commenti
riassunti
font
AA+
Chiudi

Il Colombo

di Giovanni Villifranchi

Canto I

testo e note a cura di T. Artico | criteri di trascrizione
ultimo agg. 30.03.15 15:58

Proemio (1-7)

1Canto il nocchier ch’a fortunato volo
alzò nel mar le gloriose antenne,
vago aspirante a sconosciuto polo
gareggiando col sol d’emole penne;
dopo tante fatiche, immenso duolo
che, sprezzator di morte, egli sostenne,
varcato il sen dell’ocean profondo
calcò l’arene del novello mondo.

2Quindi le crude guerre e i vani amori
nacquer nemici a la novella sede,
e versando del ciel sacri tesori
la Croce innalza e la cristiana fede,
onde vittorioso a’ sommi onori
sovrano duce al nostro mondo ei riede,
e già deluso da gli umani ingegni
dona i creduti favolosi regni.

3Musa, che ʼn grembo accolta al vivo Giove
scorgi in un guardo sol de l’umil terra
l’angusto giro, a pien conosci dove
a’ naviganti il termine si serra:
mentr’io per vie non conosciute e nuove
erro, nuovo Parnaso a me disserra,
tu prima intelligenza a me seconda,
chiaro mostra la terra ignota e l’onda.

4Aure celesti che co’ sacri fiati
guidaste in porto le famose vele,
sì che d’ingorde Scille aspri latrati
vinsero e ʼl gran furor del mar crudele,
dolci spirate in me ch’a’ lidi amati
d’eterna vita giungan le mie tele
di basse carte, e la mia fragil penna
segua nel corso la felice antenna.

5Virginio, tu ch’a mie tempeste amare
queti ʼl mar, tempri i venti, il ciel sereni,
e dolce m’apri nello ʼngordo mare
mille dal polo tuo lumi sereni,
aspira all’alta impresa, a te le care
preghiere invio, ch’ogni procella affreni;
col grande auspicio tuo dal nostro lito
spiego le vele e sciolgo il legno ardito.

6Nutrito d’aure tue superbo il voto
del bel Parnaso mio felice adempio,
onde in sembiante umil corro devoto
a quel de le tue glorie altero tempio,
e de’ grandi avi tuoi l’ordin ben noto
quivi sospendo, illustre al mondo esempio,
ove n’apprenda in gloriosi modi
di senno e d’anni più veraci lodi.

7Ricca pioggia di grazie in te vagheggio
e degli avoli tuoi la vista appago,
in cento Campidogli augusta veggio
la tua di più corone ornata imago,
e di terre e di mari in te non chieggio
imperi, d’altri imperi a pien presago.
Se a te negati fien questi secondi,
nasceranno per te celesti mondi.

A dieci giorni da Gran Canaria scompare la stella polare, Colombo rassicura gli uomini già disperati (8-12)

8Perduto il lido, ad altro lido intenti
i pini audaci ivan doppiando il corso,
con mar tranquillo e con tranquilli venti
oltra la Gran Canaria avean trascorso,
e dieci volte a’ suoi destrieri ardenti
Febo disciolto avea l’aurato morso
quando celossi in quel felice volo
l’amica stella che vagheggia il polo.

9Alza il piloto al ciel dolenti strida
e ʼn queste note ogni guerrier spaventa:
«Spenta è nel ciel la luminosa guida,
e nel mio petto ogni speranza è spenta».
Tacque, e nel seno a’ cavalier s’annida
di morte il giel, che gli ange e gli tormenta.
Un pallido timor diversi affetti
desta con fiera imago entro a’ lor petti.

10Altri la dolce moglie a sé figura
vedova farsi, altri l’amato figlio
l’imagine di sé pallida e scura
mesta portar nel travagliato ciglio,
altri mancipio a l’amorosa cura
piange da la sua donna il duro esiglio,
altri sospira i desiati amici,
altri i paterni lor nidi felici.

11Solo il Colombo le sue piume audaci
all’eccelse speranze invitto scuote,
né l’estima però vane o fugaci,
né vil timor l’arresta o lo percuote.
Osservator de le notturne faci,
di quanto gira il sol ne le sue rote,
avviva gli altri nel timor sepolti
anzi ʼn presente morte al tutto involti,

12e dolce parla: «Se nel cielo or muore
benigno lume, un altro a noi s’accende
povero ciel, se a lo stellante ardore
d’amico segno nudo or qui si rende
di cieca notte nel profondo orrore
a pro di noi più d’una luce splende;
nuove stella per guida or saggio sceglio
ne’ bei cristalli del celeste speglio».

