ARGOMENTO
Dal tempio, udito il sacrificio, parte
e ’n campo scende la cristiana schiera.
Gl’auguri da un destrier sacrato a Marte
prende, e a fronte se ’n vien l’oste guerriera.
Prova de l’armeggiar quivi fa l’arte,
ucciso è Idraspe, e timida e leggiera
fugge la persa squadra, e fa Corbano
barbare essequie al tartaro sovrano.
I guerrieri scelti per lo scontro vanno a messa e vengono benedetti dal pastore
1Coronato di raggi il giorno quinto
già da l’indica Teti il capo estolle,
e di grana finissima dipinto
per man del sol già porporeggia il colle.
Ogni campione a la gran pugna accinto
scaccia il sonno da gli occhi umido e molle,
e si presenta in militar sembiante,
ricco di fregi a Boemondo avante.
2Gli accoglie il capitano e li conduce
nel maggior tempio, ov’il buon Dio si cole;
quivi di spoglia candida riluce
nobil ministro e d’argentate stole.
Lampeggia in su l’altar gemina luce
ch’è nel bel ministero emula al sole,
et a servir ne la grand’opra eletto
è d’un angelo in vece un fanciulletto.
3Con braccia aperte e con le piante immote
su ’l primiero scaglion l’umile ingresso
intuona in basse voci il sacerdote,
indi a l’ara immortal porta se stesso.
Giunto colà, in più sublimi note
e con tenor più altamente espresso,
in atto pria religioso e pio
porge preghiere al Cielo e gloria a Dio.
4Poi, dettato da saggi alti intelletti,
d’epistola devota il tema ei legge,
e de la santa istoria i gran concetti
spiega, ch’a ogni fedel son norma e legge.
Del simbolo apostolico i precetti
professa e narra, e sol con lor si regge,
e da gli affetti e da i piacer mondani
con purissimo umor terge le mani.
5Quinci, riposto anch’ei fra gl’innocenti,
offre vittima a Dio candida e monda,
poscia forma sovr’essa arcani accenti
e gli ubbidisce il Cielo e li seconda.
Sotto quelli di Pan frali accidenti
una triade eterna è che s’asconda,
l’ostia e ’l calice inalza, e i circostanti
sciolgonsi in preci e si disfanno in pianti.
6Recita poi quel che ’l divino ingegno
priego domenical fra noi compone,
indi si ciba, e se ’n protesta indegno,
di vivande celesti e preziose,
al fin dispensa il venerabil segno
in cui l’altrui salute il Ciel ripone,
e dando a gli uditor lieto commiato
contempla l’immortal verbo umanato.
7Compiti i sagrifici, ogni campione
in atto pietosissimo e devoto,
l’asta e la spada in su l’altar ripone
e impugnarle in sua gloria al Ciel fa voto,
poi con misterioso alto sermone
tenendo il ciglio in vèr le stelle immoto,
alza la sacra mano e benedice
l’arme fedeli un de’ prelati e dice:
8«Signor, c’hai le vittorie in tua balia,
e che ’l Dio de gli eserciti sei detto,
tu ch’armata talor contro Golia
hai la tenera man d’un garzonetto,
ora, deh, fa’ ch’il braccio invitto sia
del fido stuolo a tua difesa eletto,
ond’ei di puro zel l’anima accesa
termine imponga a la pietosa impresa».
9Sparg’egli poi di limpid’acqua e chiara
un lieve sovra lor spruzzo celeste,
e grave il bianco crin d’aurea tiara
siede superbo in pontificia veste.
Sta ciascun genuflesso e si prepara
con maniere umilissime e modeste
a prender l’armi, e da la diva mensa
così lor ragionando ei le dispensa:
10«Prendete, o forti, e sostenete in nome
di quel sol Dio ch’è Spirto e Figlio e Padre
quest’armi invitte, onde fugate e dome
per vostra man sian le nemiche squadre,
e, d’immortale allor cinti le chiome,
difendete la fé ch’a tutti è madre,
e le rubelle al ciel schiere mal nate
assalite, abbattete ed atterrate».
