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Il Boemondo, overo Antiochia difesa

di Giovan Leone Sempronio

Canto XVIII

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 2.05.15 7:32

ARGOMENTO
Escon al fin gl’assediati in campo
ma gl’aretra voraggine incantata;
discopre e fuga il paventoso inciampo
inalzata da Pier l’asta sacrata.
S’azuffa insieme al balenar d’un lampo,
par d’ardir, d’ardor, l’oste schierata;
varia è quivi al sorte e varia è l’arte
così pugnan tra lor con egual marte.

Boemondo all’alba arringa i suoi uomini sotto una pioggia ristoratrice

1Già nasce in ciel, figlia del sol che nasce,
l’alba, ch’è nata avanti al genitore,
e stretta a pena e bambinella in fasce
che del padre al natal langue e si more,
momento adulator che ’l mondo pasce
di superficial vano splendore,
atomo lusinghier, lucido punto
che si parte da noi pria che sia giunto.

2Ma con lei che nascendo avvien che mora
e che ne i raggi altrui se stessa oscura,
sorge beata et immortale aurora
che gli Occasi non sa, l’ombre non cura,
Questa di stelle il santo crin s’infiora
del suo proprio Fattor fabbra e fattura,
e tutta raggi il sen, raggi le ciglia
del Sole eterno è genitrice e figlia.

3Indigesti giacean pria gli elementi
né ancor architettati eran gli abissi,
confini a l’ocean, termini a i venti,
cardini al ciel non si sentian prefissi,
librati de la terra i fondamenti
non si vedeano in se medesmi e fissi,
e coetanea a Dio questa vivea
concetta già ne la sua vasta idea.

4Né fu senza ragion, senza mistero
che la nova del dì scorta improvisa
il mondano a bear basso emispero
si rimirasse in Oriente assisa:
quel sommo Re che tien su gli astri impero
e che da i puri rai l’ombra ha divisa
volse così, di chiara luce adorno
forse fra noi privilegiar quel giorno.

5Sorge al sorger di lei veloce e presta
l’oste fedel da l’inquiete piume,
e cavo bronzo in alto suon la desta
le bellezze a mirar del novo lume.
Già l’armi ognun si cinge e già s’appresta
per quel gran Dio che solo a tutti è nume
d’espor la vita, e s’ange e si querela
de la tardanza et a la pugna anela.

6Serpe così che gelido e languente
giacea nel sen di trarupevol balza
s’avien che ’l tocchi il novo sol nascente
getta l’antica spoglia e ’l capo innalza,
e di squama miglior lieto e ridente
striscia per l’erbe invigorito e sbalza,
et incontrar e fulminar tra via
con gli armenti il pastor cerca e desia.

7Ne la piazza maggior quindi raccolte
sotto l’insegne lor s’eran le schiere,
e facean tremolando a l’aure sciolte
d’ogn’intorno ondeggiar piume e bandiere.
Son così liete e così dense e folte
che promettono altrui palme guerriere,
e impazienti a la battaglia e pronte
la vittoria comun portano in fronte.

8Le genti a lor soggette a parte a parte
riconoscendo i principi se ’n vanno,
e come insegna altrui scola di Marte
di più falangi un ordine ne fanno.
Senza partirsi d’orma, unite ad arte,
le varie legion tutte si stanno,
fin che tromba canora al fin l’invita
a la gran mossa, a la fatale uscita.

9Guglielmo et Ademar la pastorale
portano ne la destra asta d’argento,
e quella ch’ei trovò lancia immortale
alza il buon Pietro a la gran pugna intento.
Quei che trassero già vita claustrale
spiegan le sacre e sante effigi al vento,
e d’arme in vece intrepidi e devoti
impugnano le croci i sacerdoti.

10Sovra bardato d’or vasto corsiero
maestoso fra lor sta Boemondo,
nudo la fronte sol d’elmo e cimiero
nel resto poi veste de l’armi il pondo,
e con affabilità pari a l’impero
con lieto ciglio e con parlar giocondo
a i suoi soldati in guisa tal ragiona
e vie più ch’uom ne i detti suoi risuona:

11«Se ’l valor vostro e se la vostra fede
già non mi fosse a mille segni espressa,
non avrei posto in Antiochia il piede
né presa la corona a me concessa.
Io ben sapea ch’aurata e regia sede
col peso suo tiene ogni mente oppressa,
e che in clima stranier dov’oggi io sono
in van si tenta stabilire il trono,

12ma perch’io vi conobbi in più perigli
quanto forti a voi stessi, a me leali,
spero sottrar da i persiani artigli
queste dilette al Ciel mura reali.
Su dunque, o fidi miei, su dunque, o figli,
siate in coraggio a voi medesmi eguali,
e presentando il degno onor primiero
de l’antica virtù gite al pensiero.

13Gli stessi or siete pur che generosi
per Cristo e per la fé l’arme cingeste,
e fin qui trionfanti e gloriosi
non pugnaste già mai che non vinceste.
Per ignoti sentieri e faticosi
vi portò, vi guidò lume celeste,
e foste nel fatal lungo viaggio
a l’Affrica spavento, a l’Asia oltraggio.

14Giurovi, amico e in testimonio io chiamo
d’un giuramento tal gli uomini e Dio,
che quel buon fin ch’a tanta impresa io bramo
sta ne le vostre man, nel braccio mio.
Fato mondan, terreno onor non amo,
ma qualche merto in Ciel sol ne desio,
e credo ancor che con lo stesso oggetto
fiamma divina a voi riscaldi il petto.

15Or che s’indugia, o forti? O mi vogliate
per duce o per compagno, ecco me ’n corro.
Io dietro vi terrò se voi n’andate,
e seguitemi voi s’io vi precorro.
Così ne i Persian l’armi spietate
e ’l nome vil di menzogneri aborro
che, se fia d’uopo, ancor sotto ogni impero
pugnerò fante e servirò scudiero.

