ARGOMENTO
Godescalco a Corban mesce e confonde
or lode or biasmo, or priego ed or protesta;
minacciante e superbo ei li risponde,
poi la lingua e la vita a lui funesta.
Di Guido il servo entro una palma infonde
veneno, onde Corban morto ne resta.
Ne la città destrier, brando e zagaglia
appresta ogni guerrier per la battaglia.
Boemondo decide, contro il parere di Odoardo, di mandare messaggeri a Corbano perché rispetti il patto e levi l’assedio
1Ma gli assediati a l’alte mura intorno
già più volte anelando eran saliti
per discoprir s’al rinascente giorno
vedeansi i Persiani indi partiti;
«Dunque» dicean «de le nostr’armi a scorno
pur de l’assirio mai premono i liti?
et osservare a noi, come contratti
con la plebe più vil, negano i patti?
2Comprometton la guerra, e ’l compromesso
disprezzan poi quando a lor pro non cade?
e soffriran sì vergognoso eccesso
senza rossor le cristiane spade?
né fia dal Cielo al nostro mal concesso
pur un raggio di speme e di pietade?
e per le man d’empio destino avaro
morirem di digiuno e non d’acciaro?
3Quasi a servi negletti, a i nostri eroi
esigger le promesse oggi non lice?
staran sedendo i più sublimi, e noi
di disaggio cadrem, turba infelice?
godrà Corban de i tradimenti suoi
senza l’ire temer di mano ultrice?
e l’Asia vanterà fra i giochi e i risi
beffati i Franchi e gli Europei derisi?».
4Così ondeggiando in querulo tumulto
givan fra lor le disperate genti.
Mormorò prima, e non distinse occulto
se non roche querelle e bassi accenti;
indi avanzossi, e così crebbe adulto
che in aperti si sciolse alti lamenti.
Ma Boemondo verso lor si spinse,
parlò cortese, e quel gran foco estinse.
5Co ’l voto de’ più grandi e de’ più saggi
mandar risolve al persian tiranno
novelle instanze e duplicar messaggi
a risarcir de la tardanza il danno:
«S’assegni un dì prefisso a i lor viaggi,
e se partenza i mentitor non fanno,
né s’osserva la fé tosto intimata
sia contra gli empi universal giornata».
6Approvan tutti il provido consiglio
sol dissente Odoardo, e se ne sdegna,
e rivolgendo impetuoso il ciglio
«Altro» dic’ei «la spada mia m’insegna.
Ah tolga il Ciel che de la Gallia un figlio
macchiato in Asia sia d’opra men degna:
non dettano a gli eroi scole guerriere
a trono ostil moltiplicar preghiere.
7Più resiste l’altier: che più si prega
con atti d’umiltade e di servaggio?
Se novamente egli partir dinega,
vendicar converrem gemino oltraggio.
Debito di guerrier prima ci lega
a trattar l’armi, a dimostrar coraggio,
e ’l supplicar d’un prencipe supremo
è di necessità l’ultimo estremo.
8Io, io con quest’acciar, con questa mano
s’altri fra noi no ’l cura, altri no ’l chiede,
a riscoter n’andrò dal re pagano,
franco esattor, la patteggiata fede».
Così parlava il cavalier sovrano
e a la grand’opra già volgeva il piede,
ma raffrenato il nobile pensiero
tosto gli vien da chi ha di lui l’impero.
9Ben approva per saggi i bei decreti
ch’a lui dettàr le bellicose carte,
pur gl’impon che concorra e che si cheti
ché ne l’avversità l’arte è senz’arte.
Ubbidisce il campione a i gran divieti
come richiede in lui legge di Marte,
ma il capitan con providenza e cura
prima in suo cor l’elezion matura.
10Che se ’n vada a ciò far prode guerriero
non stima egli opportuno e non l’approva,
né che vi torni il venerabil Piero,
già veduto da lor, soffrir gli giova.
La fortuna talor co ’l messaggiero
si muta appo i gran regi e si rinova,
pur gli soviene al fine un che facondo
è sovra quanti ebbe oratori il mondo.
11Stava fra lor, di nazion germano,
un sacerdote umil d’aspetto e pio,
che giovin consacrò la pura mano
a i ministeri altissimi di Dio.
Questi, a l’or che pietoso il grand’Urbano
l’oste fedele in Chiaramonte unio,
tratto da natural bellico zelo
arrolossi colà guerrier del Cielo.
