Argomento
Una de le Vendette a canto pone
il divin nuncio al giovinetto Orlando,
da cui sollecitato il fier garzone
di mettersi in camin va preparando,
mentre d’Italia il sir di Monlione
l’aviso del suo mal vien confirmando.
Studia la madre raffrenar sua voglia,
ma l’eroe di partir via più d’invoglia.
Michele scende all’Inferno, dove trova la Vendetta e la colloca a fianco di Orlando (1-12)
1Mentre in questo pensier fermo dimora
il giovinetto prencipe d’Anglante,
e ne i disegni che ’l suo cor lavora
prepara l’opra a tanto uopo bastante,
l’Arcangel Michael, che s’era allora
mostro a lui di Milon sotto il sembiante,
visto il successo del suo ufficio, al resto
dona esecuzion vivace e presto.
2E tosto velocissimo volando
a i tristi regni del perpetuo pianto,
per sotterranea via se ’n va passando
tacito s ch’alcun nol sente in tanto,
fin che tra i mostri d’ogni luce in bando
conduce i raggi del suo volto santo
ove stan con le Furie unite e strette
in congiura crudel l’empie Vendette.
3Le Vendette due sono, ambedue mostri
nati ad un parto da l’audace Offesa
e dal Dolor dentro i tartarei chiostri,
e ciascuna di loro al male è intesa.
L’una serve, alme vili, a i pensier vostri,
e per compagni ha sempre in sua difesa
l’occulte Insidie, il Frodo e ’l Tradimento,
proni ministri del suo mal talento.
4Per le tenebre va celatamente
oprando quanto il pravo Ardir le insegna,
piena ha la tasca ognor, piena la mente
di calunnie e veleni u’ vive e regna.
Più lontan mostra il cor la fraudolente
dal male allor che più farlo disegna,
e per sua natural viltate e vizio
mostra dolor del machinato esizio.
5L’altra a i cor generosi a l’ira presti
ministra altiera apertamente face
quanto comandan suoi desir molesti,
pronta a la guerra ognor, schiva di pace.
D’arme e di fochi ad ogni tempo desti
piene ha le mani, e va con fronte audace
per le più aperte vie, né elegger suole
gir a la luna più che al chiaro sole.
6Le Minaccie ha per guida, e ’l fiero Orgoglio,
et ovunque camina il suon s’intende
del moto orribil suo, che in più d’un foglio
a guerra aperta il suo nemico accende.
La sfrenata Superbia e ’l rio Cordoglio
empia protezion d’ambedue prende,
ch’al nascimento lor quella nutrice,
questo fu precettor loro infelice.
7Quando comparve il santo messaggiero
ove han quegli empi mostri albergo orrendo
fuggìr le Furie con aspetto fiero,
il sembiante divin mal sofferendo,
l’eterno orror, che v’ha perpetuo impero,
tosto sgombrassi, e quell’ardir tremendo
di chi regno ha là giù, che tanto puote,
impallidì per gran timor le gote,
8perché il nuncio divin pien del valore
che già poté sacciar dal cielo in terra
il superbo fratel che al suo signore
e creator benigno osò far guerra,
mirando or qua or là con gran rigore
di sguardo il popol che là giù si serra
volse la fronte ove Satan turbato
di tanta vista ha le Vendette ha lato.
9Ond’ei, temendo de i passati danni
sorte peggior da l’improviso arrivo,
poi che non prima da gli empirei scanni
disceso era la giù lo spirto divo,
tosto si messe il core in tali affanni,
tal si mostrò de la sua vista schivo
che d’orribil mugghito empiendo il loco
tutto s’immerse nel tartareo foco.
10Ma Michel, che non ha di ciò consiglio,
e in altri modi castigarlo tenta,
ride che l’empio sia posto in scompiglio
e del suo giunger qui tal pena senta.
Poi le Vendette, con severo ciglio,
trae fuor del chiostro rio ch’altri tormenta,
e le mena al seren del ciel giocondo
per castigar de’ vivi il tristo mondo.
11Perché dal dì che la città di Risa
restò da gli empi a tradimento oppressa,
e in modo miserabile conquisa
la gente pia ch’era a quel tempo in essa,
tornata era la prima in quella guisa
che sempre suol quando il suo ufficio cessa,
e in vece sua col bellico Furore
ivi lasciato avea l’Odio e ’l Rancore.
12Or di due la seconda a canto pone
sola per guida sua che l’accompagne
continuamente al nobile garzone
e lo sproni a far opre eccelse e magne,
e a lei che mai da lui non parta impone
s’ella nono vuol che ’l Ciel di ciò si lagne
e le dia da veder con sua gran doglia
quanto erri chi non fa quel ch’esso voglia.
Orlando si reca nell’armeria reale e ammira i dipinti della storia dei re cristiani (13-22,4)
13Da l’invisibil guida il garzon fiero
indivisibilmente accompagnato
prende verso un riposto atrio il sentiero
pien d’antiche armature in ogni lato
per scielta far di quanto abbia mestiero
d’armarsi tosto un cavallier pregiato.
È de gli antichi re che Francia osserva
questo d’armi e d’insegne ampia conserva.
14Con arteficio vario in vari lati
pinti e scolpiti da maestra mano
vi si reggono i prencipi onorati,
primo valor del gran nome cristiano,
e i gesti lor più chiari e celebrati
che gloria fur del buon sangue roman,
da cui già per molt’anni origin prese
l’eroico onor del pio valor francese.
15Quivi l’istoria in vivi e bei colori
dipinta appar del Magno Costantino,
che primo tra i romani imperatori
diede al nome cristian scettro e domino,
e volse che portasse e gli ostri e gli ori
ne i vestimenti de l’onor divino
e la corona del terreno impero
il Pastor santo successor di Piero.
16Oh de’ prencipi antichi antica fede,
oh gran bontà del prisco popol pio,
ch’alzò già al ciel di Pietro l’umil sede,
ch’or tanto sprezza volgo infame e rio!
