ARGOMENTO
De l’alta Eternità l’antro fatale
accoglie a un punto i già dispersi amanti,
qui de’ Farnesi eroi sorte immortale
leggon in fronte a i secoli volanti;
riedon in Antiochia indi su l’ale
di nube tal che non paventa incanti.
Perché tronchi la guerra un solo agone
tre modi al perso re Pietro propone.
Gildippe e Odoardo si ritrovano alla caverna dell’Eternità, la quale mostra loro raffigurati su statue i loro successori Farnesi
1In parti remotissime e lontane
tra le viscere sue se stessa interna
non che a le piante anche a le menti umane
oscura e inaccessibile caverna,
madre de gli anni e de l’età mondane,
scola immortal, regolatrice eterna,
che ’l mondo regge e con perpetui esempi
manda e richiama a l’ampio seno i tempi.
2Abbraccia l’antro intorno e gli orbi snoda
del ventre suo divorator serpente,
che ’l tutto strugge, e con occulta froda
rota a i danni de l’uom tacito il dente.
Verde è di squamme e la volubil coda
muto si morde, e incanto altrui non sente,
ma, di se stesso insiem padre et erede,
sempre girando onde partì se ’n riede.
3Stassi Natura al limitar davante
portando in un sol sen cento mammelle,
e da lor pende un lieve stuol volante
d’anime pargolette e tenerelle.
Venerabil di volto e di sembiante
scrive il vecchio fatal leggi a le stelle,
e nota i corsi alterni e le dimore
onde qua giù si vive, onde si more.
4Or qui condotti, e ne la soglia affisi
senza saperne il magistero e l’arte,
in su le nubi lor sono improvisi
i duo temuti fulmini di Marte.
Si rimiran più volte intenti e fisi
né dal mirarsi alcun di lor si parte,
e con egual diletto e meraviglia
tengono immoto il piè, ferme le ciglia.
5S’inchinan poscia e con bei modi onesti
passan fra loro affettuosi uffici:
spiran de i casti amanti i moti e i gesti
di gioia e di piacer spirti felici,
narran de i casi lacrimosi e mesti
le mal tessute già tele infelici,
e, bel soggetto a fortunata istoria,
de la serbata fé ciascun si gloria.
6Spontanee intanto il nobil antro a loro
le porte d’adamante apre e disserra,
e il sepolto palesa ampio tesoro
che nel suo vasto sen racchiude e serra.
Di quattro donzellette un picciol coro
scherza ivi dentro a prima fronte ed erra,
e del mondo primier l’età son questa
c’han di vario metallo aspra la veste.
7Altra d’oro fiammeggia, altra d’argento,
altra di ferro, altra d’acciar risplende.
Donna siede fra lor d’alto ornamento
che se medesma sol mira e comprende;
tessuto del più mobile elemento
un bianco velo a gli omeri le pende,
e con la destra man globo sostiene
che ’l tutto abraccia e il mondo in sé contiene.
8Or questa li riceve, et è sua cura
esser di loro ospite insieme e duce;
entrano quei ne la magione oscura
dietro l’orme di lei che li conduce.
«Quella che là mirate è la Natura»
dic’ella a lor «che tutto a voi produce,
e il Tempo è quegli, che in minuta polve
ogni cosa prodotta al fin dissolve.
9Io poi son di quest’antro alta reina,
principio e fin d’ogni creata cosa,
in me comincia il mondo e in me confina,
e ’l tutto ascondo e son del tutto ascosa;
ombreggio qui l’Eternità divina
che in Ciel ne i moti suoi mai non riposa,
e qui sculte le statue intorno stanno
di quei che fur, che sono e che saranno.
10Non fia già ch’io vi narri e ch’io vi mostri
ch’a voi nulla ne cal, stirpe straniera,
né men vi spiegarò de gli avi vostri
già nota a voi l’origine primiera,
ma sol d’entrambi in questi eterni chiostri
v’additarò la gran sembianza altera
e le famose idee di quella prole
che sarà chiara ovunque è chiaro il sole».
11Così favella, e in bianco marmo impressi
scopre congiunti i lor nati sembianti,
onde in quel sasso alpin miran se stessi
com’altri suole a terso acciaro avanti.
Alto stupore a quei sì strani eccessi
ingombra il cor de’ fortunati amanti,
indi comincia in suon verace e saggio
la tela a dispiegar del gran legnaggio:
12«Questi che qui mirate è il primo Piero,
da i Pontefici amati e caro a i regi,
cui per man di Corrado il Sacro Impero
dona d’alto valor bei privilegi.
Tutelare, imbrandir ferro guerriero
pe ’l romano Pastor sono i suoi pregi
e abbatte altier quasi su i piè di Roma
l’oste d’Enrico soggiogata e doma.