12Indi su ’l patrio Ren fatto eloquente
numerose falangi in un raccolse,
e in Asia al fin con l’adunata gente
da i confin de l’Europa il piè rivolse;
ma giunto in Ungheria, ferro nocente
l’amate schiere sue tutte gli tolse,
ond’ei, di santo ardor l’anima accesa,
ancor che sol pur seguitò l’impresa.
13Godescalco s’appella, uom che talora
entrar solea del capitan la reggia,
e far complimentando ivi dimora
dove sempre s’adula e si corteggia.
Lega i cor con gli accenti e gl’innamora
e in un moto gentil se stesso atteggia,
e con parole affabili e serene
compra le grazie e ciò che chiede ottiene.
Godescalco, frate tedesco e grande retore, porta l’ambasciata, ma Corbano lo fa segregare in una tenda
14Questi a portar l’alta ambasciata eletto
giunge a la tenda ove Corban risiede,
et introdotto avanti al regio aspetto
gl’inchina umil la sacra fronte al piede,
e, se ’l soverchio ossequio unqua è difetto,
oltre ogni stile in riverirlo eccede,
Sta muto alquanto, e dice poi: «Se farlo
me ’l vieti io taccio, e se ’l concedi io parlo».
15«Parla» il re gli risponde, e riverente
di novo ancora egli a i suoi piè s’inchina;
«Sire,» incomincia poi «cui l’Oriente
vassal si gloria e in suo monarca inchina,
se non mi diede il Ciel labbro eloquente
e lingua preziosa e peregrina,
nulla me ’n cal, ché da real clemenza
molto talora ottien poca eloquenza.
16So che sei nato re, so che vivesti
a piover grazie, a diluviar mercedi,
e so che in modi placidi e modesti
pria che si chieggia ancor spesso concedi;
già ben m’accorgo a i movimenti, a i gesti,
che saggio tu quel che bram’io prevedi,
e con guardi magnanimi e sereni
già le mie voci e i prieghi miei previeni.
17Di tua giovine età nel breve tratto
mille hai fatte finor nobili imprese,
ma l’ha quasi oscurate un picciol atto
che nostra gente e la tua fama offese.
Essere in terra un sacro laccio il patto
ne le scole d’onor ciascuno apprese:
non violar gli accordi e i giuramenti
son di cavalleria primi elementi.
18Togli la fé, l’uman commercio è tolto,
se mancan le promesse il mondo manca;
finge pur ogni cor, mente ogni volto,
se la perfidia in fra i più grandi è franca,
ma di pensier sì vergognoso e stolto
non è già fra di noi la gente franca:
sempre ella, o regni in pace o in guerra serva,
il core ha in fronte e ciò che giura osserva.
19E tali io credo voi, voi che trattate
a prezzo di valor le guerre e l’armi,
che se pur cova alcun sì rea viltate
vada e scingasi il brando e si disarmi.
Ah non fia ver che la futura etade
il giusto biasmo a un tanto error risparmi:
del disprezzo comun degno si rende
chi l’altrui speme e la sua fede offende.
20Saggio e buon cavalier serba e mantiene
vergine la parola e pria la vita,
si lascia a i colpi altrui trar da le vene
che soffrir vergognoso una mentita.
Con voci interne e di bontà ripiene
l’esempio a ciò de’ tuoi maggior t’invita,
così già fèr ne i persiani imperi
con Ciro e Dario i regnator primieri.
21S’altri tal volta in gran battaglia è vinto,
la fortuna e ’l destin spesso n’incolpa,
ma s’egli avvien che simulato e finto
mentisca i detti suoi, propria è la colpa.
Uom di perfidia e di bugia convinto
senza pro si difende, in van si scolpa,
dunque cedasi il campo e ritornate,
come a noi prometteste, oltre l’Eufrate.
22Ma perché chieggio a voi ciò ch’esequite?
e perché sciolgo io più vani argomenti?
Mentre parlo con voi forse ve ’n gite
o v’apprestate a la partenza intenti.
Già già vegg’io che da le tende uscite
e che v’incaminate, ancor che lenti,
e la grand’oste tua tarda si move,
qual vasta mole, a campeggiare altrove.