Ferma il giovine eroe passando il piede
e tempra alquanto il suo caldo desio
per ben mirar, quasi alto amor ve ’l desti,
de’ suoi grandi avi i gloriosi gesti.
17Mira come il buon re giace nel letto
di lepra infermo, et ha da’ suoi consiglio
che per donar rimedio al suo difetto
diasi a i fanciulli de la vita esiglio;
ma il pietoso signor più tosto eletto
s’ha di patir di morte ogni perigio
che per sé sol sanar, ch’afflitto langue,
spander di molti l’innocente sangue.
18V’è come il Re del Ciel, ch’ebbe gradito
l’animo giusto suo, mosso a pietade
per Pietro e Paolo in sogno comparito
gli dà il rimedio ch’al suo male accade.
Quinci Silvestro ecco de gli antri uscito
ove prima il celaro erme contrade;
da lui chiamarsi, e la sua santa mano
col mirabil umor renderlo sano.
19Quinci è sì come da miracol tanto
Cesare tratto e l’idolatra Roma
ricevendo il battesmo sacrosanto
la croce esalta in su la propria chioma,
e tenta che del mondo in ogni canto
ove s’odi il latin prisco idioma
Cristo s’adori, e la sua madre pia,
ch’a noi d’ogni salute aprì la via.
20De gli Apostoli a i prencipi famosi
la novella pietate ecco erge il tempio,
ove i lor nomi e corpi gloriosi
sian venerati con pietoso esempio.
Già i cor romani invitti e generosi
lascian del tutto il rito iniquo ed empio,
già di tempo si vede in spazio poco
de le chiese di Dio pieno ogni loco.
21Scorgesi poi di Flavio e Giambarone
ogni successo, ogni memoria antica.
V’è come Flavio uccide Salleone
per far vendetta di Giustizia amica,
di man in man per ordine si pone
del suo famoso esilio ogni fatica,
poi che fuggendo il gran rigor del padre
si tolse a tutte le sue armate squadre.
22V’è come il franco giovinetto a torto
da i suoi perseguitato al fin perviene
dopo un aspro camin solingo e torto
ove dal zio Sanson raccolto viene,
e dal Ciel, che gli presta alto conforto,Cerca un’arma ma non trovandone di adatte alla sua stazza decide conquistare quella dell’assassino di suo padre (22,5-31)
per suo sommo valor in grazia ottiene
l’alta orofiamma, la bandiera santa
che seco ogni vittoria aver si vanta,
23la qual devesser posseder da poi
di tempo in tempo nella età futura
i discendenti e successori suoi
de la stirpe real con tal ventura.
Da l’alta gloria de gli antichi eroi
sospinto Orlando a la sua nobil cura
più non si ferma a rimirar il resto
d’ogni de’ suoi maggiori eroico gesto.
24Però lasciando di veder sì come
Milano acquista e dopo lunghi affanni
si vien di Francia a incoronar le chiome
sotto un breve girar di felici anni,
e i suoi figli e nipoti acquistan nome
per tosto ristorar di Cristo i danni
con magnanimi fatti e gloriosi,
di regi cristianissimi e pietosi,
25scorto dal buon Sanson, di Flavio zio,
fra spoglie antiche una ferrata mazza
sei piedi lunga, il giovinetto pio
la vuol per farsi in mezzo a gli osti piazza.
Scolpita poi nel nome alto di Dio
vede di Costantin la gran corazza,
la prende, e se ne veste e spalle e petto,
ma in lei troppo si sente oppresso e stretto.
26Ne prende un’altra, che da Floriante
portata fu, del re Florelio figlio,
che tra i gallici re d’ogni altro innante
su l’omer destro ebbe il segnal vermiglio,
ma breve troppo dal lato d’avante
gli sembra, e se ne trova in gran scompiglio,
poi che fra tante e tante una non vede
atta al sembiante suo, ch’ogni altro eccede.
27Con guardo acuto intorno intorno mira
se cosa v’è ch’al suo bisogno trove,
né vede ovunque i mobili occhi gira
se non arme per lui d’inutil prove,
e, qual tra sé con se stesso s’adira,
come un novo pensiero il cor gli move,
poich’al suo intento arme non trova in fretta
la forte clava ancor da sé rigetta.
28Fu già in costume a quell’antica etade
che d’onor vero e di virtù fioria,
tra quei ch’al grado e a l’alta dignitade
salir devean de la cavalleria,
di non dever oprar mai lancie o spade
od altra qual si voglia arme che sia
se non l’avesser conquistata in modo
in tutto fuor d’ogni viltate e frodo.
29Però senza cercar più spada o lanza
o qualunque altra fosse arma da offesa,
pensa l’altier garzon scorrer la Franza
con man di forze armata e d’ira accesa,
né altro che ’l quartier d’aver gli avanza
di sua tenera età fatale impresa
che ’l bianco e ’l rosso ha in mezzo un aureo scudo,
fuor che di questa e d’ogni altr’arme ignudo.
30Ma poi suo cor magnanimo pensando
indignità l’aver seco l’insegna
di scherzo pueril, quella sprezzando
da sé rimove, e di sé stima indegna,
e giura non voler altr’arme, quando
nol possa altro vietar, far di sé degna
che quella ch’ei fra le nemiche squadre
s’acquisti in man di chi gli uccise il padre.
31Non è però che ’l giovinetto franco
che sien del re african l’insegne intenda
(l’onorato quartier vermiglio e bianco)
che s’è n’è vincitor a portar prenda,
che forse non avria sprezzato unquanco
lo scudo, che si par ch’or vilipenda,
poi ch’è l’insegna pur che ’l Ciel prefisse
che ’l figliuol di Milon sola coprisse.
