Argomento
Stando il cristiano imperio in gran periglio,
spento il valor del gran Milon d’Anglante,
impetra Carlo dal divin consiglio
celeste aiuto e tanto uopo bastante;
però in sua vece Iddio, già eletto il figlio
per defensor de le sue genti sante,
gli manda in forma di suo padre ucciso
Michael, che gli dà del lutto aviso.
Proemio (1-11)
1L’opra fatal di quel guerrier io canto
che dal Ciel tratto con propizia mano
in Aspromonte al magno Carlo a canto
Almonte uccise e ’l suo fratel Troiano,
quanto più si credean poter dar vanto
d’aver quegli empi non ardito in vano
di far l’Europa e l’Africa soggetta,
e del morto Bramante aspra vendetta.
2Quinci s’avrà l’istoria intera e piana
de la stirpe real dei sacri eroi,
del fior di Chiaramonte e di Mongrana,
e i più famosi de’ gran fatti suoi,
materia a’ chiari ingegni un tempo strana,
mercé di quei che ne parlaro a noi
che mai non giunser di Parnaso al coro
per farla adorna del bramato alloro.
3Ma non vengo io però sì come augello
ch’ardisca al ciel volar con debil piume,
a vestir gloria del mio stil novello,
che per se stessa vince il sol di lume,
ben per destar l’ingegno altero e bello
di chi può d’Elicon far nascer fiume,
timido tento aprir l’alto sentiero
per cui raro camina uman pensiero.
4Musa, che l’alte imprese e i chiari gesti
dei guerrier forti serbi entro al tuo petto,
e perché di lor fama al mondo resti
gl’infondi ne l’uman basso intelletto,
donami tu, che la mente or desti
de l’antiche memorie al bel soggetto,
ch’io col più degno stile in queste carte
spieghi il valor dei cavalieri di Marte.
5E ben convien ch’or il tuo santo nume
lo spirto m’empia del valor più raro,
che d’Ippocrene il glorioso fiume
trasser chi meglio il suo licor gustaro,
poiché un guerrier tra quei che maggior lume
di forze invitte e di valor mostraro,
il più d’onor compiuto e d’ardimento
fia de’ miei versi umili alto argomento.
6E voi, signor, al cui lume risplende
e fortunata vive all’età nostra
la città che dal ferro il nome prende,
e d’oro per virtù tutta si mostra,
a quel nobil desio che ’l cor m’accende
di farmi chiaro al sol dell’ombra vostra
porgete or tanto di cortese aita
che gli altrui spenti nomi io torni in vita,
7che se non fia del tutto il suono ingrato
a vostre orecchie di mia rauca lira,
qui potrete sentir quanto pregiato
sia ’l ceppo vostro, ch’a le stelle aspira,
mentre involando i prischi onori al fato
giacenti ancor ne la funerea pira,
dolce fia il rimembrar l’alte memorie
degli avi vostri e le più antiche istorie.
8Ben sarà ancor, se morte o ria fortuna
non contrasta a mie voglie e ai merti vostri,
ch’intorno a quanto il sol gira e la luna
avran luce per voi miei ciechi inchiostri;
e lor fama, ch’a l’aria oscura e bruna
par ch’or a pena un poco il volto mostri,
del gran nome d’Alfonso ai bei splendori
poggierà al ciel tra i più sublimi onori,
9ché, bench’io sappia che da picciol foco
nulla di lume il chiaro sol riceve,
e che l’estense gloria or d’alto loco
vola sopra il mortal spedita e lieve,
non debb’io, col tacer di lei, quel poco
d’onor fraudar che può, se molto il deve,
la debil forza de l’umil mia Musa,
che di più non poter si duole e scusa.
10Allor fuor de le vie fallaci e vane
ritratto il mondo, onde a smarrir si venne,
viste adoprar per voi le genti estrane
fian chi per noi salvar morir sostenne,
e riverir de l’aquile troiane
gli aurati rostri e l’argentate penne.
Ma a voi sta di Parnaso aprirmi il passo
e dar luce al mio nome oscuro e basso.
11Intanto mentre a l’alte istorie antiche
volgo del preso stil l’audaci note,
per provar nell’altrui chiare fatiche
come debil valore alzar si puote,
sì che a l’onde letee, d’onor nemiche,
le nostre involi al mondo ancora ignote,
gradite, Alfonso, il mio novello carme
poi ch’io canto gli onor di Marte e l’arme.
Almonte e Troiano, volendo vendicare il padre Troiano ucciso da Carlo, hanno intrapreso una campagna in Italia e messo a ferro e fuoco la Calabria oltre ad aver aperto vari fronti per l’Europa (12-29)
12Diece e diece anni avea che del bel regno
di Francia al magno Carlo era signore,
e ’l terzo, ond’ei godea titol più degno,
eletto de’ Romani imperatore,
quando l’empia fortuna invido sdegno,
ch’ai migliori contrasta a tutte l’ore,
con fiera occasion turbò lo stato
in cui vivea co’ suoi lieto e beato,
13che sollevando spinse d’Agolante
superbo i figli e ’l suo fratello ingiusto
a vendicar la morte di Bramante
sopra il gran Carlo allor novello Augusto;
Carlo, che domo avea molto anni avante
l’indegno orgoglio di quel cor robusto,
mentr’ambi d’acquistarsi armati in sella
ardean l’amor di Gallerana bella.