16Varia ragione è fra i nemici e noi,
noi guerreggiamo al Cielo et essi al mondo,
vili campioni e mercenari eroi
sono i pagani et empio stuolo immondo,
pari pietade io qui ritrovo in voi
né può dirsi ad alcun l’altro secondo.
Ci sovenghino omai l’alte parole
che portiam scritte al petto: Iddio lo vuole.

17Non vi rammento qui gli oblighi nostri
e i fatti al sacro avel publici voti,
le mie promesse e i giuramenti vostri
a tutta Europa, a tutti noi son noti.
Publico zelo anche da noi si mostri
e a pro del Ciel votivo acciar si ruoti;
spada qua giù per Dio brandita in guerra
è un fulmine mortal che ’l mondo atterra.

18Come sprezzati siam, come delusi
dal rio Corbano ogni un di noi se ’l vede,
e più lunga stagion star qui racchiusi
non ce ’l detta il valor, l’onor no ’l chiede.
Dunque andar vogliam di Marte a gli usi,
convien che ’l ferro apra il sentiero al piede.
Forte città non rende altrui sicuro
a buon soldato il sol coraggio è muro.

19Se restiam trionfanti e vincitori
non mancheranno a noi provincie e regni,
la Persia ne darà scettri e tesori,
l’Asia ne porgerà cibi e sostegni;
ma se cediam fuggendo anche i pastori
ci stimeran d’un vil tugurio indegni:
ricovro in van da gli stranier s’attende
chi la propria magion pria non difende.

20L’acquisto, il premio, il fatto, il tempo, il loco
v’esortino eloquenti oggi a l’impresa,
che un così vasto e grave affar da roco
(ben che pio) dicitor mal si palesa.
Principio io vo’ da voi, nel resto invoco
custode il Ciel de al comun difesa.
Uscianne, usciam, benché languente e lasso
può ben portarci a la vittoria un passo».

21Così dic’egli, e un mormorio si sente
ch’a i detti applaude e al capitan dà lode.
Arde di santo zel lieta la gente
e di già cimentarsi anela e gode.
Nitrisce ogni destriero e impaziente
l’umid’oro del fren travolve e rode.
Grida ogni tromba e se medesma accorda
a l’altrui voci, e ’l mondo e ’l cielo assorda,

22quand’ecco preziose alme rugiade
lagrima fuor lor l’aer sereno.
Stillasi in perle e copia tal ne cade
che ’l petto e ’l tergo ogni guerrier n’ha pieno.
Rende il salubre umor forza a l’etade,
vigore al piede e robustezza al seno,
et ad ogn’egro e languido destriero
ridona il natural nerbo primiero.

23Non son di Cinzia no figlie già queste
ch’ella di grembo al mar tragge e raduna,
ma concetta là su prole celeste
di quella dea c’ha sotto i piè la luna.
Quindi felice augurio è che s’appreste
a i cristian di parzial fortuna,
e in lor risorge il cor, come ne’ fiori
risorge il verde a i mattutini umori.

24Poi, rivolgendo al buon Raimondo il ciglio,
gli s’appressa, l’abbraccia e sì gli dice:
«Nestore glorioso, il cui consiglio
può l’impresa commun render felice,
e che sprezzando ogni mortal periglio
ruoti ne la tenzon spada vittrice,
io ben devrei, così canuto e bianco
a gloria mia desiderarti al fianco,

25ma perché chiaramente oggi tu veggia
quanto mi fia la tua gran fé gradita,
questa cittade in guarda e questa reggia
t’assegno, onde da te fia custodita,
e se mentre si pugna e si guerreggia
fia mai che in lato alcun resti assalita,
tu da lor la difendi, io la commetto
al tuo brando, al tuo braccio et al tuo petto».

26Risponde il tolosan: «Benché più grato
mi fora il seguitar gli altri campioni
e a te congiunto e teco in campo armato
apportar stragi e rintracciar tenzoni,
pur rimarrò, così da te pregato,
ad esequir ciò che signor m’imponi,
et al ferir de le pagane spade
pria l’alma perderò che la cittade.

27Vanne dunque colà, vanne felice
a le palme, a gli allori et a le glorie,
ch’io fin di qua, poich’altro a me non lice
seguirò co ’l pensier le tue vittorie,
e se fia che festosa e vincitrice
l’oste fedel di qui tornar si glorie,
con festosi apparati e lieti canti
apprestarò il trionfo a i vostri vanti».

I pagani assalgono i cristiani sulle porte ma sono fugati

28Ma le nemiche al Ciel genti pagane
cui troppo duol la coraggiosa uscita,
e che vorrian, quasi a conigli in tane,
a i sacri duci assediar la vita,
tentando van con nove forme e strane
che in su la soglia ancor resti impedita,
e con ignoti altrui barbari modi
usan la forza pria, poscia le frodi.

29In vèr la porta austral, d’onde dispone
uscir nel pian l’oste fedele e pia,
a sanguinosa et orrida tenzone
il persiano esercito s’invia,
non però tutta a cimentar si pone
la vasta in luogo tal forza natia,
ma con le squadre sue solo v’accorre
Arconte, Radamasto et Almansorre.

30Se ’l vede Boemondo e non è tardo
a preparar le debite difese,
esce tra i primi il giovine Riccardo,
a cui fiamma d’onor l’animo accese,
et ecco giunge ingiurioso un dardo
ch’aspre gli porta e sanguinose offese,
e mortalmente ne le lebbra il tocca
e gl’inchioda la lingua in su la bocca.

