ARGOMENTO
Perché d’Erminia la beltà non sia
tra i campioni di Persia esca di mali,
il saggio duce ad Aladin l’invia
e così acheta i fervidi rivali.
Demogorgon mastro di magia
manda ne la città turme infernali,
v’eccitan risse, sdegni e morti; al fine
quindi le fan fuggir schiere divine.
Il mago Demogorgone si offre a Corbano per molestare i crociati con la magia
1Erano in sen de la fumante arena
le stragi ancor de i cristiani impresse
quando, compita una sciagura a pena,
altro più grave affanno a lei successe,
e qual di varie annella alta catena
che se medesma in se medesma intesse,
così gemelli i persiani inganni
nascon fra loro, e intreccian danni a danni.
2Mago han costor che de gl’incanti è mastro,
bruno la barba et ispido la chioma,
il mauro Atlante e ’l battro Zoroastro
vince, e da lor Demogorgon si noma.
D’ogni occulto carattere e d’ogni astro
l’aspetto egli conosce e l’idioma,
e per legar del cieco Averno i numi
tratta con empia man verghe e volumi.
3A un suo sol cenno a due sue voci sole
sanguinosa si fe’ spesso la luna,
impallidissi in su ’l meriggio il sole
o spense i raggi, a pena sorto, in cuna.
Del mondo elementar tremò la mole,
la gran rota fatal spezzò fortuna,
et a le gravi altrui piaghe e ferute
resa si vidde in un pace e salute.
4Vassene questi a ricovrar Corbano
e in tal guisa orgoglioso a lui favella:
«Sire, d’esperta architettrice mano
ben degna, io già no ’l niego, arte fu quella
che tanto oprò, né mai l’ingegno umano
machina ordì più gloriosa e bella,
ma sovrumana e più mirabil prova
se pur t’aggrada, oggi tentar mi giova.
5In mezzo là de le cristiane genti
di pannico terror strage improvisa
io destarò co’ miei temuti accenti
sì che ne resti ogni lor schiera uccisa,
né fia vano il pensier, se tu il consenti,
ché certa è la speranza, odi in che guisa,
e sì vedrai quant’in valor prevaglia
ne’ suoi magici affar Persia a Tessaglia:
6ha l’immenso de l’uom vasto intelletto
un fonte original donde egli bee
come presente ogni lontano oggetto
ne le sue forme, o siansi buone o ree,
che fantasia presso i più saggi è detto,
ove nascon le forme, ove l’idee,
e dove, quasi in lucida figura,
l’alte imagini sue pinge Natura;
7ma la chiarezza lor turba sovente
e le rende men certe e più confuse
co’ suoi maligni umor febre cocente,
che ne l’egre sue vene altri racchiude,
o di gelido pur sogno nocente
tra gli oscuri vapori erran deluse,
e sovra ogni altri a intorbidar le vale
co’ suoi funesti orror larva infernale.
8Di notturni fantasmi empio consesso
quinci nell’aria è ch’adunar mi vante,
da cui sarà nel cristianesmo impresso
così d’ogni un di noi vivo il sembiante
ch’assalirà ne la città se stesso
come s’avesse i Persian davante,
onde in pugna civil tra lor scherniti
altri restino estinti, altri feriti.
9Così privi di capi e in parte scemi
lieve poi ti sarà spingerli a terra,
che tal le barbe e i rampolletti estremi
tronca il cultore, indi le quercie atterra;
né già disdice a i capitan supremi
oprar gl’incanti, usar gl’inganni in guerra,
ma sol ne l’armi e ne gli assedi è saggio
chi gran frodi congiunge a gran coraggio».
Arrivano però brutte notizie al capitano persiano: il campo è in subbuglio per Erminia, poiché tutti ne sono innamorati
10Già Corban l’approvava, e lieto il viso
e ’l guardo placidissimo e sereno
già volgeva vèr lui, quando improviso
le gran machine lor rompe Arideno.