14Allor che in Spagna e di Galafro in corte,
profugo fatto dal paterno nido,
incognito garzon con lieta sorte
trovò in gente infedel voler più fido,
Amor, che fa chi ’l serve ardito e forte,
Amor che dà a chi ’l segue e nome e grido
fe’ ch’ei, sì come il suo gran fato volse,
l’alma e la donna a un tempo a l’empio tolse.
15Questo de la cagion fu prima fonte
de’ barbari odi e de’ concorsi loro
col cristian nome, oltra il desio d’Almonte
di far soggetto il franco al regno moro;
ché d’Africa vedendo e d’Asia a fronte
l’Europa star, di valor, d’arme e d’oro
invidia e sete di più gloria e regni
de l’offese nutrì gli odi e gli sdegni.
16O desio di vendetta, o cieca fame
d’oro e d’onor, a che sforzar non puoi
de l’umano pensiero impresa infame,
l’impronto ardir co’ rei stimoli tuoi?
Quinci del re pagan l’avide brame
si congiuràr contra i cristiani eroi
con tal furor che da la cima al fondo
restò quasi sepolto in arme il mondo.
17Perciò l’Italia al presentito grido,
di moto tal ch’altrui porgea spavento,
la Germania, la Francia ed ogni lido
che Cristo adora, da sì rio talento
scosse appresentarsi a far difesa al nido
de’ suoi ciascuna, onde non resti spento;
ma de’ coloni suoi sia conservato
l’aver, l’onor, la vita e ’l proprio stato.
18S’apparecchian già l’arme; in varie forme
s’acconcia il ferro: parte è in lance, parte
converso in strali e parte avien che forme
e spiedi e spade e scudi al fiero Marte.
Manca in ciò la materia, e chi non dorme
spoglia del ferro ogni mecanica arte,
onde il vomer di fango asperso e vile
già splende in arme, d’or fatto gentile.
19Or benché sorte da principio amica
a Carlo fosse, e l’empio Carroggiero,
d’Agolante fratel, breve fatica
di Milon posto avesse a passo fiero,
quando ei fin dentro a la sua sede antica
cinto d’assedio il successor di Piero
giurato avea voler far fine indegno
o tutto esterminar di Cristo il regno;
20pur nel vecchio odio accesa al nuovo oltraggio
l’ira (non meno a’ suoi ch’altrui crudele)
d’Agolante, con novo altro passaggio
volse a’ lidi cristian l’errante vele,
talché assalendol per doppio viaggio
danneggiò sì l’essercito fedele
che fur due volte astretti i gigli d’oro
volger le piante a lo stendardo moro.
21Così tre anni e quasi il quarto appresso
l’Africa e l’Asia tratta a’ nostri danni,
Italia e Francia con dispendio espresso
solecitò ne’ marziali affanni;
e la Sicilia e la Calabria oppresso
aveva al fin con non più intesi inganni
di tradimento, e la duchea di Risa
distrutta, e col signor la gente uccisa.
22E Carlo, il quale opposto a la difesa
con quanta gente avea Francia e Lamagna
di sé, d’Italia e la Santa Chiesa
s’era, perduto avea già la campagna;
né col nemico stuol lunga contesa
potea far sì che dal tiran di Spagna
e dal tartaro re, per grave peso
d’assedio, non restasse o morto o preso.
23Non perché in lui del suo valor smarrito
l’alto senno, la forza o l’ardir fosse,
ma perché l’oste in numero infinito
a l’impresa crudel sempre mostrosse.
Quinci dal dì che fe’ Milon, tradito
da Almonte, l’erbe del suo sangue rosse,
crebbero a doppio a l’africano seme
le forze, e a’ Franchi le miserie estreme.
24Fu la sua morte la maggior percossa
che infin allora il re de’ Franchi avesse,
tal ch’ebbe il suo sperar sì fatta scossa
che fu vicino onde al suo fin cadesse;
sì perché un cavalier di tanta possa
non avea allor che ’l carco suo reggesse
come general duce e capitano,
sì perché ogni altro aiuto avea lontano.
25Che i cinque di Milon minor germani,
Duodo, che poi vestì di Pietro il manto
col nome di Leon, dato a’ Romani
era in presidio e al collegio santo;
e Buovo d’Agrimonte agli Aquitani
era ito col fratel Gherardo a canto
per soldar gente, essendo stato esausto
di molta il campo in quel congresso infausto;
26difendea la Provenza il duca Ottone,
con tutti quei maritimi confini;
era in difesa di Parigi Amone
contra il novo furor de’ Saracini,
che quando le novelle udì non buone,
ch’erano i Mori al suo stato vicini,
Carlo il mandò, restando in Aspromonte
con pochi pari a lor de l’oste a fronte.