Il demone Elasto spira la rabbia nei petti dei marinai, quindi scatena una furibonda tempesta (13-27)

13Elasto intanto da’ tartarei campi
d’aspre serpi focose armato viene,
spira sulfuree faci e misto a lampi
tosco, ond’avvien ch’altrui ratto avvelene.
Gonfio di rabbia è sì che par ch’avvampi,
sparso il crin, torvo gli occhi, atro le vene,
e sembra sol che duramente porte
da le ripe d’Inferno orror di morte.

14Questi dal cieco duce che s’immerse
ne l’alta notte il sol perdendo e ʼl die
ministro è fatto acciò restin sommerse
l’eccelse travi in quelle occulte vie,
e ch’altre genti al vero Ciel converse
non fuggan deità fallaci e rie,
né bagnin d’umor sacro il capo, e ʼl core
di lor non arda di verace amore.

15Giunge opportuno a’ dolorosi petti
onde novello in lor sdegno commuova,
s’aggira intorno, e ʼn taciturni detti
mesce al nato timor la rabbia nuova.
Contra l’alto nocchier maligni affetti
desta ne’ petti in cui ricetto ei trova,
testor d’alte cagion da fuggir quelle
ondose vie per non perire in elle.

16Cuopre l’aria di nubi, alta e molesta
grandine cade e ruinoso nembo
di pioggia, e nasce tumida tempesta
dal gravido Inferno infausto grembo.
Novella turba vien livida e ʼnfesta,
fiera scuote il suo fosco, orrido lembo,
e versa atra caligine che seco
portò nemica dal tartareo speco.

17Era il giorno, e già il mondo il sole ardea
nel corso dell’eterno ampio viaggio,
con l’occhio altero suo fermo scorgea
principio fier dell’infernale oltraggio,
e s’imbrutta, sepolto in una rea
oscura ecclisse, e nega il chiaro raggio.
Non partoriscon le cimmerie grotte
e ʼnfelice pur nasce infausta notte.

18In così cieche tenebre fiammeggia
il cielo al mare, il mare e ʼl ciel s’adira,
orribil tuona l’uno e l’altro ondeggia,
ogni nocchier s’affligge e si martira,
Elasto con l’infame orrenda greggia
cresce al ciel et al mar furore et ira,
grandine, pioggia, lampo e tuono in gara
son co’ venti e con l’onde in guerra amara.

19Altamente Aquilone allor si sdegna
che ʼl suo rival sì fieramente spiri,
guerra gl’indice, e chi di lor ritegna
la palma non si scorge a’ dubbi giri,
infelice trionfo ove chi regna
ha sol de l’altrui morte aspri desiri.
Mentre stan gareggiando i venti insieme
il mar canuto e ʼl ciel percosso geme.

20Mentre si vede il ciel non più sereno
scendere in mare, il mar salire al cielo,
le lagrime non vi è chi tenga a freno,
non v’è chi non divenga e foco e gielo,
Se non bagna il Colombo il volto e ʼl seno,
nega al pianto la via prudente velo,
e cadendo su ʼl core il core impiaga
e nell’ardenti lagrime l’allaga.

21Piegar fa scaltro i lacerati lini
da’ vanti, a’ legni suoi tarpando l’ali,
sanare intorno gli sdrusciti pini
da’ superbi del mar colpi mortali,
e di flutti versare entro a’ marini
flutti sol per schivar gli estremi mali,
ma in van s’adopra, e vincer tenta in vano
del mar, de’ venti il gran furore insano.

22Crescon la rabbia i venti altier pugnanti,
volgendo il mar dal più sepolto fondo,
e squarciate le nubi in aria erranti
innalzan fino al ciel l’ondoso pondo.
Già veggonsi apparir nuovi sembianti
e nel marino e nell’etereo mondo,
sembrano affisse le balene in quelle
sfere del ciel, nuotano in mar le stelle.

