello innocente ecco t’abbraccio,
anima pargoletta ecco ti sieguo,
e già teco ancor io fato di ghiaccio
spiro in sospiri e in pianti mi dileguo.
Sento già sciormi a queste membra il laccio
e già in freddezza et in pallor t’adeguo,
misera Europa, i tuoi trofei son questi!
Compatiscimi, o mondo, Asia vincesti.

56Ma quest’ultimo suon non ben intero
gli fu, piangendo, articolar concesso,
che l’interruppe il venerabil Piero
e ’l ripigliò del suo sì molle eccesso:
«Che fai,» gli disse «e dove sei, Ruggiero?
Lascia di vaneggiar, riedi in te stesso,
Troppo è il dolor che ti tormenta immenso,
ragion prevaglia, assai fu dato al senso.

57Deh, ti sovenga esser campion di Cristo,
e che per Cristo il tuo bel figlio è morto,
se morto si può dir chi fece acquisto
del Ciel morendo e si ridusse in porto.
Puro angelletto ei colà su fia visto
schermo a noi tutti e a te recar conforto;
tu dagli intanto il meritato onore
di bel sepolcro, e dona pace al core».

58Sì dice il buon romito, e riverente
raffrena l’altro il troppo vano affetto,
e fissando nel ciel gli occhi e la mente
pensa: – Là suso ha il mio fanciul ricetto -,
ma su le terga sue l’alza repente
stuol di guerrieri al grande ufficio eletto,
e ’l porta al tempio, e prezioso e bello
gli dà colà, qual si convien, l’avello.

59Ruggiero il siegue, e geme intorno e plora
di novo ancor sovra i racchiusi marmi;
di bianchi gigli il nobil sasso infiora
e su v’appende abbigliamenti ed armi;
e questi fur quei che v’incise a l’ora
brevi non men che gloriosi carmi:
Giace Orlandino in questa tomba oscura,
ch’Orlando esser vietò morte immatura.

Per salvarsi al vita, l’assassino rivela del piano di Corbano di usare una nave incendiaria per far saltare l’unico ponte, attirandoci sopra i cristiani con un finto attacco

60Già sallo il capitano e già se ’n duole
quanto il decoro e la pietà richiede,
compatisce a Ruggier l’estinta prole
nel di lui lacerato unico erede,
e che quel reo gli si conduca ei vuole
che con barbara man morte gli diede,
e maestoso in atto e minacciante
gl’influisce terror sol co ’l sembiante.

61Poi gli parla cruccioso: «E che pensasti
a l’or ch’a queste mura, uomo inumano,
in sangue pueril, perfido, osasti
tingere il ferro e scelerar la mano?
Non andranno impuniti oggi i tuoi fasti,
né Boemondo adirerassi in vano:
uccidetel, o miei, fate de l’empio
giusto macello, e sia de gli altri esempio».

62Ma il traditor, che l’ire sue paventa,
e non sa che con tutti esser fellone,
l’ultime vie di sua salute or tenta
e ribellarsi al proprio re dispone:
«A frode» ei disse «è nostra gente intenta
ch’esser ti può di grave mal cagione,
e se giuri, signor, farmi sicuro,
tutto aprirotti», e quei rispose: «Il giuro».

63«A l’or ch’a queste mura i persi eroi
venner d’intorno» il masnadier riprese,
«e che dal colle al piano i danni tuoi
con le sue schiere il mio signor discese,
non sol pugnando trionfar di voi
in sanguigne bramò fiere contese,
ma co ’l rigor d’un vile assedio e lento
fu ancor, sedendo, a superarvi intento.

64E perché sol questo gran ponte al Franco
può dar soccorso e vettovaglia in guerra,
questo gran ponte che ’l sinistro fianco
su i muri appoggia e ’l fiume in sen riserra,
cura maggiore egli non ebbe unquanco
che di vederlo ir diroccato a terra,
e de l’immensità del suo pensiero
s’offerse esecutor saggio ingegnero.

65Lesse costui là su le greche carte
gli arcani di natura al mondo ignoti,
e con qual forza Erone e con qual arte
gli spiritali suoi fabbrichi e ruoti.
Specolò studioso in ogni parte,
del gran ciel d’Archimede i giri e i moti,
e del famoso e megarese Euclide
i libri tutti e gli elementi ei vide.

66- Sire, quel ponte io d’atterrar prometto –
questi propose, – in non più uditi modi,
ma non vo’ dal tuo scettro essere astretto
a mostrar l’arti, a palesar le frodi:
basti a te sol di rimirar l’effetto,
vagheggia tu l’altrui ruina e godi,
ch’uso sì formidabile e spietato
riserba solo ad altre etadi il fato -.

67Ciò dir contesto un indovin gli avea
quando il segreto ei gl’insegnò primiero,
minacciandogli morte acerba e rea
s’ei palesava altrui tal magistero,
onde Corban, che di veder godea
cinto così l’antiocheno impero,
non curando saper ciò ch’ei si fesse,
ogni agio a l’opra e ogni favor concesse.