11Colmo di santo zel, con questi detti
a la tenzone i cavalieri esorta
il buon pastore, e con eguali affetti
gl’infiamma Boemondo e li conforta.
Accompagna il gran duce i princi eletti
su ’l limitar de la guardata porta,
e, intenerito, in lieta faccia e grata
e li bacia e gli abbraccia e gli accommiata.
12Partono quelli, e a tutti loro avanti
di ferro sì, ma più di cor guerniti
Gildippe et Odoardo, i fidi amanti,
se ’n vanno in campo in bella coppia uniti,
e quivi atendon poi, fermi e cosanti,
che siano anch’essi i Persiani usciti.
Così mostra ciascun gli spirti ardenti
d’incontrar i proposti alti cimenti.
Anche i pagani compiono riti sacri
13Ma d’altra parte i principi pagani
accinti a sodisfar la gran richiesta
si mostran tutti, e già de i più sovrani
il destinato numero s’appresta.
Sorge colà ne gli accampati piani
di vinchi orditi e di sarmenti intesta,
sacra al dio de la guerra, immensa e vasta
per tre grosse pareti ampia catasta.
14Sta con la punta inverso il ciel rivolta
sovr’essa un brando, e riverenti e chini
ne le più gravi imprese a lui tal volta
soglion far sagrificio i saracini.
Or quivi attorno, in un gran cerchio accolta,
con barbarici arnesi e peregrini
si ferma in atto altier l’empia squadriglia,
et al culto profan fisa le ciglia.
15Quinci orgoglioso ad implorar le sorti
su la gran pira un sacerdote ascende;
d’asiatici veli in orbe attorti
onusto ha il capo e d’affricane bende;
lusso e splendor de le persiane corti,
strascico d’or su ’l nudo piè gli pende;
sostien la destra man sacri volumi,
e sparge la sinistra arabi fumi.
16Che un gran destrier gli si conduca avante,
quale è lo stil de i riti loro, impone,
il più vago di manto e di sembiante
che morda freno e ch’ubbidisca a sprone.
Abbia picciola orecchia, occhio lampante,
lungo crin, largo sen, cavo tallone,
corta cervice e gambe asciutte e pronte,
fessa bocca, ampie nari e stella in fronte.
17Giunge il chiesto cavallo, et è guidato
da folto stuol di nobili scudieri.
D’arredi preziosissimi bardato
sembra il fior de gli armenti e de i corsieri;
di puro argento e lucid’or ferrato,
scote di varie piume ampi cimieri,
e scioglie intorno in vaga pompa e spande
da la fronte e dal crin nastri e ghirlande.
18Giunto inanzi la pira al sacerdote
il nobil corridore offre se stesso;
d’una picciola verga ei lo percote,
e quei s’inchina, placido e dimesso.
Pria mormora su lui barbare note
in tenor profondissimo e sommesso,
poi da l’altar la sacra spada ei prende
e una vena con lei gl’incide e fende.
19Idria d’argento a sì grand’uso eletta
lo sparso sangue in picciol lago accoglie;
langue e cade il destriero, e di negletta
polve sparge le barde e l’auree spoglie;
il bellicoso spirto in aria getta
e in un fioco nitrir l’alma discioglie,
né quello è più che ne le regie stalle
già tante mani ebbe al suo piè vassalle.
20Volge, ciò fatto, a i destinati eroi
l’occhio e la lingua il gran ministro, e dice:
«La vittima gentil, co i moti suoi
certa vittoria a pro commun predice;
gloriosi trionfi il Cielo a voi
riserba, e sarà l’Asia oggi vittrice.
Venite adunque, e fortunate e liete
dentro il sangue di lei l’armi immergete.
21Resti così del cristiano sangue
il vostro ferro ancor tinto e smaltato,
e, come in terra oggi trafitto langue
il gran destriero immobile e svenato,
così giaccia per voi morto ed esangue
ogni vostro nemico al suol piagato.
Itene, o coraggiosi, ite sicuri,
vostro è il trofeo, non pon mentir gli auguri».