31Mor’egli, e nel morir ben gli soviene
ciò che fu dal buon Pietro a lui predetto,
ch’ei perderia del dì l’aure serene
pria che goder del trionfal diletto.
Quinci del vecchio error le nove pene
devuto ei crede e meritato effetto,
e par che solo un giusto duol si prenda
che non può farne una famosa ammenda.

32Nel picciol foro de l’angusta porta
quasi a certo bersaglio ogn’arco tira,
sì che da i colpi lor trafitta e morta
varia gente colà languisce e spira.
Su i muri a l’ora il capitan trasporta
arciere squadre, e d’odio avvampa e d’ira,
e a far di que’ felloni aspra vendetta
li fulmina da l’alto e li saetta.

33Ferito è il fiero Arconte, e perché grave
è la sua piaga ei si ritira e cede,
e Radamasto ne l’ossuta chiave
già vien percosso e più non move il piede.
Solo Almansorre intrepido non pave
né a la tempesta ostil calma concede,
e grida e freme e mortalmente oscuri
più nuvoli di strali avventa a i muri.

34Gildippe a l’or, che sovra i merli assisa
de l’ozio de la man sdegno prendea,
al suo caro Odoardo in dolce guisa
famelica d’onor così dicea:
«Oh s’io potessi per mia man divisa
da quel fellon l’alma superba e rea
oggi a mirar d’acuta verga alata
a sì gran colpo, i’ mi direi beata».

35L’amante cavalier, che la sua dama
vuol compiacere, un arco afferra e prende,
e per mostrar ch’ei l’ubbidisce e l’ama
ratta gliel porge e gliel incocca e ’l tende.
Ella ad armar la man sinistra il chiama
e in su la destra mamma indi il sospende,
poi chiude un sole, et egli: «In van tu scocchi
che se pur morto il brami, apri i begli occhi».

36Qui lo stral prigionier quella discioglie
che porta ovunque va morte e terrore,
e nel sen investisce e ’l giunge e ’l coglie,
qual de le donne è stil, non lungi al core.
Di sanguinoso umor tinge le spoglie
l’alto Almansor, ma non però ne more,
e le sue schiere timorose e stolte
van quasi in fuga vil tutte rivolte.

37Ma su bruno destrier giunge improviso
l’empio che di Corban le membra move,
e in sella anch’egli al regio fianco assiso
vien Zoroastro, e non si gira altrove,
e veggendo ogni stuol sparso e diviso
«E dove» esclama «o fuggitivi? e dove?
Fermate il passo e sospendete il corso,
non vi giunge con me poco soccorso.

38Ah non temete no di dardo ostile
le superbe minaccie e i vani colpi,
ma senza trar il piè fuor del covile
moian colà le cristiane volpi».
Così gli esorta, e timoroso e vile
non v’è pur chi si fermi e si discolpi,
ma fugge ogni falange e riconduce
dentro le tende il suo ferito duce.

Zoroastro apre una voragine nel terreno che inghiotte molti crociati, Pietro sfodera la lancia di Longino e la rinchiude

39Con franco piede i cristiani in tanto
spingon se stessi a l’anelata uscita,
quando la mente a più temuto incanto
rivolge il mago e i fieri spirti irrita.
Vantasi quegli, e non è vano il vanto,
di dar a l’opra ogni opportuna aita,
e con tremoto orribile e sonante
scuote la terra al limitar davante.

40Di diametro immensa, ampia di sfera
s’apre voragginosa alta caverna,
cupa così che dove Pluto impera
nel dentro de l’abisso il piede interna.
Altra non tien più dirupata e nera
nel cieco regno suo la mole inferna,
et ha grembo sì vasto e sì profondo
che quasi la dirai tomba del mondo.

41Spira terror la formidabil bocca
e vomita sovente arsi bitumi,
esce talor da i duri labri e fiocca
cenere acheronteo sciolto in volumi.
Or da le scabre roccie aventa e scocca
di sulfureo licor torbidi fiumi,
e spesso innalza ancora aspri e ferrigni
misti a zolle d’acciar tronchi e macigni.

42Freme tal volta e par che in lei risuoni
orribile armonia d’empi concenti,
mesce a i fischi i latrati, a gli urli i tuoni,
e ’l ferro scosso a lo stridor de i denti.
A i portentosi nembi, a i rauchi suoni
senza piè, senza cor restan le genti,
e a la mortal voragine funesta
su la soglia ciascun le piante arresta.

43Alzan ridendo ingiurioso un grido
in lor disprezzo i Persiani a l’ora.
Esclama Soliman: «Dove è quel fido
popol fatal cui tanto il mondo onora?
Uscite, uscite, ecco a tenzon vi sfido,
ecco le strade il vostro Dio v’infiora.
Mirate come il Cielo a i suoi guerrieri
sparga a facil camin d’erbe i sentieri.

44Quelle non siete voi genti fatate
a cui brando terren nocer non vale?
non prefiggeste voi certe giornate,
non intimaste voi pugna campale?
or che non vi movete, or che indugiate,
se pur del vostro onor nulla vi cale?
Cotesta ch’or vi dà riparo e scampo
è una chiusa cittade e non un campo».

45Le beffe del soldan recansi a sdegno
gli eroi più biondi e non le cape il core,
e v’è talun di sì feroce ingegno
che vuol gettarsi in quel sepolto orrore.
Stiman l’abisso ancor vano ritegno
ad alma invitta, a intrepido valore,
e di passar ciascun di lor si gloria
per mezzo a i precipizi la vittoria.

46Ma credono i più vecchi e i più sublimi
che sulfurea miniera ivi si trovi,
e che ne i fondi suoi più cupi et imi
bituminose glebe asconda e covi;
par che l’istesso il capitano istimi
e che di lor l’opinione approvi,
e che sfogo qua giù sia di natura
più che prodigio una sì strana arsura.