68Cors’egli a l’ora a un’orrida foresta
posta là de l’Oronte in su i confini
e, recidendo or quella pianta or questa,
gli alpestri scapigliò gioghi vicini,
sì che gran nave ha in pochi dì contesta
di grossi abeti e smisurati pini,
che in se medesma per l’instabil onde
l’artificio mortal porta e nasconde.

69Chiud’ella prigionier, da noi non visto,
o pur da noi non conosciuto almeno,
d’aridi metalli un vario misto
dentro il più cieco suo concavo seno,
ma il piano orizzontal tutto provisto
d’immense lastre e gravi marmi ha pieno,
e sovra lor con ben tessuti modi
palle e catene in un gran mucchio e chiodi.

70E perché l’alta machina dimora
non abbia alcuna e dubbio il corso o lento,
gran vela il fabbricier di su la prora
nel suo convesso è a ripiegarle intento:
la gonfia il fiume, e quell’effetto ognora
fa l’acqua in lei che fa ne l’altre il vento;
e per scoppiar nel destinato loco
occulta serba e limitato il foco.

71In cotal guisa a lo spuntar del sole,
armata sol di se medesma, in guerra
mandar dispone la semovente mole
a gettar quindi il tuo gran ponte a terra.
Queste le frodi son, ma non già sole
ch’altro pensier dentr’il suo cor riserra:
vuol pugnando assalirlo, e a un punto istesso
le genti tue precipitar con esso.

72Quind’egli, a l’or che la bramata impresa
sarà di nave a terminar vicina,
ritrarrà le sue schiere e a la difesa
te lascierà con tua mortal ruina».
Così l’un dice, e poiché l’altro intesaBoemondo non crede alle parole del prigioniero e comanda di respingere l’attacco, venendo solo all’ultimo sottratto alla morte da Piero: la nave scoppia e fa strage dei difensori
ha del pagan la machinata mina,
la vita a lui che la scoprì perdona,
ma non però la libertà gli dona.

73Poi fra sé pensa: – E chi può darsi il vanto
d’aver le fiamme ubbidienti e pronte?
Fors’ei ne vuol con questa frode intanto
da la difesa allontanar del ponte;
ma non fia ver che i Persian cotanto
osin di novo in su ’l già vinto Oronte,
che se di lui pria traghettàr la sponda,
non fia la second’opra a lor seconda -.

74Vassene quindi a ritrovar Gualtiero
che in guarda il serba, e tutto al fin gli espone
ciò che in danno di lui l’empio ingegnero
del re nemico architettar dispone,
e ben che stimi un così reo pensiero
in vano anch’egli, il difensor campione
pur del sommo duce a la richiesta
il fiero assalto a rigettar s’appresta.

75Ma già la notte co ’l suo fosco piede
ne l’opposto emispero ad altri appare,
e del nostro orizzonte il giorno erede
lascia, che luminoso esce dal mare,
quando uno stuol di Persian si vede
con furia tal cui nulla al mondo è pare
tentar la pugna, e di lontan la nave
venir si mira, ond’ogni cor ne pave.

76Solo fra gli altri intrepido e sprezzante
par che Gualtiero i lor pensier derida,
spada barenatrice e fulminante ruotando
va ch’ogni guerriero affida,
et a le schiere sue trattosi avante,
«Su, valorosi, a la difesa» ei grida.
Rammenta lor l’antiche glorie e d’alto
gli riconforta a sostener l’assalto.

77Pugnan confusi i Persi, et han di Marte
tutti posti in non cal gli usi e gli studi,
e nova esercitando arte senz’arte
cozzan con gl’elmi et urtan con gli scudi.
Ma resistono a l’urto e d’altra parte
han già i lor brandi i cristiani ignudi,
e combattendo in più lodate forme
fermi si stan, né parte il piè da l’orme.

78V’accorre Boemondo, e si conduce
su ’l ponte anch’esso, e i difensor rincora;
poi, qual conviensi a capitano e duce
provido pensa al gran naviglio ancora,
e premi assegna a chi se stesso adduce
a lui nuotando e lo rattiene o ’l fòra,
sì che s’affondi, e gli sia far disdetto,
quand’ei sia vero, il destinato effetto.

79Veggonsi a l’ora ubbidienti a nuoto
vari guerrier precipitar nel fiume:
chi vuol frenargli a mezzo il corso il moto,
sì come de le remore è costume,
chi rintracciar l’oscuro calle ignoto
ove il foco serpeggia osa e presume,
e chi con duri ferri aprirgli ha speme
l’alte giunture ond’è tessuto insieme.

80Ma la superba machina mortale,
che di travi vastissimi è commessa,
forza di colpi a penetrar non vale
sì che non corra a traghettar se stessa,
ed ecco giunta omai l’ora fatale
ecco orgogliosa a l’empio fin s’appressa,
e ’l capitano al già vicin periglio
par tutto cor, né move piè né ciglio.

81Ma i cristiani principi soggetti,
cui par che troppo egli in coraggio ecceda,
mandan scudieri a lui, mandan valletti
a supplicar ch’a la città se ’n rieda;
ma stima codardia, quand’ei s’affretti,
al proprio schermo, e lasci il posto e ceda,
che ben è vil chi dove gloria il porte
fronte non ha da star a fronte a morte.

