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Il Boemondo, overo Antiochia difesa

di Giovan Leone Sempronio

Canto XX

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 2.05.15 7:40

ARGOMENTO
Fuor de la pugna trae vindice cura
Tancredi, e ’n dubbio calle il piè gl’aggira;
a un fonte vien di magica struttura
ove a un punto Clorinda ama e rimira,
pur tornar gli convien dentro a le mura
in cui segni di gioia ogn’uom già spira.
S’unge in re Boemondo e a l’alta impresa
fine s’impon de la città difesa.

Tancredi inseguendo i fuggitivi giunge a una fontana, si addormenta e in visione vede Giuliano l’apostata, che cerca di convincerlo a lasciare la guerra e gli dice che lì vicino c’è una bellissima donna

1Già ritornato al natural suo corso
ne le braccia del mar Febo cadea,
e de la terra in su ’l gibbuto dorso
per farne velo al ciel l’ombra sorgea;
Tancredi intanto ogni confin trascorso
del campo ostil dietro i seguaci avea,
e sovra un fonte, sitibondo e stanco,
dava ristoro e refrigerio al fianco.

2Di Dafne in Siria egli s’appella il fonte,
nobil sudor d’architettrice mano,
in cui l’effigie de l’aonio monte
al fatidico dio fece Adriano.
Ispida di diaspro alza la fronte
e le circonda il piè marmo affricano,
e in un ricco mosaico in sen trecciati
porta i balassi, i lazzuli e gli acati.

3Su ’l ciglio al colle un gran destriero alato
senza fren, senza morso in aria pende,
e sol ne l’unghia d’un suo piè librato
il petto a uno scheggione apre e scoscende.
Di grembo al sasso lacero e svenato
un cristallino umor gronda e discende,
chiaro così che se ’l mirassi intento
e no ’l toccassi il giuraresti argento.

4Stan di tutto rilievo insieme unite
le vergini di Pindo e d’Elicona,
e in marmi preziosissimi scolpite
fanno a i piè d’un Apollo umil corona.
Di dolci canti e d’armonie gradite
ogni lor bocca, ogni lor man risuona.
Lingua han dal vento et anima da l’onde
ciò che mostra natura arte nasconde.

5Per sepolti canali in vari errori
serpeggian l’acque imprigionate e strette,
e da i racchiusi et agitati umori
son ben mille ingegnose aure concette.
Quelli che in bel tenor metri canori
l’acqua intuona talor, l’aura riflette,
quale appunto fra noi nel breve spazio
di regia villa oggi gli ascolta il Lazio.

6La ninfa di Tesaglia il dio del canto
in un gran lauro effigiata abbraccia,
vie più che d’acqua il sen molle di pianto
per la bella crudel porta la faccia.
Già ritrosetta al biondo nume a canto
cangiossi in tronco et or in marmo aghiaccia,
et ei la stringe, e fuggitivo il passo
paventa in lei, benché pur sia di sasso.

7Su l’orlo de la conca il braccio destro
quinci Virgilio e quindi Omero appoggia,
l’uno e l’altro di lor duce e maestro
di chiunque in Parnaso or sale e poggia.
Beve ciascun di quel licore alpestro
in varia sì ma gloriosa foggia,
e stilla altri gustarne in van pretende
se da le mani lor pria non la prende.

8Ne i confin de lo spazzo incise e finse
due gran pilastri il provido architetto,
e con grosse catene a loro avinte
di due vecchie deformi il tergo e ’l petto,
come già l’ideò, quai li dipinse
la saggia antichità sozze d’aspetto:
la Calunnia e l’Invidia ambe son dette,
sparse di fiele e di veleno infette.

9Qui Giulian, l’imperator latino,
che già da Cristo apostatato avea,
e lunge dal fedel culto divino
incensi e voti a gl’idoli porgea,
dal fatidico suo nume indovino
i menzogneri oracoli chiedea,
e in ciò seguendo i suoi natii talenti
vedea ne l’altrui fibre i propri eventi.