13Di nome sì, non di virtù secondo,
l’afflitta Chiesa un atro Pier difende,
e in su ’l tosco colà lido fecondo
Cossa restaura, e a i prischi onor la rende.
Prudenzio ancor, nato de l’armi al pondo,
co’ fuoriusciti suoi pugna e contende,
né Lucca e Siena e l’alta Pisa insieme
né del grande Enobarbo i moti ei teme.
14Il terzo Pietro ecco si mostra anch’esso,
a pro d’Orvieto intrepido e costante,
ch’aver in patria i Tolomei rimesso
tra mille glorie sue par che si vante.
Pepo gli è figlio, a cui dal Ciel concesso
è con invitto cor nobil sembiante;
de i congiurati eroi confuso e misto
scioglie lo stuolo, e fa di Sala acquisto.
15Ranuccio è quei ch’a l’anglo re diletto
scorta gli fa ne la tirena reggia;
vie più d’un luogo al Vatican soggetto
rende nel Lazio e per lo Ciel guerreggia.
Nome senza natal, senza soggetto
per la misera Italia intanto ondeggia,
e Guelfo Achille in riva a l’Arno ei corre
a trionfar del ghibellino Ettorre.
16Onusto il sen di bellicosi arredi
ecco un altro Ranuccio, a la cui mano
dal furor del germanico Manfredi
vien dato in cura il combattuto Urbano.
Toglie Bisenzio a l’emulo Tancredi
che seco gareggiar pretende in vano,
rintuzza al fin di Corradin lo sdegno
su ’l bel Sebeto, e salva a Carlo il regno.
17Senso, che sensi ha di pietà guerriera
e sol se stesso in esser forte imita,
consacra il Tebro ogni sua fida schiera,
di gloria avaro e liberal di vita.
Su la partenopea ricca riviera
Nicolò porge a gli Angioini aita,
e serenando ogni mortal tempesta
su l’italico Faro i Franchi innesta.
18Tre altri Pietri, a i lor grand’avi eguali,
ecco vi mostro in un bel groppo uniti:
vitoriose l’un spade fatali
fa balenar sovra i toscani liti,
fulmina l’altro a i fulmini mortali
de i Visconti sottrae rotti e smarriti,
vince il terzo i Pisani e trionfante
a la sua Flora in sen volge le piante.
19Stola e stocco di pari, elmo e tiara,
or capitano or principe or pastore,
treccia il buon Guido in union sì rara
ch’emulo a la bontà vanta il valore.
Bertoldo poi, di saggia prole e chiara
bella fecondità fa genitore:
Mario, Fabbio, Ferrante i germi sono
dati dal fato al nobil tronco in dono.
20Ranuccio il terzo in ordine succede,
poderoso di man, pro di consiglio,
Eugenio a lui la Rosa d’or concede,
ed ei l’intreccia al suo nativo giglio.
Pier Luigi seguir quindi si vede
chiaro per sé, ma più pe ’l proprio figlio,
che può dal Gaetan sangue fecondo
i Pontefici ancor produrre al mondo.
21Ne i latini comizi, ove ristretto
il purpureo s’aduna alto Senato,
a i sommi onor, pria che proposto, eletto,
reggan Alessandro al sacro soglio alzato.
Tre lustri poi, colmo di zelo il petto,
da i più possenti re vive adorato,
e con modi magnanimi e benigni
nutre gli allori e fa purpurei i cigni.
22Di Castro e poi di Parma alte corone
colà del Po fin su la regia riva
a Pier Luigi suo su ’l crine impone
Paolo, il gran padre, e poco avvien ch’ei viva:
ne la sua reggia ancor ferro fellone
d’anima sì, ma non di gloria il priva;
cede Piacenza, e, dal gran caso astretta,
l’aquila augusta entro il suo sen ricetta.
23Tra i cardini immortali a cui s’aggira
il cattolico mondo in terra appeso,
il secondo Alessandro ecco si mira
de la porpora anch’ei cavarsi al peso.
Tra i più famosi eroi Roma l’ammira,
se parla un Tullio, e se poi dona un Creso,
et in suo pregio e in altrui pro si scopre
un Nestore a i consigli, un Numa a l’opre.
24Candida croce e poi vermiglio ammanto
Ranuccio il quarto anch’ei si cinge al seno,
ma di sua vita in su ’l merigge è pianto
e sembra l’ostro suo quel d’un baleno.
S’unisce Orazio a la sorella intanto
del re de’ Franchi, e corre armato al regno,
e, vinto Edin, su le guardate porte
a prezzo di valor compra la morte.
25Eccovi Ottavio, il glorioso duce,
temuto in fasce e riverito in cuna;
giovinetto si porta e si conduce
ove grand’oste in Ungheria s’aduna,
adulto poscia a sostener s’adduce
strane peripezie d’alta fortuna,
ma gli rafferma al fin Giulio il ducato,
e sposa Austria gli dà, Gallia lo stato.