27Né potea aver se non tardo soccorso,
perché da l’altro canto il fier nemico,
con l’armi audaci infin a Roma corso,
gli avea occupati ogni presidio amico;
e del popol di Marte avea già il morso
posto a le forze del valore antico,
e ’l Tebro in vista ria correa per tutto
già del sangue cristian torbido e brutto.
28E dianzi pur da’ gioghi Pirenei
l’empio Agolante con sua gente sceso
(Marsiglio e’ suoi di questo fatto rei)
un’altra guerra aveva in Francia acceso;
mentre l’Ibero, da’ suoi falsi dèi
mosso, avea l’arme infide in man già preso
contra il cognato, ed empio a l’africane
schiere congiunte le falangi ispane,
29con speme che, se vinto rimanesse
Carlo dal re del popolo africano,
di Francia il regno in suo poter cadesse,
come più volte avea bramato invano,
e Gallerana ritornar dovesse
così dal nostro al rito maumetano,
come ei sempre n’avea le voglie accese,
memore ancor de le passate offese.
Carlo dopo una rotta campale riduce le sue truppe sul castello d’Aspromonte e prende misure cautelari e dissimula ottimismo sulle sorti della guerra (30-41)
30Seguìr tai cose a cui riparro o schermo
non valse di poter ch’umano sia,
quando dal segno il sol più ardente e fermo
verso i seggi d’Astrea suo corso invia:
per tanti mali, a guisa d’uom che infermo
di lunga febre un tempo oppresso stia,
stette il cristiano imperio egro e dolente
l’autunno e tutta la stagion seguente.
31Ma quando il verno il solito rigore
temprando a noi l’aspetto orrido ascose,
e a lui successe la stagion d’amore,
di fior vestita e di vermiglie rose,
successe ancora un ordine migliore
ai lunghi affanni di più liete cose,
che gli porse benigna in man le chiome
di sé Fortuna, ed ora udite come.
32Siede Aspromonte illustre e bel castello
de la Calabria in cima a un alto colle,
che lungi scopre il flutto d’Adria e quello
che tra Scilla e Cariddi orrida bolle;
verde campagna e più d’un monticello
intorno il cinge, che dal pian s’estolle,
ed egli signoreggia a lor soprano
i fruttiferi gioghi e ’l fertil piano.
33Questa, ora ignota, allor famosa mole
molti fondata fu secoli innante
ch’uom si facesse il creator del sole,
da un grande eroe nipote al magno Atlante;
il quale, mentre del caso ancor si duole
ch’avvenne al zio del cavalier volante,
timido del fatal gorgoneo capo
quello fuggendo alfin quivi fe’ capo.
34Così, già volte a l’Africa le spalle,
come il caso il portò quivi pervenne,
e visto il monte la vicina valle
conformi al suo pensiero, ivi si tenne;
quinci fonda la rocca e ’l nome dàlle
dal suo, la qual non sol per sé il ritenne,
ma largamente intorno a quella e a questa
pare il concesse ancor de la foresta.
35Quivi adunque, da poi quel gran conflitto
in cui restò Milon di vita spento,
Carlo Magno ridusse il campo afflitto
dandogli a piè del monte alloggiamento;
ove, da ogni speranza derelitto
d’uman soccorso e colmo di spavento,
le reliquie raccolse e fece il vallo
a le genti da piede e da cavallo.
36Né volea alcun lasciar notte né giorno
del vallo uscir, per mantenersi intiere
le debil forze, e vietar novo scorno
a le fugate sue real bandiere,
mentre d’Africa e d’Asia unite intorno
tutte avea contra le pagane schiere,
che per la nova rotta assai confuso
con duro assedio ivi ’l tenean rinchiuso.
37Dal lato che di verso la marina
del bel Nicastro il territorio vede,
opposto era a la gente saracina
un argin doppio che in quel prato siede;
da l’altro lato un lago ampio confina,
che in vèr Borea levando al monte il piede
circonda il campo, e quasi argine o muro
dagl’improvisi assalti il tien sicuro.
38Da l’altre bande poi che più patenti
sono a l’armi nemiche, il vallo serra
ben custodito da le armate genti
che d’armi gravi vanno carche in guerra.
Così il monte e ’l castello alloggiamenti
son del gallico Augusto in poca terra,
che in poter del nemico a lor infesto
di quel confine è d’ogn’intorno il resto.
39Perché non sol del tutto egli in possesso
tutti al soccorso suo chiudeva i passi,
ma non lasciava pur passare un messo
ch’a dar nova del fatto in Francia andassi;
così, mentre quel vinto e sottomesso
dal barbaro tiranno afflitto stassi,
per ben lunga stagion continuamente
fu dei rei casi suoi tristo e dolente.
40Ma, per quanti sortì casi infelici,
non mai così dolente in uso avea
mostrar il cor a i più fidati amici,
come per quel c’ha di Milon solea,
ché per occulti e manifesti indici
il savio imperator ben conoscea
che, spento di virtù quel vivo lampo,
morto era il cor e la virtù del campo.