10Or quivi assiso, in un profondo oblio
giacea dormendo il principe cristiano,
quand’ecco a lui l’imagine s’offrio
del fraudolente apostata romano,
et in sermone insidioso e rio,
empio di lingua e d’anima profano,
lunge da l’armi a men penosa vita,
così dicendo il cavaliero invita:

11«Giovine grazioso, a cui l’etade
il più bel fior de gli anni suoi comparte,
a che vuoi più tra sanguinose spade
faticosa seguir scola di Marte?
Gl’incomodi cercar non persuade
natura a noi, né ce gli detta l’arte,
ma pria che giunga, aspro di rughe il senio,
a i diletti, a i piacer, ne chiama il genio.

12E qual maggior follia ch’ir tra le schiere
con poco ferro a stuzzicar la morte?
Son del fasto mondan vane chimere
gloria di vincitor, titol di forte;
ne le ricche talor spoglie guerriere
parte ha fra noi più che ’l valor la sorte.
Caggion le palme e de gli umani orgogli
son lare adulatrici e Campidogli.

13Io vivendo l’impero ebbi del mondo
e del nome d’Augusto altero andai,
io tutta al fin di miei gran colpi al pondo
trascorsi la Soria, l’Asia espugnai,
anch’io di sangue ostil sparso et immondo
i Persi e i Saracin vinsi e fugai,
ma fu a prezzo di morte iniqua e ria
compra da me l’alta vittoria mia.

14Oh sepotessi a nova vita anch’io
far da l’ombre ove giaccio al Ciel ritorno,
e lunge dal sepolto oscuro oblio
respirar redivivo i rai del giorno!
A le guerre darei l’ultimo a Dio
senza più gir peregrinando intorno,
e mi godrei sotto i miei patri tetti
tenere gioie e morbidi diletti.

15Amarei spiritoso alma gentile
nel chiaro vel di belle membra avvolta,
e la rosa d’amor su ’l verde aprile
de gli anni miei fora da me raccolta.
Frutto che invecchia in su la pianta è vile
et in polve se ’n va messe non colta,
lasci ogn’uomo il cipresso e colga il mirto,
cavalier senz’amor cor senza spirto.

16Non sei tu nato in su le vaghe arene
di Partenope bella, ove racchiuse
trescan le Grazie e scherza le Sirene,
cantano i cigni e danzano le Muse?
Le Veneri a mirar l’onde tirrene
forse non sono assuefatte et use?
quel molle ciel, quel prezioso lido,
quel dolce mar non son d’Amore il nido?

17Se puoi colà ne la tua reggia
viver giorni tranquilli, ore beate,
perché dove si suda e si guerreggia
vuoi qui penar tra dure schiere armate?
forse più chiaro ne la Siria ondeggia
il vago Oronte e ’l flessuoso Eufrate
di quel che corra là placido e lieto,
il nobil Tronco e ’l picciolo Sebeto?

18Che se genio guerrier ti persuade
pur tenzonando il dimorar tra i Siri,
perché in queste superbe alte contrade
a beltà feminil gli occhi non giri?
Oggetto qui tra le nemiche spade
ritroverai degno de’ tuoi sospiri:
son le donne de l’Asia ammaestrate
come d’Europa a riamare amate.

19Dunque le rose anche a le palme innesta,
celebre tra gli amanti e i vincitori.
Amor, che ratto in nobil cor si desta,
esca ti faccia a’ suoi sublimi ardori.
De’ tuoi primi piacer la notte è questa,
o di prodigo ciel larghi favori!,
al fianco hai tu la più famosa dama
che vesta acciar: svegliati, mira et ama».

20Si dilegua ciò detto, e ’l cavaliero
si sveglia, e intorno guata e nulla vede,
e ruminando seco il suo pensiero
un’ombra vana, un lieve sogno il crede.
Ma benché non la veggia, egli è pur veroalla stessa fontana dorme Clorinda, che parimenti sogna: le appare Dafne, la quale la sprona a restare casta e la avverte di Tancredi
ch’ivi portò l’affaticato piede,
e ch’ivi giace et ivi anch’ella assonna,
da la strage commun salva, una donna.

21Stanca di pugnar, la molle sponda
preme Clorinda in placida quiete,
e sentiva per lei fatta quell’onda
nel suo cupo riposo onda di Lete,
quand’ecco i sonni suoi vien che confonda
tra l’ombre de la notte umile e chete
grondante dal bel sen più d’una linfa
figlia d’un fiume e boscareccia ninfa.