Gualtiero di Monlione porta dispacci dal fronte: Carlo annuncia la morte di Milone e chiede rinforzi (32-42)
32L’Arcangel Michael intanto avea
al superno Signor fatto ritorno,
e già lieto d’aversi il Ciel godea
fatto un campion d’ogni virtute adorno
quando l’eroe, ch’al suo pensier temea
qualche molesto impedimento e scorno,
già se ne gìa, ma novo caso avvenne
che ’l frettoloso suo camin ritenne.
33Ecco d’Italia, onde con gran desio
lunga stagion l’afflitta Francia aspetta
novella di successo o buon o rio,
venuto un messaggier correndo in fretta
ogn’uomo dietro a lui de i tetti uscìo,
ond’ha copia d’intorno accolta e stretta,
però ch’ognuno è di saper bramoso
ciò ch’ei rechi di lieto o di doglioso.
34Tal vidi io già nel mio felice nido
illustre portator di lieto aviso
da l’onde ione al bel veneto lido
dal maumetano stuol da’ nostri ucciso
fra gente e gente, ma con plauso e grido,
passando quasi rimaner conquiso,
tanta la gioia ch’ogni core assalse
di modestia i rispetti allor prevalse.
35Poscia ch’è giunto a le superbe scale
onde il real palazzo adito aveva,
e ʼl destrier che al camino ebbe già l’ale
del tedioso carco al fin solleva,
il nobil messaggier la regia sale
col vestir che a cavallo usar soleva.
Era questi di Carlo un cavalli ero,
signor di Monlion, detto Gualtiero.
36Con lento passo e con dimesso volto
venìa il guerrier, d’ogni baldanza privo,
qual il padre che ʼl figlio abbia sepolto
dianzi lasciato è d’ogni gioia schivo.
Nella ciambra real subito accolto
fu il paladino a l’improviso arrivo,
vi venne ancor chiamato il duca Amone
in compagnia di più d’un gran barone.
37Da molte damigelle accompagnata
Berta vi giunse ancor, del re sorella,
e tutta in viso pallida e turbata
quasi presaga sia di ria novella,
quando fu innanzi a la real brigata
riverente Gualtier così favella:
«Se ch’io t’arrechi, alta reina, accade
avviso rio, m’escusi or tua bontade.
38Ma perché intenderai più brevemente
il tutto e forse con tedio minore
da te leggendo, la carta presente
prendi, che manda a te l’imperatore».
Prende la carta la donna eccellente
con grave ciglio e con turbato core,
e lei baciata l’apre, e poi la donaS | donna
da legger tosto al gran sir di Dordona.
39E con cortese favellar gl’impone
che la legga altamente a fin ch’ognuno
intenda quanto il suo signor l’espone
perché rimedio il male abbia opportuno.
Fatto un mesto silenzio attenzione
in quel drappel di ragionar digiuno,
Ammon le reggie lettere leggendo
venne in chiaro sermon così dicendo:
40«Duolmi, regina, assai di nostra sorte,
che qual meglio dal nuncio udir potrete.
Piacque al Signor de la celeste corte,
per le cagioni a l’uman cor secrete,
l’ore a l’oste pagan, di noi più forte,
oggi apportar de le giornate liete,
e fa l’empio re d’Africa contento
del sir d’Anglante ucciso a tradimento.
41Però tanto bisogno richiedendo
che rinforziam di gente il campo nostroS | vostro,
per liberarci da l’assedio orrendo
onde chiusi ci tien quell’empio mostro,
dateci aiuto di buon cor, dicendo
a la diletta suora in nome nostro
che grande è il danno e ʼl duol, ma quel che piace
a Dio bisogna sopportarsi in pace.
42Farassi poi che ʼl generoso Amone,
primiera speme or del cristiano impero,
dando il suo carco al sir di Monlione
ch’io mando a voi, saputo e gran guerriero,
tosto con quanta può gente in arzone
prestarci de la Gallai ogni sentiero
a noi sen venga, perché al suo valore
del perduto german serbiam l’onore».
Orlando apprende la notizia, consola la madre e giura di vendicarsi sull’uccisore del padre (43-55,4)
43Chi raccontar potria l’acerba pena
che ciò leggendo il buon duca ne sente?
Del volto si turbò l’aria serena,
se può il pianto frenar pensier prudente.
Ahi che l’amare lagrime non frena
la moglie no, ch’è troppo il duol pungente
e nel sentir dolor d’avversa sorte
non è sì come è l’uom la donna forte.
44L’imperatrice e le sue dame insieme
tutte fan quanto pon per consolarla,
ma tanto a tutti il duol l’anima preme
che mal possono a pieno in questo aitarla.
Ognun del mal comun sospira e geme,
ognun o mesto tace o mesto parla,
e tanto pesa sì contraria sorte
ch’è già piena di duol tutta la corte.
45Se ne corre la fama in un momento
per tutta la città leggiera e presta,
sì che ʼl popolo afflitto e mal contento
del danno universal per tutto resta.
Tosto è chi va, ma con poco ardimento
ove ad Orlando il caso manifesta,
che ʼl dar novella a’ prencipi noiosa
è impresa mal sicura e perigliosa.
46Ma quei, che sempre fu lucido esempio
di modesti pensier fuor d’ogni errore,
et ogni atto odiò protervo ed empio
al par d’ogni altro cavallier d’onore,
non sol del caso, ond’have acerbo scempio
d’immensa doglia il suo pietoso core,
non odia il messo, ma per guida il prende
di gir là dove un tanto mal s’intende.
47Qual libico pastor a cui fatto abbia
fiero animal nel gregge e nell’armento
notabil lesion, e per la sabbia
veggia qua il toro e colà il capro spento,
tardo camina, e pien di doglia e rabbia
porta dipinto nel viso il suo tormento,
tal il garzon de la novella ria
pien di tristi pensier prende la via.
48Passa di sala in sala e d’una stanza
nell’altra pien d’affanno e di dispetto,
tanto ch’arriva ove di gran doglianza
mostran le regie donne immenso effetto.