26Titolo di reggente ha Margherita,
prima de l’Arno e poi del Po splendore,
ch’a la gran lorenese è preferita
così come di merto anche d’onore.
Saggia oltre il sesso et oltre gli anni ardita,
pronto ha l’ingegno e generoso il core,
ond’è ch’a suo favor Carlo la scelga
là su la Mosa a trionfar del Belga.
27Regna quivi e trionfa e poi si parte
e la reggenza a sostener di lei
Alessandro se ’n va, l’italo Marte,
ch’ovunque move un piè stampa i trofei.
Chiaro fu men del guerreggiar ne l’arte
il macedone eroe su i lidi achei;
grande in Asia fu quegli, e questi spande
nome in Europa assai maggior che grande.
28Va due volte per lui rotta e dispersa
l’oste fiamminga in marzial tenzone,
fuma la Fiandra d’atro sangue aspersa
al fulminar de l’immortal campione;
al gran Bruselle, a la famosa Anversa,
a Mastrich, a Gandavo il giogo impone;
Parigi a liberar poi move il passo,
e, ferito in Roan, more in Arasso.
29Del sangue di Braganza alteri e chiari
tragge il quinto Ranuccio i suoi natali,
va su la Senna, onde a condurre impari
del genitor gli eserciti reali,
e anch’ei varcando le provincie e i mari
mostra a gli spirti suoi spiriti eguali;
riede in Italia, e spesso Europa il face
arbitro de la guerra e de la pace.
30Ma volgete a mirar gli ultimi sguardi
tutti in compendio i gran Farnesi eroi,
in quei famosi e gemini Odoardi
che il nome co ’l valor prendon da voi:
il primiero di lor move non tardi
a l’auge de gli onori i raggi suoi,
e in ostro distillate alza su ’l crine
degne di sé le dignità latine.
31L’altro di Parma apre su ’l soglio aiuto
ricchi teatri a la real consorte,
e, coraggioso insieme et erudito,
trono accoppia a liceo, cattedra a corte.
Due volte in campo a cimentarsi uscito
nome d’invitto ottien, titol di forte;
se de la spada il glorioso pondo
spesso impugnasse, avria nel pugno il mondo.
32Foran le Fiandre a lui breve confine
se gisse d’armi a trionfarle onusto,
e l’Indie al suo valor, le Palestine
sarian di poca terra angolo angusto.
Se cinge l’elmo o se ’l diadema al crine
grande è ne gli atti e ne l’aspetto augusto,
e nel chiaro seren d’ogni pupilla
gli scherzano i trofei, Marte gli brilla.
33Seco è Francesco, il suo minor germano,
di fama no, benché d’età minore;
mostra, benigno eroe, principe umano,
maturi i frutti in su l’aprir del fiore.
Altre poscia albeggiar più di lontano
si rimiran fra lor picciole aurore,
soli abbozzati e c’hanno a i gran viaggi
molle la luce ancor, teneri i raggi».
34Così ragiona, e la contempla e l’ode
con suo diletto insieme e con sua gloria
la bella coppia, e si rallegra e gode
al gran tenor de la futura istoria.
Notan d’ogni nipote invitto e prode
ogni felice impresa, ogni vittoria,
e sì la vista lor vien che gli alletti
che partir non si san da i cari oggetti.
La tempesta scatenata dal mago Zoroastro per impedire il loro rientro in città è girata da Dio sui Persiani stessi, e ne fa strage
35Pur si partono al fine, e gli accommiata
l’Eternità su le sassose soglie,
e, non so come d’improviso alzata,
novella nube ambi nel sen raccoglie,
né così ratta in ciel la schiera alata
de gli spirti vassalli Eolo discioglie
come lieve ella va là dove in guerra
geme Antiochia entro l’assiria terra.
36Su gli occhi de i Persian passano intanto
i duo guerrieri, e ogni un v’affisa i guardi;
restano a prima fronte immoti alquanto,
indi vibran vèr lor pioggia di dardi;
stimano al fine un portentoso incanto
quell’invincibil nube i più gagliardi,
e che si deggia il capitan concorre
magia contro magia pugnando opporre.
37Poi Zoroastro il saggio mago appella,
e giunto a lui «Vanne,» gli dice «e desta
per l’aereo sentier fiera procella
al passeggiar di que’ ladroni infesta.
Movan guerra a la coppia audace e fella
cieco turbo nel ciel, dura tempesta,
e in tua virtude a i Persiani incanti
le cristiane malie cedano i vanti».
38Ubbidisce il gran vecchio, e frettoloso
corre con folto stuol là ’ve si chiude
in luogo romitissimo ed ascoso
il pigro umor di torbida palude;
qui, con ciglio temuto e rigoroso,
co ’l crin bendato e con le piante ignude,
chiamando i mostri a sé da i lidi stigi
le bestemmie incomincia e i suffumigi.