22Era Dafne costei, la fuggitiva
che de l’eterno arcier schernì la traccia,
e che mutò su la paterna riva
in tronco il piede, in ramoscei le braccia.
A le gioie d’Amor gelò già viva,
a i diletti del genio or morta aghiaccia,
e tale a l’etiopica donzella
la tessalica vergine favella:

23«Regia fanciulla, a cui dal Ciel fu data
alma virile in feminil sembiante,
conceputa a le guerre, a l’armi nata,
acclamata a le glorie ancor lattante,
se d’arco cinta o se di brando armata
sempre vittoriosa e trionfante,
foss’egli elezione o pur destino,
io le tue brame ed i tuoi geni inchino.

24E di donna plebea studio vulgare
trattar in pace un picciol fuso, un filo,
a le dame più nobili e più chiare
è conocchia una spada, ago uno stilo.
A l’ancelle men degne in terra appare
ogni vil cella un glorioso asilo,
ma le gran principesse e le reine
a i lor vasti desir non han confine.

25Gli agi, i riposi, le delizie, i lussi
sono in femineo cor fiele e veleno,
oziosa beltà teneri influssi
sente d’impuro amor pioversi in seno.
Anch’io me stessa a le fatiche instrussi
a l’aer nubiloso, al ciel sereno,
e lieve in caccia e faretrata arciera
sola cura del cor feci una fera.

26Pur fra i diserti ancor vidi e trovai
de l’onor mio persecutore amante,
quant’egli desiò tant’io negai,
ei nel seguirmi, io nel fuggir costante.
In fronde poi su ’l patrio fiume alzai
le verdi chiome e barbicai le piante,
ma benché tronco, al fin caldi e vivaci
mi diè pur l’empio abbracciamenti e baci.

27Così con l’onestade (e me ne pregio)
cambiai la vita, e sangue sì, ma pura:
è troppo vile e vergognoso fregio
in nobil alma un’immodesta arsura.
Chiara stirpe sovente e sangue regio
un’ombra sol di lieve affetto oscura:
non ami no donna di fama amica,
beltà tanto è beltà quanto è pudica.

28Né già mi dir che tra l’armate schiere
sconosciuta a i guerrier d’Amore è l’arte:
visti già fur sovra l’eterne sfere
stretti in sozza union Venere e Marte,
et oggi in fra le tende e le trinciere
i suoi diletti Amor dona e comparte,
trionfa in guerra ogni lascivia e senza
freno se ’n va la militar licenza.

29Dunque resisti e ’l virginal tuo fiore
in mezzo a l’armi ancor puro riserba,
aspra di volto e rigida di core,
ruvida d’atti e di maniere acerba.
Vinto si rende e non contrasta Amore
co ’l torbido rigor d’alma superba,
ma con lusinghe e tenerezze invesca
beltà senza pietà, foco senz’esca.

30Et ecco, o bella, in questo luogo appunto
serpe mortale oggi t’insidia il piede:
leggiadro cavalier dorme congiunto
quivi al tuo fianco, e l’occhio tuo non vede.
Pria che ’l tuo sen d’impuro stral fia punto
vanne a più fida e più sicura fede,
né rea già mai di men pudichi affetti
la gran Clorinda sua l’Asia sospetti».

Clorinda si sveglia mentre Tancredi la guarda, si turba e lo sfida, poi si rende conto che è innamorato e lo lascia perdere

31Così dic’ella e il lucido orizzonte
già già fra tanto in su ’l mattin s’imbianca.
Mira il guerrier su ’l margine del fonte
sonnacchiosa giacer la bella stanca,
tutta cinta d’acciar fuor che la fronte,
appoggia a marmo alpin la tener’anca,
e de le membra al faticoso impaccio
fa piume il manto et origliere il braccio.

32Sparso costei di rugiadose stille
scioglie il bel crine in una pioggia d’oro,
e spira da le nari aure tranquille
in un soave anelito sonoro.
Sembran l’occulte sue chiuse pupille
un sepolto sotterra alto tesoro,
e par l’immobil sua bocca amorosa
ricca di perle una miniera ascosa.