22Ei così parla, e più de l’uso arditi
vanno a la pugna i creduli guerrieri,
e con gli stocchi lucidi e forbiti
e con i cerri solidi e leggieri,
qual del persiano ciel chiedono i riti,
attingon di quel sangue i cavalieri.
Prendon congedo al fin, né mai satollo
Corban li stringe e li ristringe al collo.
23Ma sovra tutti in amorosi modi
la gran Clorinda e ’l fiero Idraspe abbraccia.
Sopra lievi destrier partono i prodi,Durante la battaglia, Idraspe taglia le briglie al cavallo di Odoardo: Gildippe fa dei suoi capelli nuove cavezze per il cavallo dell’amato
e già del campo ostil giungono in faccia,
già li citan le trombe, e l’ire e gli odi
ciascuno infiamma, e torvo altrui minaccia,
e già fra loro in due gran file uniti
attendon del pugnar gli ultimi inviti.
24Al terzo suon de le guerriere squille
le lancie arresta ogni nemica schiera,
e a un punto istesso ancor su le pupille
repentina s’abbassa ogni visiera.
Par che di sdegno ogni corsier sfaville,
e che trapassi il vol la sua carriera;
si spezzan l’aste, e cento scheggie e cento
se ’n van disperse a portar guerra al vento.
25Il grave incontro in su l’arcion sostiene
senza nulla crollar la gente eletta,
né il calce de le lancie in man più tiene
ma per brandir la spada a terra il getta.
Al paragon secondo indi si viene
dove è vero valor, forma perfetta,
e il dorso conquistar co i moti sui
cerca ciascun del palafreno altrui.
26A destra et a sinistra in vari giri
forman di se medesmi un labirinto,
inoltrarsi a la pugna altri rimiri,
altri con lieve piè cedere respinto,
altri avvien ch’or s’avanzi, or si ritiri,
or fermo stia, né vincitor né vinto.
Vacillando così va la vittoria,
e dubbiosa fra lor stassi la gloria.
27Volge fra tanto accidental lo sguardo
al già noto d’Idraspe alto cimiero
e a lui si scaglia intrepido Odoardo,
ché in Antiochia già fu messaggiero;
poi, parlando a Gildippe, «Ecco il gagliardo»
le dice «onde paventa ogni guerriero,
ma il suo chiaro valor nulla io temo,
e nemico non vuo’ se non supremo».
28Move, ciò detto, ad investirlo, e pria
d’un colpo orribilissimo il saluta;
a lui veloce il tartaro s’invia
e sì gran paragon già non rifiuta.
Sveglia ciascun la ferità natia,
e la rende più forte e più temuta,
e mentre or questi or quel s’urta e percote
la fortezza de l’uno a l’altro è cote.
29Ma poich’in lunga e disegual battaglia
tocco in più parti il saracin si sente,
le redini al nemico incide e taglia
e raddoppia su lor più d’un fendente.
Rapido a l’ora il corridor si scaglia,
ne la sua libertà fatto insolente,
e senza fren, precipitoso e folle
vola, e prende a salir l’erta d’un colle.
30Mira Gildippe il gran periglio e tosto
gelosa del suo mal dietro gli tiene,
poi scopre in esso un gran dirupo ascosto
e le s’agghiaccia il sangue entro le vene.
Ad afferrarlo il cavalier s’è posto
spesso pe ’l crin, né pur avien che ’l frene,
e la gente, che ’l suo morir paventa,
grida, piange, sospira e si lamenta.
31Giunto il cavallo a la mortal ruina
su l’orlo de la rupe il corso arresta,
o sia proprio consiglio o pur divina
forza, ch’a ciò esequir spirto gli presta.
Ma il coraggioso eroe, ch’a sé vicina
scorge la gran voragine funesta,
con intrepido piè salta di sella
e a i moti suoi scende Gildippe anch’ella.
32Or mentre in placid’atto il cavaliero
su ’l collo il palpa e per le guarde il piglia,
e con incerta man volge il pensiero
a debil cuoio onde legar la briglia,
come frenar l’indomito destriero
seco stessa discorre e si consiglia
la bella donna, ed arte tal procura
che sia famosa appo l’età futura.