47Il vulgo avaro, a specolar non uso,
le ragion non gradisce o non l’intende,
e al subito terror muto e confuso
in dubbiosi pensier l’alma sospende;
ma il buon romito, ah non è già deluso
da quelle larve, e ben in sé l’apprende,
e di spirto celeste il cor ripieno
così favella, intrepido e sereno:

48«Errate, eroi, non natural fucina
aventa di là giù solfi bollenti,
e parto non è già l’alta ruina
di nemici fra lor chiusi elementi;
se nulla può in altrui mente indovina
io ben raviso i magici portenti,
opra è sol de l’Averno e sol l’aprio
per nostro mal spirto rubello a Dio.

49Io la vana apparenza or or qui spero
far dileguar che ’l passo a voi contrasta,
e spianarsi inagiato ampio sentiero
d’un molle pian profondità sì vasta.
Fuggirà timoroso al grande impero
ogni spettro mortal sol di quest’asta,
e un sol crollo di lei, se il braccio eterno
di Dio la move, atterrirà l’Inferno».

50Così dicendo al Ciel la fronte inchina,
poi move ignudo a la gran cava il piede,
et alza ad ambe man l’asta divina
tutto zel, tutto spirto e tutto fede.
Scoppia un gran tuono e l’infernal ruina
gli ultimi ardor già vomitar si vede;
paralitica alfin trema la terra
e la gran bocca sua chiude e riserra.

51Novo ardir, nova forza e nova speme
nel core a l’or de i cristian s’accresce,
et ogni duce et ogni schiera insieme
sicura omai da la città se n’esce.
Ma d’ira avampa al gran successo e freme
ogni pagano, e si confonde e mesce,
e ne gli usati e ben muniti valli
si ritirano già fanti e cavalli.

Lo spirito che invade il corpo di Corbano fugge per via della lancia di Pietro, Zoroastro finge che il re sia svenuto e lo imbalsama

52Ma più grave fra loro alto accidente
la sacra lancia in sua virtù produce:
rimanda l’infernal spirto nocente
a spirar l’ombre, a bestemmiar la luce,
sì che la spoglia immobile repente
riman, qual pria, del persiano duce,
e poiché dal demon non è più tocca
precipitosa in su ’l terren trabocca.

53V’accorre Zoroastro, e i più fedeli
servi, a cui noto era il primiero inganno,
e perché il mesto caso altrui si celi
ne la tenda real providi il tranno.
Pensan che s’averrà ch’ei si riveli
fia de la guerra e de l’impresa in danno,
e di serbar la già defonta imago
in altra guisa al fin risolve il mago.

54Balsami peregrini e preziosi
in su i membri di lui stilla e discioglie,
e un bel misto d’aromati odorosi
dentro l’aperte viscere raccoglie.
Intatte in guisa tal con quei pietosi
e naturali odor serba le spoglie,
che tartarea virtù mantenne e rese
più giorni incorruttibili et illese.

55Ma per le schiere intorno e per le tende
già si dilunga il doloroso aviso,
e se ’n turba ciascuno e se n’offende
che da ferro nemico il crede ucciso,
pur da i più fidi suoi s’ode e s’intende
che sia lieve deliquio et improviso,
e Zoroastro anch’ei giura et afferma
che in lui natura è lievemente inferma.

56Gli esorta poi che generosi e forti
ne l’estremo cimento armin al mano,
ch’esposto intanto a i medici conforti
l’usate forze acquisterà Corbano,
e in mezzo a la tenzon fia che si porti
in campo anch’ei rinvigorito e sano,
e assisterà ne l’ultimo periglio
co ’l brando, con l’aspetto e co ’l consiglio.

Comincia l’attacco: Goffredo guida la cavalleria e distrugge elefanti e carri

57Ma giunge Boemondo ove dispone
fermar il campo, e prima osserva il sito,
indi in forma di croce ampio squadrone,
qual vasta tela, ha di più file ordito.
Sta intrepido a la fronte il gran Buglione
co i duo Roberti e con Eustazio unito,
et ha seco con Guaco e con Gerniero
Rosmando, Alcasto e il sì fedel Ruggiero.

58Il buon Tancredi ha il destro braccio in cura,
e ’l generoso Ottone e ’l fier Gernando
e quei che cavalier son di ventura
quivi del buon Dudon stanno al comando.
Con essi è Sforza et impugnar procura
Camil, Gentonio et Engerlano il brando,
e in ordin militar doman se stessi
duo Guidi insieme e duo Gherardi anch’essi.

59Guelfo al braccio sinistro indi precede
e seco guida il giovine Rinaldo.
Sieguono questi Achille e Palamede,
Tomaso, Arrigo et Obizo e Rambaldo.
Fan guarnigion de la gran Croce al piede
Gallo e Ramuso al fin, Carlo et Ubaldo,
e con Lamberto insieme et Enerardo
il prence inglese e ’l forte conte Isuardo.

60Sta nel mezzo di tutti il capitano
maestoso di gesti e di sembianti,
gode che Guido, il suo fedel germano,
gli assista al fianco e gli guerreggi avanti,
né vuol che movan indi il piè lontano
Gildippe et Odoardo, i fidi amanti,
che ben è noto a lui quanto in battaglia
coppia così leal gli altri prevaglia.

61Ma d’altra parte lo squadron pagano
tien sembianza di luna ancor non piena:
ha il destro corno il gran Gostavo in mano
et il sinistro Albumazar raffrena;
stan nel mezzo Clorinda e Solimano,
l’una invitta di cor, l’altro di lena,
e a lor d’intorno intrepidi et arditi
son gli altri duci in quel mezz’orbe uniti.