«Signor,» dic’ei «io di non lieto avviso
e di furor non ben sopito a pieno
nunzio ti giungo, onde tu spenga al fine
fiamma che già minaccia alte ruine.
11Amor guerrier, che qual figliuol di Marte
in generoso cor spesso s’accende,
e che non men in fra le paci ha sparte
che là dove si pugna e si contende,
pria serpeggiò, poi penetrò con arte
nel centro ancor de l’asiane tende,
e così forte al fin l’arco vi stese
che ratto al sen de’ tuoi campion s’apprese.
12Arser d’Erminia i più gran duci, e n’arse
Idraspe anch’egli, uom sì feroce avante:
mirolla a l’or ch’a questo campo apparse,
e ne restò (chi ’l crederebbe?) amante.
Sovente ad essi ella s’asconde o scarse
volge le luci e rigido il sembiante,
e nulla anche le cal s’altri la guata,
ch’amata è sì, non riamante amata.
13Né già perciò da l’amorosa inchiesta
si sgomenta alcun d’essi o si ritira,
e come per grand’argine non resta
fiume già mai, ma seco sotto il tira,
così ciascuno a conquistar s’appresta
la bella donna a le cui nozze aspira,
e la siegue e la serve, e del rivale
ira in un punto e gelosia l’assale.
14Ma più di tutti al tartaro campione
la di lor concorrenza avvien che pesi,
e già per far con essi aspra tenzone
sfide e cartelli ha in su le tende appesi.
Pronte l’armi già son, scelto è l’agone,
già bollon gli odi entro i lor cori accesi,
e de gli scudi e de le spade al lampo
mormora già gravi tumulti il campo».
Corbano manda Erminia da Aladino a Gerusalemme, la principessa si dispera
15Se ne turba il tiranno e come deggia
porger riparo a un sì vicin periglio
ne la sua mente irresoluto ondeggia,
torbido il volto e nubiloso il ciglio.
Poi di Sion ne la superba reggia
la fanciulla mandar prende consiglio,
e perché il grave incendio indi non cresca
così la fiamma allontanar dall’esca.
16Et a ciò far anch’Ariden l’esorta,
pria che siegua fra lor strage e ruina,
sì che se stesso in vèr la tenda ei porta
dov’è l’antiochena alta reina.
Sorg’ella a l’or con la sua figlia e, sorta,
riverente l’accoglie e se gl’inchina,
ed ei l’abbraccia ufficioso, e poi
in tai detti le spiega i sensi suoi:
17«Reina, a te da le persiane spade
si combatte Antiochia e si tenzona,
tua sarà sol, s’ella pur vinta cade,
e tu n’avrai lo scettro e la corona,
ma la tua vecchia e l’altrui molle etade
lunghi disagi è a sostener mal buona,
e al vostro sesso inconvenevol parmi
più lungamente il dimorar fra l’armi.
18V’è ben Clorinda, è ver, ma chi di donna
l’opre può darle, i portamenti o ’l nome?
L’usbergo ella vestì pria che la gonna,
e ’l ferro anzi che l’or cinse le chiome;
non arde al sol, né mai fra l’ombre assonna,
così le membra a le fatiche ha dome.
Ma varia avete voi l’arte e la sorte,
nate fra gli agi e nodricate in corte.
19Dunque vèr la Giudea, dove Aladino
ha de la gran Gerusalem l’impero,
tu con Erminia tua prendi il camino
per breve e speditissimo sentiero,
che s’averrà che bellico destino
così vincer mi dia, com’io lo spero,
di novo ancor ti fia concesso in dono
l’antico regno, e riporrotti in trono.
20Schiera di miei guerrier guida ti fia
al re congiunto et a l’amiche mura,
ch’ogni scoscesa e malagevol via
renderanno a i tuoi piè piana e sicura.