33Di lucid’or due grosse treccie e bionde
sotto l’acciar del bellicoso elmetto
la guerriera gentil chiude e nasconde,
quasi tesor che in ferreo scrigno è stretto:
scioglie le fibbie, e – A che cercare altronde
(va dicendo fra sé) canape eletto?
Ecco con quest’umil colpo devoto
offro al tuo freno i miei capelli in voto -.
34Tronca co ’l proprio brando indi le chiome
e a l’amato suo sposo in don le porge.
Oh come dubbio ei pria le mira, oh come
meraviglioso e stupido le scorge!
Ma ne le fila lor recise e dome
pur di sua fede il cavalier s’accorge,
e dice: «Ahi, nel tuo crin han certo i fati
gli stami di mia vita a me troncati.
35Pur non fia ch’io disprezzi e ch’io rifiuti
doni sì preziosi e sì gentili,
dati da bella man ricchi tributi
non ponn’esser già mai negletti e vili.
Con sì pietosi et opportuni aiuti
di novo incontrarò gl’impeti ostili,
e comprarò con immortal memoria
a prezzo di quest’or certa vittoria».
36Legan poscia que’ crini insieme uniti
e redini al destrier quindi ne fanno,
e novamente in su l’arcion saliti
il gran cimento a ripigliar se ’n vanno.
Tenzoneggian fra tanto inviperitiIdraspe è ucciso da Odoardo, i saraceni fuggono
ambi gli stuoli, e giungon danno a danno;
bolle la pugna e quanto più si mesce
più forze a forze e sdegno a sdegno cresce.
37Giunge Odoardo, e intrepido si caccia
là dove ha la tenzon più di periglio,
e ritrovarvi il tartaro procaccia
per far del di lui sangue il suol vermiglio.
Il cerca intorno impetuoso, e ’l traccia
con vari moti, e ’l ferma al fin co ’l ciglio,
poi grida irato: «Oggi punita, o prode
de le briglie incisor, fia la tua frode».
38Su ’l capo del pagano un colpo piomba
grave così ch’ei su l’arcion s’inchina,
in suon di squilla a lui l’elmo rimbomba,
e, benché sia di tempra eletta e fina,
pur fischia intorno infruttuosa e romba
al franco eroe la spada saracina,
e al fulminar di mille punte e mille
non fugge del suo sangue anche due stille.
39Raddoppia i colpi il pio campione a l’ora
e gli apre la gorgiera e ’l sen gli fende,
sì che pur cade e pur convien che mora
né si schermisce più né si difende.
Muor l’infedele, e con lo spirto fuora
manda bestemmie al ciel sozze et orrende,
e al vincitor che sovra lui minaccia,
torvo digrigna e sputa l’alma in faccia.
40Ma d’Idraspe al cader, vinti e confusi
cedon l’agone i principi pagani,
e già del guerreggiar gli studi e gli usi
disimparano i cor, lascian le mani.
Fuggono fra di lor sparsi e diffusi
d’armi e cimieri seminando i piani,
né l’impresa commessa a la lor fede
può tanto in lor ch’alcuno arresti il piede.
41Or mentre quei con lor vergogna e scorno
drizzano al campo le fugaci piante,
«Vittoria!» i cristian gridan d’intorno
in tenor glorioso e trionfante.
Poi fanno lieti a la città ritorno
e il cadavere ostil traggonsi avante.
Gli abbraccia Boemondo, e riverente
applaude al fatto in alto suon la gente.
Corbano chiede la salma di Idraspe, Boemondo vuole in cambio il cugino Guido: il re persiano rifiuta di darglielo
42Ma con che cor Corbano e con che volto
mirasse a l’ora i fuggitivi suoi
chi ’l può narrar? Pur, dolce a lor rivolto,
ricompone se stesso, e dice poi:
«Al tenor di fortuna iniquo e stolto,
al rigor del destino e non a voi
la perdita fatal, principi, io reco:
l’una sempre c’inganna e l’altro è cieco.
43Che se fia che l’altera unqua non prenda
a render l’altrui glorie oscure e brune,
spero ch’un dì con generosa ammenda
rinfrancarete, invitti, il mal comune.