Tien Gallerana fuor d’ogni sua usanza
basse le ciglia e le man giunte al petto,
e studia con parole d’amor piene
de la cognata alleggierir le pene.
49Ma quella, ahi lassa, non sa far riparo
a l’immenso dolor che la tormenta,
e riga ognor vie più di pianto amaro
le guancie, e se ne cruccia e si lamenta:
«Ahi sposo mio, sposo diletto e caro,
chi mi t’ha tolto? O trista, o mal contenta
ch’io sono, ohimè, qual la mia vita fia
senza di te, mio core e vita mia?
50O per me tristo et infelice giorno,
d’eterni affanni a me cagion sì dura,
poi ch’io mi veggio ogni miseria intorno
sotto la luce tua maligna e scura.
Vivo, e mia vita in sempiterno scorno
giace di morte in fiera sepoltura,
e per te, lassa, il mio destin comporta
ch’io pianga la mia vita afflitta e morta».
51Se mai si dolse il giovinetto conte
per l’aspra vision che avuto avea,
or ben s’affligge, e tien bassa la fronte
certo de la novella acerba e rea,
né il potrà ritener colle né monte,
fiume, torrente, mar, selva o vallea
sì che contra l’autor del suo duol fiero
non eseguisca il suo fermo pensiero.
52Or ben conosce, e tien per vero e certo,
che quella vision sì strana e ria
fu del voler divin chiaro et aperto
svisamento, e veraS | mera profezia,
però, come colui che ʼl duolo esperto
avea del male antiveduto pria,
nel cor lo preme, e in pia maniera accorta
la madre al giunger suo bacia e conforta.
53Visto il suo figlio la dolente madre
darle conforto in atto sì pietoso,
e a l’uccisor del caro amato padre
minacciar morte irato e spaventoso,
più forte piange, e le nemiche squadre
maledice di cor mesto e doglioso,
e tra doppia pietade e tenerezza
scopre d’alto odio una immortal durezza.
54Mentre si lagna col figliuolo amato
Berta dolente del suo grave danno,
l’imperatrice al parigin senato
l’annuncio manda del comune affanno,
perché ogni terra del cesareo stato
n’abbia gli avvisi ch’a spedir se n’hanno.
Quinci più messi fur spediti in fretta
per tutto, onde soccorso alcun s’aspetta.
55Così fu scritto il doloroso avviso
per tutte le provincie in poco d’ora
del campo rotto e di Milone ucciso,
e via mandato senza far dimora.
In tanto stan con lagrimoso visoAizzato da Amone, Orlando decide di partire, va cerca il cugino Rinaldo ma non lo trova e per strada incontra la madre, che lo supplica di non partire (55,5-71,4)
de l’accidente rio ch’ognuno accora
uomini e donne intorno a la sorella
di Carlo, cui più ch’altra il duol flagella.
56Ma poi c’ha di lagrimar debito alquanto
satisfatto del duol l’ardor primiero,
e vuol ragion che, rasciugato il pianto,
si provegga d’aiuto al sacro impero,
parte Amon da le donne, e seco intanto
preso per mano il suo nipote altiero
dolcemente il consola, e gli dà core
di sfogar contra l’oste il suo dolore:
57«O non men che figliuolo a me diletto
nipote, o del carissimo germano
verace imago al genio et a l’aspetto,
scaccia» dice «il dolor da te lontano,
ché poi ch’è d’alcun mal giunto l’effetto
il lagrimar tutto è rimedio vano,
né si può rivocar caso passato
da l’uso rio de l’inimico fato.
58Ma ben conforto a un cor alto e virile
è il risentirsi con vendetta forte
de l’ingiurie ch’altrui malvagio stile
ci fa talora o dispietata sorte.
Dunque in te si rasciughi il pianto vile,
e sospirar del padre tuo la morte
fa chi l’uccise, e che ʼl suo immenso danno
ristoro in parte sia del nostro affanno».
59Il giovinetto, il qual pur troppo acceso
è da se stesso al suo medesmo intento,
a quei modi, a quei detti è tutto inteso
a prender doppio cor, doppio ardimento,
e da l’amato zio congedo preso,
per dar fien al suo pio proponimento
parte, e commette a un suo ch’allora allora
gli apparecchi un corsier senza dimora.
60Ei l’ubidisce, ma non prima riede
a riferirgli il fatto ov’ei l’aspetta,
che ʼl buon servente pian d’amor e fede
avvisa questo a la sua madre in fretta.
La qual, come colei ch’in suo cor vede
quello del figlio, il suo pensier sospetta
e a i modi, a i detti, al natural suo sdegno
tutto a punto indovina il suo disegno.
61Quinci lascia il suo albergo immantinente,
e va cercando il suo diletto figlio,
mentre l materno amor timido sente
del doglioso garzon qualche periglio.
Giunta a l’usate stanze ecco dolente,
ohimè, nol trova, e n’ode alto bisbiglio
da tutti i canti, ch’ei partir vuol solo
e gir dove in Italia è il franco stuolo.
62Il cerca del palazzo in ogni loco
ove cercar si può, ma cerca in vano,
ché l’ardito garzone era di poco
partuti da quei tetti assai lontano
per trovar dove de la scherma al gioco
suol esser a quell’ora il suo germano
Rinaldo, al duca Ammon figlio maggiore,
per tre anni d’età a lui minore.
63Con lui soleva il giovinetto Orlando
le più volte, anzi quasi ognor, trovarsi,
tutti i pensieri suoi comunicando,
del mal doler, del ben seco allegrarsi,
or i giuochi di Marte esercitando,
or in altri suoi studi affaticarsi,
e così a seco gir voleaS | voleva invitarlo
forse, o del suo partir così avvisarlo.