41Tal il senno è però, tal il valore
del franco re che se ben poca speme
ha di salute, almen per crescer core
ai suoi mostra speranze alte e supreme,
varie provisioni a tutte l’ore
facendo a fin che quel ch’ei tien non sceme,
ma sopratutto, con affetto pio,
voti e continue orazioni a Dio.
Carlo Magno prega Dio perché aiuti i cristiani (42-48)
42Or mentre in cotal guisa ei si mantiene
misero e afflitto, con pensier prudente
volto fingendo di sperato bene
tutto in rispetto alla nemica gente,
alfin pien di timor, vuoto di speme,
come chi a pieno il suo bisogno sente,
postosi in parte solitaria, dove
orar a Dio soleva, a dir si muove:
43«Padre del ciel, che benché i falli nostri
abbiano di perdon passato il segno
però spesso benigno a noi ti mostri,
e vince tua bontade il nostro sdegno,
deh, non permetter che i tartarei mostri
che tu scacciasti dal superno regno
possano tanto in gran vergogna e danno
de’ tuoi fedeli far, come (ahi!) pur fanno.
44Mira, Signor, del tuo popol diletto
l’orrendo strazio. Già nuota la terra
nel cristian sangue. Ahi qual prende diletto
l’empio african d’averci oppresso in guerra?
Altro, se non soccorri, or non aspetto
da l’oste che d’assedio aspro ci serra
che ’l suo ferro a la gola, e spenta e presa
veder la fede e la cristiana Chiesa.
45Siam pur l’eredità che ’l tuo figliuolo
ricuperò col prezioso sangue,
talché s’or l’empio e scelerato stuolo,
seguace antico dell’infernal angue,
l’opprimerà con sempiterno duolo
de la tua greggia, che smarrita langue,
qual fia la gloria tua? qual fia l’onore?
Deh, non permetter ciò, giusto Signore.
46Quanto ha potuto un uom debile e frale,
oprato han questo petto e queste mani
per la tua gloria; in questo or più non vale
la vinta forza degli effetti umani.
Possanza invitta, e ch’ora sopra il mortale
saglia, Signor, è d’uopo ai tuoi cristiani
per soli sostener due parti intiere
del mondo unite in tante armate schiere.
47Dunque tu sol rimedio a tanti affanni
movi opportuno, e la tua invitta mano
a se stessa sia gloria, e ai gravi danni
ristoro pien del tuo popol cristiano,
che se a pena maggior tu lo condanni,
tenendo il tuo favor da lui lontano,
già spento cade, né trovar so via
che a rilevarlo poi rimedio sia.
48Ma, poiché di saper non ci concede,
nostra ignoranza, il tuo divin secreto,
ancora il mal che sopra a noi si vede
prendiam per ben del tuo giusto decreto:
se così adunque la cristiana fede
si può esaltar ne abbiamo il volto lieto.
Crescan pur le miserie e cresca intanto
per lor la gloria del tuo nume santo».
Dio accoglie le preghiere di Carlo (49-58)
49Gli affetti umili e le preghiere pie
del gallico signor, da un zelo puro
del Re del Ciel, per non intese vie,
al sommo trono appresentate furo,
ed ei, ch’odiando l’alme inique e rie,
ha regno eterno e da ogni mal sicuro,
di sua divina grazia aprendo il lembo
tosto le accolse nel suo santo grembo.
50E rivolgendo i suoi pietosi lumi
de l’ampio ciel da la più accesa parte
verso ov’ei scopre i monti, i mari e i fiumi,
ond’egli i regni e le province parte,
scorti in un punto i buoni e rei costumi
dei cori umani, e la malizia e l’arte
del rio Satan, sentì cordoglio alfine
de le tante de’ suoi stragi e ruine.
51Prima il sommo Pastore e ’l santo clero
vede ad ognor con la scoperta chioma,
pallido il volto per l’assedio fiero,
dietro in pregarlo a sé trar tutta Roma;
vede che intorno il pagan campo altiero
grava più ognor d’insopportabil soma
le sacre mura, e mille alme innocenti
le strade empir di pianti e di lamenti.
52Vede il buon Carlo, ad altra parte volto,
giorno e notte co’ suoi più travagliarsi
fra gente innumerabile sepolto
de’ re nemici e solo in lui fidarsi;
vede Italia, Lamagna e Francia in volto
tutte smarrite e lagrimose starsi;
sente altier l’african popolo e come
può peggio dilegiar suo santo nome.
53Quinci crollando la divina fronte,
al cui cenno tremar fa i cieli e il mondo,
volse dal campo del superbo Almonte
ai sacri cori il suo volto giocondo;
poi, con la destra, ad ascoltarlo pronte
fa l’alme sante in cosa d’alto pondo,
e intorno alquanto raggirate avendo
le luci, venne lor così dicendo:
54«Cari, di queste mani opre gradite
e del mio regno onor, ministri miei,
per cui sempre difese e custodite
son l’alte spere da’ fratelli rei,
poi ch’abastanza omai veggio punite
le colpe de’ miei stuoli, onde son rei,
de l’empie forze del ribelle antico
per l’armi d’altro a noi crudel nemico,
55e che già il fiero insuperbito è tanto
con l’ampie schiere de’ seguaci suoi
che, temerario, questo regno santo
sprezza non sol ma più schernisce noi,
giusto mi par che risentiti alquanto
de l’offesa che in me provate voi
ci moviamo con l’opra e col consiglio
per trarre i nostri di mortal periglio.