33In atto di stupor più volte mira
l’eroe latin la saracina dama;
impallidisce prima e poi sospira,
indi la loda e finalmente l’ama.
– Tant’oltre oggi se ’n va bellezza assira
dunque ne l’Asia (egli in suo core esclama)?
Venga e miri costei chi veder vuole
dormir di giorni in grembo a l’acqua il sole -.

34Vorria parlar, ma risvegliarla ei teme
e del bel sonno suo romper la pace,
la sdegnerà, l’offendera s’ei geme,
ma languirà, ma morirà s’ei tace.
Così ondeggiando in fra timore e speme
or gela irresoluto or arde audace.
I riposi turbar d’alma quieta
s’Amor l’impon, cavalleria gliel vieta.

35Ma ecco omai da le gelate ciglia
la bella affaticata il sonno scote,
gli usati raggi suoi l’occhio ripiglia
e le grane natie veston le gote.
In un tenero suon dolce sbadiglia
né de le labbra ha più le sfere immote,
et «Ohimè,» grida «aita, o Ciel, aita,
un empio mi persegue, io son tradita».

36Così dicendo rapida e veloce
d’un salto dal terren balza e risorge,
e in atto curiosissimo e feroce
dolore almen se non terror gli porge.
Al volto acceso, a la temuta voce
ben del suo sdegno il cavalier s’accorge,
ma non osa vèr lei, se non tranquilla,
mover palpèbra e raggirar pupilla.

37L’elmo che pria spogliò poscia riprende,
e con gemmate fibbie al crin l’allaccia,
indi il destrier ch’ivi ha vicino ascende
e ’l brando impugna e l’ampio scudo imbraccia.
Più volte ingiuriosa al fin l’offende
e l’incalza e lo sfida e lo minaccia,
et egli immerso in quel fatal pensiero
non si ricorda più d’esser guerriero.

38Questi è pur quel Tancredi il cui gran nome
quasi bellico tuon l’Asia spaventa,
quel che le perse schiere ha vinte e dome,
quel che sol non ottien ciò che non tenta?
Or come tace? or come teme? e come
la fortezza natia mostra sì lenta?
Ahi ch’ogni duro e bellicoso core
mansuefar sa co’ suoi vezzi Amore.

39Non aver paragon seco si duole
la coraggiosa, o pur d’averlo infermo.
Ei con rossor de le guerriere scole
non sa più ciò che siasi offesa o schermo,
ma com’aquila affissa i rai del sole
l’occhio così ne la sua donna ha fermo,
e si reca a sua gloria avere in sorte
da così rare e belle man la morte.

40«Guerrier,» gli dice «il tuo cavallo ascendi,
e vieni or meco a cimentarti in prova,
brandisci il ferro e tua ragion difendi,
se dove è fallo ivi ragion si trova.
O non curi o non odi o non intendi
o tradimento entro il tuo cor si cova».
E qui di novo incontra lui s’avventa,
ma veggendol languir vien che si penta.

41Viltà non crede in lui, ché sa ben essa
quanto sian forti i cristiani eroi,
stupidezze d’amor più tosto appella
quelle sue flemme e quei silenzi suoi.
Si raffrena per ciò l’alta donzella
né più con l’armi sue vien che l’annoi,
son di bellica man basse conquiste
l’espugnar, l’atterrar chi non resiste.

Sopraggiunge un drappello e Clorinda scappa; Tancredi vorrebbe seguirla ma lo ferma Vafrino, che lo riporta in città

42Sovragiunge fra tanto armata schiera
che in campo già capitanò Tancredi,
la turba ostil la vergine guerriera
tosto ravisa a gli abiti, a gli arredi.
Schermirsi contra tanti indarno spera
e del destriero impenna l’ali a i piedi,
fugge, e fuggendo a ripararsi altrove
necessità non codardia la move.

43Scote se stesso il cavalier dolente
e fassi a l’or di rispettoso audace,
e quanto lungi è dal suo foco ardente
vie più s’intenerisce e più si sface.
Preme l’arcione, e se ne va repente
la sua cara a seguir bella fugace,
ma rattiene il suo corso, anzi il suo volo
di que’ fedeli il numeroso stuolo.

44In fra gli altri Vaffrino, il suo scudiero,
così parlando avanti a lui si scaglia:
«Un esercito immenso, un campo intero,
signor, vincesti in marzial battaglia,
e di giunger correndo un sol guerriero
or inutil trofeo vien che ti caglia?
Deh torna al tuo gran zio, torna a gli onori
sudati assai de’ trionfali allori.

