Il naufrago Francardo racconta la propria sfortunata storia: di stirpe reale, in ragione del suo amore è stato scacciato con l’amata dal regno (1-23)
1«Comincia te, del Ciel primiero nume,
te Figlio al Padre egual, te sacro foco;
te regina del Ciel, te d’auree piume
Angelo armato in mia difesa invoco,
da lo specchio del cor vi scopra un lume
che mostri il ver per non mentito loco,
onde s’apprenda al mio parlar sincero
de l’esiglio infelice il corso vero.
2Francardo io son, quest’Amicandra, e regi
vide i suoi genitor Reno gelato,
io ne la folta Ercinia i chiari pregi
titoli non oscuri ho del mio stato.
Ahimè, ch’a’ nostri gloriosi fregi
troppo veduto abbiam crudele il fato;
se la corona illustre, eccelso il nome
perduto abbiam, pietoso ascolta or come.
3Ne’ teneri anni ingannatrice accorta
del molle sesso feminil fu questa,
che dove donna la conocchia porta
ardita l’asta poderosa arresta;
non cetra dolce lusinghiera scorta
le fu ne’ balli leggiadretta e presta,
ma corse ove più freme e più rimbomba
timpano altero e bellicosa tromba.
4A’ crudi arringhi, a’ marziali campi
gli smeraldi del suol di sangue inostra,
d’incomposta beltà lascivi lampi
non volge ad arte in amorosa mostra
ma ʼl dorso a’ destrier preme, e par ch’avampi
guerriera ardita in perigliosa giostra.
Su ʼl corridor lei vagheggiarsi miri
feritrice superba in mille giri.
5In questa guisa arse mille alme e mille
con soave d’amor fero martire,
e ne’ pallidi volti atre faville
scrisser l’istoria del soverchio ardire.
Corse la fama a le vicine ville
e feo poscia il suo nome al ciel salire,
onor del regno fu, gloria del padre,
flagel di mille sue nemiche squadre.
6Arse per me dolente, ebbe il natale
in una giostra sventurato amore,
nutrì dentro al suo cor fiamma fatale
che non aperse mai l’occulto ardore.
Fuggì del regno suo, prendendo quale
corso mostrolle innamorato core,
chiese, a me giunta, di sua pura fede
e del pudico amor giusta mercede.
7Io le rispondo: – Amor di me ti dona
libero impero, a che piangendo or temi?
qual si riserba a te degna corona
se i titoli virili ecclissi o scemi?
qual gloria di Parnaso e d’Elicona
verrà contesa a’ tuoi valori estremi?
Vil materia per te son bronzi e marmi,
o chiara ne l’amor, chiara ne l’armi -.
8Sdegnasi meco il padre, acerbo stringe
fiera spada nemica, e ʼl campo aduna.
Vienci incontra repente e lo rispinge
nostro valor senza dimora alcuna.
Immense schiere al fin rabbioso spinge
e tenta audace l’ultima fortuna;
di forza ostil ci avanza, e ʼl nostro campo
rompe in battaglia d’uno aperto campo.
9Restammo entrambi e vinti e vincitori,
fummo di quelle schiere argine altero,
e ben avremmo allor giusti furori
sfogati in lui, troppo vèr noi severo,
ma temprò dolce i marziali ardori
di padre il nome e fe’ l’ardir men fero,
e con fuga dolente in boschi ombrosi
gran tempo tra’ pastor vivemmo ascosi.
10Cambio infelice! Non lo scettro regio
non l’asta marzial grava la mano,
ma ignobile virgulto è il primo fregio,
così cangia sua vice il fasto umano.
Fu de le nostre pompe il sommo pregio
abitator di selve il gregge insano
di lascivette capre e d’agne intatte
guidar insieme al pasco, al fiume, al latte.
11Per nutrir ambo io tenni de’ bifolci
la dura vice in rivoltar le zolle;
care le nevi fur, le fiamme dolci
quando più gela il ciel, quando più bolle.
Tu, mago Amor, l’alte fatiche addolci
e tu robusta fai natura molle:
a pastorali giochi, a le palestre
di tutti riportai palma silvestre.
12La pastorella mia primieri onori
ottenne ognor fra l’altre pastorelle
in tòrre al gregge il latte, al prato i fiori,
in tosar lana, in fabricar fiscelle.