39Magiche polvi et incantate paste,
sozzi bitumi e sassi infranti e rotti
indi vi getta, et ossa infette e guaste
di putridi cadaveri corrotti.
D’immondi spirti immense turbe e vaste
poi cita a l’opra, e con temuti motti
e con possenti carmi a gl’infelici
al fin gli astringe et odiosi uffici.
40Portano queste ubbidienti e pronte
ampi falci di verghe oscure e nere
da le sponde di Stige e d’Acheronte
de l’incantato mago a le riviere;
le prende il mago, e con ardita fronte
poi le dispensa a le più fide schiere,
et impon che con esse in ogni lato
sia percosso lo stagno e flagellato.
41In sé medesma si contorce e sbalza
l’onda agitata, e bolle insieme e spuma,
e quanto più co i colpi suoi l’incalza
lo stuol percotitor, più ferve e spuma;
grossi e folti vapori al cielo innalza,
il cui torbido umor sol non consuma,
ma per gli ampi de l’aria umidi campi
s’ammassa in nubi e folgoreggia in lampi.
42Poi con le verghe istesse uniti insieme
se ’n van l’aure a sferzar lievi et algenti.
L’una e l’altra pe ’l ciel s’urta e si preme,
rotata in turbi e sprigionata in venti:
quinci Austro, indi Aquilon sibila e freme,
e si chiaman fra lor quasi a cimenti,
e con orrendi e strepitosi suoni
tra le braccia a i balen scoppiano i tuoni.
43Quindi al soffiar de’ furiosi fiati
una strage di nuvole si mira,
ma sovra tutte l’altre, in vari lati
quella che porta i duo guerrier s’aggira.
A naufragar vicini e tempestati
da i nembi algenti ogni un di lor sospira,
pur confidano in Dio, cui le procelle
ne l’empirea magion servon d’ancelle.
44Né confidano in van, ch’Ei li conduce
in region più alta e più serena,
dove raggio solar sempre riluce
e dove mai non tuona e non balena;
flagella i flagellanti e li riduce
quinci a pagar la meritata pena,
e contra lor con giusta man riflette
le grandini, i diluvi e le saette.
45Tuona il ciel, trema il suol l’aria rimbomba
d’orribile armonia che ’l mondo assorda,
e qual esce talor sasso da fromba
palla da canna o pur quadrel da corda
così su i Persian trabocca e piomba
granguola impura, impetuosa e lorda,
che miete i campi e molti ancor dissolve
del malefico stuol ridotti in polve.
46Fulmini sovra lor cadono al fine,
vari di forma e di diverso effetto:
altri con strepitose alte ruine
spezza l’usbergo e non offende il petto,
atro co ’l vampo incenerisce il crine
e illeso da l’ardor lambe l’elmetto,
e de l’acute spade altri disfatto
strugge l’acciaio e lascia il cuoio intatto.
47Quinci al piombar de’ folgori ritorti
resta più d’un miseramente oppresso,
e fra ’l nemico al Ciel vulgo de’ morti
morto riman più d’un campione anch’esso.
Giustizia eterna, o come mal sopporti
de l’altrui colpe il troppo grave eccesso!
Muoiono gli infelici e in un baleno
torna l’aria tranquilla e ’l ciel sereno.
I due eroi entrano in città, Gildippe ottiene il matrimonio
48Scopresi a l’or novellamente ancora
la nuvoletta entro il cui bel soggiorno
fa la coppia gentil vaga dimora,
dubbia scorrendo a l’alte sfere intorno.
Co ’l pennel de’ suoi raggi il sol l’indora
e cresce luce al ciel, splendore al giorno,
ed ella in Antiochia il vol distende
e lieve in seno a la città discende.
49O quanto gode ogni cristiano, o quanto
al giunger loro avvien che s’assecuri!
Più d’un eroe corre veloce intanto
il lieto aviso a ravvisar su i muri.
Si dilegua la nube, e in ricco ammanto
smontano a terra i duo campion sicuri;
vanno al lor duce, ei con serena faccia
entrambi accoglie e caramente abbraccia.
50Le gloriose tele e peregrine
spiegano a lui de’ lor passati affanni,
e le morti fierissime e vicine
e i novi amori e gl’infernali inganni,
e quel, sentendo i rischi e le rapine
da lor sofferte in su l’april de gli anni,
del fragil sesso e de la molle etade
mostra in tanti martir giusta pietade.
51Poi dice loro: «O fortunati, a cui
sì largo campo già diede fortuna
di provar voi medesmi a i colpi sui
fin da le fasce ancora e da la cuna!
Formando voi, racchiuse il Cielo in dui
ciò che in mille talor sparge e raduna,
ond’io, che ’l vostro merto amo et onoro,
premio degno di voi da lui v’imploro.