Sieguasi dunque, e lieto fin s’attenda
a le guerriere nostre alte fortune».
Così dic’egli, e non però s’accheta
l’oppressa dal timor plebe inquieta.
44Sovra de gli altri Tartari feroci
incapaci di pace e di conforto,
che si tolga a’ nemici in alte voci
gridan la salma del guerrier già morto.
Di piante rapidissime e veloci
chiama Corban scudier sagace e scorto,
e «Va’» gli dice «a Boemondo, e chiedi
quel corpo, e gli offri in don ricche mercedi».
45Part’egli e giunge, e l’ambasciata espone
in sermon speditissimo e succinto.
Risponde il capitano: «Al tuo campione
donammo noi, grave di gemme, un cinto,
e trar con esso in marzial tenzone
vantò pe ’l suolo un mio guerriero estinto,
indi avaro mercar d’argento e d’oro
co ’l cadavere suo largo tesoro.
46Or far di lui ciò che di noi far volle
potiam, ma no ’l vogliam: pietade il vieta;
tolgane il Ciel da crudeltà sì folle,
e da sì vergognosa opra indiscreta.
Così barbaro spirto in noi non bolle,
de i mondani martir la morte è meta,
rendasi pur, stil non è d’uom ma d’angue
l’incrudelir contra una spoglia esangue».
47Poi pensa a Guido, il suo fedel germano,
che peregrino ancora e sconosciuto
più mesi son de’ suoi nemici in mano
prigioniero di guerra è ritenuto.
Tentò più volte liberarlo in vano
con egual cambio, e n’ebbe egli rifiuto,
ché nulla valse mai mercede o patto
la grazia ad impetrar del suo riscatto.
48Quinci ragion di sangue oggi gli detta
a non lasciare occasion sì bella,
e speme ragionevole l’alletta
d’averlo, se l’inchiesta rinovella,
onde a colui che desioso aspetta
soggiunge poi con placida favella:
«Riferisci a Corban che per mercede
de la spoglia real Guido si chiede».
49Ciò detto il corpo al messaggiero ei rende,
magnanimo in sembiante e generoso,
e ’l fa portar ne le persiane tende
d’oro e di gemme in nobil arca ascoso.
Mesto il riceve e l’urna abbraccia e prende
Corban, flebile in volto e doloroso,
poi gli espon lo scudier ciò che ’l prega
il re nemico, e compiacerlo ei nega.
50E risponde a color che la reale
arca portàr che troppo a lui si chiede,
e ch’è proporzion molto ineguale
ch’altri per morti i vivi abbia in mercede,
e perché stima ingiusto un cambio tale
non fia che sciolga al prigioniero il piede,
s’il fil di vita a lui pria non recida
e per ridurlo eguale ei non l’uccida.
51Ma in compenso del don ch’egli riceve
nel morto avanzo del suo caro amico,
e per mostrarsi grato e che pur deve
onorar Boemondo, anche nemico,
a lui farà la prigionia men greve
del regno suo, contra lo stile antico,
e soffrirà ch’usi talor la spada
e fino a le trincee libero vada.
52Se ne partono quegli, e agevolato
d’arme e di campo il cavalier già resta.
Ma con superbo intanto alto apparatoFunerali di Idraspe
pompa funebre al morto eroe s’appresta,
di Tartari vassalli in ogni lato
accorre a gli onor suoi turba funesta,
e con ossequi e con lamenti e gridi
gli fan l’esequie intorno i suoi più fidi.
53L’alte per cento età braccia robuste
d’una gran selva intera alzano in pira,
che con l’antiche sue travi vetuste
mestizia e maestà diffonde e pira.
De i regi manti e de le spoglie anguste
balear sovra lei l’oro si mira,
e mille bei stendardi e mille degne
ondeggiarle nel sen barbare insegne.
54Nel mezzo poi candida tela e pura
del morto re la fredda salma involve,
il cui solido lin fiamme non cura
né teme per ardor sciogliersi in polve.