64Or mentre su e giù va in ogni parte
di lui cercando la dolente madre,
ei, giunto al loco ove uso era far parte
de’ fatti suoi tra fanciullesche squadre,
poi che ʼl cugin non trova indi si parte,
né più cercarne vuol, ma pensa al padre,
al padre ucciso, e da questo pensiero
spronato adietro torna il garzon fiero.
65Gli par ognora, ogni momento un anno
ch’abbia a lasciar le parigine mura,
ogni picciolo indugio immenso affanno
teme ch’arrechi a la sua nobil cura,
e perché l’uman cor del proprio danno
spesso è presago, se n’ha gran paura;
ecco a punto l’eroe materia nova
a la gran fretta sua contraria trova.
66Ecco incontra la madre il suo timore,
ch’ove il destriero in punto era l’attende,
come colei che del suo ardir l’ardore
brama temprar che già troppo l’offende,
però premendo ne l’afflitto core
la passion che quasi estinto il rende,
e sé chiamando misera e infelice
piena d’ambascia e duol così gli dice:
67«Da qual consiglio, ohimè, da qual ragione
mossi ti senti di concetta speme
a voler affrontar solo e garzone
l’Africa e l’Asia, ond’or l’Europa geme?
Qual temerario ardir nel cor ti pone
sì van pensier? come a ragion non teme
tua mente, o figlio, i perigliosi estrani
cati dell’armi e dei sentier lontani?
68Qual tuo folle desire a ciò ti move?
qual fanciullesco ardir vano è cotanto?
Tu solo, inerme et inesperto ir dove
fremon l’armi e di Marte un furor tanto?
Or qual, lassa, poter lodate prove
di te dar pensi? o qual di gloria vanto
speri acquistar ove al gran re de’ Franchi
par che quasi l’ardire invitto manchi?
69Dunque a le miserabili ruine
onde affligge empia sorte il cristian regno
crescer vuoi danno e stimulo a le spine
che mi trafiggon l’alma oltra ogni segno?
Deh, se non hai più che le scaglie alpine
duro il cor, figlio, o me, tua madre, a sdegno,
ceda a mie voglie in parte il tuo gran core,
abbi pietà del mio pietoso amore.
70Deh per quel sangue che da questo petto
suggesti un tempo, o caro amato figlio,
abbi di te, se non di me, rispetto,
muta voglia a tuo pro, muta consiglio.
Inesperto ancor sei, sei giovinetto,
debile troppo al bellico periglio,
non fidar tanto al generoso ardire
le poche forze tue, le tue grand’ire».
71Tacque ciò detto la donna reale
da i sospiri interrotta e dal dolore,
che tanto forte omai l’alma le assale
che quasi affoga in mar di pianto il core.
Commosso il pio garzon da parlar taleOrlando si impietosisce, ma conferma la propria volontà di partire (71,5-87)
e da l’affetto del materno amore
mostra la guancia allor pallida e bianca,
poi con questa risposta il cor rinfranca:
72«Né van consiglio, né speranza vana
d’ardir che stolto o temerario sia,
ma debito pensier di mente sana
move a lodevol fin la lingua mia;
se parer deve opra di mente insana
il vendicar la morte ingiusta e ria
del padre, alcuno il dica, e poi non saggio
sia tenuto il mio intento e ʼl mio viaggio.
73Non è, madre, da me, non è il camino
a cui spinger mi sento a sorte nato,
ma volontà del gran saper divino,
de l’eterno Signor che regge il fato.
Non è questa follia ma pio destino
ch’a gloriose imprese or m’ha chiamato
da l’ozio ignavo, in cui sepolto io vivo
a me dannoso, ad altri odioso e schivo,
74ché questa notte pur con manifesto
segno, che tal del Ciel fosse la voglia
(né so ben s’io dormiva o s’era desto)
m’apparse il padre mio colmo di doglia,
e ripresa con detto acre e molesto
la mia viltà, che d’ogni onor mi spoglia,
ad aiutar i nostri il cor m’accese
e al vendicar de le communi offese.
75Ma non curand’io, quasi sogno vano,
di sue apparenze la sembianza prima,
col secondo apparir mi fece piano
ch’era tal vision degna di stima,
qual poi l’aviso, ohimè, ben troppo strano
venuto oggi, che ʼl cor mi rode e lima,
troppo conferma al sogno orrendo e fiero
e al creder mio del fatto occorso il vero.
76Ma fingi ancora ogni mio dir mendace
di vision, che solo or ti paleso
prima celata, e che sol voglia audace
m’abbia a far tal camino il core acceso:
è forse di folia pensier fallace
l’andar là dove or sì mi sento offeso
nel padre ucciso, e ʼl procurarmi onore
conforme del mio sangue al gran valore?
77Non è forseS | forze pensier di laude degno
in uom di chiara stirpe al mondo uscito
il fuggir l’ozio et adoprar l’ingegno
nel militar mestier da’ miei seguito,
sfogar col fier nemico il giusto sdegno
c’ho del mio genitor da lui tradito,
aiutar l’arme nostre, e ʼl far vendetta
di Cristo contra la pagana setta?
78Ma posto ancor che ʼl mio disegno vano
riesca al nobil fin ch’io m’ho proposto,
lodevole è ʼl morir col brando in mano
per giuste cause a’ rei nemici opposto,
e ben parmi di mente poco sano
colui ch’elegge di passar più tosto
senza alcun nome di sua vita il fiore
che morir degno d’immortal onore.
79Questo in terra abitar che indegnamente
da l’intender comun vita è chiamato,
è una prigion de la divina mente
se non è in qualche degna opra impegnato,
perché il viver in ozio ignobilmente
è morte a un cor verso la gloria alzato,
ben vita è a l’alme vili, che non sanno
perché da Dio qua giù mandate stanno.
80S’io lascio dunque in onorata impresa
caduto in terra questo incarco frale,
io faccio quel che senza aver difesa
far convien chi qua giù nasce mortale;
e se la vita esser pur dèe ben spesa,
come meglio si può spenderla e in quale
occasion che con affetto pio
difendendo l’onor, la patria e Dio?