62Nel centro poscia, ad ogni squadra avanti,
in fila stabilissime comparte
gli ammaestrati in campo alti elefanti
Arimedon, che del domargli ha l’arte.
I falcati fra lor carri volanti
c’han le schiere talor lacere e sparte
Arsace al fin dispone, e par che porte
in sé ciascuno a trionfar la Morte.

63Bello finora è de la guerra il volto,
liete su gli elmi ondeggiano le piume,
scherza con l’aure ogni vessil disciolto
e d’argento a i destrier piovon le spume,
brilla ogni sen tra ricche spoglie avolto
et ogni usbergo arde del sole al lume,
splendon scudi e faretre in vaghe forme,
né fatto ha il sangue ancor l’oro deforme.

64Ma poiché l’ira in ogni parte ardente
e de la vita il prodigo valore
speranza di vittoria offre a la mente
e certezza d’allor promette al core,
l’un campo e l’altro ecco mutar repente
la sua bellezza in portentoso orrore,
e farsi a gli occhi un improviso oggetto
di spavento vie più che di diletto.

65Non movon d’orma il piè, ma di lontano
comincian pria, qual de gli arcieri è l’uso:
un diluvio di strai vibra ogni mano
folto così che ’l dì ne resta escluso.
Saetta indi il fedel, quindi il pagano,
e ’l ciel per lor in ferrea nube è chiuso,
e, benché immensa, a ricettare ogni asta
che le fischia nel sen l’aria non basta.

66Vertiginoso lin ruotan le fronde
e sciolti di prigion stridono i sassi,
l’un macigno talor l’altro confonde
e selce contra selce urtando vassi.
Da la dura tempesta il sol s’asconde
e par ch’affretti in Occidente i passi,
e le scagliate a vol pietre nocenti
prima uccidon gli augelli e poi le genti.

67Di solfi e di bitumi intrise e miste
spargendo intorno e fulminando anch’elle
van le robuste e solide baliste
appese a lunghi cerri ampie fiammelle.
Scorron là su con luminose liste
quai cadendo talor striscian le stelle
e per l’irate man di più d’un Giove
in folgori terreni il foco piove.

68Coetanea del mondo, alta matrona
c’hai gli altrui gesti in te medesmi impressi,
e cui fanno a le tempie aurea corona
i più degni qua giù chiari successi,
tu m’assisti, e tu perdona
se l’opre tutte e tutti i nomi espressi
da me non son, ché sì pregiata gloria
è solo in petto uman don di memoria.

69Suonano intanto et a più fiera zuffa
chiaman le trombe il cor, la mano e ’l piede,
non sa star il destrier, ma salta e sbuffa,
e pugna, anela e libertà richiede.
Incomincia Goffredo aspra baruffa
là ’ve più grave il suo periglio ei vede,
e romper vuol quei che si mira avanti
grand’urto minacciar vasti elefanti.

70Chiusi ne l’elmo e con le lancie in resta
su generosi e rapidi corsieri
de l’invitto Buglion sieguon la pesta
i più vicini a lui chiari guerrieri.
Con l’ampie terga e con l’immensa testa
urtano anch’essi impetuosi e fieri,
ma pur restano al fin vinti e percossi
gli animati de l’India alti colossi.

71Ben di statura il mostruoso armento
il gregge altier d’ogni cavallo eccede,
pur ne’ suoi moti è così tardo e lento
che de la propria mole il pondo cede;
ma più lievi del folgore e del vento
rotano questi intorno a loro il piede,
e sempre in giro e non mai pigri o fermi
son più pronti a l’offese, atti a gli schermi.

72Uno fra gli altri Arimedon ne guida
alto così che par tra i monti Atlante,
Goffredo il traccia, et a pugnar lo sfida
co ’l cenno, con la voce e co ’l sembiante,
et è ch’a un tempo istesso al fine uccida
il maestro non men che l’elefante,
e su ’l duro terren sciolgano uniti
l’estreme voci e gli ultimi barriti.

73Arsace a l’or che le gran belve estinte
ampio vede occupar spazio di terra,
dove è più folto il franco stuolo ha spinte
le rote già de’ suoi gran plaustri in guerra.
Due coppie di destrieri insieme avvinte
tiene ogni carro, e scorre intorno et erra,
e par ch’a la sua man falci ritorte
goda così moltiplicar la Morte.

74Ma i più scaltri guerrier ch’al fianco stanno
del buon Goffredo, ov’il valor gl’invita
scaglian vèr lor dardi improvisi e tranno
furtivamente i condottier di vita,
indi, volgendo de’ nemici in danno
la frode pria contra se stessi ordita,
prendono il loco del già morto auriga
e drizzan verso i Persi ogni quadriga.

75Di sangue saracin smaltan le strade
i ribellanti a lor ferri falcati,
e, quasi in biondo campo aride biade,
mieton i solchi intier d’arme e d’armati.
Più d’un folto manipolo se ’n cade
di laceri cadaveri e svenati,
e le sparte pe ’l suol membra divise
sembrano in largo pian spiche recise.

76Dove rimira più gli aditi aperti
là s’inoltra Goffredo e là s’avanza,
il sieguon con Eustazio ambi i Roberti,
tutti zel, tutti cor, tutti baldanza,
e come saggi e come in guerra esperti
prendon terreno o di terren speranza,
né dal suo posto alcun guerrier travia
né linea appar che retta in lor non sia.

77Clorinda e Soliman, ch’avean già visti
rapiti i carri e gli elefanti uccisi,
di rabbia ardenti e nebulosi e tristi,
disdegnando in tal guisa esser derisi,
i partimenti lor confusi e misti
van riunendo e gli ordini divisi,
e cauti anch’essi a passo tardo e lento
s’apprestan coraggiosi al gran cimento.