Sfogando nel cantar gl’aspri dolori
versàr le luci sue lagrime belle,
ebbe ciascuno al pianto un dolce invito
di pietà pria, poscia d’amor ferito.
13De le mie gioie ogni pastor geloso
non cela il duol che l’ange e che l’accora
ch’a l’altrui notte amante avventuroso
io stessi ʼn grembo a così bella aurora.
Invido cor diventa ingiurioso,
nutre iniquo velen dolce dimora,
dolce ahi per breve spazio: al fin conviene
volger il corso a le britanne arene.
14Dal bosco al lido, da la pania a l’amo,
da la mandra a la barca l’infelice
nostro destin ci guida, e tosto siamo
io pescator et ella pescatrice,
e nasse e laberinti e reti usiamo
cara fatta di noi la pesca altrice.
Crescono ognora in lei bellezze care,
bella del bosco più la vide il mare.
15Talor sovr’una barca a l’aura sciolti
gl’aurei suoi crini in bel diporto giva,
e dicean tutti in lei cupidi i volti:
– Ecco sorge dal mar più bella diva -.
Ben ch’avesse nel duol gl’occhi sepolti
più vaga aurora al cieco mondo apriva,
anzi parea che ʼl sol lasciasse il cielo
e rotasse nel mar con più bel velo.
16L’anima rozza innamorata accese
la nuova pescatrice a’ pescatori,
ne l’acqua il foco tanta forza prese
che ʼnestinguibil furo i ciechi ardori.
Amante pescator devoto rese
come a diva del mar celesti onori,
et adorava il lito e la marina
la bella pescatrice peregrina.
17Ne le barche e ne’ remi ognor si scrive
il bel nome di lei, le vele impresse
son di sua bella imago, e ʼn forme vive
il volto vago suo chiaro s’espresse;
ne l’acque intorno a le britanne rive
amante pescator le reti messe
chiamando il suo bel nome: a lui risponde
Eco interrotta al mormorar de l’onde.
18Il re di Frisia intanto ampi tesori
a l’uccisor di me prodigo offerse,
e per secreti messi i suoi furori
e l’ira acerba al rege inglese espresse.
Dolce pietà de’ nostri alti dolori
d’avvincer queste membra non sofferse:
gran mole di pensier nel re britanno
fa dubbia guerra del nostro aspro affanno.
19Del frisio re la gran preghiera il move,
alta pietà di noi sua mente arresta,
il dubbio petto suo non par che trove
il nostro scampo a tanta rabbia infesta:
uccider non ci vuol, non mandar dove
sdegno nemico il morir nostro appresta,
fuga ne ʼndice al fin fuor del suo regno,
onde partimmo in mal securo legno.
20O quante volte dolorosa imago
di fiera notte a noi si rappresenta!
O quante volte Amor potente mago
la speme avviva entro a’ cuor nostri spenta!
D’infausto avvenimento il cor presago
di strugger la speranza afflitto tenta,
così con mille morti una sol morte
c’ha sciagurato ognor l’iniqua sorte.
21Già venti giorni erriamo, e già consunte
veggiam le nostre povere vivande,
vivande così povere ch’aggiunte
cibo soave a noi sarian le ghiande.
Varie cose vedute abbiam, disgiunte
dal nostro mondo in ocean sì grande,
varie cose e sì varie in forma nuova
che la memoria ne contrista e giova.
22A gl’occhi nostri nuovi, ma non sète
nuovi a l’orecchia: a noi non già si cela
ove s’indrizzi questo eccelso abete
spiegando al ciel la fortunata vela.
In dolorosa istoria udito avete
la verace di noi trista querela,
quai fummo un tempo, e quali or siamo e quanto
fiera materia abbiam d’eterno pianto».
23Mentre l’amante ne’ suoi detti apriva
quanto dettolli in sen facondo amore,
la bella donna nel suo cor sentiva
or affetto di sdegno or di dolore,
e per le lodi di beltà ch’udiva
tingea le gote sue di bel rossore,
e mentre sé volea mostrar men bella
in nuovi modi sue bellezze abbella.
Colombo dona ai naufraghi due spade (24-31)
24Dice il Colombo: «Or ch’a noi dona il cielo
dolce cura di voi, coppia gentile,
e dopo tanta rabbia e tanto gielo
di crudo verno or versa eterno aprile,
udito ho con pietoso, amico zelo
misera istoria ad altra non simile;
godete: a cotal merto amore e fede
vien dopo a tanti guai degna mercede.