52E s’a tanto valor dono mortale
ampia si può chiamar giusta mercede,
ciò che puote il mio regno e ciò che vale
tutto vi do, s’ei pur da voi si chiede».
Gildippe a l’or: «Da la tua man reale
io non chieggio tesor, ma chieggio fede:
del bramato già premio una tua serva,
signor, compiaci, e le promesse osserva.
53Se libero Odoardo a te davante
o qui traea, le nozze sue chiedei:
or sposo il vo’, come già l’ebbi amante,
sono i connubi suoi tesori miei».
Lieto nel core e grave nel sembiante
Boemondo gentil volgesi a lei,
poi dice: «È giusto, anzi da me si loda
che chi l’ha conquistato anche se ’l goda.
54Odoardo sia tuo, s’esser pur vuole,
ch’io ti concedo il glorioso acquisto.
A coniugio sì bel facella il sole,
talamo il cielo et Imeneo sia Cristo.
Di viril stirpe e di feminea prole
vanti felice e glorioso un misto,
e tronco sì famoso e sì fecondo
non manchi mai se pria non manca il mondo».
55Se gl’inchina la dama e riverente
grazie gli dà del desiato dono,
e dirgli a un punto il cavalier si sente:
«Il premio no, ma il premiato io sono».
Ma già di sì bell’opra impaziente
con sollecito piè scende dal trono
ov’egli altrui dà legge, e li conduce
nel sen del maggior tempio il sommo duce.
56Quivi i duo gran pastori e ’l buon romito
cinto di sacre e preziose spoglie
stringon di sfera d’oro ad ambi il dito,
che per volger d’età mai non si scioglie.
Poi fanno a ciascun d’essi il gran quesito
esplorator de le più cupe voglie,
e già quel sì da ogni un di lor si dice,
quel sì fatal cui ritrattar non lice.
57Ma con atto di fede e di pietade
giura ciascun di rimaner pudico
fin ch’al rotar de le cristiane spade
cede Antiochia il persian nemico.
Nulla gente mai vide e nulla etade
celibato sì bel nel mondo antico,
voto sì raro e castità sì pura
fia chiaro esempio ad ogni età futura.
58Applaudon poscia i principi più grandi
a tante nozze e le più basse genti,
e tra i fasti più chiari e memorandi
pongon sì lieti e fortunati eventi.
Quinci di sobri suoi piccioli prandi
il saggio capitan li fa contenti,
e nel commun bisogno a lor dispensa
la povertà de la sua parca mensa.
Odoardo propone che si risolva la guerra con un duello singolare o con una battaglia campale, tutti accettano e Pietro va a fare l’ambasciata
59Indi narra il disagio onde trafitti
sono i fedeli e ch’ognor più gli assedia,
la penuria mortal spiega de’ vitti
e ’l pallido digiun, la dura inedia.
Dimostra al fin de i poverelli afflitti
il duol commun, l’universal tragedia,
e rivolgendo ad Odoardo il ciglio
chiede opportun dal suo valor consiglio.
60Risponde il cavalier: «S’oggi a me lice,
qui, dove aperta è del regnar la scola
su ’l publico di noi stato infelice
movere accento, articolar parola,
dirò che lungamente a noi disdice
de l’armi perse esser trastullo e fola,
e che conviensi ad un guerriero invitto
aver fame d’onor più che di vitto.
61Famelica così tigre africana
cui stuolo cacciator circonda e stringe
non codarda però muor ne la tana,
ma contra quelli intrepida si spinge,
altri fère, altri uccide et altri sbrana,
e tutta al fin nel sangue lor si tinge,
poscia co’ veltri infellonita e fera
la sua ferocità fa vivandiera.
62Dunque usciam dal covile, e coraggiosi
in più felici imprese e memorande
senza più star tra queste mura ascosi,
procacciam le vittorie e le vivande.
Lusureggian colà cibi odorosi
e ciò che manca a noi da lor si spande:
se in nobil pugna avrem di lor vittoria
avremo insieme et alimento e gloria.
63Manda quinci Corbano i messaggieri
proposta a far ch’esser dovrebbe accetta,
ch’o ne le sole man di duo guerrieri
la somma de le cose oggi si metta,
o sia di pochi e degni cavalieri
d’ambe le parti una sol squadra eletta,
o un oste contra l’altra in campo armata
oricalco orator citi a giornata.
64E i patti sian che se i Persian vincenti
saran, questa città da noi si ceda,
ma se poi rimarran vinti e perdenti
lascino al fin di più sperarla in preda,
né più infestando le cristiane genti
entro il suo regno il gran Corban se ’n rieda,
et in Soria non sol, ma sia concesso
libero in Palestina a noi l’ingresso».