56Perché s’io lascio la pagana spada
calar più giù su la cristiana schiera
gran rischio vien che in breve or non accada
che la mia fede si distrugga e pèra,
poi che eletto m’ho Carlo a farle strada
in condur per la via più dritta e vera
da l’infernal magion l’umane genti
a questi aperti in ciel seggi lucenti.
57Ma quel nefando scelerato mostro,
d’ogni peccato uman cagione eterna,
invido che l’uom salga al sommo chiostro,
stando ei del centro alla magion più interna,
studia l’alme devute al regno nostro
furarci, e trarle a l’atra sua caverna,
che sempre il suo pensier malvagio e rio
solo è d’opporsi al desiderio mio.
58Dunque or che al zelo di condegna emenda
c’ho dei fedeli miei per lor salute
è soddisfatto, e par che l’empio prenda
gioia da l’aspre piaghe in lor vedute,
conveniente par ch’a oprar s’attenda
di mostrargli il valor di mia virtute,
perché s’avveggia quel superbo quali
sian senza il mio voler sue posse frali».
Invia Michele ad Orlando perché lo stimoli a grandi imprese (59-63,4)
59Ciò detto, con la voce e con la mano
fa l’Arcangelo Michel a sé venire,
e quei, benché a gran spazio ancor lontano
sia, gli è presente, ond’ei comincia a dire:
«Sai, figlio, che pur dianzi il re africano
ha di sua rea viltà sfogato l’ire
a tradimento sopra il buon Milone,
ch’a gloria mia di Roma era campione;
60trova il suo figlio Orlando, il giovinetto
che da nobil virile oprar del giorno
stanco posar vedrai su casto letto,
e te gli mostra in sogno al cor d’intorno;
ma pria farai che teco in dolce aspetto
Pietà si trovi e, con Timor di scorno,
Dolor fiero d’ingiuria ed Ira ardente
d’odio immortal contra nemica gente.
61Seco sia la Vendetta innanzi a tutte
queste aspre sferze del suo nobil core,
per cui fra poco fian vinte e distrutte
le forze del nemico empio valore.
Tal l’umane sembianze in te ridutte,
come or si stan del suo buon genitore,
fa’ ch’egli intenda il rio successo e quale
sia ’l pensier nostro intorno a caso tale.
62Fatta tu di Milone a lui palese
così la morte, il cor Pietà gli punga,
Ira accompagni le facelle accese,
e Timor degno il suo stimol v’aggiunga;
seco stia il Duol, che per ogni paese
da qualunque piacer l’alma gli sgiunga,
per fin che in mezzo a le nimiche squadre
nol trae Vendetta a farsi ultor del padre.
63Io gli aprirò la strada angusta e stretta,
e gli darò di forza e valor tanto
ch’alfin, pagata la malvagia setta
del temerario ardir, non sen dia vanto».
Tacque ciò detto, e ’l divin nuncio in fretta,Michele scende in terra (63,5-76,2)
per ubidir al suo precetto santo,
apre le ferme stelle, apre le sette
spere veloce, e ’l piè nell’aria mette.
64Quel grande e da mortal vista non mai
d’infinita virtù compreso aspetto,
quel ch’ogni uman pensier vince d’assai
divin sembiante, a Dio solo soggetto,
ristringe intorno in poco aere, che rai
condensa, e fassi agli occhi umani obietto,
celando in grembo del suo eccelso nume
l’immenso e quasi a Dio conforme lume.
65Rara beltà, c’ha de’ verdi anni il fiore,
nella visibil forma eterea splende,
mentre il sembiante uman nel suo fattore
antica idea del Verbo a vestir prende;
arme d’or di fortezza e di valore,
che eccede quel che più si crede o intende,
adorno fan, più ch’a bisogno, armato
con pompa illustre il messaggier beato.
66L’asta e lo scudo ch’egli oprò già in guerra
quando scacciò dal ciel l’alme nefande
del ribellante stuolo in mano afferra,
nobili insegne del suo ufficio grande.
Così fornito, l’ali ampie disserra
d’or, cui sopra color vario si spande,
e con tuon, che tremar fe’ tutto il mondo,
dei movimenti suoi sentir fa il pondo.
67L’oscura notte già per tutto il cielo
spiegando il manto tenebroso e nero,
copriva il mondo sotto orrido velo
di triste nebbie, con sembiante fiero;
ma mentre scende, pien d’ardente zelo,
l’Angel di Dio per lungo ampio sentiero,
e vien pian pian calando a’ bassi campi,
mostra il bel volto suo fra mille lampi.
68Qual di nitro e carbon ben presso raggio
ch’è dal foco stridendo in ciel sospinto,
legato a suttil verga apre il viaggio
che riman dietro del suo ardor dipinto,
tal nell’andar che fa il divin messaggio
per l’aria ombrosa di bei lumi cinto
fende l’oscure nebbie, e ovunque passa
lunga riga di luce a dietro lassa.