25Che se la fronte imperial diadema
ben degno merto a la virtute invitta
non cinge ognor, non fia già ʼn tutto scema
la maestà real gran tempo afflitta.
Avrà di pregio altier gloria suprema
coppia tra noi per man del fato ascritta,
ma de l’alta virtù mercede angusta
quella sarà per sì gran prole augusta.
26Ma d’uopo è ricrear d’esca soave
l’afflitto nel digiun corporeo velo,
e di serica veste ornarlo, e grave
renderlo poscia di fulmineo telo»,
disse, e dimora l’esequir non have.
Si dilegua di morte il tristo gielo,
ne l’armi avvolto tiranneggia Amore,
in varie guise feritor del core.
27Due spade il duce avea del rege ispano
superbo dono al marzial lavoro,
di tempra eletta e di metal sovrano
con elsi sculti d’alte gemme e d’oro,
e portò l’una il celebre africano
e l’altra fu del glorioso moro,
quella di Scipion Latina e quella
del gran cartaginese Ibera appella.
28Latina dona al cavalliero, Ibera
a la novella amazone superba,
e dice: «O voi, che ʼn nobil reggia altera
conobbi eccelsi ne l’età più acerba,
cangiato ʼl volto sì da quel ch’ei s’era,
che beltà più feroce assai riserba;
prendete questo ferro, io più d’un petto
da voi trafitto di mirare aspetto.
29De gl’antichi signor le ʼnvitte destre
sdegneran queste, e’ giri lor sì chiari».
Prendon le spade illustri e le maestre
mani danno di strage indizi cari,
et in pugna navale et in campestre
alpi d’estinti e far sanguigni mari,
e gareggiando van con bella gara
quanto d’armi e d’amor da lor s’impara.
30Gode l’eccelsa coppia, e caro stringe
le chiare spade, e ʼl cavallier gli dice:
«Ecco mia destra co ʼl gran don s’accinge
mercare a pro di te palma felice».
E la guerriera allor: «Né già s’infinge
d’esser la mia di tue speranza altrice:
consenta presto il Ciel che in nuova terra
io veggia l’uso fier d’acerba guerra».
31Con voci tali il gran campion dimostra
di far sua gloria illustre in ogni parte,
né men la donna in disusata mostra
speranze eccelse al capitan comparte.
Ripiglia il duce: «Ecco in difesa nostra
s’arma nuova Bellona e nuovo Marte,
fatti con alti e fortunati auspici
d’impresa audace esecutor felici».
Francardo prosegue il proprio racconto: in fuga dall’Inghilterra hanno incontrato tempesta e sono stati spinti in pieno oceano, dove sono stati salvati e confortati da un Angelo (32-71)
32Soggiunge al cavalliero: «Omai racconta
i perigli e del mar l’occulta strada,
come l’impresa nostra a voi sia conta
e quanto a pro di noi felice accada».
Impon, vedendo al dir la lingua pronta,
ch’ogni minor guerrier lungi se ʼn vada,
nasce silenzio, e le superbe navi
precorron liete i Zefiri soavi.
33Mentre nel profondissimo oceano
volano a gara i torreggianti pini,
non trovando del mar furore insano
che ʼl corso arresti a’ gloriosi lini,
composto in atto et in sembiante umano
move la lingua a’ detti alti e divini
l’altier Francardo, né ʼl parlar confonde
susurrar d’aure e mormorar de l’onde:
34«Al freddo verno, a le pruine algenti
de la memoria del mio caso atroce
né l’alpi de le fauci i fieri venti
de’ sospir legheran in giel mia voce,
ché ne le nevi de’ miei gran spaventi
fugge al suo nido ancor tema veloce,
ma le parole in così bianca sede
partoriscano a voi candida fede.
35Bagna il Tamigi di Britannia il seno,
già creduta del mondo ultima parte;
qual Meandro di cigni ʼl grembo ha pieno
quante l’Egeo ritiene ancore e sarte.
Sotto tacita luna al ciel sereno
l’onda solchiam, ch’Amor ne ʼnsegna l’arte;
giungiamo al fin dove non bene appare
se ʼl mare entri nel fiume o ʼl fiume in mare.