65Soggiunge poi: «S’a la fatale impresa
un sol guerrier s’elegge, esser vogl’io,
s’a terminar la marzial contesa
van più campioni, andar fra lor desio,
e se in campagna a la battaglia accesa
non fia no chi mi tolga il luogo mio.
Pronto così di sodisfare ho speme
al tuo servigio e a la mia gloria insieme».
66Approva il capitan l’alto pensiero
del saggio prince, e glie ’n dà lode e merto;
l’approvan gli altri ancor, né v’è un guerriero
che in così grave affar vacilli incerto.
Già nel canuto e venerabil Piero
cade ogni voce et ogni voto aperto,
e nel parlar di Persia ignoto e stranio
per interprete suo gli danno Erbanio.
67Parte il santo eremita e seco porta
riverenza e timor, speranza e fede,
e per uno scudier che gli fa scorta
di parlar con Corbano agio richiede.
Condotto è poi per via sicura e corta
dov’egli in maestà regna e risiede,
e senz’atto d’ossequio a lui d’avante
ferma al soglio real l’ignude piante.
68Stupiscono i Persian de l’uomo incolto
a le maniere, a i portamenti, a i moti,
e al ciglio irsuto et al barbuto volto
et a l’umil vestir restano immoti,
e, senza tema, al capitan rivolto,
del suo venir i sensi a lui fa noti:
«Signor (gli dice), ambasciador son io
mandato a te da i principi di Dio,
69anzi da Dio medesmo a te mandato,
che di Dio più che d’altri oggi è l’impero.
Quell’Antiochia a cui tu pugni armato,
come nostra dal Cielo a noi fu resa,
lasciala dunque in pace, e in altro lato
volgendo il piè non più recarle offesa;
ella è città di Cristo, e il Persiano
senza titolo alcun diella a Cassano.
70Che se da te pur penetrar si vuole
chi sia Dio, chi sia Cristo: egli è il fecondo
verbo immortal che la terrena mole
creò di nulla, e ch’è signor del mondo.
Egli è quel pio che de l’umana prole
portò le colpe, e gli fu lieve il pondo,
quegli ch’or ne sostien, quegli ch’a torto
non men per te che già per me fu morto.
71Ma se lunge da l’armi è la pietade,
e in guerra il dritto e la ragion non vale,
glorioso io ti porto alte ambasciade
degne d’eroica man, d’alma reale:
sia foro il campo e giudici le spade,
e si vedrà chi di valor prevale.
Senti, e fia sì gran lite oggi composta,
è tua l’elezion, mia la proposta:
72se in una sorte sol coppia guerriera
comprometter la pugna oggi tu vuoi,
o se sceglier ti giova invitta schiera
per tal cagion di coraggiosi eroi,
o s’hai desio che tutta l’oste intera
un dì s’accinga a cimentar fra noi,
tutto a i principi miei piace et aggrada,
ché sol non ha ragion chi non ha spada.
73Premio sia la città del vincitore,
partir quindi repente il vinto deggia,
e s’avrem noi del vincerti l’onore
avrai tu da tornar ne la tua reggia,
sì che libero il passo a tutte l’ore
ci resti a gir dove Sion torreggia.
De i proposti partiti or ti consiglia
co’ tuoi campion, e qual più vuoi t’appiglia.
74Ben ti rammento sol che le tue squadre,
né mi spinge util mio ma tua salute,
guerreggian con quel Dio ch’a tutti è padre
e non teme d’assalti e di ferute.
Tra l’ombre tue caliginose et adre
t’apre un raggio di luce, e tu il rifiute?
Sente cader sovra il suo capo il telo
e nulla fa chi scaglia i dardi al cielo».
Corbano vorrebbe rifiutare, ma nulla può per arginare lo zelo di Idraspe e dei suoi generali, che votano per accettare la disfida crociata
75Ciò detto ei si ritira, e al gran consesso
così favella il capitan supremo:
«Popol prigion, da dura fame oppresso
e tratto di sua vita al punto estremo
con nova baldanza e strano eccesso,
quasi distrutto in buona parte e scemo,
osa propor partiti a chi maggiore
è d’ingegno, di forze e di valore?
76E noi senza vergogna e senza sdegno
cheti l’udiam, né fia ch’alcun vi pensi?
Chi troppo chiede è di risposta indegno,
né udir proposte a un vincitor conviensi.
Dunque vorrem porre in bilancio un regno
et avrem per ciò far spiriti e sensi?
Uccidere o domar tutte son glorie,
e le vittorie fur sempre vittorie.
77Già di fame son morti e in breve al fine
si renderanno a noi servi e soggetti,
quinci aspettiam le prossime ruine
né lusinga di gloria altra n’alletti.
Elle omai son sì certe e sì vicine
ch’io già ne veggio i desiati effetti.