23Va’ pur, va’, generoso, e non ti caglia
ch’un breve angol de l’Asia a noi sia dato,
va’ ne l’Affrica tu, vanne in battaglia,
va’ che ti serba ad alte imprese il fato.
Colà le schiere altrui vinci e sbaraglia,
e torna poi di belle spoglie ornato,
va’, ch’io ti prego in fra i guerrieri ardori
a la mano et al crin palme et allori.
24Ma se pur non cedete e non partite
da questo assedio, io vi protesto, eroi,
ch’al Ciel mancate e che quel Dio tradite
ch’esigge rigoroso i censi suoi.
Udite, udite, o coraggiosi, udite
per bocca mia ciò ch’ei minaccia a voi,
minaccia a voi (ma tutte a l’or su ’l crine
caggian più tosto a me) stragi e ruine.
25Speriam ch’al terzo dì più non vedremo
qui d’intorno ondeggiar tende e bandiere,
che questo oggi da noi termine estremo
è a te prefisso a ritirar le schiere.
Ma se più tardi, o principe supremo,
le vaste a incaminar turbe guerriere,
sia con tua grazia, io con umile invito
a battaglia campal tutti vi cito».
26Così parla il messaggio, e disdegnoso
freme Corbano, e tal risposta intuona:
«Senti il sacro oratore, odi il pietoso
Demostene europeo come ragiona!
Così sprezzi, arrogante et orgoglioso,
la nostra invitta imperial corona
ch’osi, superbo, a le mie squadre armate
protestar danni et intimar giornate?
27Se qui venisti a predicar chimere,
tu spargi in can di tua facondia i fiumi;
che pacifiche siansi o pur guerriere
han le reggie e le corti altri costumi:
leggi sì rigorose e sì severe
non s’insegnano a me da’ miei volumi,
non si fan patti a i vinti, e più che frode,
se pur si fan, non osservarli è lode.
28Oblighi della plebe e non de’ regi
nel commercio mondan son le parole,
tra i gran monarchi e tra i campioni egregi
non litigar ma guerreggiar si suole.
Di non serbar la fé bei privilegi
de i politici eroi vantan le scole;
servo è quel re che vive anch’ei soggetto
co ’l basso vulgo a un giuramento, a un detto.
29Ma se pur chiara udir certa risposta
vuoi pur, vien meco, e te la rendo or ora»,
e in tenda più secreta e più riposta
solo il conduce, e placido l’onora,
indi in parte scurissima e nascosta
qui fa co ’l messaggier lunga dimora.
Se n’esce al fine, e lo scudiero appella
che gli fu guida, e così a lui favella:
30«Ritorna in Antiochia a Boemondo
e digli poi che Godescalco è mio,
e che partir non lascio uom sì facondo
perché seco parlar godo e desio;
ma che fra tanto io così a lui rispondo,
e chiudo in questa coppa il senso mio»,
e coppa d’or entr’un bel velo involta
gli porge, e ’l passo a la cittade ei volta.
Corbano manda a Boemondo una coppa con la lingua di Godescalco, la quale svela che il messaggero è stato ucciso; la lingua poi incita i cristiani a venire a battaglia
31Ne la piazza maggior stavasi assiso
il capitano, e i maggior duci intorno
corona gli facean, quando improviso
a loro il buon scudier fece ritorno.
Corron le turbe al curioso aviso
sì brama ognun di sua franchigia il giorno.
Quei pria s’inchina al re, indi risorge,
e l’aureo nappo in atto umil gli porge,
32e poich’esposto egli ha ciò che gl’impose
il persian, si parte e si ritira.
Ma Boemondo a le narrate cose
molto sospetta et in suo cor sospira,
né sa trovar perché in quel vel nascose
sian le risposte, e in gran pensier s’aggira;
prende la tazza e la tremante mano
tre volte aspira a discoprirla in vano,
33pur la discopre al fine, e ancor fumante
di vivo sangue umana lingua ei vede.
Resta oscuro di mente e di sembiante,
e di palpebre immobile e di piede.
Più teme a l’or ciò ch’ei dubitava avante,
ma né pur anche a se medesmo il crede,
e, colmo di stupore al caso fiero,
riman con la vil plebe ogni guerriero.
34Miracolo da lor scorgesi intanto
ch’atterisce ogni core, ogni pupilla:
pria con dubbiosi e rari moti alquanto,
che sembran di tremor, palpita e brilla,
poi come viva e che serpeggi a canto
a i cari labbri a cui natura unilla,
articolati accenti è che distingua
in alto e chiaro suon la tronca lingua.