45Di tutta l’oste a general conforto
te la città, te Boemondo aspetta,
in fra i nemici o prigioniero o morto
quel buon vecchio ti crede e ti sospetta.
Senza te la vittoria è senza porto
e men piace il trionfo e men diletta,
con la presenza tua, con la tua vita
la gioia universal fia stabilita».

46Si ferma il cavalier, che la donzella
già rimira trascorsa e indietro riede,
non però si consola e non favella
né triegua o pace a i suoi pensier concede.
Pensa fra sé ch’oltre ogni bella è bella
e che l’istesse Grazie in grazia eccede,
poi sovente tra via geme e sospira
e si volge a provar s’anche la mira.

In città si celebra la vittoria, Ademaro istruisce su i suoi doveri Boemondo che giura di essere fedele, poi gli consegna le insegne reali e il campo festeggia

47Se n’entra in Antiochia e ricevuto
è con liete accoglienze al suo ritorno.
Commune applauso e publico saluto
i suoi colleghi eroi gli fan d’intorno.
L’abbraccia e bacia in fronte il re canuto
e felice per lui chiama quel giorno,
giorno pien d’allegrezza e di diletto
de i regi fasti a la gran pompa eletto.

48Nel sacro tempio al glorioso nome
del Prince de gli Apostoli, votato
del sommo duce a coronar le chiome
il superbo s’appresta alto apparato.
O come splende maestoso e come
di ricchi fregi e d’auree spoglie ornato,
e in quante guise a la gran volta appesi
s’alzan d’intorno i militari arnesi!

49Rotti scudi, aste infrante, elmi spiumati,
timpani aperti e laceri stendardi,
infeconde faretre, archi scheggiati
e con tronche zagaglie ottusi dardi,
su grossa fune o lieve acciar librati
fan spettacol pomposo e gli altrui sguardi,
e quanto in guerra a i Saracin fu tolto
di pregio e di valor quivi è raccolto.

50La preziosa e barbara orditura
onde ricco di Persia è il padiglione
in doni il capitan manda a le mura
del nobil tempio ov’egli entrar dispone.
Dio già gliel chiede, a Dio lo dà, né cura
ornar di lui la sua real magione,
esempio glorioso a i re più forti
che s’arredino i tempi e non le corti.

51De la maggior tribuna al faldistoro
il canuto Ademar stassene assiso,
e, cinto il crin di gran tiara d’oro,
grave compone a la grand’opra il viso.
Avanti a lui de’ suoi ministri il coro
assiste, in un bell’ordine diviso,
e sovra picciol desco al destro corno
splende di vasi aurata schiera intorno.

52Posti lo scettro, il diadema, il brando,
i bissi e l’olio in su l’altar già sono,
poi s’inalza superbo al suo comando
quanto conviensi al mondo lato un trono,
et ecco, maestoso e venerando,
di giubilose e chiare trombe al suono
vien Boemondo, e fino al sacro seggio
i più sublimi eroi gli fan corteggio.

53Guglielmo a l’or, l’altro minor pastore,
che seco move a la grand’opra il piede,
«Padre, per questo duce, il cui valore»
umil gli dice «ogni valore eccede,
da le tue sacre mani il regio onore
la cattolica Chiesa oggi richiede».
Risponde quei: «Sapete voi che degno
il proposto guerrier fia d’un tal regno?».

54«Il sappiam tutti insieme, e ’l sa con noi»
replica l’altro «il Ciel, la terra e ’l mondo,
e dove giunta omai co i voli suoi
la gran fama non è d’un Boemondo?
Sian testimon questi sublimi eroi
s’abile egli è d’ogni altro impero al pondo;
chi le seppe acquistar prima in tenzone
anche in pace portar sa le corone».

55Tra due prelati il capitan qui siede,
e i detti d’Ademaro intento ascolta,
et egli a lui da la sua ricca sede
grave lo sguardo e placido rivolta;
indi, pieno di zel, colmo di fede,
snoda la lingua in tal sermon disciolta,
e pietoso gli espon con questi detti
salubri insegnamenti, alti precetti:

56«Ottimo eroe, che per le mani indegne
di me, che del gran Dio servo mi fei,
con la sacra unzion le regie insegne
del trono antiochen ricever dei,
pria che vestir le gloriose e degne
spoglie reali, a cui chiamato or sei,
odimi attento e per mia bocca apprendi
qual grave perso a sostener tu prendi.