36Con aura amica il nostro legno corre
a prender ratto il bolognese lito,
quella del gran roman marmorea torre
fa di sicuro albergo avido invito,
ma quando noi speriam le vele accorre
e posar su l’arene il piede ardito
d’Austro crudel su le piovose penne
a noi procella ria rapida venne.
37Respinta indietro l’agitata antenna
lascia i Piccardi a la sinistra parte,
e l’idolo destrutto in riva a Senna,
fiume che ʼl gran Parigi irriga e parte.
I Normandi e i Berton varchiam, Ghienna,
e dove la Garonna umor comparte:
ne gl’alti sdegni suoi quivi ʼl timone
e l’arbor frange il tumido Aquilone.
38S’ange il maestro e sé dolente appella,
e l’onde e’ venti raffrenar non puote.
Sdruce l’afflitta nave alta procella,
che ʼn una ingorda sirte la percuote.
In rapido momento ahi vidi quella
girar sparsa per l’onde in mille ruote,
nuotan sparsi gl’abeti, ignudo e lasso
ogni nocchier sta lacerato al sasso.
39Tal per le furie sue greco infelice
vide, figlio d’Oilo, il mesto Aiace
sua nave allor che da Minerva ultrice
estinto fu co l’omicida face.
Il pianto il duol da’ nostri petti elice
poi ch’ogni marinar su ʼl sasso giace;
con intrepido cor saltiam su quello
che solo avanzo fu, picciol battello.
40Termin tra ʼl franco lido e tra l’ispano
varchiam senza governo oltr’a Pirene,
a Biscaglia, ad Astura, ov’è ʼl sovrano
uso guerrier di depredar balene.
Di Galizia al gran divo alziam la mano
e del Tago passiam le ricche arene,
ci accoglie al fin l’ampio ocean profondo
e priva noi del conosciuto mondo.
41Mentre le strane vie di nuovo mare
con aure nuove entro l’aereo velo
dolorosi varchiam, repente appare
più periglioso il mar, più fosco il cielo.
Doppian di reo destin le voglie amare
e de la morte in noi raddoppia il gielo,
gareggian l’onde e i venti, e misti a tanto
certame sono i sospir nostri e ʼl pianto.
42Si copre il mare e ʼl ciel d’un aer nero
che un spesso lampeggiar sovente accende,
e de l’aria e de l’onde il gran sentiero
a noi tra’ fiochi rai dubbio risplende.
Or su l’ali de l’acque un volo altero
il legno per ferir le stelle prende,
et or con precipizio repentino
a gl’abissi d’Inferno è già vicino.
43Mugge de l’onde irate il bianco armento,
eco de l’universo, e ʼl mondo assorda.
Se preghi spargi nel maggior spavento
l’altera mente sua si fa più sorda,
mostro ch’a divorar ne l’ira intento
non sazia mai sua cruda voglia ingorda;
non nacque in lui tua bella madre, Amore,
ma l’Erinni con l’Odio e co ʼl Furore.
44Ci sovvenia come tra’ flutti irati
premero il dorso del montone imbelle
con affetto de’ cori amanti amati
in un scambievol pianto e Frisso et Elle,
e mandàr l’alme a’ campi almi e beati
e ʼl portatore a coronar di stelle,
come lungi dal porto amato e fido
s’affaticava il nuotator d’Abido.
45L’aspra memoria de’ lor casi amari
alto dolor dentro a’ cuor nostri impresse,
nel volto scrisse Amor con segni chiari
dolente istoria, e quegl’Amor pur lesse,
e ne’ sensi amorosi a noi sì cari
amiche gioie de la morte espresse,
gioie che nel morir beati insieme
ravviva in parte la già morta speme.
46Mentre del nostro pianto a i bianchi rivi
in doloroso mar versammo nui,
morti ʼn noi stessi et in noi stessi vivi
con bel cambio di vita in seno altrui,
miracol noto a quei che non han privi
di caro affetto i cari affetti sui,
et hanno aperto a bel desire il core
e conoscono Amor provando amore,
47dal voler nostro in un voler concorde
a l’aure fuor concorde voce uscìo;
senso non era da ragion discorde,
mente celeste i nostri affetti unio.
