Il Colombo

di Giovanni Villifranchi

I primi due canti di questo poema furono pubblicati a Firenze nel 1602: l’autore era infatti attivo alla corte medicea e i due canti vennero dedicati al duca di Bracciano Virginio Orsini, figlio di Isabella de’ Medici, di cui il poeta divenne qualche anno dopo segretario. Il Colombo si colloca sulla scia di altri poemi dell’epoca dedicati alla scoperta dell’America come l’America di Giovan Battista Strozzi (ca. 1590) e il Mondo nuovo di Giovanni Giorgini (1596). In una lettera inviata ad Agazio di Somma nel 1618, Alessandro Tassoni scrive che il poeta «avea ridotto a buon segno il suo poema, quando morì», ma se è vero che Villifranchi aveva quasi terminato la sua opera il resto del poema non ci è pervenuto.
Il Colombo è stato oggetto di critiche ed esaltazioni da parte dei contemporanei del Villifranchi. Tassoni lo cita, insieme con il Mondo nuovo di Stigliani, come esempio di cattiva scrittura per aver preso l’Eneide e la Gerusalemme liberata come modelli poematici invece che l’Odissea, «la quale, s’io non m’inganno, devrebbe esser quella che servisse di faro a chi disegna di ridurre a poema epico la navigazione del Colombo a l’India Occidentale». Giovan Battista Marino aveva invece esaltato il poema nel sonetto Sciolse il Colombo de l’audace ingegno raccolto nella Galeria, anche se inizialmente il sonetto in questione era stato pensato come un’esaltazione del Mondo nuovo di Stigliani. Anche Guidubaldo Benamati, autore di un Mondo nuovo di cui ci sono rimasti tre libri, aveva celebrato il Colombo di Villifranchi nel suo Canzoniero, definendolo degno di gloria.
Il poema che, come suggerisce il titolo, ha per protagonista Cristoforo Colombo, si conclude prima dell’arrivo dei naviganti nel nuovo mondo: tutta l’azione si svolge, infatti, durante il viaggio nell’Atlantico. Nel primo canto il demone Alasto incita i marinai a ribellarsi a Colombo secondo uno schema che ritroviamo in molti poemi del ciclo colombiano. Il secondo canto è invece quasi totalmente dedicato alla storia di inspirazione bizantina degli amanti Francardo e Amicandra che Colombo e i suoi uomini incontrano su una «picciola barca» errante. Il poema si conclude con la profezia delle scoperte di Colombo, Vespucci e Magellano che un angelo aveva rivelato ai due amanti e che questi riportano a loro volta a Colombo.

Bibliografia

  • G. Benamati, Canzoniero, Venezia, Dei, 1616.
  • L. Geri, La «materia del mondo nuovo» nella poesia epica italiana. Da Lorenzo Gambara a Girolamo Bartolommei (1581-1650), in Epica e oceano, a cura di R. Gigliucci, in «Studi (e testi) italiani», 34 (2014), pp. 29-61.
  • A. Tassoni, Lettere, a cura di P. Puliatti, Bari, Laterza, 1978.
  • I. Marchegiani Jones, Alessandro Tassoni e Guidobaldo Benamati: poeti dell’impresa di Colombo, in«Italica», 69 (1992), 3, pp. 410-420.
  • E. Tostini, La scoperta dell’America nella poesia italiana dal XV al XVII secolo, tesi di laurea magistrale discussa a Roma, Università degli studi di Roma La Sapienza, 1996.

Opera e sinossi

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