Voi principi però libero aprite
qualunque siasi il vostro senso e dite».
78S’inalza Idraspe a l’or, quel coraggioso
c’ha sempre vasto il cor, vaste le brame,
e dice: «A un sen guerriero e generoso
ogni asciutta vittoria io stimo infame;
qui dunque giacerommi in vil riposo
e in vece mia combatterà la fame?
No non fia vero, ho mano, ho core, ho brando
che basta sol per trionfar pugnando.
79Rifiutar i duelli e le giornate,
ricusar i cimenti e le tenzoni
chi non dirà bassissima viltate
d’effeminati e timidi campioni?
Oh di prodi guerrieri opre onorate
sprezzar gli arinchi et odiar gli agoni,
e aspettar che ’l nemico a poco a poco
muoia di febre inlanguidito e fioco!
80Non so veder come da noi si speri
fuggir l’offerta e non gradir l’invito.
Quella ch’a noi recaro i messaggieri
disfida dèe chiamarsi e non partito;
io per me ne’ miei degni alti pensieri
non mi ritrovo ancor tanto avvilito
ch’io tema a pro commune oggi provarmi
con chi che sia nel paragon de l’armi.
81S’accetti adunque il singolar duello
ch’oggi ne vien da i cristiani offerto,
et io, se tu no ’l vieti, esser vuo’ quello
che mova il braccio invitto e ’l pied’esperto.
Ben merto anch’io di conseguir l’appello
se il ben servirli appo i monarchi è merto,
né già negar un tanto onor tu dei
a la mia fede et a gli affetti miei».
82Così discorre, et a i discorsi suoi
applaudon poscia i principi persiani;
sol dissentono in ciò gli emuli eroi
ch’amano anch’essi i carichi sovrani,
quinci dicono al re: «Sire, ancor noi
abbiamo in guerra animo, core e mani,
e fra lo stuol di tanti duci e tanti
giusto non è che sia d’un solo i vanti.
83Espor d’un sol guerriero a la fortuna
la fortuna d’un’oste ampia, infinita
e quante genti in sé l’Asia raduna
tutte appendere al fil d’una sol vita
no ’l soffre il regno e no ’l vuol legge alcuna
di buona guerra; è natural l’aita
e convenevol par che pronto e scaltro
adempia l’un quel ch’è difalta a l’altro.
84Squadra fra noi s’elegga invitta e forte
de’ più famosi e più ne l’arme egregi,
né posta in quei guerrier cader la sorte
che non son capitan, principi o regi.
Guerra da questi a i cristian si porte
e si riportin poi vittorie e pregi».
E questi son de i publici consigli
gli aperti mormorii, gli alti bisbigli.
85Ma il gran Corban, poiché de’ suoi più cari
gli animosi pensier comprende e sente,
benché a pien non gli apporvi e benché vari
siano i desiri suoi, pur vi consente.
Non vuol d’eroi sì gloriosi e chiari
turbar i sensi, intorbidar la mente;
ch’a i soggetti talor cede d’ingegno,
ne i gran monarchi ancor legge è di regno.
86Sol ne i suoi soli arbitri il capitano
il loco, il tempo e ’l numero ha riposto:
vuol che ciò s’esequisca in largo piano
che in fra ’l suo campo e la cittade è posto,
e a l’or che ’l quinto sol da l’oceano
sorger vedrai, in cui languì nascosto,
con cinquanta guerrier l’alta tenzone
si faccia sol né in ciò s’ecceda impone.
87Chiama poscia il romito e in brevi accenti
ciò che fu risoluto a lui palesa,
indi si fan tra loro i giuramenti
che non fia mai la data fede offesa.
Parte ’l buon vecchio e corre a far contenti
i cristian de la conchiusa impresa;
narra i trattati e quai per ciò fur fatti
d’ambe le parti e giuramenti e patti.
88Oh con che gaudio, oh con che gioia udita
fu da i fedeli eroi l’alta novella!
Già su le lancie già brillan le dita,
già fiammeggia a i lor piè gemina stella,
già già la spada è da ogni man brandita
e già reggono il fren, premon la sella,
e il bel prefisso numero opportuno
capace è sì che vi comprende ogni uno.
Gildippe si ammala, è risanata per miracolo proprio all’alba della pugna
89Ma da febre assalita aspra e mortale
giace Gildippe egra fra tanto e langue,
e con incerto ognor moto ineguale
le bolle acceso entro le vene il sangue.
Medicina non giova, arte non vale
a risanar la poco men ch’esangue,
e ne’ suoi labri indarno omai son spinti
sorsi d’oro, di perle e di giacinti.
90Pallidetta di volto e sparutella
oppressa è ben da quell’acuto ardore,
ma co’ suoi duri colpi a lei flagella
assai più grave mal l’anima e ’l core:
al cimento fatal pensa la bella
che far si deve, e conta i giorni e l’ore,
di non v’esser le duol, ma più le duole
che saravvi senz’essa il suo bel sole.