Avrà il buon vecchio assai più fida e pia
del vostro regio onor custodia e cura,
mentr’io, che sol m’impiego e solo attendo
a i marziali affar, nulla ne prendo».
21Qual si restasse a l’ora Erminia e quale
con rostro acuto a lei squarciasse il core
avvoltoio fierissimo e mortale
pensilo chi per prova intende amore.
Tocco così da fulmine fatale
se innocente pastor cade e non more
dopo l’orrido tuon vivo si vede,
né d’esser vivo a se medesmo ei crede.
22Che farà l’infelice? I suoi martiri
tacer non puote e palesar non deve,
quindi in pianti si stempra, indi in sospiri,
come a raggio di sol falda di neve;
brama ch’ogni ora in ciel zoppa s’aggiri,
ché troppo il tempo a lei prefisso è breve,
ma la squadra pagana ecco se ’n viene
a convogliarla, e già partir conviene.
23La vecchia madre, a cui non è molesta
sì la partenza al patrio suol s’invola,
e la figlia, ch’indugia e che s’arresta,
sgrida e sprona al viaggio, e la consola;
né pur si move, e lagrimosa e mesta
mutola stassi, e non sa far parola.
Pur, indi astretta a dipartir veloce,
tal, gelata da duol, scioglie la voce:
24«O patria, o reggia, o ciel nativo, o mio
Cassan» diss’ella, e volse dir “Tancredi”,
«prendete omai con questo estremo a dio
gli ultimi sguardi e gli ultimi congedi.
Lunge me ’n vo, né più sperar poss’io
tornar regnando a le paterne sedi,
e chi sa poi quand’i’ vi torni, ahi lassa,
che vi ritrovi il cor ciò che vi lassa?
25Ei la più cara e la più nobil parte
di sé vi lascia, e la peggior se ’n porta;
l’alma mia nel partirmi in due si parte,
l’una resta con voi, l’altra m’è scorta.
Così con nova e con insolit’arte
men che viva mi parto e men che morta:
viva se rivedervi un giorno io spero,
morta se penso al mio perduto impero.
26Perduto impero, o quanto meglio ei m’era
non possederti mai ch’esserne priva!
Troppo perdei quando perdei primiera
la monarchia, la libertà nativa;
ma se mi festi già tua prigioniera,
crudo destino, e se fui già cattiva,
perché disciormi, a pena presa e vinta,
i cari lacci ond’ei godeva avvinta?
27Non potendo regnar, vivere ancella
in voi godeva, amate mura, almeno,
ed oh potessi in prigionia novella
a voi servendo or ricondurmi in seno!
Empia men mi parrebbe l’empia mia stella,
se questo avesse pur raggio sereno,
o comunque mi sia morir beato
s’ivi si more ancor dove s’è nato».
28Parla così con dubbi sensi, e finge
pianger la patria e ’l cavalier sospira.
Or con piè resoluto oltre si spinge
ed or, pentita, incerto il passo aggira.
éoscia di novo al dipartir s’accinge
e tre volte s’invia, tre si ritira.
Pur al fin parte, e per deserte spiagge
in poche aurore ad Aladin si tragge.
29Ma l’improvisa e subita partita
novi desta nel campo alti stupori,
e più fra lor i concorrenti irrita,
fatta cote a gli sdegni, esca a gli amori.
Li raccheta Corbano, e raddolcita
la furia ha in lor de i troppo vivi ardori,
et a chi pria l’antiochene soglie
fia che conquisti ei la promette in moglie.
Demogorgone evoca i demoni con un rituale di magia nera
30Morta nel mar cade la luce intanto
e rediviva in ciel l’ombra risorge,
e de la notte il tenebroso ammanto
ozio e riposo a ogni animal già porge
quando, veloce al destinato incanto,
poich’opportuna l’ora egli ne scorge,
vassene il mago, e la fallace e rea
dei fantasmi raduna empia assemblea.