81Ha gran tempo ch’io bramo esser in parte
ov’io di qualche onor far possa acquisto,
esercitando nel mestier di Marte
il mio poco valor a onor di Cristo,
e ʼl terren riveder ch’Apennin parte
da noi, non più da me poscia rivisto
dal giorno ch’ebbi quel nobil paese
al nascer mio sì amico e sì cortese.
82Quivi, sì come piacque al Cielo, e come
più a te, che meglio li sai, deve esser noto,
le prime aure gustai, le prime chiome
di lauro cinsi, ancor fanciullo ignoto,
e, se dir voglio il vero, il debil nome
del picciol Sutri, a cui vivo divoto
poi ch’è mia patria, ancor con qualche amore
suonar dolce mi senti intorno al core.
83Quivi di pratticar la nobil gente
ch’è per bontà e valore il fior del mondo
ho d’un lungo desio carca la mente,
e giunto è il tempo ond’io ne scarchi il pondo;
né trovar si potria de la presente
occasione un tempo più giocondo,
c’ho da spender la vita in sua difesa,
vendicar Cristo e la paterna offesa.
84Ma se ch’io sia inesperto a me s’oppone,
diede principio ognun che a tal si mise,
e se opposto mi vien l’esser garzone,
garzon fu chi ʼl troiano Ettorre uccise.
Fanciullo Alcide ancor domò il leone
e al giovenile ardir fortuna arrise:
anch’io com’essi aveano ho core e mani,
né sono gli anni miei da i lor lontani.
85Or se ciascun di questi antichi eroi
senza aspettar di gente armato stuolo
portò a fin lieto i gran disegni suoi
con molto onor da l’uno a l’altro polo,
ch’altri ancor possa, o madre, esser tu puoi
certa il medesmo iscompagnato e solo,
poi ch’or non è più forte alcun pagano
che ʼl nemeo mostro o ʼl grande eroe troiano.
86Arroge a questo che un nobil desio
di faticar nell’arme oprando bene
in commun pro da gli uomini e da Dio
con buona sorte favorito viene.
Se sarà dunque il Cielo in favor mio
temer non debbo di travagli e pene,
che nulla mai può contra la divina
forza, e virtù nel travagliar s’affina.
87Però ceda il dolor, madre pietosa,
a la ragion in te, ceda il materno
affetto almeno in parte a la bramosa
voglia d’ogni mio onor del Re superno,
ch’io spero che tua mente al fin gioiosa
n’ha da restar, per quanto in Dio discerno,
e non temer s’io vado, ancor che solo,
a trovar Carlo e l’africano stuolo».
La madre cerca di trattenerlo (88-100)
88Posto fine al suo di con tal risposta,
di generoso ardir tutto ripieno,
riverente la madre allor s’accosta
e ne l’abbraccia, che venìa già meno,
e mentre ei la sostiene essa disposta
di porre al grande ardor del figlio il freno,
quando pur tuttavia sospira e piange
così sfuoga parlando il duol che l’ange:
89«O di quante fur mai donne infelici
me più infelice e di miseria esempio,
che svelto ogni mio ben da le radici
fatta son d’aspra sorte amaro scempio!
Qual alma rea più da le Furie ultrici
pate strazio del mio più crudo ed empio?
O mio duro destin, fa pur che vuoi,
che peggio di che fai far non mi puoi».
90Poi con la faccia lagrimosa e mesta
tutta ne gli occhi del figliuol conversa
rimover tenta il suo gran cor con questa
maniera, mentre il duol per gli occhi versa:
«Qual fiera voglia, o figlio, il cor t’infesta?
Qual in te causa ogni ragion perversa,
e contra ogni dever, lassa, ti move
a sciocco ardir di sì spietate prove?
91Debita impresa, e d’alto animo stile
è il far vendetta del tuo chiaro padre,
ma non è men devuta opra gentile
l’aver pietà de la tua cara madre.
Il padre è morto, e tu con cor virile
puoi sempre a tempo dar nell’empie squadre.
Vive la madre, ma s’ora ten vai
tu stesso in breve, ohimè, l’ucciderai.
92Breve dilazion de la vendetta
del padre a i tuoi pensier danno non porta,
ma se parti or da me con tanta fretta
tosto tosto la vita a me s’accorta.
Dunque tempo opportuno aspetta, aspetta
l’occasion, che breve ora t’apporta,
che vendicar potrai più a tempo il padre
donando vita a la tua afflitta madre.
93Se un beneficio può giusta mercede
chieder di guiderdon ch’utile apporte,
la vita, ch’io ti diedi al nascer, chiede
che in ricompensa a me non rechi morte.
Dunque da’ vita a chi vita a te diede,
né far del viver mio l’ore più corte,
e s’aver cerchi onor, d’umano e pio
cerca aver nome, e non d’ingrato e rio.
94Nel fin sei certo del mo ben, di quello
esser conviene ogni tua speme incerta,
se manchi a me ti mostri a me ribello,
e questo l’amor mio da te non merta,
né a quel ch’al padre dei ti rende fello
l’amor materno, anzi in tuo pro t’accerta
che ʼl tuo indugiar, che me conserva in vita,
porge al tuo bel pensier più forte aita.
95Verran tosto opportune a tanti mali
per far riparo a i nostri ultimi danni
le genti di Lamagna, e a quelle eguali
i duci di valor scoti e britanni.
Con questi aiuti, o figlio, e con queste ali
potrai volar ne i marziali affanni
più saldamente, e a l’omicida crudo
spada farti del padre e di noi scudo.
96Se giusto amor del tuo buon genitore
forma in te di pietà sì largo affetto,
esser non deve più di quell’amore
verso la genitrice angusto e stretto,
e se tanto, o buon figlio, ami l’onore
con tuo supremo onor cerca esser detto
degno non men che sii per la paterna
di lode ancor per la pietà materna.