82Qui d’Amiense il riverito vecchio
al di cui piè sacerdotal si piega
spesso il buon duce, et al cui fido orecchio
le sue tacite colpe apre e dispiega,
fatto di quel mortal fiero apparecchio
quasi presago, a ritirarsi il prega,
e gli ascrive ad error se custodita
in pro de’ suoi non è da lui la vita.

83«Signor,» dic’egli «al cui valor sovrano
regger quest’armi e queste genti è dato,
pensa che non guerrier ma capitano
sei de l’Europa in grembo a l’Asia armato,
e che ne l’opre sue gela la mano
se ’l capo che la regge indi è troncato,
e non voler con troppo ardente zelo
l’onor qui teco avventurar del Cielo.

84Al regno d’Antiochia e a la difesa
di queste altere mura ei ti riserva:
viviti adunque a la fatale impresa
e le difendi insieme e le conserva,
ch’in vano un ponte sol perder ti pesa
se vinta al fine ella ne resta e serva;
e restarà se tu qui muori, e a Dio,
per soverchia pietà, sarai men pio».

85A i detti a l’or del buon romito ei cede
e fa, ma lento a la città ritorno.
Ma il Persian, ch’avicinar già vede
l’eccelsa mole al maggior arco intorno,
lieve rivolge e fuggitivo il piede
a l’usato del campo ampio soggiorno,
ed ecco al solfo il chiuso ardor s’accoppia
e s’apre il legno in mille parti e scoppia.

86O Furie, o voi che del tartareo foco
siete gl’incendi a rimirar sol use,
voi l’alte stragi a dispiegar invoco
che fèr le fiamme entr’il suo sen racchiuse,
ché raro Apollo in fra gli abissi ha loco,
né l’acque d’Acheronte aman le Muse,
ma per cantar sì miserabil caso
è la stigia magion degno Parnaso.

87Per le barbare man d’empio architetto
ciò che l’arte formò l’arte dissolve,
e, bench’ei sia su gran pilastri eretto,
con gran forza il gran ponte urta e travolve.
In un cieco volume unito e stretto
quindi il fumo s’aggira, indi la polve.
Van fra le nubi i vasti marmi a volo,
ne trema il mondo e ne rimbomba il polo.

88Piomba nel fiume altri di loro, e scossa
così ne resta e tempestata l’onda
ch’alta ne sbalza e a l’infernal percossa
spruzza le mura e le riviere inonda.
Fa su ’l duro terren concava fossa
altri, cadendo, e in lei se stesso affonda,
e di sciolte minugia e tronche membra
un sanguigno macello il ciel rassembra.

89Primi a morte n’andàr quei che credero
trar dentro l’acque il gran vascello absorto,
e a un punto istesso ivi restò Gualtiero
con ogni suo guerrier lacero e morto.
Corpo non fu che si vedesse intero
aver nel suo morir tomba o conforto,
ma squarciati in più brani e sparsi al vento
nel non proprio giacean molle elemento.

90Agitan l’aria i gravi pesi, ed ella,
com’onda suol, con tortuose rote
se stessa intorno in questa parte e in quella
per l’aperte campagne agita e scote;
le durissime quercie apre e flagella,
che pria fur tanto a gl’altrui colpi immote,
e tutti al fin de le vicine selve
gli augelli uccide, e con gli augei le belve.

91Non v’è guerrier, per generoso o franco
ch’ei fosse pria, ch’a la gran madre in seno
non batta a l’or precipitoso il fianco
o non traballi a tanta furia almeno.
Sol Boemondo, impallidito e bianco,
nulla si fa, né per timor vien meno,
benché selce durissima e pesante
morto gl’atterri un suo valletto avante.

92Ma nel gran caso intrepido e feroce
più volte intorno il nudo ferro aggira,
e mentre una sì orribile e sì atroce
strage colà de’ suoi campion rimira,
volto vèr le ruine alza una voce,
non so ben dir se di pietade o d’ira,
e fra sé parla: – Io non credea che in guerra
suoi fulmini avesse ancor la terra,

93ma poiché gli ebbe pur, curisi omai
con sollecita man gli egri e i feriti,
e s’invidino quei che i puri rai
del vero Sole a vagheggiar son iti.
Gloriosi morìr, né fur già mai
più bei modi di morte altrove uditi.
Un rotto ponte a sì grand’alme e belle
sicurissimo diè varco a le stelle -.

94Volge ciò detto a riparar le mura
che scosse alquanto in quella parte ei vede;
rincora i timorosi e rassicura
i più costanti e li rafferma in fede.
Poi la nave fatal mirar procura
a cui l’Inferno un tal vigor già diede,
ma di mole sì vasta e sì superba
né pur picciol vestigio ivi si serba.

95E fu destin ch’ella se ’n gisse al fine
in scheggie minutissime dispersa,
perché nascosta entro le sue ruine
così fiera restasse arte perversa,
fin che di novo entro le sue fucine
l’architettò l’assediata Anversa,
e dirupar nel secol nostro un ponte,
poi la Schelda mirò, come l’Oronte.