69Nelle chiare contrade d’Oriente,
donde a noi vien col novo giorno il sole,
surge un gran monte, al ciel tanto eminente,
che d’altezza agguagliarlo altro non suole,
ove, come la fama al ver consente,
Iddio prima creò l’umana prole;
quivi sceso Michel riposo prende,
poi dove ha da calarsi il guardo stende.
70Così quando è da’ venti il ciel turbato
per metter terra e mar tutto in ruina,
fuggendo d’Aquilon l’orrido fiato
scende candido augel su la marina,
così scende colomba in verde prato,
così falcon sopra la rupe alpina;
ma d’effetto diversa è l’importante
scesa dal ciel del messaggier volante.
71A quel venir la macchina terrena,
tocca dal piè divin, tutta si scosse:
tremò l’Inferno, e fuor per ogni vena
vibrò fiamme dal centro ardenti e rosse;
l’Europa, l’Asia e i monti di Carena
di lui sentìr le gloriose mosse;
da tutti gli antri e da tutte le selve
fuggendo esterrefatte uscìr le belve.
72Del terren globo, il qual sotto si vede,
scorre veloce andando il piano e il monte,
e ’l mar, che ’l cinge con l’instabil piede,
e più d’un fiume e più d’un chiaro fonte;
alfin, sì presto ch’occhio a pena il crede,
dei gioghi pirenei condotto a fronte,
del superbo Agolante l’empie schiere
già riconosce e le real bandiere.
73Empie per lungo spazio il largo piano
l’esercito infedel del franco regno.
Quivi l’Africa e l’Asia e ’l regno ispano
alloggian di lor forze ogni sostegno;
varie l’insegne sono, e vario e strano
l’abito di ciascun, vario l’ingegno
degl’infiniti popoli e diversi
che nell’assedio fier danno a vedersi.
74Batte l’ale lucenti il santo augello
verso Parigi, e giù nel pian discende;
ovunque il viso risplendente e bello
volge, alta speme di salute accende.
Quivi i compagni tutti in un drappello
de l’ufficio commesso esser comprende:
gli chiama, e lor con parlar breve e presto
l’alto voler di Dio fa manifesto.
75Sol manca la Vendetta ai suoi pensieri,
ch’era in luogo da quel molto lontano,
e per provarla a’ luoghi bassi e neri
di Stige andrà quando la voglia a mano;
perché di rado suol dagli antri fieri
tartarei uscir sotto ’l sembiante umano
quella che de le due ch’ivi hanno stanza
vuol porre a lato al paladin di Franza.
76Questi sol dunque adduce ove il garzone
franco dormiva in solitaria parte.
Nel regio albergo ognun cheto si pone,Raggiunge il padiglione dove giace Orlando: descrizione del paladino (76,3-86)
intende ognun di lui lo studio e l’arte:
quivi più son volumi, onde compone
l’animo altiero il pio gallico Marte;
quivi d’intorno varie pendono armi,
qual dei voti l’insegne ai sacri marmi.
77Non di lana, di seta e di fin oro
contesto in panni di straniera usanza,
da l’indo tolti o pur dal lito moro
o d’altro che lor d’opra industre avanza,
ma d’acciar tesso in nobile lavoro
splendono i muri de la regia stanza:
aste, spade e diverse altre da gioco
armi fan ricco tutto intorno il loco.
78In queste spende il nobil giovinetto,
deposti i libri, la metà del giorno:
or cacciando leggiero un bel ginetto,
or quel girando a mille guise intorno;
or su ’l terreno lottando a petto a petto
con più d’un altro di virtute adorno;
or le selve scorrendo, ora vibrando
in maestrevol modo l’asta o il brando.
79Talora vago ancor d’altro diporto
quando perdon di forza l’aure e i venti,
d’un faggio a l’ombra in bel giardino od orto
mentre Febo saetta i rai più ardenti,
muove con corde al suon dotto ed accorto
dolcemente cantando eroichi accenti,
e mentre gli altrui fatti a lodar prende,
al magnanimo oprar se stesso accende.
80Oh de l’antica età ben nata gente,
che tanto era in maggior stato e ricchezza
tanto più ognor di vera gloria ardente
crescea d’alte virtù vera grandezza,
ove l’indegno secolo presente
sol le lascivie e l’ozio molle apprezza,
e tien maggior chi con più larga mano
spende l’opra, l’aver e ’l tempo invano.
81A questi di valor sì chiari indici
tutto s’allegra il messaggier celeste,
e per fornir gl’incominciati uffici
di Milon la sembianza allor si veste;
ma perché intende ben ch’altri supplici
al pio garzon sian le novelle meste,
tarda quanto tardar più i cieli ponno
di conturbargli il saporoso sonno.
82Prende vaghezza di mirarlo intento,
da capo a piedi con l’occhio il misura:
è d’aspetto benigno, eccede alquanto
d’altezza la comune altrui statura;
bruno ha il crine e la guancia, e non pur tanto
ch’offenda la gentile alma figura
del nobil volto; è di cintura angusto,
nel resto alle fatiche atto e robusto.