97Più saviamente i tuoi pensier componi,
dunque, di così porti ora in camino,
le tue forze misura, e poi disponi
secondo il male o ʼl ben che t’è vicino.
Sono i disegni tuoi lodati e buoni
ma pur non vive in te poter divino,
ritarda alquanto le tue oneste voglie,
ch’un savio ritardar l’opra non toglie».
98In questo dir il caro figlio abbraccia
con ambedue le mani al collo intorno,
sparsa di pianto la smarrita faccia
e stretta del garzone al volto adorno,
e più e più piangendo il preme e bacia
come se a punto quel l’ultimo giorno
sia di sua vita, e che per quanto creggia
non sia per esser che mai più il riveggia.
99Tace il garzone a tali atti e parole,
né a le preghiere pie dona risposta,
sì come un core innamorato suole
che di nozze dal padre abbia proposta,
e non può consentir quel ch’ei non vuole
poi che dal caro oggetto ei lo discosta,
né vuol negarlo apertamente astretto
da riverenza e filial rispetto.
100Cotal Orlando immobile raggira
il cor e gli occhi, il viso alzando al cielo,
e pien di vari affetti alto sospira
nati d’amor e caritevol zelo,
quinci per riverenza si ritira
da quella alquanto, e, fatto il cor di gelo,
per la pietà che di sua pena sente
volendosi partir riman presente.
Gualtiero racconta a Orlando la morte di Milone (101-129)
101Ma poi che ʼl sol da noi partendo volse
a gli Antipodi oscuri il chiaro giorno,
grata licenza da la madre tolse
et a le stanze sue fece ritorno.
Quivi, poi che in suo cor volse e rivolse
del padre il caso e ʼl ricevuto scorno,
gli entrò nell’alma al fin caldo desio
di saper come giunse a fin sì rio.
102Onde ecco a tempo vien da la reina
mandato e da la madre il messo accorto,
Gualtier, per dargli qualche medicina
che a l’insano dolor sia di conforto;
ma non sì tosto a lui quel s’avvicina
che già lo prega in ragionar accorto
a raccontargli come e di qual sorte
gli abbia l’empio african donato morte.
103Il saggio cavallier, ch’a simil fine
di seco ragionar era venuto,
per ragguagliarlo de le gran ruine
in che era il franco esercito caduto,
e con la tema por qualche confine
a l’ardor del suo ardir troppo cresciuto,
dopo un breve girar d’altri concetti
al fin mosse la lingua in questi detti:
104«Giunto, signor, il giorno destinato
a la battaglia già tre giorni avanti,
e questo campo e quel da ciascun lato
in vista posto l’un de l’altro innanti,
io, cui de i primi assalti il re donato
avea l’onor, con cavallieri e fanti
de l’avversario stuol giunto nell’ugna
incominciai la sanguinosa pugna.
105E nel pugnar sì destra ebbi la sorte
al duro incontro del ferir primiero
che d’Alganzera il re condussi a morte,
ch’era gigante ardito e buon guerriero,
e contra il suo feci il mio stuol sì forte
che del vincer li chiusi ogni sentiero,
anzi d’ogni suo ardir posto al disotto
in breve in fugga il messi afflitto e rotto.
106Per questo, mossa dal nemico stuolo
fu di noi contra la seconda schiera,
ma, da Ugiero soccorso, io stesi al suolo
suo vano orgoglio et ogni sua bandiera,
e la terza fu posta ancor non solo,
ma la quarta e la quinta in tal maniera,
perché le nostre ancorché assai di genti
men grosse, eran di lor via più possenti.
107Pur dal possente e gran re di Marmonda
fur posti a terra Ottone, Avolio e Avino,
ma non ebbe il suo ardir sorte seconda
col fratel Berlingero allor vicino,
perché estinse la rabbia furibonda
del rio pagan più forte il paladino,
che con dolor del maumetano stuolo
a i primi colpi il mandò morto al suolo.
108Ma il fier Crasso di Ringa in altra parte
così ben adoprò l’asta e la spada
che parve al campo nostro un novo Marte,
mentr’egli a forza in lui s’apria la strada.
Una schiera egli sol dissipa e sparte
del britannico stuol che seco bada,
e ben parve badar, poiché ʼl re loro
restò prigione al fin del campo moro.
109Uccise poscia il prencipe d’Antona
e ʼl fratello sanguigno il fier pagano,
e ʼl valoroso Ernando a morte dona
che strazio fea del popolo africano.
Assale appresso il buon signor d’Artona,
che fu vicino di cader al piano
s’era poco men forte il cavalli ero,
ma cadde tramortito in sul destriero.
110A l’incontro, al furor di questo mostro
s’oppose arditamente il pro Danese,
né punto risparmiossi il poter nostro
per vendicar le ricevute offese,
ma fu la palma del gran padre vostro
che tronche a quelle braccia al pian lo stese,
e fè con un sol colpo in molta fretta
di mille cavalier degna vendetta.
111Da un’altra parte il fiero Sinagone
re de la Tana iva con tanto campo
in contra a i nostri che parea un dragone
che sottosopra rivolgesse il campo.
Il marescial da lui di Ronciglione
restò abbattuto, che non v’ebbe scampo;
restovvi Ugiero a la medesma sorte,
e Buovo ancor, ch’andò vicino a morte.
112Lungo sarei se i casi ad uno ad uno
ridir volessi di quel gran conflitto,
e quante volte il vincer fu opportun
a chi era stato già vinto et afflitto.
Così or di vittoria era digiuno
l’un campo e l’altro, or ne restava invitto,
or la lode ora il biasmo avea ciascuna
parte del variar de la fortuna.
113Ma quando al fin l’esercito pagano,
del nostro senza paragon maggiore,
con gran sforzo tentò, né tentò in vano,
farsi al cristian valor superiore,
e d’ambi i lati il prencipe africano
mosse l’insegne e ʼl sacro imperatore,
lunga stagion durò con sangue e morte
di questo campo e quel dubbia la sorte.