Lambe e non morde i fili suoi l’arsura,
ma ciò che in sé contien tutto dissolve,
onde in un foco istesso arso e consunto
può un cenere da l’altro esser disgiunto.
55Nel molle bisso indi da lor son poste
d’oglio e di miel due gran guastade elette,
e in vari siti intorno a lui disposte
stan le cose più care e più dilette.
Le sue più ricche gemme han qui riposte
quasi in aurea prigion chiuse e ristrette,
e qui con vaghi e gloriosi carmi
s’alzan lo scettro, il diadema e l’armi.
56Quattro destrier vie più che neve intatti
ch’in vaga guisa han d’armellino il manto,
al core, a i moti, a i portamenti, a gli atti
de le stalle reali onore e vanto,
in su l’alta catasta ivi son tratti
a sciorsi in sangue, ad isvenarsi in pianto,
e traffitti così, così feriti
sacrano al lor signor l’alma e i nitriti.
57Nove molossi indomiti e leggieri
c’hanno i fulmini al dente e i venti al piede
e che candidi anch’essi e che sinceri
così appaion di pel come di fede,
de le superbe esequie a i ministeri
votarsi poscia et immolar si vede,
e riverente a la gran pompa ed atra
ognun di lor gli ultimi spirti latra.
58Dodici paggi al fin, che giovinetti
nobili di prosapia e di legnaggio,
biondicelli di crin, vaghi d’aspetti,
vissero uniti nel real servaggio,
svenati i membri e lacerati i petti
sono al rogo fatal dati in omaggio,
e le primizie di lor molle vita
donano al re, non ben ancor fiorita.
59Co i principi maggior Corbano intanto
se ’n vien pietoso a la grand’opra anch’esso,
e ne l’oscurità del buon ammanto
chiaro dimostra il suo dolore espresso,
e, sparso il sen d’affettuoso pianto,
quivi si tragge a l’alta pira appresso,
parte si tronca poi de la diletta
sua lunga chioma e in grembo a lei la getta.
60Sieguon l’esempio suo gli eroi più degni
e vi gettano a gara il crin reciso,
e di cordoglio e di pietà dan segni,
torbidi il ciglio e nubilosi il viso.
Ne gl’intessuti al fine aridi legni
dove se ’n giace il pro guerriero ucciso
volgon le faci, et invocati i venti
destano in essi immense fiamme ardenti.
61Ma sovra tutti il principe Corbano
di lucid’or ritonda tazza estolle,
e di purpureo vin grave la mano
ne sparge il suolo, e fresco il rende e molle.
Trabocca già la vasta mole al piano,
incenerite omai fuman le zolle,
et ei tre volte in alto suono appella
il caro amico, e così a lui favela:
62«Io ti saluto, Idraspe, i miei saluti
gradisci alma immortal, benché funesti.
Gli estremi ossequi e gli ultimi tributi
ch’al tuo gran merto io posso dar son questi.
Sotto chiari d’onor stimoli acuti
ne la carriera tua molto cadesti
e dà segni di spirto e di valore
destrier che scoppia in mezzo al corso e more».
63Poi dice a i suoi più fidi: «Itene amici,
ite e spargete a l’alta pira in grembo
quelle meste a smorzar fiamme infelici
con larga man di negro vin un nembo.
Io del mio manto con pietosi uffici
voglio il cener real coglier nel lembo:
bramo dargli sepolcro entro il mio seno
o pur libarne qualche parte almeno».
64Ciò detto al fin l’incombustibil lino
che serbolle da l’altre apre e discioglie,
e le pallide polvi in cristallino
lucido nappo e in aurea coppa accoglie,
indi con riverente e peregrino
atto le sugge, e tempra al cor le doglie.
Sieguono gli altri, e la bevanda amara
lor più dolce che miel suggono a gara.
65Quelle che restan poi ceneri amate
spargon d’aree sabee, d’arabi odori,
e dentro il ricco sen d’arche gemmate
le chiudon poscia, in fra gli argenti e gli ori.
Così condotte in patria e riportate
son del Cataio a i sepolcrali onori,
e il capitan, come di guerra è legge,
novello duce a l’orbe schiere elegge.