35Poi dice, e spira orrore ogni suo detto:
«La lingua già di Godescalco io sono,
andai con puro cor, con franco petto
vostro ministro al persiano trono,
ma bench’io fossi in messaggiero eletto,
qual messaggier pur non trovai perdono,
e lo stil de le genti e l’uso antico
ruppe in mio danno il barbaro nemico.
36Se con dolce parlar, con umil zelo
le publiche ragioni a lui spiegai,
ne chiamo in testimon quel sol, quel cielo
di cui godo il seren, vagheggio i rai.
Ossequioso e mite, io già no ’l celo,
di onore e di virtù spesso il lodai,
e porsi genuflesso e riverente
a i regi piedi suoi priego innocente.
37E se in nulla l’offesi e se trascorsi
per servir Cristo e te, mio duce, il fei.
Udì attento il crudel gli alti discorsi
e rispose adirato a i detti miei;
ben novi prieghi in altra tenda io porsi,
e a l’aspetto et a l’alma uomo il credei,
ma il ritrovai la più spietata belva
che ringhi in tana e che ruggisca in selva.
38Ivi ad ogni altri fuor ch’a Dio nascoso
toglier mi fe’ da un suo fedel la vita:
m’afferra il micidiale e sanguinoso,
m’apre nel petto una mortal ferita.
Esce dal core a ritrovar riposo
ne l’empireo seren l’alma tradita,
e gela in terra, impallidisce e langue
senza moto e calor la spoglia esangue.
39Che mi si svella a l’or da le radici
la fredda lingua il traditor comanda,
e destinata a dolorosi uffici
in vece di risposta a te la manda.
Poi per le man de i perfidi nemici
vuol che in minugia il corpo mio si spanda;
corrono quegli e lacerate in brani
l’infrante membra mie gettano a i cani».
40Publiche grida alzan le genti in tanto
di sdegno, di dolor, di meraviglia,
e in larghe pioggie universale il pianto
sgorga da gli occhi ad inondar le ciglia.
«L’esser da voi ne’ miei martir compianto»
la lingua a l’or con doppio orror ripiglia,
«è ben atto d’amore e di pietade,
ma l’affetto per or veda a le spade.
41Su su dunque, a vendetta, et a vendetta
non di me, che già godo il Paradiso,
ma di te, Boemondo, a cui s’aspetta
giustamente punir chi t’ha deriso,
ma di voi che miraste, eroi, negletta
la vostra fede e ’l vostro nunzio ucciso,
ma di Dio, ch’è l’offeso e che punisce
co ’l debito rigor chi lo tradisce.
42Rammentatevi omai ch’a lui la vita
già consacraste, e la devete a lui,
perch’altronde cercar provida aita
se darla or qui voi sol potete a vui?
Gitene là con generosa uscita
a domar, a punir gli orgogli altrui,
gite, intrepidi, su, gite in battaglia,
e mancanza di forze a voi non caglia.
43Quel santo pan che ne la sacra mensa
ogn’anima ricrea, pasce ogni core,
se man sacerdotal quivi il dispensa
ei sol vi presterà nerbo e vigore,
né lascierà l’alta Bontade immensa
di piovervi nel sen medico umore,
e ch’avrete pugnando io vi rivelo
Dio condottier, commilitone il Cielo».
44Poi tutta al fin, di nobil ira accesa,
su la coppa real s’agita e balza,
e quasi sia da grave colpo offesa
si libra in aria e tre gran salti inalza,
e mentre in campo a terminar l’impresa
li rincora animosi e li rincalza,
«Arm, armi» esclama, e in bellicosi carmi
gridan le schiere e poi le trombe «Arm, armi».
I crociati si preparano celebrando riti religiosi
45Pietro a l’or, che dolente e lagrimoso
non senza invidia il mesto caso ascolta,
dentro l’argenteo suo vel prezioso
di novo ancor la saggia lingua involta,
dopo un devoto al fin canto pietoso
in sacro altar l’ha di sua man sepolta,
e ritornando a Boemondo il trova
tutto coraggio, e sprone a spron rinova.
46Chi descriver potria come anelanti
siano i cristian di cimentarsi in campo?