91Tutto pietade, a la sua cura assiste
vigile e pronto il cavalier dolente,
e con sembianze sospirose e triste
langue anch’egli talor su la languente.
Tazze d’amaro umor stemprato e miste
a l’infermo idol suo porge sovente,
e con le proprie man vien che prepari
gli elisiri al suo bene e i belzoari.
92Ma poiché già vicino è il dì prescritto
e più sempre gravarsi il mal rimira,
da diversi pensier punto e trafitto
seco stesso s’affligge e si martira:
vorria trovarsi al marzial conflitto
senza partir da chi per lui respira,
Amor gli detta a non lasciar chi s’ama,
ma zel d’onore a la tenzone il chiama.
93«Andrò dunque (diceva) e incustodita
qui rimarrà la cara fiamma ond’ardo?
e lascierolla in forse de la vita
e non avrò da lei l’ultimo sguardo?
questa è la servitù, questa è l’aita
ch’a l’egra sposa sua porge Odoardo?
Quella pietà con cui l’egro si cura
se non è pur d’amor, è di natura.
94Ahi, ma non andranno incontra il ferro ostile
gli eroi colleghi a cimentarsi in campo,
et io qui restarò timido e vile,
creduto reo di mendicato scampo?
Uso è di guerra e de’ campioni è stile
de’ bronzi al suono e de le spade al lampo
lievi correndo in fra i sanguigni orrori
lasciar le mogli, abbandonar gli amori».
95Ma il capitan, c’ha la novella intesa
del gran periglio, a visitarla accorre:
perder in danno suo troppo gli pesa
l’alta guerriera, e al di lei mal soccorre,
non vuol però ch’a così grande impresa
se stesso il cavalier ricusi esporre,
et a l’inferma e languida donzella
con placido sermon così favella:
96«Gildippe, s’io ti stimi e se mi prema
la tua salute, il merto tuo te ’l dica,
e chi fia mai ch’a i gemiti non gema
di donna così chiara e sì pudica?
M’avrai presente anche ne l’ora estrema,
né sarà ch’io risparmi oro o fatica,
e se fia d’uopo anche offrirò devoto
il proprio sangue a la tua vita in voto.
97Se ’l Ciel mi concedesse, io ti vorrei
nel vicino cimento in campo armata,
ma poich’inferma et assediata sei
da febre crudelissima e spietata,
deh lascia almen ch’a’ publici trofei
l’ultima man dal tuo signor sia data;
vad’egli in guerra et a Dio serva, et io,
io stesso qui t’assisterò con Dio».
98In atto di pietà si ricompone
la giovinetta, e le più sante agguaglia,
«Serva a Dio» gli risponde «è ben ragione
che ’l servigio di Cristo al mio prevaglia:
vada felice il mio gentil campione
a trionfar di così pia battaglia;
sol non poter l’anima mia sia lagna
esser a te ministra, a lui compagna».
99A sì saggio parlar tacito e muto
per man la prende il cavaliero amato,
e glie la stringe in vece di saluto
e da lei prende l’ultimo commiato,
ma pur rende a l’affetto il suo tributo
né ben ancor le sa partir da lato.
L’occhio a l’or Boemondo in lui raggira
e partendo da lei, seco se ’l tira.
100Fin dal centro del cor dietro gl’invia
mezzo un sospir la bella donna e tace,
ma poi ch’a rivestir l’ombra natia
sorge la notte, e ’l cieco mondo ha pace,
sola riman Gildippe, e mesta invia
qual nube che per pioggia si disface,
lagrime e gli occhi, e da ogni sua pupilla
larga crise di pianto apre e distilla.
101Sgorgano anch’essi a lo sgorgar del pianto
fuor de le ciglia i suoi maligni umori,
e ripiglian le membra il pregio e ’l vanto
de i loro antichi e soliti vigori.
Grondan le coltri e le cortine intanto
al piover di quei flebili sudori,
e i molli ov’ella giace e bianchi bissi
immersi son tra’ lagrimosi abissi.
102Sia sfogo natural o, qual da noi
meglio creder si dèe, divin soccorso,
quasi il passato mal più non l’annoi,
alza già franco da le piume il dorso,
e insieme a radunar gli sparsi eroi
move leggier per la cittade il corso,
e giunta ad Odoardo a nome il chiama
e scotendo d’intorno «Arm, armi» esclama.
103Stupisce il cavalier che la diletta
rimira ivi apparir libera e sana,
et è la gente a confessarla astretta
opra celeste e non aita umana.
Quindi ciascun la grand’uscita affretta
che non è troppo omai l’alba lontana.
Il ciel or che non può s’a i propri schermi
tolti di mano a morte arma gl’infermi?