83Non manca in lui beltà che ’l fior degli anni
reca ad uom forte per natura e in vista;
né beltate è la sua che gli occhi appanni
del saper, con bianchezza in rosso mista;
ma gran proporzion che non inganni,
gran venustà ch’allegra ogni alma trista,
di sane, giuste e ben composte membra
che d’invitto guerrier forma rassembra.
84Di costume piacevole e soave
è quando con alcun tratta e conversa,
se non avien ch’offesa altrui l’aggrave
con detto od opra a la ragione avversa;
ma fiero in vista, minaccioso e grave
si mostra a chi ’l dever seco riversa;
fu in cortesia, fu in gentilezza poi
specchio dei cavallier de’ tempi suoi.
85Questa tra tutte le virtù che fanno
gl’uomini al mondo d’ogni laude degni,
sola fra quai d’onor più chiare vanno
dà gloria e nome ai più lodati ingegni;
non il valor del marziale affanno,
ch’uom mostra in conquistar province e regni,
non ricchezza e saper che fama dia
val quanto gentilezza e cortesia.
86Ogni chiara virtù rassembra oscura
senza di lei, ch’esser fra l’altre suole
qual tra le stelle sotto l’aria impura
l’almo splendor dei bei raggi del sole,
che di quelle ogni nebbia il lume ottura,
e la luce che ’l mondo onora e cole,
di questo passa e fa vedersi intorno
a l’ampia terra ovunque ei mena il giorno.
Si presenta al campione in sogno nelle vesti del padre Milone e lo sprona a intervenire nella guerra (87-93,4)
87Già d’Oriente nelle parti estreme
giunta la stella che di Febo è duce
bella sorgeva altrui porgendo speme
di tosto riveder più chiara luce;
non bada più l’Arcangelo, ma insieme
con quella compagnia ch’ei seco adduce
tosto ad Orlando si dimostra in sogno
ed adempie del Ciel l’alto bisogno.
88Sembra al garzon in un bel prato ameno
dolce posarsi tra l’erbette e i fiori,
e, in questo, oscuro farsi il ciel sereno,
e di battaglia udir gridi e romori;
giunger Milon di gravi cure pieno,
molle di sangue l’armi entro e di fuori,
e che con ansiosa aspra fatica,
pallido in volto e fier così gli dica:
89«Dunque, figliuol, tu neghittoso siedi?
né porgi al padre aiuto? Ahi, leva il ciglio
a queste che, se me tuo padre credi,
son pur tue piaghe in me, pietoso figlio!
Mira il lacero petto: vedi, vedi
de l’alma al cor evulso il fiero esiglio».
Destasi a questo Orlando, e di sé tolto
si fa con man segno di croce in volto.
90E tra sé il garzon savio immaginando
che sogno van la vision pur fosse,
volto su ’l destro lato, e non pensando
più oltre al caso stran raddormentosse.
Ma ecco un’altra volta sospirando
il padre apparir lui qual pria mostrosse,
che con fretta maggior, più in vista orrendo,
vien con alto sermon così dicendo:
91«Ahi, figlio, crudel figlio, questa
dunque è la cura che del padre hai presa?
Se mio mal, se mia morte in te non desta
desio di vendicar tua propria offesa,
che non ti move almen cura più onesta
de la tua patria e de la santa Chiesa,
che con danno di Carlo e d’altri suoi
sta per cader ai fondamenti suoi?
92Anzi pur cade già, se non le porgi
presto soccorso: ecco le sacre insegne
squarciate e guaste. Or dunque, or desto sorgi
e studia a l’opre del tuo sangue degne.
Non è più mio tal carco, e se ben scorgi,
cedon le mie forze a l’altrui prove indegne.
Or poi che così piace al cielo e a Dio,
sostien tu il pondo al grande ufficio mio».
93Par che, ciò detto, a lui le spalle volga,
ove si confin del capo era traffitto
d’un gran tronco di lanza, e gli si tolga
tosto dagli occhi, e forte il lasci afflitto.
Avien ch’Orlando a ciò tanto si dolgaOrlando decide di partire per la guerra (93,5-109)
che, giunto il sonno al termine prescritto,
surge presto dal letto, e in vista atroce
scioglie in tai detti alfin la mesta voce:
94«Ahi, ciò sogno non è, ma visione
di vero effetto e troppo, ohimè, palese.
Quale, o gran Re del Ciel, n’è la cagione?
Chi tanto, o caro genitor, t’offese?».
Così dicendo, posto in ginocchione,
pien d’alte voglie e di pietate accese,
e d’immenso dolor, in tal maniera
forma parlando a Dio cotal preghiera:
95«Onnipotente creator del tutto,
e del cristiano stuol padre clemente,
fuor del saper del qual non può buon frutto
o rio produr pensier d’umana mente,
s’è ver che ’l mio buon padre oggi distrutto
rimanga, e il sogno a me del ver non mente,
e certo esser non possa un tanto danno
mio senza del tuo gregge acerbo affanno,
96dona, Signor, a me, tuo servo indegno,
e di valor al mondo infermo e vile,
grazia e favor di tua possanza degno,
ond’io sia in arme al genitor simile,
a fin ch’a gloria del tuo santo regno
possa, seguendo il suo lodato stile,
col vendicar sua morte indegna e ria
vendetta far de la tua ingiuria e mia.