Da gli occhi i più gran duci e da i sembianti
spiran di gloria e di vendetta un lampo,
e ’l vulgo vil, che infievolito avanti
non ritrovava al suo languir più scampo,
or non so come inanimito anch’esso
nel suo debil vigor vince se stesso.
47Ne gode il capitano, e perché stima
metà de l’opra il cominciar da Dio,
co ’l consiglio di Pietro impon che prima
pensi a le colpe onde di pena è rio
ciascuno, e quindi al sacerdote esprima
gli antichi errori e al Ciel ne paghi il fio.
Poi fa intimar con generale invito
a tutti lor sacramental convito.
48Si spoglia egli primier gli abiti alteri
e i ricchi arnesi e i preziosi arredi;
gettano gli altri eroi piume e cimieri,
sparsi il crin, chini il capo e scalzi i piedi.
Se miri poi gl’inferior guerrieri
l’esempio de’ maggior seguir li vedi,
né v’è pur un che non dimostri al core
segni di penitenza e di dolore.
49Nel seguente mattin tutti adunati
stan poi nel tempio, e genuflessi e chini
da destra episcopal quivi cibati
son d’alimenti angelici e divini.
Così, rinvigoriti e ristorati,
gli alti cimenti lor braman vicini,
e impazienti omai de la dimora
un gran secolo intier stimano ognora.
50Ma perché a i Persi il terzo dì concesso
fu a partir d’Antiochia e di Soria,
esercitar co’ suoi guerrier se stesso
orando in tanto il capitan desia.
Del maggior tempio a la grand’ara appresso
co ’l buon romito e i duo pastor s’invia,
e che s’esponga a la pietade, al zelo
vuol de i publici prieghi il re del Cielo.
51Quivi, qual soffre il luogo e ’l tempo chiede,
prezioso si fa ricco apparato:
di mille faci al sacro altar si vede
un luminoso esercito schierato
in aurea sfera, e sopra argenteo piede
in forma d’ostia è il sol del sole alzato,
sol che mai non tramonta e al cui servaggio
del sole elementar vive ogni raggio.
52Accidenti colà senza soggetto
crede, rimira e n’ha stupor natura,
epilogo immortal, dove ristretto
l’immenso in sé contien poca figura,
cifra celeste in cui con modo abietto
par l’eterno Fattor fragil fattura,
brevità vasta, ampiezza abbreviata,
velo divin, divinità velata.
53Angeli, o voi che da l’eterno sole
ne gli empirei licei luce apprendete,
e che nel sen de le beate scole
i misteri di Dio saggi intendete,
con serafico stil sacre parole
su queste carte oggi per me piovete,
ché quel ch’alma non cape, occhio non vede
sol descriver convien penna di fede.
54Spira pietà l’alta bucella, e quante
ore si giacque il Redentor sepolto,
non senza gran mistero, ivi altretante
stassene esposto in quelle spezie involto.
Prescritta è un’ora ad ogni stuol orante
a dimorar nel sacro tetto accolto,
et a ciascun, qual de’ preci è il rito,
sermoneggia devoto il buon romito.
Guido manda un suo servo ad assassinare Corbano: il servo avvelena la palma da cui Corbano prende i datteri, il principe persiano muore
55Ma in tanto il prode e coraggioso Guido
che franco il piè nel campo ostil traea,
e che per chiaro omai publico grido
il fin di Godescalco udito avea,
contro l’empio Corban, contro l’infido
d’occulta sì ma nobil ira ardea,
e di quel fiero a l’esecrabil testa
chimerizzando gìa strage funesta.
56Dicea fra sé: – Dunque vivrà quel mostro
ch’un tanto eccesso oggi esequir poteo?
e vedrà vergognoso il secol nostro
senza vindice man fatto sì reo?
né in pena sua s’immergerà ne l’ostro
di quel barbaro sen ferro europeo?
et io fra gli altri, io sarò vil cotanto
che non avrò di sì bell’opra il vanto?
57Ah sì, l’avrò, trafiggerò quell’empio
che machinò le scelerate frodi,
né fia ch’a far di lui rigido scempio,
se non mi manca il cor, manchino i modi.
Mora il fellone, e fia de gli altri esempio
e di vendetta a me si dian le lodi -.
Cos dic’egli, e ’l va talor tracciando
né vuol ministro altri che ’l proprio brando.