23Erano spettatori a la dolente
spenta di chiari rai tragica scena
gli empi numi d’Averno, e la fervente
spumosa rabbia lor temprano a pena,
ma quando segno diede Elasto ardente
sorge la schiera e sé non più raffrena,
porta nel volto spaventosi mostri,
orribil forme de’ lor ciechi chiostri.

24Mostro primieri si scorge orrido scoglio
la cui superba fronte al mar sovrasta;
vicino a quel con spaventoso orgoglio
son cento belve in forma di cerasta;
mille raddoppian timido il cordoglio
monti, che fanno al ciel torre e catasta,
da’ quali uscì la spaventosa voce
di demone parlante in suon feroce:

25«O voi, che più de gli altri e saggi e franchi
vi figurate un nuovo mondo ascoso,
né vi curate che ceruleo imbianchi
la molle chioma questo mare ondoso,
pria che la forza al grande ardir vi manchi,
stolti, arrestate il corso periglioso;
ah non vedete un ocean che voi
nel ventre ingordo suo rapido ingoi?

26Frenate il corso, e se più tanto ardite
cader vedransi i pensier ciechi e vani.
Già queste non son vie marine trite
da’ peregrini mai remi profani:
onde cotanto osar? dal Ciel venite,
o figli dell’audacia ingegni umani?
e non è chi di voi più saggio aspette
con vostro eterno duol giuste vendette?

27Frenate il corso, il Ciel non ciò v’ha dato,
qui di lui siamo esecutor fedeli.
Se ʼl duce vostro ha nel pensier locato
perir nell’onde, e’ le sue voglie or celi,
il folle volo suo da voi troncato
cada repente, a voi non più crudeli,
ma se durate, eccovi ʼl mar che freme
e questi armati mostri uniti insieme».

I marinai pianificano di uccidere Colombo o buttarlo a mare (28-44)

28Sì disse, e quei ch’ebber dal Cielo esiglio
fornicator della primiera sede,
dopo al susurro, al fremito, al bisbiglio
il grido alzàr che ogni altro grido eccede.
Volger l’afflitte prore altro consiglio
in tutti a voce tal più seren siede,
cresce la tema in lor, cresce il furore
d’ancider, solo nega il primo autore.

29Frangon gli avidi rostri onde novelle
che lo spirar di Borea in alto spinge,
quanto più lungi van più le procelle
teme ciascuno, e tomba il mar si finge;
ne’ seni arditi ardor guerriero imbelle
diviene al gran passaggio, e solo stringe
arme contra ʼl suo duce, e sdegni ed ira
torbin di rabbia vera e ʼn lui s’adira.

30Un tacito silenzio ha lingue cento
che velenoso umor feconda e move,
e l’occulto bisbiglio alto ardimento
prende, agitando i petti in crude prove.
Quasi aura a cui succeda orribil vento
e s’avanza e s’acquista or forze nuove,
dall’alto susurrare un grido nasce
che sol di lite e di romor si pasce:

31«Miseri noi, che a nostro eterno pianto
meniam di reo principio un fin più rio,
l’eccelsa nostra gloria, illustre il vanto
là cominciò nel porto e là finio.
Dirà futuro grido: “O folle quanto
fu chi ne l’ocean cotanto ardio,
che in cercar nuovi mondi e nuova prole
perdé la terra antica e perdé ʼl sole?”.

32De gli anni suoi giunge all’algente bruma
uom peregrin cercando il vasto seno
dell’ampia terra, e prima ei sé consuma
che veggia il gran viaggio venir meno,
e l’ali scioglie e quelle al volo impiuma
augel, né però scorre il mondo a pieno:
or noi temiam che non ci basti, e ʼn vano
un sepolcro cerchiam nell’oceano.

33Folle, dove n’adduce un van pensiero
d’uom temerario ch’a sé troppo crede,
che torto estima alto giudicio intero
di chi per questi mari arrestò il piede?
Mille lustri son corsi e pur nocchiero
non tentò dubbio mar, non dubbia sede;
nelle favole sue questi or la finge
e ʼn noi l’armi di morte e vibra e stringe.

34Se rotando nel ciel clima diverso
il sol vedesse al nostro là disgiunto,
tu, Grecia, avresti il corso a quel converso
sotto Alessandro, ed a’ suoi regni aggiunto,
tu, Roma, dopo il Medo e dopo il Perso
trionfo altero a maggior gloria assunto
veduto avresti il fortunato Augusto
di tali spoglie in Campidoglio onusto.