Guido muore, Baldovino acceso d’ira e compie grandi gesta

78Et ecco in fra le feste omai vicine
con più fiera tenzone a l’armi bianche
(vero e buon paragon) vengono al fine
quindi le perse schiere, indi le franche.
A sparger morti, a seminar ruine
impennano i destrier le piante e l’anche,
e l’uno a l’altro a mezza spada avanti
piè premendo con piè pugnano i fanti.

79Miransi insieme impetuosi e crudi
in discorde union chiusi e ristretti
gli scudi inferocir contra gli scudi
e gli elmetti cozzar contra gli elmetti.
Martelli i brandi e son gli usberghi incudi
e s’urtano talor petti con petti,
e intrecciando fra lor moti inquieti
assai più che guerrier sembrano atleti.

80Di sparger combattendo eguale ardore
il proprio e l’altrui sangue ogni uno accende;
cede nel guerreggiar l’arte al furore,
ordin più non si tien, suon non s’intende;
qui s’uccide di par, colà si more,
e ’l sorgere e ’l cader varian vicende,
e fermi e saldi e senza prender calle
vi lascian l’alme e negano le spalle.

81La fida gente a la sua guardia eletta
spinge a l’or Boemondo a la battaglia,
e ne i primi suoi passi empia saetta
da ignota man contra di lui si scaglia.
Schiv’egli il fero stral, ma lo ricetta
il suo caro german tra maglia e maglia,
et ivi il sente ove a la spalla è laccio
folto di nervi e muscoloso il braccio.

82V’accorre il captano, e vien che tente
l’asta sottrar da la mortal ferita,
ma in un largo di sangue ampio torrente
scioglie dal seno il cavalier la vita.
Non so se più sdegnato o più dolente
ei se medesmo a la vendetta irrita,
e prima impon che sotto fide scorte
la spoglia sua ne la città si porte;

83poi dice in flebil suono: «Alma beata,
a me stesso et a Dio sciolta in omaggio,
che su l’ali a uno stral in Ciel volata
lampeggi in stella e folgoreggi in raggio,
tu da l’empireo, ove ti miri alzata,
deh spira al petto mio forza e coraggio,
onde con larga usura e giusta ammenda
mille spoglie pagane io t’offra e appenda».

84Così parlando, a i bellicosi amanti,
ch’al fianco ogni or gli stan, volge uno sguardo,
e par che dica in placidi sembianti:
«Vieni, o Gildippe, seguimi Odoardo»,
indi s’inoltra impetuoso avanti
vèr quella parte onde già venne il dardo,
e spirto a spirto e core a cor raddoppia
a i detti suoi la generosa coppia.

85Le schiere inferiori a lui vassalle
del supremo signor batton la traccia,
et egli, aprendo in fra i nemici il calle,
nel più folto de i Persi urta e si caccia.
Sangue protesta ogni vicina valle,
rimbomba al suon de la fatal minaccia,
e fur veduti al gran conflitto i monti
crollar le chiome, inorridir le fronti.

86Chi può dir con che guise e in quante forme
le stragi ei mesce e le ruine ostili?
Oziosa già mai la man non dorme
ma miete co i più grandi anche i più vili.
Sempre a se stesso il brando suo conforme
fa d’egual paragone atti simili:
dove mai s’insegnaro e in quale scola
morti infinite ad una spada sola?

87Il primier ch’egli incontra e ch’egli assale
è de la Media il principe Arideno,
ch’armato è sì, ma poco omai gli vale
l’elmo a la fronte e men l’usbergo al seno.
Percosso d’un fendente aspro e mortale
agonizzante già batte il terreno,
e quel poco ch’al cor spirto gli resta
il suo proprio destrier morde e calpesta.

88Indi un rovescio a Galafron raggira
e fa ch’al suol la destra man gli cada:
qual coda d’angue a saltellar si mira
ancorché tronca et impugnar la spada.
Ma il ferito guerrier freme e sospira
e vuol che la sinistra ancor se ’n vada.
«Il gran signor de i susiani io sono»
poi grida «e ’l brando mio chieggioti in dono».

89Gliel rende Boemondo, in fiera guisa
ei ne la manca man tosto l’afferra,
ma d’un colpo fatal cade recisa
tremula anch’ella e sanguinosa a terra,
e ben gli avria dal cor l’alma divisa
ma non vuol con un monco aver più guerra,
e «Va’» gli dice «e riferisci in Susa
che scortesia tra i cristian non s’usa».

90Danebrun d’Atropatia, uom che credea
che sol la spada sua fosse pungente,
per le man stesse di percossa rea
trafitto ne le coste anch’ei si sente,
e da l’arcion, che immobile parea,
ruinoso precipita e cadente,
astretto a confessar che taglia sempre
spada che dal valor abbia le tempre.

91Gran facella pe ’l campo intorno gira
Manfron scotendo, il perfido indiano,
e largo il varco a i suoi trionfi aspira
co ’l vasto ardor de la fulminea mano;
a questi ancora il capitan s’invia
e ’l fère in fronte e lo distende al piano.
Cade supino, e mentre in terra giace
sotto il capo di lui resta la face.

92Langue il superbo e brugia irato e freme,
e tra gl’incendi suoi s’avolge e spira.
Gusto e pietà n’ha Boemondo insieme
e parla a lui, ch’agonizzando il mira:
«Dir non potrai ch’oggi ne l’ore estreme
t’abbiano gli europei tolta la pira;
io qui concedo a i tuoi pietosi sguardi
l’incenerir nel proprio rogo: or ardi».

93Superbo per gran lusso ecco Armidoro
preziose vestir piastre gemmate,
qual le veste talor di lucid’oro
(ahi gran viltà!) la molle nostra etade.
Tutto fure per lor l’India un tesoro
onde fosser guernite, onde temprate,
e in ricche verghe e in lamine guerriere
si sciolser del Perù l’ampie miniere.