58Ma perché ovunque ei prenda i suoi sentieri
cinto di folte guarde il re camina,
e intorno al padiglion squadra d’arcieri
ne la custodia sua veglia vicina,
egli esequir non può gli alti pensieri;
ma non fugge Corban l’ira divina,
ché s’ella sembra pur tarda al punire
indi pena maggior dona al fallire.
59Oh come è ver che Quel ch’il tutto regge
de’ più superbi e de’ più forti ad onta
solo i più vili e i più codardi elegge!
Servo fedele a cui la brama è conta
del tuo signore e solo un cenno è legge
tosto contro il fellon nov’arte ha pronta,
e d’un sicuro modo gli sovviene
onde il privi di vita e l’avvelene.
60Esente dal languir palma feconda
in mezzo al campo un largo piano adombra,
alta non già, ma che di rami abbonda
folti così che molto cielo ingombra.
Sotto il suo crin spesso tra fronda e fronda
stassi Corban so’ suoi più cari a l’ombra,
e per diporto i datteri deliba
e del suo succo gode e se ne ciba.
61Quindi talor gli adulatori amici,
ch’a prezzo di bugie comprano amore,
lieti prendendo e fortunati auspici
d’un fallace gioir colmano il core:
trionfante così contra i nemici
preconizzando il vanno e vincitore,
e l’acclaman felice e speran tutti
ch’egli godrà de la vittoria i frutti.
62Or questi di velen rendere infetti
occultamente lo scudier risolve,
onde da lui son vari misti eletti,
liquidi alcun et altri sciolti in polve;
in una lenta infusion ristretti
que’ succhi poi e quelle polvi involve,
e di stemprati di sua man ne face
bituminoso umor, ma non tenace.
63Quinci, sagace, a gli occhi altrui s’asconde
e la palma in più luoghi apre e trafora,
poi quel licor ne le radici infonde
che le serpe al midollo e gliel divora.
Passa dal tronco a i rami, e da le fronde
penetra i frutti in breve spazio d’ora,
e tanto può quel tosco e tanto vale
che quasi l’ombra ancor rende mortale.
64Torpedine così che colta al laccio
preda restò di lusinghiero acciaro,
da l’amo al filo e da la canna al braccio
tramanda lo stupor senza riparo,
getta nel mar l’infruttuoso impaccio
l’immobil man del pescatore avaro,
ma pur quel rio torpor tanto trapela
ch’ei tutto al fine instupidisce e gela.
65Passa di novo il persian monarca
del fresco rezzo ad appagar le voglie
e veggendo la pianta onusta e carca
de gli usati suoi frutti un ne raccoglie;
indi su buon destrier torna e se ’n varca
de la sua tenda a le guardate soglie,
e gusta il cibo e se ’l trangugia e gode,
ché non sa già la machinata frode.
66Ma poiché tace al publico riposo
la più tranquilla in ciel notte in tempesta,
per le tremule vene il velenoso
licor trascorre e l’egro cor gli appesta.
Agonizzante insieme e sonnacchioso
con improviso orror gelido resta,
e i languid’occhi suoi negar non ponno
che fratelli non sian la morte e ’l sonno.
Zoroastro impone ai duci di mantenere il segreto, quindi invoca uno spirito infero che prende possesso del corpo di Corbano
67Se n’accorgono i servi, e pianti e gridi
alzano al cielo, e batton palma a palma.
Il credon pria svenuto i suoi più fidi,
e ’l trovan poi senza calor, senz’alma.
Si raddoppiano a l’or lagrime e stridi
intorno a la real gelida salma;
corron confusi e vorrian dargli aita
ma non trovano in lui piaga o ferita.
68Giunge a caso fra lor quel Zoroastro
sì caro a i Persi e sì temuto a Dite,
quel che, del re già consigliero e mastro,
ore spesso traea seco erudite;
questi, scoperto il publico disastro,
e visti i pianti e le querele udite,
la saggia sovra lui fisica mano
stende più volte, e sempre l’alza in vano.
69Impone al fin che da ciascun si taccia
e ’l privato dolor tengasi occulto,
ch’ei teme a gran ragion che non si faccia
perciò nel campo universal tumulto:
si sfogaria la popolar minaccia
su tutti lor, né il lascierebbe inulto,
o, del supremo re la morte intesa,
ben tosto almen si disciorria l’impresa.
70Poi seco dice: – O magici portenti,
a quanto poco il saper vostro arriva
se non potete dar che fra le genti
un cadavere uman risorga e viva!