35I trionfi son nostri e nostre sono
le palme, ed ergiam noi gli scetri regi.
Divine trombe ecco s’ascolta il suono
palesator di mille eterni pregi.
Mira il mondo del ciel l’altero dono
le nuove pompe co’ novelli fregi,
ahi che non cinge il crin chiaro diadema
ma del mar l’onda nostra in doglia estrema.

36Forse apre il centro a noi madre feconda
la nuova terra? i tesor forse dona?
prodiga forse e gravida n’abbonda
e a’ suoi desiri avari non perdona?
dal chiuso grembo suo palesa l’onda
gemme, perle e coralli? indi corona
illustre ordisce acciò torniamo poi,
o patri alberghi, e regnar dolce in voi?

37Folle mente, oh de l’oro empio desio,
oh de gl’affetti uman fiero tiranno,
come repente immerge in fosco oblio
i ciechi sensi il lusinghiero inganno?
Non prima alle sue cure il varco aprio
l’uomo ch’ei ne’ sentì mortale il danno,
ma con avido morso or noi divora
sua cupa fame il sen più d’ora in ora.

38Tal crudo aspe maligno ahi resti inciso
col rio velen d’ambiziosa speme,
dall’ingordo suo dente, altri sia ʼntriso
nel proprio sangue e giunga all’ore estreme.
Al duro caso rivolgiamo il viso,
fuga onorata a che da noi si teme?
Verso l’estrema Esperia audaci i rostri
volgiam lieti volando a i lidi nostri.

39Finor tentato abbiam la dubbia impresa
degna che uom ne riporti onore e loda,
or d’alma audace in bel desire accesa
del suo nobil pensier superbo goda,
ma poscia che dal Cielo or n’è contesa
di bugiardo pensier verace froda,
non siamo a noi d’imaginate cose
fabri funesti e pure al cielo ascose.

40Del nostro vaneggiar vedrassi il fine?
fia che mai si provveda a’ nostri mali?
e di solcar più l’onde peregrine
stanchi fuggiren mai l’ore fatali?
Dell’audace viaggio ah sia ʼl confine
questo, e sia meta a’ cupidi mortali,
la qual, ponendo l’altra, già non vide
vittorioso in ogni impresa Alcide.

41Duro legame d’altrui fiera voglia
la voglia vostra prigioniera e serva
terrà mai sempre? e chi fia mai che scioglia
laccio crudel di servitù proterva?
a cara libertà chi non s’invoglia?
l’antico suo valor chi non conserva?
Altero ardisca: un generoso ardire
schiva di morte rea la rabbia e l’ire.

42Ahi dolce libertà, dolce il tuo nome
come sì ratto è ne’ cuor nostri estinto?
d’amara servitù l’infauste some
han forse il valor nostro oppresso e vinto?
In chiara mostra si conosce or come
si fugga dell’ondoso laberinto,
ecco ʼl fil della fuga, e ʼl mostro pèra
devorator dell’innocente schiera.

43Del sangue scelerato ebbro divenga
pietoso il ferro, e porga a noi salute,
o de l’iniquo l’empio ardor si spenga
nell’altissimo sen d’onde canute.
Vano sperar noi qua non più ritenga,
son vicine del fato aspre ferute.
Su, di tutti la morte in lui sol cada,
vendice sia di noi pietosa spada».

44Sì dicono aspri, e più nel dir s’avanza
negli eccitati petti ira e dolore.
Quei che dianzi tacean prendon baldanza
di mostrar loro sdegno e lor rancore.
Han di certa vendetta alta speranza
o di non gir più avanti, e tal furore,
fatto d’aspro velen mortifer angue,
sibila a quelli in seno e irrita al sangue.