31Ignudo il piè, fuliginoso il volto,
orrido il ciglio ed incomposto il seno,
e ’l mento e ’l crin con egual cura incolto,
di caratteri eoi stampa il terreno.
Al caldo e nubil Austro or sta rivolto
et or al Borea gelido e sereno,
e nel dubbio pensier tre cento impure
chimerizzando va note e figure.
32Un gran circolo al fin nel suol disegna
e dentro un gran pentagolo v’incide,
a punto qual ne gli elementi insegna
a noi formarlo il megarese Euclide:
un triangolo intier prima vi segna,
indi gli angoli suoi sega e divide,
e, ricorrendo a li entimemi usati,
indi ne trae l’egualità de’ lati.
33E questa sola in fra mill’altre elegge
perché sa ben qual abbia in sé virtute,
e come sempre dal tartareo gregge
sian le linee di lei là giù temute;
da lei di Stige e d’Acheronte han legge
i ciechi orror, l’onde solinghe e mute,
a lei s’arma l’Averno e riverenti
tutte servono a lei l’ombre nocenti.
34Su questa egli chinossi, e le primiere
bestemmie in questa a mormorar si pose,
Tremaro i poli e vacillàr le sfere,
e fuggissi ogni stella e si nascose.
Diresti: il ciel trabocca, il mondo père
così faccia tra lor mutan le cose.
Diresti: ah, no non parla no, ma tuona
alto così nel suo parlar risuona.
35«Aborti de l’inferno, impuri mostri
che più nature in varie membra unite,
man, braccia, branche, unghioni, artigli e rostri,
orrido onor de la città di Dite,
da i cupi suoi caliginosi chiostri
concilio informe, a le mie voci uscite,
uscite» ei disse «il cristallino velo
co i vostri spettri a lacerar del cielo.
36Per lo trifauce can, per la triforme
Ecate vi scongiuro, e per quel nome
che proferir non oso, a torme a torme
venite or qui con serpentine chiome,
e, varie di natal, varie di forme,
benché non esorabili e non dome,
correte a secondar le mie preghiere,
Lamie, Gorgoni, Arpie, Sfingi e Chimere»,
37disse, né pria finì ch’a lui comparve
l’immonda turba, e ’l fe’ contento e pago.
Ma chi potria le portentose larve
tutte narrar ch’ivi raccolse il mago?
Con sanne di cignale altra n’apparve,
altra con ceffo et omeri di drago,
altra si vide in fra le membra sue
piè di grifo portar, collo di grue.
38Quella congiunge in un sol corpo e mesce
a i ringhi di leon corna di toro,
e questa, qual serpe, in sé rientra e cresce,
ed ha creste d’argento e squamme d’oro;
quella piume d’augel, scaglie di pesce
con strano unisce insolito lavoro;
questa di tigre ha le sembianze e, mentre
di tigre ha il teschio, ha poi di capra il ventre.
39V’è tal ch’aspetto ha d’elefante e grande
la proboscide sua raggira e vibra,
e due grand’ali al ciel d’aquila spande
ombrose e nere, e sovra lor si libra.
V’è tale ancor ch’oscenità nefande
in sé congiunge, e si travolve e cribra,
e con spoglie ferine e con umane
comincia in donna e poi finisce in cane.
40Chi forma ha di camelo e chi di struzzo,
e chi d’orsatto ha le pupille e ʼl ciglio,
chi porta il muso più che lupo aguzzo,
chi di grifagno astor ruota l’artiglio,
chi d’irco infame ha il velo insieme e il puzzo,
e chi cervo somiglia e chi coniglio,
chi denti ha d’orche immonde e di balene
chi di rinoceronte il naso tiene.
41Molte han tre bocche, e da ogni bocca fuore
di sanguinoso umor versan tre fiumi,
molte d’impuro et infernale odore
paion volanti in ciel vivi volumi,
molte prive d’essenza e di colore
groppi di nubi son, globi di fumi,
e v’è più d’una ancor che senza membra
e senza forma un embrion rassembra.