114Perché sì come il gran valor del nostro
imperator e de’ suoi paladini,
ma via più quel del saggio e invitto vostro
gran genitor, terror de’ saracini,
rese più volte oscura più che inchiostro
la gloria ostil fin dentro a i suoi confini;
sempre là ritornò più che mai chiara
l’ardir d’Almonte e la sua spada rara.
115Credo ch’abbiate talor forse udito
ch’oltra ch’Almonte è un uom crudele e fiero,
d’alto sembiante, orribile et ardito,
e forte al par d’ogni altro gran guerriero,
va tutto d’incantate arme vestito,
a meraviglia belle esso e ʼl destriero,
e porta al fianco una sì forte spada
che ʼl duro acciar non men che ʼl piombo rada.
116Questa, che ʼl ferro come il piombo affetta
tanto è la tempra sua nervosa e dura,
nobile spada è Durindana detta,
che a chi l’assaggia fa più che paura.
Con questa al par d’ogni altra spada eletta
tenne il famoso Ettor Troia sicura,
e fugò solo i Greci a mille a mille
pria che ʼl tradisse il dispietato Achille.
117Ma poich’Ilio fu dato in preda al foco
da gli empi Greci, e il tutto andò in ruina,
e di quel grande eroe fortuna e loco
l’arme cangiàr, che se ne fè rapina,
la buona spada conosciuta poco
allora andò fra gente pellegrina,
e al fin dopo gran tempo in man pervenne
di chi più la cognobbe e in pregio tenne.
118Così, caso o destin ciò fosse, parmi
che essendo stata in tal modo divisa
da chi rubolla da tutte l’altre armi
ch’alfin fur date al buon Ruggier di Risa,
come si legge in certi antichi carmi,
giunse in chi resse la città d’ElisaS | Elissa,
e passò ne gli eredi e successori
tanto ch’al fin venne in poter de’ Mori.
119Il suo destriero è poi formoso e bello
quanto più bramar possa ingegno umano,
forte, animoso, di color morello,
stellato in fronte e di due piè balzano.
Questo il fa vincitor d’ogni duello,
ma via più l’arme e la sua forte mano,
l’arme c’han fama esser temprate dove
Bronte ministra al gran fabro di Giove.
120Di questi aiuti il buon presidio avendo
tra gli altri suoi vantaggi il fiero Almonte,
col nostro re venne in duello orrendo
e più volte gli fè sudar la fronte,
con questi ogni più forte egli battendo
a i nostri fece mille ingiurie et onte,
non però con Milon valse a l’altiero
la spada, l’incantate arme o ʼl destriero.
121Però che mentre ardea l’orribil guerra
ambi scorrendo i misti campi intorno
tre volte il trasse fuor d’arzone in terra
il paladin di miglior forze adorno.
Questa ignominia, ch’ogni onor gli atterraS | aterra,
questo tre volte ricevuto scorno
perder fece al malvagio ogni ardimento
e tentar poscia il frodo e ʼl tradimento.
122Quindi scorto lontan disceso al suolo
il pro guerrier per trar di vita un moro,
ch’assai più danno a noi faceva ei solo
che mille suoi tra chi più forti soro,
mentre in fargli sentier l’ultimo duolo
tutto era intento a quel fiero lavoro
e col pugnal in mano a quei sul petto
premendo logli avea tratto l’elmetto,
123con una lancia presa sopra mano,
cacciando a sciolta briglia il corridore,
dietro a le spalle tra l’usbergo e ʼl vano
de l’elmo il traffisse il traditore,
né contento di ciò discese al piano,
con maggior crudeltà gli trasse
del petto invitto, e con orribil voce
gettollo in mezzo a quel conflitto atroce.
124- Vada – diss’egli – in sacrificio pio
a l’alme illustri de’ compagni miei
il cor di questo vil cristiano rio,
che quelle trasse a’ dolorosi omei.
Veggasi or chi può più, Cristo o ʼl mio dio,
col cui favor il mondo espugnarei,
non che le debil forze di coloro
ch’ardiscono pugnar col valor moro -.
125Così per man di quel protervo spento
il fior restò de i paladin di Franza,
così riprese l’Africa ardimento
e crebbe a doppio d’ogni sua possanza.
Da questo ogni materia, ogni argomento
nacque a i pagani d’ogni lor baldanza,
da questa morte sol pende la gloria
tutta e la causa de la lor vittoria.
126Ben si mosse per farne allor vendetta
Donchiaro, il forte di Miles figliuolo,
e vi messe gran forza e molta fretta
sì che mandò il pagan disteso al suolo,
ma tanta fu la calca in quella stretta
sopra lui sol del maumetano stuolo
ch’al fin per non poter far più contesa
convenne a forza abbandonar l’impresa».
127Più volea dir, ma il giovinetto Orlando
sovrapreso dal duol fiero et atroce,
con un sospiro ardente lacrimando
da lui si tolse, ond’ei fermò la voce.
Quinci l’eroe sì afflitto passeggiando
l’antica passion che ʼl cor gli coce
rinova, e col desio de la vendetta
l’ira fatal ch’al dipartir l’affretta.
128Allor del giusto suo concetto sdegno
al precipite corso aggiunge sprone,
l’eterno intento del celeste regno
che ʼl divino furor nel cor gli pone,
a cui non possa ostar forza né ingegno
d’uman poter, come a l’ebreo Sansone,
del qual non con minor ventura eletto
era dal Cielo a più d’un degno effetto.
129Tosto che ʼl calor santo esser si sente
in dominio del cor del garzon forte,
tutta gl’infiamma l’adirata mente
a seguitar sua venturosa sorte
senza aspettar d’amico o di parente
consiglio, aiuto, o militar coorte,
e di Parigi uscir tacito e solo
accompagnato dal suo immenso duolo.