In van da l’arte è che chiamar si tenti
anima già fuggita o fuggitiva,
ch’a l’abito qua giù non è concesso
da la privazion farsi regresso.
71Ah non potete, no, spirto disciolto
unire a un corpo et informarlo estinto,
ch’ei sol ne l’atto è da natura accolto
del generarsi, et a le membra avvinto.
No ’l vaglio, è ver, ma non son già sì stolto
che poi non siami il mio poter distinto:
stigio demon per le mie maghe note
entrar in un cadavero ben pote,
72e, qual nave suol far cauto nocchiero,
il move, il regge et i suoi gesti imita,
e in sì bei modi unisce il falso al vero
che par vivere ancor chi non ha vita.
Or con quest’arti e queste forze io spero
in pro commune e in generale aita
a i moti, a gli atti, a le maniere, a i membri
far che ’l morto Corban vivo rassembri -.
73Così ragiona, e poi, tre volte i venti
sferzando con la verga, apre i volumi,
e mormorando in lor torbidi accenti
aggiunge a i detti suoi circoli e fumi.
Giungono a torma a torma ubbidienti
i rubelli del Ciel tartarei numi,
e i cenni ad esequir d’opra sì chiara
al saggio incantator s’offrono a gara.
74Et ecco scote il capo e gli occhi gira,
alza il braccio l’estinto e move il piede,
or s’inoltra or si ferma or si ritira,
or giace or sorge et or passeggia or siede,
lo scettro impugna et un destrier raggira,
trascorre il campo e i suoi guerrier provede,
né tutte a pro di lor lascia la mano
le parti esercitar di capitano.
Guido fugge in città, racconta di aver ucciso Corbano: Boemondo prepara l’esercito per uscire a battaglia
75Furtivo a la città prende il camino,
ché di Corban la morte inteso avea,
Guido co ’l servo intanto, e già vicino
a l’assediate mura il piè traea;
grida la guarda a lui, ma il peregrino
indi ravvisa a la ben nota idea,
e, già da lor riconosciuto al volto,
in Antiochia è lietamente accolto.
76Il bacia Boemondo e se l’annoda
tre volte e tre teneramente al petto,
e tanto avvien che rivederlo ei goda
che piange d’allegrezza e di diletto.
L’abbraccian gli altri anch’essi e ognuno il loda
e gli dimostra ogni un segni d’affetto,
e racquistar fra lor stimano a sorte
guerrier sì prode e cavalier sì forte.
77Cortese anch’ei con tutti lor rinova
in atto umil gli abbracciamenti suoi,
poi dice: «E qual timor nel cor vi cova,
o fior d’Europa, o generosi eroi?
Uscir da queste mura oggi ne giova
a pugna aperta, et io sarò con voi:
occasion più certa et opportuna
di trionfar non ci può dar fortuna.
78Poiché lor tolto è il capitan sovrano,
non pugnaranno, o pugnaran divise
le schiere sue. Estinto è ’l re Corbano,
e solo un mio scudier fu che l’uccise;
tanto non fu concesso a la mia mano,
ei schernì l’arrogante, ei lo derise».
Gli applaudon quegli, e tutta a parte a parte
ei narra lor la saggia frode e l’arte.
79Grida a l’or Boemondo: «Or che si bada?
Poiché compite omai son le preghiere
corran veloci a ripigliar la spada
le pie falangi e le devote schiere.
Pria che morto nel mare il sol se ’n cada,
vadan su i muri miei trombe guerriere,
e là da loro a i Persian s’intuone
con alto suono universal tenzone.
80E perch’orrido più quanto maggiore
sembri il numero lor, confonde e mesce
a le vere le finte, e dentro il core
de i saracin novella teme accresce.
Da i labri de le buccine canore
quasi in forma di tuono il suon se n’esce,
l’odono i Persiani e per l’udito
passa ne l’alma il bellicoso invito.
81Pur taccion tutti di disprezzo in segno
gli empi pagan, né dan risposta alcuna,
ma se n’offende e sdegno aggiunge a sdegno
il maggior duce, e le sue genti aduna,
e poiché già nel bell’etereo regno
s’alza la notte e ’l cieco mondo imbruna,
dona cibo a i digiun, sonno a gli stanchi,
ond’escan poscia al primo sol più franchi.