L’eremita intercede presso Dio e ferma la tempesta (45-50)

45Arse e gelò il Colombo al grido ardito
de’ mostri orrendi, e fu di vita in forse,
ma ʼl devoto roman, saggio romito,
al tristo impallidir di ciò s’accorse,
e disse: «Al Cielo è ʼl vostro ardir gradito,
al Ciel che santo ardir benigno scorse».
Poscia il ginocchio umil piegando al suolo
alzò le luci e sciolse a’ detti il volo:

46«Signor, che le tempeste e le procelle
muovi a tua voglia, e da te pende il tutto,
tu che desti all’ebreo popolo imbelle,
gli Egizi sommergendo, amico flutto,
monarca avvezzo a premer l’auree stele,
l’onde salse a calcar col piede asciutto,
placa l’ira del mar, seda la pioggia,
fuga l’Inferno ov’ei per pena alloggia.

47Non voglia avara in questi mar lusinga
e non spinga qua noi fugace gloria,
né curiam già che scolpa o che dipinga
opra di sì grandi atti alta memoria;
candido inchiostro carte anco non tinga
in poema sovrano, in chiara storia,
ma del tuo amore allettatore e ʼl zelo
sol per chiuder l’Inferno, aprire il Cielo».

48Come chiusi nel seno ampia fornace
nutre gl’incendi d’alta fiamma viva,
e tanto cresce più l’ardor vivace
quanto nel grembo suo l’esca s’avviva,
ma, ʼl nutrimento tolto, a lei vivace
riman di fiamme e d’ogni incendio priva,
pur ben che restin le faville spente
per qualche spazio tien l’ardor cocente,

49benché nel volto lor tranquille e chiare
Teti e Giunon non ben tranquillo e chiaro
era il cor de’ guerrier, le voglie amare
contro ʼl sommo nocchier non ben fugaro.
Sospirano anco le dilette e care
paterne rive, che lontan lasciaro,
l’ammirante se ʼl vede e cauto accenna
che venga a l’assemblea ciascuna antenna.

50Disse, e spirato dall’ardor celeste,
sorge da terra e volge a’ mostri il guardo,
segnando alza la croce, e le moleste
procelle fuggon via col piè non tardo.
Cessan, sereno il ciel, l’aspre tempeste,
punti gli spirti son da sacro dardo,
e ravvivati i tristi, inermi petti
del venerabil padre a’ santi detti.

Colombo arringa il consiglio dei capitani, lo conforta e promette che la meta è vicina (51-64)

51I primieri campion su palischermi
saltan, volando nel sovrano legno,
ma tutti portan seco affetti infermi
colmi d’aspro velen, d’acerbo sdegno.
Vaghi son che da lui pur si confermi
di tornar ratti vèr l’ispano regno.
Amico in atto il capitan gli accolse,
e ʼn questa guisa il suo parlar disciolse:

52«O cari miei, che dalle turbe erranti
del cieco volgo lungi a gloria certa
correte meco, e tra’ perigli tanti
d’eterne palme v’è corona offerta,
tra questi orror, tra l’onde naufraganti
a voi soli è dal Ciel la strada aperta
dar nuovo mondo al mondo, a queste siete
grandezze eccelse eletti: or che temete?

53Grande il principio, e più superbo fia
beato il fine, e cresce il grido all’opra,
e se ʼn questa de’ mari occulta via
terra difficilmente a voi si scuopra,
altiero il nome vostro ecco s’invia
a fama che non mai nera si cuopra.
Or da nobil sudor gloria si mena
ch’entrambi gli emisperi avida cena?

54Eterni fregi sol co’ bei sudori
s’acquistan travagliando, e da’ riposi
di molli piumi gl’immortali allori
lungi si stan nelle fatiche ascosi.
Non l’età prisca altrui vivi splendori
diede nel ciel se in fatti perigliosi
non gl’acquistaro alti guerrieri invitti,
Alcide, Enea lo san, nel cielo ascritti.

55Né l’opre lor, quantunque illustri, furo
da porsi con le nostre in giusta lance,
che sentier noto almen, se non sicuro,
fea lor ne gl’atti impallidir le guance:
un mondo noi con un sperar sì duro
cerchiam, creduto favolose ciance,
a quel ch’altri non pensa e non rimira
il valor nostro audacemente aspira.

56E già vicina abbiam, non fia chi tema,
la meta del cammino, il Ciel mel detta.
Chiaro veduto abbiam quanto gli prema
la vita nostra, a questa impresa eletta.
La rabbia de l’Inferno ha non sol scema
ma d’infestar se stessa in tutto astretta,
a noi restando qui lieti e giocondi
placide l’acque diè, venti secondi.