97Ma se non piace al tuo divino intento
ch’io ti sia servo a tanta impresa eletto,
fammi or in grazia tua morir contento;
sol questo don da te, Signor, aspetto,
mentre ancor la cagion del mio tormento
dubbiosa pende al doloroso affetto,
e mentre in visione ancora incerta
ferma credenza il sogno empio non merta.
98E s’è pur (deh, ciò piaccia al Ciel!) ch’apporte
il falso un sogno tal, di cui già vero
spavento il duolo al cor stringe sì forte
che quasi, ohimè, per l’alta angoscia io pèro,
deh, sgombra tosto de la falsa morte,
se è tal, l’empio dolore al mio pensiero;
ed oh questo, Signor, questo a te piaccia
più tosto, e van tal sogno a me si faccia».
99Così, con guancia pallida e smarrita,
col Re del Ciel la pia preghiera detta
l’alto garzon, e senza d’altri aita,
da se medesmo si riveste in fretta.
Già il sol de l’ocean con chiara uscita
le genti a le diurne opere alletta,
su e giù per la ciambra sospirando
passeggia pien di gravi cure Orlando.
100Gli occhi che quando ha il cor di gioia pieno
rendon gli animi altrui lieti e contenti,
ma quando ha colmo di tristezza il seno
porgon terrore a le più audaci menti,
turbato or di sua pace il bel sereno,
vien raggirando intorno egri e dolenti,
e mentre che far deggia a pensar prende
con se stesso così dice e contende:
101- Che debb’io far, o Re del Ciel? debb’io
quinci partir senza far motto altrui?
o palesar a tutti il partir mio,
con le cagioni ond’io mosso mi fui?
Giusto non par ch’io sia tardo e restio
ad eseguir le voglie di colui
che mi spinge (se al sogno il ver consente)
a soccorrer l’Italia e la mia gente.
102Ma se pur vado e così al tutto celo
alla mia genitrice il mio partire,
le do cagion che, da materno zelo
punta, per me di doglia abbia a perire;
se tal mia visione a lei rivelo,
ch’anzi per menor mal devrei coprire,
temo non forse stimi il mio pensiero
qual di van sognator folle e leggiero -.
103Tanta è la pena e l’aspra passione
che al cor gli move il duolo acerbo ed agro,
ch’ei par già fatto in sì breve stagione
tutto nel mesto volto e smorto e magro;
quale al consumar del fatal tizzone
parve languendo afflitto Meleagro.
Mille pensieri per la mente gira,
e mille volte e più geme e sospira.
104Mal soffrendo il duol, scuote le chiome
talor qual fosse omai di senno privo,
e ripetendo invan di padre il nome,
versa dal cor per gli occhi un caldo rivo.
Talor fra sé ragiona: – Ahi miser, come
uomo son nato indarno? indarno vivo?
Nato qui vivo, e non so ben per cui,
poco utile a me stesso e meno altrui.
105Che giova all’uom versar con somma dura
nei sacri studi d’ogni nobil arte?
e l’essersi uso ad ogni opra più dura
nelle fatiche del mestier di Marte?
e star poi con le man poste in giuntura
pien d’ozio vile in solitaria parte?
Gemma sotterra è invan lucente e bella,
né si prezza virtù rinchiusa in cella -.
106Ciò detto, sospirando in alto guarda
con ambedue le mani avvinte al petto,
poi dice: «Ahi qual, qual mia viltà ritarda
tanto onesta partenza? o qual rispetto?».
Così dicendo, par che tutto l’arda
d’inestinguibil fiamma ira e dispetto;
odio contra il nemico a lor s’aggiunge,
e bel desio d’onor lo sferza e punge.
107Divien tosto qual foco in viso ardente,
né ritener più a fren la pena puote,
la pena onde pietà ch’a l’alma sente
del padre ucciso, il cor mesto gli scuote
Quinci dispon con risoluta mente
di non far ad alcun sue voglie note,
ma tosto andar come ei si trova e solo
ove era il franco e l’africano stuolo.
108Così disposto nel suo gran pensiero
conforme a quanto era il divin intento,
il Re del Ciel, che del dolor suo fiero
vuol far più lieve in parte il rio tormento,
decreto fa che per lo spazio intiero
d’un lunar corso non ardisca vento
d’Austro pioggia spirar, per cui sian rie
fatte al caminar del pio baron le vie.
109Ma per fin ch’egli non sia condotto
salvo a sottrar il zio d’alto periglio,
e far vendetta su chi l’ha al di sotto
e di vita Milon posto in esiglio,
sia ’l dì sempre seren dal sol ridotto
sopra la terra; e tal fermo ha consiglio,
tanto al Monarca eterno era importante
cura il figliuol del gran Milon d’Anglante.