42Mostro è tra questi al fin che di gigante
ha la statura, e sette fronti in faccia,
tre gran corpi sostien su due gran piante,
et ha con Briareo pari le braccia,
cinquanta spade impugna et altretante
immense targhe a sua difesa imbraccia,
e a lor trattosi avanti anch’egli a volo,
duce parea di quell’orribil stuolo.
43Ma le sospese in aria alte chimere
non pria Demogorgon vide adunate
ch’ «Ite» lor disse «a le cristiane schiere,
tutte in guerra civil volando armate,
sì che in proprio lor danno audaci e fiere
sian deluse da noi, da voi beffate».
Così comanda il negromante, ed esse
ne la muta città portan se stesse.
I demoni seminano il panico in città fomentando una guerra civile, solo una preghiera di Boemondo interrompe la strage
44Già del grand’arco suo le più supreme
parti nel ciel tocche la luna avea,
e già cedendo a le fatiche estreme
in dolce sonno ogni fedel giacea,
quand’ecco a l’or co’ suoi terrori insieme
giunge la turba ingannatrice e rea,
e, le publiche paci al mondo rotte,
cresce con l’ombre sue notte a la notte.
45«Guerra, guerra, ecco i Persi, arm, armi, guerra»
gridan confusi i cristiani a l’ora.
Altri lo scudo et altri il brando afferra,
socchiuso i lumi e sonnacchioso ancora.
Cieco ogni duce i suoi più fidi atterra
o sotto i fidi suoi vien che si mora,
e, affascinato il cor, polluto il ciglio,
s’abbatte, ahi scempio, il genitor co ’l figlio.
46Strage al fratel reca il fratello,e giace
piagato il cavalier presso il valletto,
né l’un con l’altro amico ha triegua o pace,
lacero il fianco e sanguinoso il petto,
e d’occhio mentitor sguardo mendace,
sì de’ sembianti lor falsa l’oggetto,
che credendo ciascun l’altro pagano
movonsi contro a funestar la mano.
47Dovunque altri si volga, in ogni parte
s’odon sol risonar fremiti e strida.
Erran le schiere e dissipate e sparte,
senza fren, senza legge e senza guida.
Cade ciascun sotto il suo proprio Marte,
chi s’arma, chi s’azzuffa e chi si sfida,
né v’è principe alcun cui quel nefando
stuol non deluda a dar periglio al brando.
48Sol fra lor Boemondo, o lo preservi
sua virtù propria o pur favor del Cielo,
da quegli aspetti orribili e protervi
liberi ha gli occhi e senza nube o velo,
e per salvare i suoi compagni e servi
tutto avvampa di sdegno, arde di zelo,
e perché in essi un tanto error s’estingua
maestosa così snoda la lingua:
49«Che moti» ei grida «e che furor son questi
ch’oggi in pubblico danno ardon tra voi?
trasognate dormendo o siete desti,
principi invitti e gloriosi eroi?
Udite i miei comandi, i miei protesti:
non lice aver a noi guerra con noi.
Dove son i Persian? Fermate, udite,
fermate, amici, o dove son mi dite;
50fermate» indi ripiglia, e frettoloso
in varie parti il capitan s’aggira,
ma più sempre crudele e sanguinoso
cresce il tumulto e strage e morti spira.
Ma poiché inalza gli occhi e ’l portentoso
stuolo infernal schierato in aria ei mira,
la cagion che gl’inganna e che gli accende
a la fiera tenzon chiaro comprende.
51Piega a l’or le ginocchia e riverente
ricorre al cielo, e ’l suo soccorso ei chiede:
«Signor,» dic’ei «ch’una colonna ardente
del popol tuo festi già scorta al piede,
sì che poteo là fra l’egizia gente
illeso andar dov’il portò la fede,
salva tu ancor questi guerrier e l’ombra
che sì ciechi li fa dilegua e sgombra.