57Ogn’augurio da voi sinistro e grave,
diletti amici, ogni timor cacciate;
quando in minimo orror soverchio uom pave
ombre si finge, specchio or voi cangiate:
non sdruscita nell’onde afflitta nave,
non la morte nell’onde figurate,
ma sia la nuova terra a gli occhi oggetto,
dolce esca sia del cor gioia e diletto.

58Faccia dinanzi a voi fiero duello
con aste uguali e con egual valore,
con vivo di ragion duro flagello
lo scorno infame e ʼl glorioso onore:
vedrassi allor da voi, se questo o quello
o schivare o seguir dèe nobil core,
l’un con penne sublimi al Cielo estolle,
l’altro il superbo volo iniquo tolle.

59Sicuro l’uno abbiam nel gran cammino,
cursori illustri, in cui siam molto innanzi,
sovrasta l’altro a noi tosto che ʼl pino
nel felice valor non più s’avanzi.
Ma sveglia in seno a voi foco divino
diverso affetto a quel che aveste dianzi,
già tratta man celeste e man fedele
con uficio pietoso e remi e vele.

60E se non fosse a pieno in voi sopita
quella che dianzi v’arse alta favilla,
deh repente si spenga, incenerita
sotto d’acque celeste amica stilla.
L’aer sereno, il ciel caro ne ʼnvita,
n’alletta, mirate or, calma tranquilla,
musico è ʼl dolce mormorar dell’onde,
spirano al nostro corso aure seconde».

61Così disse; al suo dir celeste foco
strugge le dure lor gelate voglie.
Serpe picciolo ardore, a poco a poco
cresce, e favilla viva in lor s’accoglie.
Arde ciascuno, e non ritrova loco
desire impaziente, e ratto scioglie
la lingua di veleno aspersa dianzi
lietamente gridando «Innanzi, innanzi!».

62«Innanzi, innanzi!» ripigliaro allora
le turbe tutte, «Innanzi a nuovo porto».
Lungi è il timor, quei seno alto avvalora
il suono audace del metallo intorto,
e nell’armar la volatrice prora
dolce da tutti aiuto amico e porto,
benché ʼn governo tal non abbian parte,
maneggian remi e vele, arbori e sarte.

63Allegri lor tornaro i capitani,
e già son tutti in atto di partire.
Alza le luci al cielo, alza le mani
il ligure a Dio volto, e piglia a dire:
«Ben conosco, Signor, che ʼn tutto vani
d’arrestarsi i pensier sono e di gire
se non gli spingi tu, se non gl’arresti
con amorosi tuoi fiati celesti.

64Non le mie pure e semplici parole
hanno maga virtù di cangiar voglie;
a’ raggi del tuo vivo ardente sole
ogni indurato affetto al fin si scioglie,
a quel che ʼl tuo desir supremo vuole
forza è che mente umana al fin s’invoglie;
grazie ti rendo, e chieggio il porto amico
per amicarlo al porto nostro antico».

La flotta raccoglie una barchetta senza alberi alla deriva, dentro vi sono due naufraghi che vengono rassicurati da Colombo (65-79)

65Tacque, e mentre le navi in vece alterna
spiegan l’ali superbe, uom che s’asside
su l’alta gaggia, a scorta fare eterna
un legno assai da lunge in alto vide.
Sta sospeso, se bene il ver discerna,
pria che veder tal cosa al duce gride,
ma quanto acuto là più l’occhio intende
più di quello veder certo si rende,

66gioioso grida: «Avventurosa vista
è questa mia, se pure il vero io scorgo.
Quanto rimiro più, via più s’acquista
di securo, novella amica io porgo:
una picciola barca è da me vista,
o lungi è molto, or or di lei m’accorgo».
S’allegran tutti, ma più d’altri gode
il duce allor che tal novella s’ode.

67Spera che vela sia dal lito sciolta
di terra ignota, e fino a l’or negletta.
La desiosa prora a lei rivolta,
e d’arrivar repente a lei s’affretta.
Già già brama d’averla a sé raccolta
e di saper da lei gran cose aspetta,
già del viaggio il fin vicino crede
e porre in terra il fortunato piede.