94L’investe anch’esso, e gelido et esangue
di sella il capitan l’alza e travolve.
Vomita l’alma il miserello e langue,
intriso di sudor, lordo di polve,
e sol tanto gli duol spargere il sangue
quanto che in esso il caro usbergo involve,
e sotto la mortal dura ferita
perder l’armi gli cal più che la vita.

95Questi, e mill’altri ancor che sono in guerra,
ignota e senza nome ignobil plebe,
van per sua man de l’odiata terra
a premer l’erbe, a insanguinar le glebe,
né tante in chiuso ovil sbrana et atterra
generoso leon timide zebre,
quante cervici e quanti capi il forte
nel conflitto campal dona a la morte.

Zoroastro mostra Corbano come fosse vive e impedisce la rotta, supportato dalle gesta di Solimano e Clorinda

96A l’esempio del re corre ogni duce,
e dietro il duce suo move ogni schiera,
e s’avanza animosa e si conduce
là ’ve più ferve e più la pugna è fiera.
Cedono alquanto i Persi e si riduce
nel sicuro del vallo ogni bandiera,
non è fuga però quella ch’ingombra
le piante lor, ma ben di fuga un’ombra.

97Del vicino timor s’accorge il mago
e un tarlo acuto entro il suo cor ne sente,
e del futuro mal quasi presago
pensa fra sé come animar la gente,
e perché stima de la regia imago
l’amato oggetto esser a ciò possente,
impon che quivi a i publici conforti
come pur vivo sia Corban si porti.

98In ricco manto e in preziosa vesta
il cadavero suo ravvolto avea,
lo scettro in mano e ’l diadema in testa
in atto imperiosissimo tenea.
Sovra coltre d’argento e d’or contesta
di trono in forma immobile sedea,
e stava in lei con sì bell’arte avvinto
ch’infermo egli parea, ma non estinto.

99Otto scudier con due grand’aste intorno
il portan su le terga agili e pronti,
tutto festeggia il campo al suo ritorno
e a l’apparir di lui piegan le fronti.
De l’altrui vanto e del suo proprio scorno
dentro il suo cor par ch’ogni eroe s’adonti,
e con doppio furore escon da l’alto
de le trinciere a rinovar l’assalto.

100Poi grida Zoroastro: «Ecco presente
chi co ’l silenzio ancor legge v’impone;
mirate il vostro re, ch’egro e languente
duolsi non esser atto oggi a tenzone.
Infermo ancor, tra la nemica gente
il lascierete al fin servo e prigione?
e tornarete in Persia e ’l suo Corbano
non ridurrete a lo softì sovrano?

101Voi sani et a voi stessi e al capitano
seguendo in ciò del vero onor la via
non pugnarete or qui mentr’ei non sano
per se stesso e per voi pugnar vorria?
così languisce il cor, torpe la mano
e l’antico valor così s’oblia?
Sì, generosi, sì gite e atterrate,
non son l’armi de’ Franchi armi incantate».

102Così proclama, e poiché già rimira
ch’a la battaglia ogni campion s’accende,
con cauto avviso il morto re ritira
ne la maggior de le sue ricche tende.
Cresce in tanto la pugna e si raggira
in sembianze fierissime et orrende,
e si spinge animoso ogni guerriero
a miglior prova, a paragon più fiero.

103Come di Marte a lor dettan gli studi,
di cuneo in forma i cristian ristretti
non fanno al proprio sen scudi gli scudi
ma fan scudi a gli scudi i propri petti.
Pugnarian coraggiosi ancor ch’ignudi
tanto il morir per Dio vien che diletti,
e al mondo e al Ciel ben ne fan fede espressa
molti di lor fin con la morte istessa.

104Di gloria avaro e prodigo di vita
tra i Persi Isuardo a penetrar s’accinge,
ma seco a pugna con un colpo il cita
la gran Clorinda, e incontra lui si spinge.
Ne la visiera il fère, e la ferita
di vermiglia rugiade il crin gli tinge,
così senz’occhi al fin convien che mora,
né può chiuder le ciglia in morte ancora.

105Arrigo a l’or, che vendicar pur brama
del morto conte il miserabil fato,
sia zel d’affetto o pur desio di fama
le s’aggira d’intorno al destro lato,
ma il getta al suol la bellicosa dama
di punta mortualissima piagato,
poi sovra lui co ’l suo destrier si porta
e in cotal guisa, irronica, il conforta:

106«Mori lieto, o guerrier, ché tra le glorie
de gli avi antichi, ond’il natal traesti,
dirà l’Europa ne le sue memorie
che per man di Clorinda or qui cadesti».
«L’applauso io vo’ sol de le sacre istorie»
risponde quei «de la mia mano a i gesti,
e sol mi pregio in guerra e sol m’onoro
ch’a Dio pugnai e che per Dio mi moro».

107A Tomaso di Feria urta e discioglie
il crudo Soliman l’alta barbuta,
piomba lo stocco e ne la bocca il coglie
e la lingua gli fa gelida e muta.
Su le vermiglie e polverose spoglie
con l’anima fugace i denti sputa,
e s’aprono in pensando al Paradiso
le tronche labbra sue quasi in un riso.

108Caro a le Muse, l’erudito Arnaldo
de i licei provenzali onore e vanto,
ch’acceso il cor di bella fiamma e caldo
sciolse su cetra d’or lirico canto,
anch’egli in Chiaramonte ardito e baldo
armò di ferro il sen, di croce il manto,
e vago de la tromba alta epopea
sovra la santa impresa ordir credea,

109ma non però perché virtude il vesta
vien che l’empio nicen quindi il risparmi:
su ’l collo il giunge, ed ei cedendo attesta
che gran divario è tra le penne e l’armi,
e con tragedia flebile e funesta
spira il musico spirto in sacri carmi,
e già sospira il sol, gli perde il die,
degno di sempre e lunghe alte elegie.