Ne l’ore estreme l’alme nostre, lorde
di fango immondo, rivolgemmo a Dio,
con le trepide lingue in santo voto,
quasi susurro musico devoto:
48- Almo Rettor, che da l’eterno seno
a le cose caduche il guardo movi,
con occhio di pietà dal bel sereno
care stille di grazie amico piovi;
a’ nostri lunghi error restringi ʼl freno
onde l’esiglio omai scampo ritrovi,
frena de’ lumi tuoi co ʼl santo raggio
de lo spumoso mar l’iniquo oltraggio.
49Devoti noi di tua verace fede,
adoriam te nel Ciel triplice et uno -.
Così chiedendo al Ciel santa mercede
aiuto al nostro mal giunse opportuno:
secura nave il mar sdegnato diede
e nel corso non pave oltraggio alcuno,
spiega l’ali felici, e ʼn dolce vista
rapidamente il nostro corso acquista.
50Giovanetto ha il governo, a noi dimostra
dolce amicarsi, e volge a noi la prora,
giovanetto gentil, che spiega in mostra
i primi fior di sua nascente aurora.
Ne la bella alba caro il volto inostra
ne’ giardini del ciel vago l’infiora,
e ʼnanzi a l’apparir del suo bel sole
mostra del suo bel sol l’aurea sua prole.
51Su ʼl legno nostro ascende, al mar fremente
lascia l’abete entro a’ maggior furori,
caramente ci ʼnchina, e caramente
devoti a lui rendiam celesti onori.
Scorre la nave sua ne l’ira ardente
del naufragante mar colmo d’orrori,
senza freno del legno il fren ritiene
e la mia voce con la sua previene:
52- O voi, che sète di fortuna arciera
nel crudo suo ferir sicuro oggetto,
ond’ella mostra ognor spietata e fiera
segni del suo furor nel vostro petto,
non più timor v’opprima, e sorga altera
speme di nobil cor dolce diletto,
sperar dal Cielo aita è bella speme
questa vi ʼnalzi a le dolcezze estreme -.
53- Vana – io soggiunsi allor – giamai non suole,
celeste abitator del bel sereno,
fede prestarsi a l’auree tue parole,
né la speranza in Dio può venir meno.
Tuo volto acceso d’un vivace sole,
tuo vago manto d’un candor ripieno,
e de la nostra aita amico il zelo
fido ti scopre a noi nunzio del Cielo.
54Ma chi tu sii, chi mandi, et il sentiero
de l’inospite mar ne ʼnsegna, e quale
modo sia da fuggir flutto severo,
e dona, prego, a noi novel natale -.
– Duce occulto vi fui fin dal primiero –
egli ripiglia – errar dubbio e fatale,
né già schivato i gran perigli avreste
senza il favor d’un difensor celeste.
55L’abitator de l’ombre ora s’oppone
a chiaro esecutor d’illustre impresa,
a glorioso ligure campione
che ad opra non volgar la voglia ha ʼntesa:
del mondo antico nel suo cor ripone
nobil dispregio, ond’ha la mente accesa
portar per l’ocean, nocchiero scaltro,
con bel cambio di mondi un mondo a l’altro.
56Un divo fu, da cui nome egli prese,
che su gl’omeri Dio portò ne l’onde,
a bella imitazion di lui s’accese
come il suo nome a quel di lui risponde.
Ebbe a portar le sante voglie intese
la croce, il cui valor qua si nasconde,
or face del suo nome eterno acquisto
e de la croce e portator di Cristo.
57Felicissimo augel, Colombo altero,
che d’aquila infiammata or prende il nome,
viva fiamma d’Italia e scorno vero
a mille antiche Atene, a mille Rome,
che se del mondo ebber superbo impero
i regni presi e le provincie dome,
goda che quegli in nulla parte uguali
ebber le pompe illustri e trionfali.
58Egli va fortunato a quella meta,
cursor non lento, a cui l’ardito volo
disciolse il generoso, il Ciel non vieta
lo scontro a lui del peregrino suolo.
Egli la via sol nota al bel pianeta
calca primier sotto romito polo,
quanto più trova opposto il mare infido
maggior stima di gloria illustre il grido.
59Ei, fatto di natura emulo audace,
dona a l’antico mondo un nuovo mondo,
e con la scorta di notturna face
vagheggia il nuovo ciel lieto e giocondo.
D’un alto suo pensier fatto seguace,
invitto domator del mar profondo,
calcherà nuova terra partorita
da lui che al suo tesor dolce l’invita.