68Fansi vicino al legno i legni, et esso
non fugge, non s’avanza e fermo stassi.
Ora si muove, e quanto gl’è concesso
benigno vento tanto affretta i passi,
or più s’arretra, or più si vede appresso
e vaga intorno in giri or presti or falsi,
vedovo legno in grembo al mar crudele,
vedovo d’arte, d’arbore e di vele.

69Quando vicini sono e mirar ponno
che ferma vista non più gli occhi inganni,
si maraviglian che ʼn perpetuo sonno
non sia chi siede entro a gl’inermi scanni.
Poiché del pino il mare a pieno è donno,
al vento non spiegando i bianchi vanni,
grazia è del Ciel se mar non lo depreda,
di lui fa cara e ben gradita preda.

70Coppia felice d’infelici amanti
era la preda in un dogliosa e bella
de l’inospite mar, per l’onda erranti
sotto barbaro ciel strada novella,
d’eccelso cor, di nobili sembianti
amoroso guerrier, vaga donzella,
il cui bel volto in bel silenzio impera
sotto sferza d’amor dolce e severa.

71Industre Amor sotto a vil manto ascose
angelica sembianza e semplicetta,
succinta pescatrice non compose
vaghezza, et incomposta i cori alletta;
i bianchi gigli e le vermiglie rose
miste nel volto di beltà negletta
son fregi, il crine in vil legame annoda,
di negligenza tal par ch’Amor goda.

72Pari di bello a lei, pari è di vago,
cinto di rozze spoglie il giovanetto.
Di pianto aspersi e in dolorosa imago
mille esalan sospir da l’arso petto.
Sopra il legno primier la donna e ʼl vago
ascendon de’ guerrier con gran diletto,
mentre al duce il garzon gli occhi converse
flebile istoria in questi detti aperse:

73«Lume primier di questi ciechi mari,
de’ nostri lunghi error porto sicuro,
campione augusto ch’al tuo dir rischiari
di nostra notte ogni profondo oscuro,
vittime ne veniam liete a gl’altari
di servitù nel fato acerbo e duro;
da te speriamo aita, e se a te piace
dolce a noi prema il piè laccio tenace.

74Pietà, signor, pietà voi tutti, scampo
chiediamo umili, e l’una e l’altra destra
roterà sempre armata in duro campo
di battaglia, nell’armi alta maestra.
A vostra defension, di Marte un lampo
sarà ne’ giri suoi veloce e destra.
Vi seguirem, sarà comune il corso
sovra de l’ocean l’instabil dorso.

75S’avvinto inanzi a te d’aspre ritorte
suplice chieda il novello Indo aita,
accoglici pietoso, e togli a morte
duo che per ben morir pregian la vita».
Tace, aspettando a la sua dura sorte
grato conforto, e lagrimando invita
a le lagrime tutti, e tutti pronti
fanno degli occhi lagrimosi fonti.

76Ne l’amorosa donna alta eloquenza
un silenzio orator ne’ gesti versa,
e muove e persuade e sforza senza
che di mel grato sia la voce aspersa.
In nuova guisa in lei chiede clemenza
real sembianza in umiltà conversa:
tronchi sospir, moti de gl’occhi sono
arte dell’arte e della voce un suono.

77La donna in bel silenzio e lagrimoso
parla, e l’amante in lagrimosi accenti,
e ʼl ligure primier fanno pietoso
de gl’amorosi lor gravi tormenti.
«Serenate» risponde «il nubiloso
volto, e vivete anco nel duol contenti:
nel corso nostro una conforme sorte
vi darà dolce vita o nobil morte.

78Sète nostri, e catene indegne e dure
merto di plebe vil, da voi sian lunge.
Mi raccontate a pien vostre sventure,
la patria, il nome e come or qui si giunge».
E ʼn dolce atto gentil le nevi pure
de le man prende e a la sua man congiunge,
quei sollevando; d’onorata sede
caro amico riposo a lor concede.

79Da la bocca di lui pendono tutti,
vaghi son di saper l’aspro viaggio,
quale empia sorte entro a’ cerulei flutti
gli abbia fatto soffrir crudele oltraggio.
Gli altri occhi in tanto da’ begli occhi instrutti
fansi speglio di lor l’ardente raggio,
mentre l’udito de l’udir s’appaga
la vista del veder si rende vaga.