Gildippe e Odoardo compiono imprese incredibili

110Mentre in sì fiera guisa errando vanno
l’amazzone superba e ’l rio soldano,
con larga usura a risarcir quel danno
Gildippe et Odoardo alzan la mano:
dan più morti che colpi, e seco tranno
monti di corpi a torreggiar su ’l piano.
Perdona il brando a chi da loro è lunge
e non uccide sol quei che non giunge.

111Lascio il narrar su i popoli feriti
i più minuti qui colpi vulgari,
ma tra i sublimi lor pregi infiniti
per farne pompa al Ciel scelgo i più chiari.
Odagli il mondo, e da i guerrieri arditi
coraggio insieme e robustezza impari,
e vedrà quanto puote e quanto vale
impiegata per Dio forza mortale.

112Era tra i Persian giovine audace,
povero d’opre e vantator di lodi,
che Belfiero s’appella, e che sagace
fabbro fu sempre et inventor di frodi.
Mira la gente sua ch’estinta giace
e seco pensa onde salvarsi a i modi,
ma perché sol di fanti è condottiero
e cavallo non ha, vano è il pensiero.

113S’incontra egli in Gildippe et improvisa
e fredda tema il mesto cor gli assale,
che per quella crudel ben la ravvisa
che fe’ de’ suoi guerrier strage mortale,
pur novo inganno entro il suo cor divisa
il vicino a fuggir punto fatale,
e fingendo coraggio a la donzella
che già sovra gli sta, così favella:

114«E qual pregio è già mai ch’oggi si veggia
pugnar su buon corsier donna arrogante?
Tu no, non tu, ma il tuo destrier guerreggia
et egli è il vincitore, il trionfante.
Scendi, e meco pedon pugna e passeggia,
e tu ancor su ’l terren ferma le piante,
e vedrem fra di noi cui con più laude,
in arme egual, la vera gloria applaude».

115Se ’n turba la feroce e se ne sdegna
e ’l mordace parlar recasi ad onta,
e come a lei scola d’onore insegna
lascia le staffe impetuosa e smonta;
a un suo valletto il palafren consegna
e si mostra su i piedi agile e pronta.
Belfiero a l’or la man su ’l pomo stende
e d’un gran salto in su la sella ascende.

116Poi, tocco a pena al corridore il dorso,
co ’l ferrato tallon l’agita e batte,
veloce ei vola, e dal dorato morso
scioglie in argenteo umor spume disfatte.
Freme Gildippe, e tosto avventa al corso
le piante più che foco agili e ratte,
e (strano a dirsi) in guisa tal se ’n corre
che lieve il giunge e rapida il trascorre.

117Indi si volge e disdegnosa e fiera
con quella forza ond’è famosa in guerra
su ’l più vivo vigor de la carriera
per lo crine il destrier ferma et afferra,
e il fallace campion, che indarno spera
ne l’arti sue, scaglia stordito a terra,
et è grave così l’alta percossa
ch’egli vi sparge e le cervella e l’ossa.

118Su ’l rapito corsier poscia risale
e, quasi reo di fellonia, lo punge.
Gode del nobil fatto e sol le cale
che dal mirarlo il suo signor fe’ lunge,
e trovar pace e riposar non vale
fin che, gelosa, ov’il lasciò non giunge.
e quale è stil de’ più sagaci amanti
non gli spiega ella stessa i propri vanti.

119L’invitto intanto e intrepido Odoardo
ch’odia un sol punto anche oziar co ’l brando,
in fra i campion pagani il più gagliardo
se ’n gìa con l’occhio e con la man tracciando,
et ecco volge al fin grave uno sguardo,
nato in Ircania, al valoroso Ormando,
poi disdegnoso in atto a lui s’avventa,
e ’l punge e ’l preme e con più colpi il tenta,

120Non teme no, ma con lo stocco ignudo
risponde il saracin dure risposte,
e nel fatato usbergo e ne lo scudo
ha le speranze sue tutte riposte.
Il franco eroe l’acuto ferro e crudo
quindi al capo gli aggira, indi a le coste,
ma nulla fa, ch’armi incantate e maghe
non curan colpi e non conoscon piaghe.

121«Poco varranno a schermo tuo gl’incanti»
grida Odoardo, e a rendersi l’esorta,
e perché da la sella il tragga e schianti
gli fa del destro braccio aspra ritorta,
lo svelle al fine, e al proprio arcion davanti
se ’l pon traverso, e seco stretto il porta.
Ciascun gli applaude, et ei s’appaga e gode
del dolce suon de la devuta lode.

122Poi tutte de l’usbergo a lui rintraccia
le commessure, e in varie parti il picchia.
Respinge quei con le robuste braccia
i fieri colpi, e l’alza e l’incrocicchia.
Angue così ch’aquila vinse in caccia
se l’avvolge fra l’ugne e si rannicchia,
et ella al ciel con lievi piume e ratte
pur seco lotta e pur co ’l rostro il batte.

123Poi, giunto de l’Oronte in su la sponda,
di sen se ’l toglie e in grembo al fiume il getta,
e «Va’,» gli dice «e t’avedrai s’a l’onda
resistenza può far tempra perfetta».
Tratto da l’armi sue la più profonda
del turgido torrente acqua il ricetta,
e così senza tomba e senza porto
giace l’empio pagan naufrago e morto.

124Lieto del fatto e del’impresa altero,
torna per rivedere il bel sembiante
di sua Gildippe il principe guerriero,
in su l’ali d’Amor quasi volante,
e più volte cangiando orma e sentiero
ritrova al fin la sospirata amante,
ei le narra i suoi gesti, et ella a lui
accenna sol, dialogando, i sui.