60Voi, seguitando queste esperie vele,
l’ali spiegate al vostro suol romito;
di sì grand’opre esecutor fedele
sarà ciascun di voi guerriero ardito.
Qua tendea de l’esilio aspro, crudele
de l’immutabil voglia il dolce invito;
a Dio sacrate l’onorata spada
a le cui rote ogn’empia testa cada.
61Ite, guerrieri invitti, e nulla tema
vi turbi ʼl cor ne lo stranier viaggio.
Lo ʼnfermo sorgerà, sua forza estrema
v’armerà contra a farvi iniquo oltraggio.
Avversa avrà del Ciel virtù suprema
di foco marzial più santo raggio,
se oscurar tenta il bel seren del giorno,
tenebre eterne a lui saranno intorno -.
62Qui di parlar finio; soggiunsi allora
al santo defensor: – Fia mai che pieghi
l’essempio del Colombo ond’altri a l’ora
dopo il volo di lui le vele spieghi,
e sopra audace e fortunata prora
a chiara fama i suoi begl’anni impieghi? -.
L’altro ripiglia, e ne’ futuri annali
scopre di nuove terre alti natali:
63- Non ben contento del secondo volo,
da’ bei campi d’Etruria il piede altero
move il Vespuccio, e ʼn più lontano polo
apre da cieco seno eccelso impero;
primo ritrovator di fermo suolo,
preme d’eterna gloria almo sentiero,
e fa co’ lumi suoi novello acquisto
de lo stellante in ciel vessil di Cristo.
64Gravido il sen di nobil fiamma viva
partorisce nel mar figlia beata
che ad altre genti i suoi tesori apriva,
mole immensa del mondo al mondo nata.
Tal corona la fama al crine ordiva
che da lui fosse America nomata,
ben degno premio a le sofferte some
che viva ne la figlia eterno il nome.
65Flora beata, il cui gravido seno
figlio nutre di latte almo celeste,
che pose a l’ocean novello freno,
di terre trovator tra l’onde infeste,
flora beata, al cui bel ciel sereno
di benigno favor son l’aure preste,
ove toscana Musa altrui comparte
cantar gl’eroi d’Amor, gl’eroi di Marte.
66Degno di felicissimo Parnaso
degno di fecondissima Ippocrene,
e di celeste Musa eccelso è ʼl caso
di goder sempiterne aure serene,
non provi ʼl nome suo crudele Occaso
animato da tosche alme Camene,
e di chiaro poema al gran natale
fortunato Oriente abbia immortale.
67Altro ardito nocchiero e capitano
le generose vele a l’aure spiega,
solcando il fiume Beti e l’oceano
le magnanime travi a l’Ostro ei piega.
Di fiera lingua e di nemica mano
per l’aspre ingiurie il corso altier non lega,
a l’antartico polo al fin vicino
porrà la meta del suo gran camino.
68Co’ dolci fiati de’ benigni venti
giunto a quel sen troverà l’aure amiche,
saranno successor benigni accenti
a le mordaci in lui voci nemiche;
de l’orgoglioso mar dopo i tormenti
dolci saranno al fin l’aspre fatiche,
che ʼl nome suo, domante l’onde insane,
a lo stretto porrà di Magellane.
69Intrepido campion, guerrier cortese
ecco si sveglia a gloriose prove;
veggio sue voglie generose accese
di foco unquanco non veduto altrove,
veggiolo ardente a più sublimi imprese
de l’antiche memorie e delle nuove,
nudo guerrier d’armi e di forze, e solo
trionfator di numeroso stuolo.
70A l’aure peregrine eccelsa vela
spiegata segue il gran camin del sole,
su ʼl dorso a l’oceano a lei non cela
ascoso grembo la terrestre mole.
Se l’età prisca favolosa inciela
Argo poiché ad ogn’altra il pregio invole,
spenga de’ suoi splendor l’alta memoria,
donando al Ciel questa ʼmmortal vittoria -.
71Con l’aurea lingua il messaggier celeste,
nunzio di Dio, ma che sembrava un dio,
de’ fati occulti occulte voglie in queste
voci e’ futuri avvenimenti aprio,
dimostratore a non temer l’infeste
acque del nuovo mondo insano e rio.
In tanto a noi la vostra armata apparve,
– Securi or sète – disse, e ratto sparve».