57Titol gentile e specioso nome
fatto fra noi mortali oggi è l’impero;
di corona real cinger le chiome
l’unica meta è de l’uman pensiero,
ma s’a le gravi e faticose some
che seco porta il regio fasto altero
volgi il core e la mente il troverai
pien di timor, d’ansietà, di guai.

58Se poi vai ravvolgendo entro te stesso
che Dio sol regna e Dio dà le corone,
e che del fido gregge a te commesso
devi al soglio divin render ragione,
contra chiunque pugnerà con esso
sarai di Cristo e de la fé campione,
e schermirai da ogni nemico insulto
l’onor del Cielo e de la Chiesa il culto.

59Quei che del gran carattere segnati
pii ministri fur scelti a i sagrifici,
gli egri pupilli a le miserie nati
e le dolenti vedove infelici,
i languenti di fame et assettati
e gli orfanelli e laceri e mendici,
come fratelli tuoi, come tuoi figli
sottrarai da l’ingiurie e da i perigli.

60Con pura egualità giudice intero
tra i più vili non men che i più supremi
darrai, pietoso a i giusti, a i rei severo,
senza mai vacillar le pene e i premi.
Se saggio in guisa tal reggi l’impero
e il trono sol, non il vassal tu premi,
renderà sempre al tuo devoto zelo
mercé la terra e guiderdone il Cielo».

61Quinci il novello rege umiliati
piega i ginocchi a i piè sacerdotali.
Gli apre quegli le carte, in cui dettati
son de la fé nascente i primi annali,
e tocca i gran volumi, ove stillati
hanno i dogmi del Ciel penne immortali,
poi dice: «Io, Boemondo, io re futuro,
così prometto in questi fogli e giuro.

62Giuro a gli Angeli e a Dio, giuro a la chiesa
pietà, religion, giustizia e pace.
La pontificia dignità difesa
sarà da me contra ogni moto audace;
conservarò da ogni rapina illesa
la consacrata al Ciel messe ferace,
et a i sacri ministri il giusto onore
farò co ’l piede e porgerò co ’l core».

63S’alza intanto Ademaro e spoglia i fregi
de la gran mitra, e così a Dio ragiona:
«Imperator de gli Angeli e de i regi,
cui fan le stelle e ’l sole aurea corona,
il più sublime de’ mondani pregi
a sì degno campion dispensa e dona,
qual ne la prima età già desti a i tuoi
più cari duci e più diletti eroi.

64Il vecchio Abram tu vincitor già festi
ne i palestini e ne gli egizi lidi,
tu di Mosè, di Giosuè rendesti
con diversi trofei celebri i gridi.
Al fastigio real Davide ergesti
da i pastorali e boscarecci nidi,
et a gli onori tuoi più ch’a i suoi fasti
la sapienza in Salamon stillasti.

65Tu piovi ancor purissimo e sereno
de i doni antichi al novo rege un raggio,
porti la fé d’Abram scritta nel seno
e del gran Giosuè mostri il coraggio.
Sia qual Mosè d’affabiltà ripieno
e come Salamon provido e saggio,
e del fanciul che debellò Golia
le glorie imiti e l’umiltà natia».

66Ei così prega, e Boemondo a l’ora
boccon si getta in su l’ignudo suolo,
et in quell’atto umil lunga dimora
fa con immobil piè tacito e solo.
Con lingua intanto supplice e canora
le maggior preci intuona il sacro stuolo,
e in voci pietosissime e devote
mormora sovra lui musiche note.

67Risorge poscia, e d’immortal licore
ambe le terga insieme e ’l destro braccio
dal gomito a la man gli unge il pastore,
e volge intorno a lor serico laccio.
Poi dice: «O poderoso alto signore,
nel cui gran nome io queste fascie allaccio,
tu le tue grazie a questo umor congiungi
e nel centro del cor penetra e giungi.