52Tu fuga i rei fantasmi e tu discaccia
le già nemiche a te schiere rubelle,
tu rendi calma a l’alme, a i cor bonaccia,
tu l’armi affrena al tuo gran nome ancelle.
Sereno il cielo a un raggio tuo si faccia
e liete a un tuo sol guardo ardan le stelle,
e non voler che in sì spietate guise
restin fra lor queste tue greggi ancise».
53Ma il gran Dio de gli eserciti, che vuoti
gir mai non fe’ di pio guerriero i prieghi,
e che provido schermo a i suoi devoti
ne i perigli maggior non è che nieghi,
non pria di Boemondo ascolta i voti
ch’a le richieste sue vien che si pieghi,
e in suo soccorso una squadriglia alata
manda dal Ciel d’ardenti spade armata.
54Vengon per l’aria a vol spirti guerrieri
a saettar da gli stellati chiostri
i mostri oriental, come primieri
già saettàr de l’Aquilone i mostri.
Gli usberghi han di rubin, d’oro i cimieri
e su l’ali e nel sen porpore ed ostri,
e gemmati di rai, sparsi di luce
giungono in campo, et Orlandin n’è duce.
55Ben il ravvisa Boemondo, e seco
Ruggiero anch’egli, e per piacer ne brilla,
né più qual prima affascinato e seco
in lieto pianto il genitor si stilla.
Già fatta già di mille voci un’eco
suona il bel nome suo l’aria tranquilla,
e le squadre infernali ad un sol lampo
de la spada di lui cedono il campo.
56Ma già spunta d’intorno e già riluce
quell’ora d’or che poi fu detto aurora,
e con dita di rose e man di luce
già le cime de’ monti il sole indora,
quando tra i suoi feriti il sommo duce
vede i princi più grandi e se n’accora,
e dà pietoso in questo lato e in quello
ristoro a gli egri et a gli estinti avello.
57Indi a riordinar l’oste confusa
provido move ed anelante il piede,
e d’ogni schiera sua vinta e delusa
cangiate l’arme e gli stendardi ei vede.
Ciò ch’è del cavaliere il fante abusa,
ciò ch’è del fante il cavalier possiede,
né v’è pedon de l’armi proprie armato,
né v’è destrier del proprio fren bardato.
58Ne i più lontani ancor posti non loro
traportate colà s’alzan le tende;
ricchi cimieri in barbaro lavoro
su l’elmetto non suo questi sospende,
quei con guarda d’argento ed elsi d’oro
la spada altrui su ’l proprio fianco appende:
tanto pon far prodigiosi scherni
in nostro danno i ciechi spirti averni.
Idraspe propone di attaccare subito, Almansorre invece consiglia di aspettare che la fame porti gli assediati a rendersi, facendo infuriare il rivale: Corbano tranquillizza Idraspe concedendogli licenza di duellare con i campioni cristiani
59De i lieti intanto e fortunati eventi
che l’ordita sortì magica frode
su le ferite e su l’uccise genti
l’empio Demogorgon trionfa e gode.
Pronto l’accoglie e in cari abbracciamenti
Corban lo stringe e glie ’n dà gloria e lode;
son seco gli altri, ed in sermon sonoro
così Idraspe il gran Cam parla fra loro:
60«Signor, gran cose ha fatte il mago, e quali
non vide ancor co’ suoi tant’occhi il mondo:
armate in nostro pro larve infernali,
trass’ei qua su fin dal tartareo fondo,
n’ebbero i cristian danni mortali,
sì grave fu de le lor piaghe il pondo;
quinci molti di lor dubbie le vite,
o non ben chiuse ancora han le ferite.
61Ma che diran d’Europa i vasti imperi
là dove pur più si professa onore?
Vinser, diranno, i persian guerrieri
con gl’incanti ben sì, non co ’l valore.
Ah non fia ver ch’un sì gran scorno anneri
di nostre glorie il solito splendore:
odiamo, in guerra, odiam tal arte, e vaghi
siam del titol d’eroi più che di maghi.
62Dimmi: a che trar da tanti regni e tanti
un mondo intero a queste mura armato?
Se guerreggiar volei sol con gl’incanti
bastava aver Demogorgone a lato.
Ma non cred’io che di sì bassi vanti
portar tu voglia il regio crin fregiato.
Lunge, ah lunge da noi sì gran viltade,
e cedano le verghe oggi a le spade.
63Su dunque, or che s’indugia? e qual si prende
a l’assalto di lor lunga dimora?
Su, le mura approcciam, lasciam le tende,
e da noi vinto ogni cristian si mora,
e in quell’ora che in ciel se stesso accende
Lucifero rotato e ’l dì colora
su ’l più bel fiammeggiar de l’Oriente
strage portiamo a la città languente.
64Quai ripari il nemico e quali schermi
aver potrà da le persiane spade?
Altri estinti di loro ed altri infermi
co i corpi esangui ingombrerai le strade;
altri smarriti, altri del tutto inermi
a i nostri piè supplicheran pietade,
che se ciò far dinieghi io ti protesto
inopportuno ogni altro tempo a questo».
65Alzossi a l’ora, e «Troppo vario è il mio
dal tuo vano pensier,» disse Almansorre,
«sì ben munito il muro ostil vegg’io
e così insuperabile ogni torre
che poco approvo il tuo guerrier desio,
né vi piega il mio cor né vi concorre,
ch’assalir, ch’espugnar città difesa
dubbia fu sempre e perigliosa impresa.
66Né già lodo però che le magie
sian le nostr’armi e che con lor si pugni,
anch’io teco aborrisco arti sì rie
e bramo sol ch’ignudo acciar s’impugni,
ma certe abbiamo e più sicure vie
onde Antiochia oggi per noi s’espugni,
e tosto a secondar le nostre brame
per noi con lei guerreggerà la fame.
67Andran, non andrà molto, a lei mandando
per tante schiere i debiti alimenti,
e noi senza rotar fra loro il brando
trionfarem de le nemiche genti.
Forse verran per l’ocean volando
le vettovaglie in su le penne a i venti?
E quando vengan pur, chi ne le porte
de la chiusa città fia che le porte?».
68Ma non senza furor né senza sdegno
Idraspe ascolta un così vil consiglio,
e come il trae ferocità d’ingegno
volge irata al lingua e bieco il ciglio:
«Trofeo» soggiunge «è di grand’alma indegno
ivi pugnar dove non è periglio,
ché nel bel sen de’ marziali onori
han l’asciutte vittorie aridi allori.
69E qual gloria avrem noi se ’l cristiano
famelico si rende? Io qua non venni
per combatter sedendo; ho core, ho mano
da sostener ciò che talor sostenni,
ma poiché spargo ogni mio detto in vano,
sia pur a l’arme altrui legge i tuoi cenni,
che lasciando il tuo campo ecco al mio regno
io già me ’n torno», e di partir fe’ segno.
70Ma Corbano il rattenne, et «Opportuno
tempo» gli disse «al tuo coraggio avrai,
e pria che rechi il suo mortal digiuno
a l’afflitta città gli ultimi guai
tu qui fra tanti e tanti duci alcuno
a propria elezion sfidar potrai,
che in questo solo a le tue brame io cedo
e questa grazia al tuo valor concedo».
71Tacque ciò detto, e ’l tartaro arrogante
placossi alquanto e ’l suo partir sospese,
così l’ingegno suo vive anelante
di non vulgari e sanguinose imprese.
Ma d’altra parte il persian zelante
ch’espor non vuolsi a troppo certe offese,
quasi aspettando la futura inedia
con lento piè la gran cittade assedia.