68Se per le sante man del grande Elia
ungesti il buon Ieù sovra Israelle,
e per l’istesse ancor re di Soria
creasti il generoso alto Azaelle,
per opra or qui sì gloriosa e pia
in un balsamo d’or sciogli le stelle,
e per mia mano, indegna sì ma sacra,
oggi il re d’Antiochia ugni e consacra».

69D’augusto manto e di reali arredi
quindi se stesso il capitano abbiglia.
Spoglia gli piove in su gli estremi piedi
rigida d’oro e di color vermiglia.
Se le porpore sue contempli e vedi
e a lo strascico altier pieghi le ciglia,
per lui dirai colà su ’l mar fenice
si svenò volontaria ogni murice.

70Piccola sovra vesta indi si pone
di bianchi vai, di zibelline pelli,
e ricca sì che ’l pontico montone
par che stillasse in lei l’or de’ suoi velli.
Et ecco al coraggioso alto campione
ferro soggiogator d’empi rubelli
porge il gran sacerdote, et egli il libra
nel pugno pria, poi nudo in aria il vibra.

71Indi gliel cinge al fianco e ’l benedice
il buon ministro, e con pietosi auguri
vittoria gli promette ogni or felice
e gli annunzia trofei sempre sicuri,
e mentre lunga serie a lui predice
di rinascenti secoli futuri,
nel nome de la Triade immortale
gli dà con scettro d’or serto reale.

72Su ’l soglio al fine il pone, e «In questo trono»
gli soggiunge il pastor «regna e risiede,
e questo seggio e questi gradi sono
destinati dal Cielo oggi a i tuoi piedi».
Grazie gli rende il gran monarca, e in dono
gli porge ampi tributi, alte mercedi,
e crollando per gioia armi e bandiere
gli pregan vita in alto suon le schiere.

73Coro gentil di musici stromenti
applaude a l’or del coronato a i vanti,
e de le trombe a i bellici concenti
s’accoppia il tuon de’ timpani sonanti.
Squarciata l’aria et assorditi i venti
son da le squille armoniche e festanti;
applaude ogn’uom, ned altr’intorno s’ode
che voci di chi brilla e di chi gode.

74Già dal tempio a la reggia in su le braccia
portato ei vien de i fidi servi suoi,
e, colà giunto, in cari modi abbraccia
i suoi gran figli, i suoi compagni eroi.
L’inchinan tutti, e con serena faccia
ei tutti accoglie maestoso, e poi
d’arnesi pietosissimi di Marte
con larga man più doni a lor comparte.

75Da i balconi reali a cento a cento
su la plebe più vil man tesoriera
sparge turbini d’or, pioggie d’argento
e tutta quasi scioglie una miniera.
Con impeto festivo e violento
per lo sparso tesor s’urta ogni schiera,
e la confusion mirasi anch’ella
ne i moti suoi deliziosa e bella.

76In laute cene, in generosi prandi
Cerere e Bacco a ogni guerrier dispensa,
e i sommi duci e i principi più grandi
seco ritiene a la sua ricca mensa.
Cedon gli elmi a le tazze, a i nappi i brandi,
e i bellici sudor l’ozio compensa,
e ben trasse fra gli altri il regio invito
Gildippe et Odoardo al gran convito.

77Ma superba vivanda ah non gli alletta
né prezioso e peregrin licore:
ella mira il diletto, ei la diletta,
cede al ciglio il palato, il labro al core.
Cibo miglior ciascun di loro aspetta
de le cui gioie è solo scalco Amore,
quel puro amor che santamente onesto
fa di due nobil’alme un sacro innesto.

78Sieguono poi giostre superbe e liete,
giochi festivi e placidi tornei,
più d’un lieve destrier corre a le mete
qual ne gli argivi già circoli elei.
Non han ne i moti lor posa o quiete
alme avvezze a i trionfi, use a i trofei,
ma dopo vera et immortal vittoria
anche un finto pugnar recansi a gloria.

79Ma non lascia tra i giochi e tra i conviti
dì’esser già Boemondo umile e pio:
ristora i santi altari e i sacri riti,
e purga i tempi, accresce i culti a Dio.
Dispon come onorati e quai puniti
con lance egual sian l’innocente e ’l rio,
e tutto a stabilir volge l’ingegno
la fede a Cristo et a se stesso il regno.